Non mi pare che ‘rappresentare’ costituisca una effettiva modifica rispetto a ‘significare’. L’interpretazione contorta della WTS rimarrebbe inalterata. Piuttosto, cara Necche, nulla da dire sulla tua interpretazione “teologica”, ma resta che il/la TdG ti opponeva un’interpretazione
filologica, ed è su questa che sei costretta a confrontarti. Ora nessun appunto sul fatto che non ricordavi quel thread, nemmeno io ricordavo che avevo risposto anche a te, l’ho scoperto facendo ricerche su quel che rammentavo avere scritto. E poi hai pienamente ragione,
repetita iuvant, ovvero aiuta ripetere cose già dette, perché facilmente si dimenticano. E ora, visto che mi ritrovo un po’ di tempo, voglio cercare di andar oltre, per offrire nuova testimonianza della becera ignoranza che stigmatizziamo.
In effetti, in relazione alla tua domanda, di conoscere i passi paralleli in cui
eimi può valere sia ‘essere’ che ‘significare’ (o ‘rappresentare’, ma ciò non muta la questione), assai illustrativo è il quinto post (di nello80) nel primo link che ti ho riportato.
Nello citava un lungo passo, che ritengo traesse dal sito geovista non ufficiale (e questo va tenuto presente) testimonidigeova.net (e precisamente <
http://www.testimonidigeova.net/Matteo%202626.htm>). In quel brano, che riporto rispettandone meglio di Nello la formattazione originaria, era scritto:
testimonidigeovanet ha scritto:Domanda: cosa significa "estìn"?
Risposta: basilarmente "è", ma anche "significa"-"rappresenta".
Anche in italiano il senso della terza pers. sing. "è" (ed in verità di tutto il verbo essere) è variato ed ampio; ad esempio cosa si capisce se dico "mio padre è nero, meglio che non gli chiedo nulla"? Che mio padre è di razza nera mentre io di razza bianca? Dal contesto è evidente il senso non letterale del verbo?
Tornando al greco se prendiamo infatti un vocabolario dei termini greci troviamo che il verbo "eimì" (di cui la terza pers. sing. "estì-n") viene reso 1)"... esisto, sono,vivo, accado...2) ..in senso perifrasico: sono corrisponde a chiamarsi, significare, costituire, fare, valere.. (Vocabolario greco-italiano di Lorenzo Rocci, trentaduesima edizione - Soc. ed.D. Alighieri - 1985 pagina 551, sottolineatura nostra.)
Per esemplificare in termini pratici prendiamo un altro brano del NT che contiene lo stesso verbo, 1 Corinti 10:4, che recita: "quel masso di roccia significava (gr. èn, da estìn) il Cristo". Sono certo che nessuno insisterà nel voler affermare che il Cristo era letteralmente un masso di roccia! E’ evidente che era "rappresentato" o "simbolicamente prefigurato" da un masso di roccia.
In questo caso non ci sono particolari riti e liturgie da difendere ma, se per caso, in vece del pane Gesù avesse fatto passare fra gli apostoli un sasso e fosse nato un rito mistico sul passaggio del sasso nella Messa ecco che sicuramente oggi avremo discusso su 1 Corinti 10:4 e non su Matteo 26:26, mentre io avrei portato come esempio Matteo 26:26. Si prenda anche la traduzione di Matteo 9:13 e 12:7 della CEI dove lo stesso verbo estìn viene reso "significa" senza che nessuno tiri in ballo manipolazioni isteriche.
Ecco i versetti in questione:
Mt. 9:13 "Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori»."
Mt. 12:7 "Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa."
Dunque si tratta di un falso problema. La nostra conclusione?
Si vuole tradurre "estìn" di Matteo 26:26 con "è"? Benissimo.
Si vuole tradurre "estìn" di Matteo 26:26 con "significa"? Benissimo lo stesso.
Ciò che non va affatto bene è considerare la seconda traduzione errata o addirittura manipolata.
Da questo passo puoi agevolmente trarre i luoghi paralleli, in cui ‘essere’ può venir reso con significare, che ti interessano. Quel che invece interessa me, sperando di essere ed esserti utile, è smontare rigo per rigo, l’ignoranza e le corbellerie espresse in questo scritto. Per cui, contrariamente alle mie abitudini, le segnalerò quasi una per una, diffondendomi spesso sulle banalità e castronerie espresse da questo anonimo geovista, sempre tenendo presente che non si tratta di sito ufficiale; ma altresí notandone la familiarità del metodo, che rispecchia il consueto e distorto
modus operandi della WTS.
Domanda: cosa significa "estìn"?
Risposta: basilarmente "è", ma anche "significa"-"rappresenta".
Se è per questo
eimi significa anche e soprattutto ‘esistere, vivere, accadere, stare, durare, e un’infinità d’altri verbi; e allora?
Anche in italiano il senso della terza pers. sing. "è" (ed in verità di tutto il verbo essere) è variato ed ampio; ad esempio cosa si capisce se dico "mio padre è nero, meglio che non gli chiedo nulla"? Che mio padre è di razza nera mentre io di razza bianca? Dal contesto è evidente il senso non letterale del verbo?
Si allude al valore metaforico del linguaggio; senonché il “dotto” geovista pare non sappia che ‘significare’, rispetto a essere, non è una metafora, in senso stretto: metafora, a voler dire le cose come stanno, è
tutto il linguaggio, perché è puramente simbolico che io chiami ‘casa’, gli inglesi
home, i francesi
maison ecc. il luogo dove abito, che ovviamente è solo un transfert dal mondo reale al “segno” (uso il termine in senso semiologico) che lo idealizza nelle varie lingue. Ma in senso proprio, e senza spiegazioni che richiederebbero fiumi di parole, la metafora è un’analogia, un’
estensione di senso: l’es. perspicuo del padre arrabbiato, nero per la collera, è appunto un’estensione analogica del linguaggio, di cui dubito che il geovista in questione sappia, che in origine, la metafora non esisteva proprio, ma si rifaceva a scienza d’altra epoca: essa risale infatti alla teoria medica degli umori, che connotava il temperamento malinconico con il term.
melancholia, lett. ‘bile nera’. Viceversa, quel che il geovista vorrebbe comprovare, è la metafora di ‘significare’ rispetto a ‘essere’ (per lui «letterale»), che però, propriamente, metafora non è, in quanto ‘significare’, rispetto ad ‘essere’,
non rappresenta un’estensione di senso, ma al contrario un ‘restringimento’ dello stesso:
significare altro non è che
essere un segno di qualcosa. Quindi una sola parte, e ben piccola, dell’«essere», altro che un traslato!
Tornando al greco se prendiamo infatti un vocabolario dei termini greci troviamo che il verbo "eimì" (di cui la terza pers. sing. "estì-n") viene reso 1)"... esisto, sono,vivo, accado...2) ..in senso perifrasico: sono corrisponde a chiamarsi, significare, costituire, fare, valere.. (Vocabolario greco-italiano di Lorenzo Rocci, trentaduesima edizione - Soc. ed.D. Alighieri - 1985 pagina 551, sottolineatura nostra.)
Qui assistiamo al solito testo artatamente tagliato, e non solo, come vedremo: io ho un’ed. precedente del Rocci, ma guarda caso il passo cit. si ritrova alla medesima p. 551, e recita testualmente (sottolineo le lacune):
Vocab. Rocci ha scritto:
2) come copula, con sost. agg. inf. avv. locuzione avverbiale, prep. ecc.; con part. spec. in sens. perifrastico: sono, e tal.[volta] corrisponde a chiamarsi; significare; costituire; fare; valere, ecc.;
Ove è evidente che costui non sa un tubo di greco, né come si consulta un vocabolario, e peggio, non conosce nemmeno l’italiano, se scrive un «perifrasico» (invece di ‘perifrastico’) che in italiano non esiste, e che comunque non può servire al caso presente, perché dire "è o significa il mio sangue"
non è una perifrasi, che è data dall’unione di almeno due o piú termini (o un’intera frase) al posto di uno (per un es. banale è perifrastico il futuro inglese
I shall do, lett. ‘devo fare’, rispetto all’ equivalente italiano ‘farò’, che per altro ha anch’esso origini perifrastiche, perché deriva da ‘fare ho’, ovvero ho da fare; per una frase cfr. la perifrasi “l’uomo che ha cambiato il mondo” riferito a un Gesú sottaciuto, di cui in altro thread). In ogni caso, per il nostro discorso, c’entra come i cavoli a merenda, tant’è che il dotto geovista nemmeno si è accorto che in senso perifrastico
eimi significa ‘sono’, e basta (piú sotto il Rocci riporta tre esempi di perifrasi con part[icipio], es.
pheugon Orestes estin = Oreste – fuggitivo –
è in esilio) mentre il valore di ‘significare’ è referenziato da un unico esempio plutarcheo
eirein legein estin, cioè ‘
eirein significa dire’, che ovviamente non fa testo, perché è come dire
dog significa cane ( ovvero l’ingl.
dog è cane, in ital.). Non credo ci sia chi non avverta che si tratta di tutt’altra cosa.
testmonidigeovanet ha scritto:Per esemplificare in termini pratici prendiamo un altro brano del NT che contiene lo stesso verbo, 1 Corinti 10:4, che recita: "quel masso di roccia significava (gr. èn, da estìn) il Cristo". Sono certo che nessuno insisterà nel voler affermare che il Cristo era letteralmente un masso di roccia! E’ evidente che era "rappresentato" o "simbolicamente prefigurato" da un masso di roccia.
Certo, questa è effettivamente una metafora: "quell’uomo è un leone": nessuno dubita che l’uomo non sia un quadrupede selvatico e aggressivo.
Deo gratias il nostro grammatico stavolta c’ha azzeccato, ma…
In questo caso non ci sono particolari riti e liturgie da difendere ma, se per caso, in vece del pane Gesù avesse fatto passare fra gli apostoli un sasso e fosse nato un rito mistico sul passaggio del sasso nella Messa ecco che sicuramente oggi avremo discusso su 1 Corinti 10:4 e non su Matteo 26:26, mentre io avrei portato come esempio Matteo 26:26. Si prenda anche la traduzione di Matteo 9:13 e 12:7 della CEI dove lo stesso verbo estìn viene reso "significa" senza che nessuno tiri in ballo manipolazioni isteriche.
La storia non si fa con i se: Gesú non ha passato ai discepoli un sassolino. Che si trattasse di un rito lo riconoscono persino gli storici piú prevenuti e di tendenza contraria alla teologia cattolica. In ogni caso non è certo con un paragone puerile in stile «Svegliatevi» che si può affossarlo; tanto piú ove si pensi alla mentalità antica molto piú materialista, anche perché meno abituata al nostro idealismo, e tesa a vedere, se vogliamo anche superstiziosamente, la materia dove non c’era: vale a dire che qui coglieva materialmente, “quasi “cannibalescamente”, il sangue (e chi, meglio di un TdG, dovrebbe saperlo?), come spero aver chiarito in diversi miei post, presenti nei link succitati.
Ecco i versetti in questione:
Mt. 9:13 "Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori»."
Mt. 12:7 "Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa."
Qui c’e solo in-pertinenza: ‘misericordia’ è un astratto, mentre ‘sangue’ è un concreto. Inoltre il verbo si riferisce a una frase, e non a una singola parola. Il parallelismo è non imperfetto, ma inesistente.
Dunque si tratta di un falso problema. La nostra conclusione?
Si vuole tradurre "estìn" di Matteo 26:26 con "è"? Benissimo.
Si vuole tradurre "estìn" di Matteo 26:26 con "significa"? Benissimo lo stesso.
Ciò che non va affatto bene è considerare la seconda traduzione errata o addirittura manipolata.
Tacendo per
brevitas sulle corbellerie precedenti (
non è un falso problema, e quel «benissimo lo stesso» è invece un
malissimo), la conclusione
è errata perché la traduzione inversa, dall’italiano al greco antico, di ‘significa il mio corpo’ obbliga ad adoperare il verbo
dunamai, e non
eimi. Mentre
è manipolata perché finalizzata ad affermare la teologia geovista, in barba alla cattolica, ignorando completamente le ragioni storiche antropologiche linguistiche filologiche, che non permettono la traduzione simbolica del passo, ma ammettono solo quella letterale e… “corporea”.