Victor ha scritto:A volte penso che anch’io avrei bisogno di un interprete, perché mi sembra di parlare un’altra lingua.
Il linguaggio è, saussurianamente,
langue, ovvero un sistema con un codice condiviso. È ovvio che chi si allontani da quel sistema e da quel codice, e vi sostituisca la sua
parole, ovvero il suo idioletto, o per dirla alla buona il suo ristretto “slang”, effettivamente parli un’altra lingua, non condivisa, e quindi non intesa e accettata dall’insieme dei parlanti. Questo succede coi TdG, con espressioni quali luce progressiva o termini come anima,
stauros ecc. Questo succede a te quando non ti rendi conto che non stai parlando nel cenacolo dei tuoi correligionari, e pretendi la condivisione di un linguaggio che dall’insieme dei parlanti non è condiviso; esempio eclatante il termine ‘morte’: come i TdG non possono imporre il nome Geova, tu non puoi imporre il significato che vuoi passando sopra all’uso comune, che, nota bene, è anche cattolico. Un altro esempio è il tuo uso del term. ‘ragionevole’, che vuoi far passar per equivalente di ‘logico’; cosí non è: il secondo è dimostrativo/teorico, il primo etico/pratico.
Victor ha scritto: Nessun poeta, per quanto sommo, può parlarci della “morte” nei suoi versi,
Ma se è quello che han sempre fatto! mai letto Foscolo, Petrarca, Leopardi, Dante? Lo stesso cattolicissimo Manzoni? ecc. ecc. ecc.
Victor ha scritto:al massimo il poeta potrà dirci qualcosa in merito al suo “concetto” di morte.
No affatto, è proprio il contrario: compito del poeta è dar corpo ai concetti, altrimenti non sarebbe poeta. Lo leggi in tutti coloro che di poesia hanno scritto, da Aristotele a Orazio, da Sidney a Boileau, da Vico a Gravina, da Leopardi a Pascoli ecc.
Victor ha scritto: Possiamo (anzi voi sapienti potete) discutere se Omero in quei versi intenda la semplice fine biologica, alla quale segue la sopravvivenza di un’ombra nell’Ade, e quindi quella che descrive non è la “morte”, perché non è un annientamento totale dell’uomo, ammesso che così si possa definire la morte, oppure se non avendo le nostre categorie moderne di intendere la morte, Omero intenda qualcos’altro. Lascio ai sapienti e intelligenti quella discussione.
L’umbratile sopravvivenza nell’Ade è appunto una “credenza”,
variatis variandis una forma di fede superstiziosa, cui gli stessi antichi attribuivano poco credito. Il poeta è per definizione
poietes, creatore, e tanto piú è poeta quando scopre e rende vive e concrete le analogie fra le cose, per es. quando abbraccia un albero perché nell’albero è Dafne, o spezzandone un ramo, lo ferisce, perché v’è dentro Polidoro, o Pier delle Vigne. Questo non significa che egli creda veramente quell’albero animato: lo immagina e te lo mostra animato, e qui sta la sua arte e la sua verità, spesso piú profonda del ragionamento, perché l’arido ragionamento supera; ma non senza conservare, come l’attore di Diderot, coscienza del paradosso, e dello sdoppiamento che in lui opera. Gli dèi antichi non sono che questo, la personificazione delle forze naturali; lo intuiva il poeta e lo sapeva il filosofo, che a volte coincidono, come Empedocle e Lucrezio, cosí come, versi a parte, coincidono in Platone o in Nietzsche, tanto per fare per un esempio moderno. Gente come Anassagora, Democrito, Epicuro di spirito religioso ha ben poco. E non era affatto fenomeno d’élite, anche se c’era superstizione: Nicia va incontro al disastro per un’eclisse, Agatocle invece ne approfitta, come Pericle. Cicerone, che pur non era epicureo, si meravigliava come due àuguri, incontrandosi per strada, non scoppiassero a ridere. Difficile dire che intendessero Omero e Virgilio, quando l’ombra dell’eroe ucciso se ne vola sdegnosamente nell’Ade; dipende anche dal grado di consunzione di una tradizione poetica che, nel caso di Omero, non è attestata fisicamente. Anche noi, quando diciamo di qualcuno che ci stava antipatico:
Se ne è andato all’inferno, finalmente, forse intendiamo altro da
è crepato? O pensiamo a Belzebù? Ma in definitiva Omero non è che un nome fittizio, e di lui non conosciamo assolutamente nulla, men che mai le sue credenze e superstizioni, che non possono che essere presunte ove ci si basi su di un poema che la realtà trasfigura; come che sia quello che Omero intende in
Iliade VI, 146-9 è chiaro e trasparente, nel contesto della visione naturalistica che quei versi trasmettono; solo chi vuol complicare vanamente le cose, non può, o meglio non vuole ammetterlo.
Victor ha scritto:Il mio discorso non era riferito alla poesia di Omero, ma voleva appunto dire che le definizioni di “vita” e di “morte” sono molto ambigue, non mettono d’accordo tutti, e rappresentano problemi tuttora irrisolti nella filosofia.
Di ambiguo c’è solo che cerchi surrettiziamente di offuscare un’evidenza chiara come il sole di mezzodí. La filosofia è zeppa di problemi irrisolti che segnano appunto la sua sconfitta, e la sua riconsiderazione, in chiave moderna, sotto tutti altri presupposti.
Victor ha scritto:Come ho detto, tali concetti sono definibili solo all’interno di una fede (gli dèi).
Questa non l’ho capita. Tanto piú che la fede, se vuol esser tale, lo è proprio perché travalica i concetti.
Victor ha scritto:La “verità di fatto” di cui tu parli non è la “morte”, concetto indefinibile oggettivamente ed univocamente, ma la nostra fine biologica, ovvero il termine delle nostre funzioni corporee, verificabile tramite i “piú sofisticati ritrovati scientifici”. Della morte non possono parlarci gli scienziati, e tantomeno i poeti, non ne hanno gli strumenti, per farlo occorre un Dio.
Bene, dimostrami con argomentazioni serie, e non con fanfaluche quali la tua vana fede, che la morte è altro oltre alla fine biologica, e poi riprendiamo la discussione. Ovvero mi dimostri che l’uomo è altro da materia che pensa, e che senza materia può sussistere il suo pensiero. Ma per far questo
non puoi servirti di Dio: devi prima dimostrarLo, e se non sei in grado di farlo non puoi addurLo come prova. Il tuo è un circolo vizioso, con la pretesa di autoreferenziarsi. Per il resto ti ha ben risposto Mauro, che ha chiarito meglio di come saprei fare io quel che intendevo con «sofisticati ritrovati scientifici per verificarla»; quanto ai poeti rimando a quanto espresso sopra.
Victor ha scritto:Se ho usato dieci volte (non le ho contate, mi fido di te) la parola “fatto” non è per negare il fatto della nostra fine biologica, comunemente chiamato morte, ma proprio per dire che di fronte a quel fatto, per controbilanciare le cose, e salvarci, occorre contrapporre un altro fatto, ovvero il ritorno in vita di un Uomo.
E per quale ragione dovrei controbilanciarlo? non è una necessità, cosí come Dio non è necessario all’esistenza dell’Universo.
Ergo ciò che non è necessario non necessariamente occorre.
Victor ha scritto:Forse Poly potrà definire ‘esigenzialismo’, o peggio, la mia arzigogolata e vana dottrina, ma se vuole dirsi cristiano, non può negare il fatto della Risurrezione di Gesù, ed il suo significato di salvezza. A me basta far capire che credo quel fatto sia avvenuto, lascio agli altri l’applicazione di etichette alla mia esposizione di pensiero, e sinceramente le etichette non mi interessano, mi interessano appunto i fatti.
Che un cattolico non possa negare la Resurrezione non significa che questa Resurrezione sia un fatto, significa solo che un cattolico
crede che essa sia un fatto. Ma finché non verrà dimostrato, esso rimarrà, come si diceva nel Medioevo, un puro nome:
stat rosa pristina nomine, stat in nomine rosa. E va ad aggiungersi alla lista di ciò che non è condiviso.
Victor ha scritto:
Anche questo è un pregiudizio comune, quello che Dio sia cercato solo per avere un premio nell’aldilà. Un credente maturo non cerca Dio per soddisfare egotiche esigenze, non si tratta di un do ut des, quello semmai è una conseguenza dell’essersi comportati in un certo modo.
Di qual pregiudizio parli? Non scambiare con me il tuo specchio, perché sono stato
io, non tu, a sottolineare un’esigenza piú elevata di fede, fondata su un amore disinteressato. Tu sei venuto a rimorchio, come fai sempre quando vieni messo alle corde. Parlando di egotiche esigenze io non mi riferivo al cattolico in genere, ma a quel cattolico che hai rappresentato sul forum fino alla nausea. Questo non implica che tu sia veramente cosí, io non so se quando scrivi ridi, sghignazzi, sei serio o piangi. Io so solo quello che scrivi, e quello che hai scritto, fino a un momento fa, non era che una fede gretta meschina e utilitaristica. Se ora tenti di cambiare le carte in tavola, te l’ho già detto, ci vuol altro baro.
Victor ha scritto:Si cerca Dio perché ragionevolmente si pensa non possa esistere l’assurdo
Il mondo, quello dell’uomo almeno, è assurdo. Irragionevole pensare il contrario; e quasi quasi mi piace proprio perché tale. Non è comunque ragionevole sostituire un assurdo con un altro assurdo (teste fra gli altri Tertulliano).
Victor ha scritto:E’ ragionevole pensare che l’amore, il vero amore, non finisca con la morte.
Ragione dei folli, come già spiegato in altro thread: l’amore eterno esiste solo nella fantasia. Gli amori finiscono, e se non finiscono, ci pensa la vita, o meglio il suo termine, a farli finire.
Victor ha scritto:E’ ragionevole pensare che l’oppresso, il debole schiacciato dal malvagio trovino giustizia
No, è solo un desiderio, piú o meno fondato a seconda del tipo di società in cui sei costretto a vivere. Di ragionevole non ha nulla. Men che mai è logico inferirne una conseguenza fideistica.
Victor ha scritto:E’ ragionevole pensare che esista una felicità, una speranza di salvezza dal male.
La felicità in assoluto non esiste, perché non fai a tempo a raggiungerla che già fugge via. L’attimo fuggente di Faust, appunto. E fra noi e Goethe sono passati due secoli. La speranza invece è reale, ma ciò non significa che sia fondata. Anzi, i soliti fatti, quelli comunemente intesi e condivisi, la smentiscono, smentiscono appunto la sua ragionevolezza.
Victor ha scritto:Del resto chi non crede in queste cose ragionevoli, se ritiene di essere ancora più ragionevole, e dimostrare così che non ha nessuna paura infantile, come dice, dovrebbe poi avere il coraggio di andare a dire ai sofferenti che per loro non esistono speranze di salvezza, che il dolore innocente non avrà mai una risposta. Anche ad una persona che sta morendo per un male incurabile, ad un depresso che vuole suicidarsi, dovrebbe avere la coerenza di dire chiaramente quello che pensa. Se non lo dice perché ha paura di ferire il sofferente, non è veramente coerente, perché in tal modo la vera ragionevolezza sarebbe per lui destinata solo ai non sofferenti.
Che squallidi paralogismi, nemmeno un TdG arriverebbe a tanto! Credi di aumentare di un solo iota la tua illusoria ed illudente fede, svilendo i sentimenti degli altri? Credi che l’ateo, perché ateo, debba necessariamente essere privo di cuore? Privo di cuore sei
tu, che ti abbassi a coteste elucubrazioni infantili.
Tu sei costretto alla coerenza, da una dottrina che non sa rinnovarsi; e guai a essere incoerente, come la suora dei
Miserabili, che non ha mai mentito, ma per salvare Valjean dalle grinfie di Javert, infrange il suo voto e mente all’ispettore. Io posso scegliere, e se non sono coerente, non devo risponderne a nessuno, se non a me stesso.
Victor ha scritto:Lo so proprio perché è stato Lui stesso a rivelarsi,
No, tu non sai un bel nulla, tu
credi di sapere.
Victor ha scritto:e lo ha fatto incarnandosi in una Persona, che Giobbe (o meglio l’autore di quel libro) non aveva ancora conosciuto, e di cui vi è ampia testimonianza nei libri biblici successivi, i quali, spiace constatarlo, evidentemente non hanno insegnato nulla a te.
Forse perché ho saputo scegliere i miei maestri meglio di come hai scelto il Tuo. E sono ben lieto che ti spiaccia: una piú positiva considerazione delle mie letture, da parte tua, offenderebbe il mio amor proprio.