IL BUDDISMO: E' DA BUTTARE.

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virtesto
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IL BUDDISMO: E' DA BUTTARE.

Messaggio da virtesto »

Siamo abituati da molto tempo a vedere gli Islamici come terroristi ed oppressori di altri gruppi religiosi. In Birmania invece succede che la minoranza islamica dei Rohingya subisce violenze da parte della maggioranza buddista. I buddisti, proprio loro, in veste di carnefici! Nell’ultimo anno più di 200 musulmani sono stati uccisi ed oltre 150.000 sono sfollati per non subire violenze. Sono numeri che colpiscono soprattutto se si tiene conto del fatto che le violenze sono state perpetrate da chi si è fatto sempre portavoce di un credo pacifista e contrario all’uso della violenza.

Ma gli integralisti buddisti sono all’opera sono all’opera anche in Cambogia, Tainlandia, Sri Lanka, Vietnam e Laos. Leggete in Rete per maggiori dettagli su quanto succede in quella parte dell’Asia a causa dell’integralismo buddista.

Ma non c’è da stupirsi se andiamo a vedere che anche negli anni ’30 e ’40 il buddismo Zen giapponese fu favorevole all’invasione della Cina da parte del Giappone e fautore di quel militarismo, che non è mai stato rinnegato.

Ma, soprattutto, non c’è da stupirsi se andiamo a considerare come era la situazione in Tibet, prima dell’arrivo dei cinesi nel ’51.
Ecco, lì c’era la Teocrazia buddista al potere; i monasteri gestivano il Paese in combutta con pochi latifondisti. Quindi non possiamo dire che le violenze erano dovute ad una minoranza integralista. Ebbene, quando arrivarono i cinesi, trovarono un paese senza strade, senza ospedali, senza scuole ma , soprattutto, senza libertà e diritti per la maggior parte della popolazione.

Il 90% erano considerati ‘servi della gleba’, schiavi, dovevano lavorare senza salario per i monasteri ed i latifondisti, privi di qualsiasi diritto. Sono stati ritrovati i locali con gli attrezzi per torturare ed ancora c’erano in circolazione un sacco di poveracci con gli arti amputati per punizione.

Il famoso Dalai Lama fuggì in India con i latifondisti e la sua “ fortuna” fu che gli USA, specialmente a quell’epoca, erano fortemente anticomunisti per cui abbracciarono la causa dei monaci buddisti contro l’invasore cinese. La CIA corrispondeva 165.000 dollari annui al Dalai Lama. Gli USA organizzarono anche una specie di invasione del Tibet; questa prevedeva che la popolazione locale si sarebbe affiancata agli invasori per avere successo ma quei contadini, che finalmente con i cinesi avevano guadagnato dignità umana, un salario e scuole, si guardarono bene dal partecipare a quella controrivoluzione.

Certamente i cinesi, dopo il loro arrivo in Tibet, chiusero molti monasteri considerandoli, giustamente, strutture parassite. Lasciarono aperti quelli più significativi per essere visitati dai beoti occidentali che venivano in Tibet .
E da molti anni abbiamo in giro quel furbetto di Dalai Lama , sempre ben ricevuto e sempre a recitare la parte dell’oppresso e al quale, per fare un po’ di dispetto alla Cina, gli danno sempre attenzione.
C’è molta disinformazione sul buddismo. Non è una religione alla Roberto Baggio o alla Richard Gere. Nella storia si è rivelata, come abbiamo visto in Tibet, una religione più crudele delle nostrane. Un’altra da buttare.
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Giulioplasma
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Messaggio da Giulioplasma »

Questo post è francamente incommentabile...
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Quixote
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Messaggio da Quixote »

Giulioplasma ha scritto:Questo post è francamente incommentabile...
Caro amico, è un piacere leggerti, anche se a ogni morte di papa. E il constatare che le corna del tuo avatar, quando è il caso, sanno come orientarsi. :ironico:
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virtesto
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Ecco. mi piacerebbe sapere qualcos'altro..

Messaggio da virtesto »

...da vostri "commenti". Ho detto cose false? Oppure cose che non sapevate, cioè la situazione com'era in effetti ? Oppure che, nonostante tutto quello che hanno combinato i buddisti, il cliché è quello è e non si tocca: cioè i cinesi oppressori cattivi e i Dalai Lama i buoni? Ditemi, ditemi ,non limitatevi a commenti da superuomini stronzetti. (Detto con affetto)

Sempre con lo stesso "affetto" eventualmente, aspetto commenti.
virtesto
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Per farvene unìidea sul Tibet

Messaggio da virtesto »

Le religioni hanno sempre avuto una stretta correlazione non soltanto con la violenza, ma anche con lo sfruttamento economico. In realtà, è spesso la strumentalizzazione economica che conduce necessariamente alla violenza. Tale è stato il caso della teocrazia tibetana. Fino al 1959, quando il Dalai Lama presiedette l’ultima volta il Tibet, la maggior parte della terra arabile era ancora organizzata attorno a proprietà feudali religiose o secolari lavorate da servi della gleba. Addirittura uno scrittore come Pradyumna Karan, solidale con il vecchio ordine, riconosce che “una grande quantità di proprietà apparteneva ai monasteri, la maggioranza di essi accumulava notevoli ricchezze… Inoltre, monaci e Lama riuscirono ad ammassare individualmente notevoli ricchezze tramite la partecipazione attiva negli affari, nel commercio e nell’usura.” (8)

Il monastero di Drepung era uno delle più estese proprietà terrestri del mondo, con i suoi 185 feudi, 25.000 servi della gleba, 300 grandi pascoli e 16.000 guardiani di gregge. La ricchezza dei monasteri andava ai Lama di più alto rango, molti dei quali rampolli di famiglie aristocratiche, mentre invece la maggior parte del clero più basso era povero come la classe contadina dalla quale discendeva. Questa disuguaglianza economica classista all’interno del clero tibetano, è strettamente paragonabile a quella del clero cristiano dell’Europa medievale. Insieme al clero superiore, i leaders secolari facevano la loro parte. Un esempio considerevole fu il comandante in capo dell’esercito tibetano, che possedeva 4.000 chilometri quadrati di terra e 3.500 servi. Egli era anche un membro del Consiglio terriero del Dalai Lama. (9) L’Antico Tibet è stato rappresentato da alcuni dei suoi ammiratori occidentali come “una nazione che non necessitava forze di polizia perché il suo popolo osservava spontaneamente le leggi del karma.” (10) In realtà era dotato di un esercito professionale, sebbene di piccole dimensioni, che era al servizio dei proprietari terrieri come gendarmeria, con l’incarico di mantenere l’ordine e catturare i servi della gleba fuggitivi. (11)

I ragazzini tibetani venivano regolarmente sottratti alle loro famiglie e condotti nei monasteri per essere educati come monaci. Una volta laggiù, erano vincolati per tutta la vita. Tashì-Tsering, un monaco, riferisce che era pratica comune per i bambini contadini essere abusati sessualmente nei monasteri. Egli stesso fu vittima di ripetute violenze sessuali perpetrate durante l’infanzia, non molto tempo dopo che fu introdotto nel monastero, all’età di nove anni. (12)

Nell’Antico Tibet vi era un piccolo numero di agricoltori il cui stato sociale era una sorta di contadino libero, e forse un numero aggiuntivo di 10.000 persone, le quali costituivano la “classe media”, famiglie di mercanti, bottegai e piccoli commercianti. Migliaia di altri erano mendicanti. Una piccola minoranza erano poi schiavi, di solito servi domestici, che non possedevano nulla. La loro prole nasceva già in condizioni di schiavitù. (13)
Nel 1953, la maggioranza della popolazione rurale – circa 700.000 su una popolazione totale stimata 1.250.000 – era composta da servi della gleba. Vincolati alla terra, veniva loro assegnata soltanto una piccola parcella fondiaria per poter coltivare il cibo atto al sostentamento. I servi della gleba e il resto dei contadini dovevano in genere fare a meno dell’istruzione e delle cure mediche. Trascorrevano la maggioranza del loro tempo sgobbando per i monasteri e per i singoli Lama di alto rango, e per un’aristocrazia secolare, laica, che non contava più di 200 famiglie. Essi erano in effetti proprietà dei loro signori, che gli comandavano quali prodotti della terra coltivare e quali animali allevare. Non si potevano sposare senza il consenso del loro signore o Lama. Se il suo signore lo avesse inviato in un luogo di lavoro lontano, un servo avrebbe potuto essere facilmente separato dalla sua famiglia. I servi potevano essere venduti dai loro padroni, o sottoposti a tortura e morte. (14)

Se dobbiamo dar credito al racconto di una donna ventiduenne, ella stessa serva fuggiasca, il signore tibetano era solito selezionare fra il meglio della popolazione femminile di servitù della gleba: “Tutte le ragazze graziose della servitù erano solitamente prese dal proprietario come domestiche e trattate come lui desiderava.” Esse “erano soltanto schiave senza alcun diritto.” (15) La servitù necessitava di un permesso per recarsi ovunque. I proprietari terrieri avevano l’autorità legale di catturare e impiegare metodi coercitivi, sino alla violenza, nei confronti di quelli che tentavano di fuggire, obbligandoli a tornare indietro. Un servo di ventiquattro anni, anch’egli fuggiasco, intervistato da Anna Louise Strong, accoglieva con favore l’intervento cinese come una “liberazione”. Nel corso del suo periodo di servitù sostiene di non avere ricevuto un trattamento molto diverso da un animale da traino, sottoposto a un incessante lavoro, fame e freddo, incapace di leggere o scrivere, senza conoscere nulla, né sapere nulla. Egli racconta il suo tentativo di fuga: la prima volta che [gli uomini del padrone] mi agguantarono mentre stavo cercando di sfuggire, ero molto piccolo, e mi diedero soltanto un buffetto imprecando contro di me. La seconda volta mi picchiarono. La terza volta avevo già quindici anni e mi diedero quindici frustate pesanti, violente, con due uomini seduti sopra di me, uno sulla mia testa e uno sui miei piedi. Il sangue mi uscì allora dal naso e dalla bocca. Il sorvegliante disse: “Questo è soltanto sangue dal naso; forse prenderai bastonate più forti, e perderai sangue dal cervello.” Mi picchiarono poi con bastonate più intense, versando alcool e acqua con soda caustica sulle ferite, per aumentare il dolore. Persi i sensi per due ore…” (16)

Oltre a ritrovarsi in un vincolo lavorativo che li obbligava a lavorare la terra del signore – oppure quella del monastero - per tutta la durata della vita e senza salario, i servi della gleba erano costretti a riparare le case del signore, trasportarne la messe e raccoglierne la legna da ardere. Si esigeva anche che provvedessero a trasportare gli animali e al trasporto su richiesta, a seconda delle pretese del padrone. “Era un efficiente sistema di sfruttamento economico, che assicurava alle élites laiche e religiose del paese una forza lavoro sicura e permanente per coltivare i loro appezzamenti di terreno, che li esonerava dall’accollarsi qualsiasi responsabilità quotidiana diretta circa la sussistenza del servo, e senza la necessità di competere per la manodopera in un contesto di mercato.” (17)
La gente comune sgobbava sotto il doppio fardello della corvée (lavoro forzato non retribuito in favore del padrone) e delle decime onerose. Ogni aspetto della vita era gravato da tributi: il matrimonio, la nascita di ogni figlio, ogni morte in famiglia. Erano soggetti a imposta per aver piantato un nuovo albero nel loro cortile, per tenere animali domestici o dell’aia, per il possesso di un vaso di fiori, o per l’aver messo un campanello ad un animale. C’erano tasse per le festività religiose, per cantare, ballare, far rullare il tamburo e suonare il campanello. La gente veniva tassata per quando veniva mandata in prigione e quando la si rilasciava. Addirittura i mendicanti erano soggetti alla pressione fiscale. Quelli che non riuscivano a trovare lavoro erano tassati a causa della loro disoccupazione, e se si spostavano in un altro villaggio nella loro ricerca di un’occupazione, pagavano una tassa di transito. Quando la gente non poteva pagare, i monasteri prestavano loro denaro ad un interesse oscillante fra il 20% e il 50%. Alcuni debiti venivano tramandati di padre in figlio sino al nipote. I debitori che non potevano evadere i loro debiti, rischiavano la riduzione in schiavitù per un periodo di tempo stabilito dal monastero, a volte per il resto delle loro vite. (18)
Le dottrine pedagogiche della teocrazia ne appoggiarono e rafforzarono l’ordine sociale classista. Si insegnava ai poveri e agli afflitti che i propri guai erano su di loro a causa del loro comportamento sciocco e immorale nel corso delle loro vite precedenti. Dovevano quindi accettare la miseria della loro esistenza presente come un’espiazione e in anticipo, solo così il loro destino, la loro sorte sarebbero migliorati se fossero rinati, se si fossero reincarnati. I ricchi e potenti consideravano naturalmente la loro buona fortuna come una ricompensa e una dimostrazione tangibile di virtù nelle vite passate e presenti.

Torture e mutilazioni in Shangri-La

Nel Tibet del Dalai Lama, la tortura e la mutilazione – comprese l’asportazione dell’occhio e della lingua, l’azzoppamento e l’amputazione delle braccia e delle gambe – erano le punizioni principali inflitte ai ladri, ai servi fuggiaschi, e ad altri “criminali”. Viaggiando attraverso il Tibet negli anni ’60, Stuart e Roma Gelder ebbero un colloquio con un antico servo, Tsereh Wang Tuei, che aveva rubato due pecore che appartenevano ad un monastero. Per questo ebbe entrambi gli occhi strappati e le mani mutilate. Spiega che non è più un buddista: “Quando un sacro Lama disse loro di accecarmi, pensai che non c’era alcun bene nella religione.” (19)
Alcuni visitatori occidentali nell’Antico Tibet hanno fatto notare l’elevato numero di amputati. Dato che è contro la dottrina buddista sottrarre la vita, alcuni delinquenti furono severamente frustati e poi “abbandonati a Dio” nella gelida notte a morire. “I paralleli fra il Tibet e l’Europa medievale sono impressionanti,” conclude Tom Grunfeld nel suo libro sul Tibet. (20)

Alcuni monasteri avevano le proprie prigioni private, riporta Anna Louise Strong. Nel 1959, visitò una mostra di apparecchiature da tortura che erano state impiegate dai signori feudatari tibetani. C’erano manette di tutte le taglie, comprese quelle di piccola misura per bambini, e strumenti per mozzare nasi e orecchie, e spezzare mani. Per strappare gli occhi, c’era uno speciale copricapo di pietra, provvisto di due fori, che veniva premuto sul capo, così che gli occhi potessero gonfiarsi e deformarsi fuoriuscendo dalle orbite, facilitandone l’asportazione. C’erano congegni per tagliare le rotule e i talloni, o per azzoppare. C’erano tizzoni ardenti, scudisci e strumenti speciali per sventrare. (21)

L’esposizione presentava fotografie e testimonianze di vittime che erano state accecate o storpiate o che avevano patito amputazioni per furto. C’era il pastore il cui padrone vantava un debito nei suoi confronti in denaro e grano, ma che si rifiutava di pagare. Così il pastore si impossessò di una delle mucche del padrone; e per questo gli furono troncate le mani. Ad un altro guardiano di gregge, che si opponeva al dover concedere la moglie al suo signore, furono staccate le mani. C’erano fotografie di attivisti comunisti dai nasi e dalle labbra superiori troncati, e una donna che era stata violentata e che poi ebbe il naso mozzato. (22)

Il dispotismo teocratico era stato per anni il principio informatore. Nel 1895, un visitatore inglese in Tibet, il dr. A. L. Waddell scrisse che i tibetani erano assoggettati all’ “intollerabile tirannia dei monaci” e alle superstizioni diaboliche che essi avevano modellato al fine di terrorizzare le persone. Perceval Landon descrisse nel 1904 la regola del Dalai Lama come una “macchina da sopraffazione” e un “ostacolo ad ogni progresso umano.” Più o meno a quel tempo, un altro viaggiatore inglese, il Capitano W.F.T. O’Connor notava che “i grandi proprietari terrieri e i sacerdoti… esercitano ciascuno all’interno del proprio dominio un potere dispotico dal quale non c’è appello,” mentre il popolo è “oppresso dalla più mostruosa crescita di monachesimo e clericalismo che il mondo abbia mai visto.” I governatori tibetani, come quelli europei durante il medioevo, “forgiarono innumerevoli armi per asservire il popolo, inventarono leggende umilianti e stimolarono uno spirito di superstizione” fra la gente comune. (23)

Nel 1937, un altro visitatore, Spencer Chapman, scrisse: “…il monaco buddista tibetano non trascorre il proprio tempo provvedendo alle persone o ad istruirle, e nemmeno i laici prendono parte ai servizi dei monasteri o li frequentano. Il mendicante sul ciglio della strada non è nulla per il monaco. La conoscenza è una prerogativa dei monasteri custodita gelosamente, ed è strumentalizzata per aumentare la loro influenza e ricchezza...” (24)

Occupazione e rivolta

I comunisti cinesi occuparono il Tibet nel 1951, rivendicando la sovranità sul paese. Il trattato del 1951 stabiliva un apparente autogoverno sotto l’autorità del Dalai Lama, ma conferiva di fatto alla Cina il controllo militare e il diritto esclusivo di condurre le relazioni estere. Si rilasciava anche ai cinesi un ruolo diretto nell’amministrazione interna “per promuovere le riforme sociali.” Inizialmente, procedevano cautamente facendo affidamento per lo più sulla persuasione, tentando di attuare processi di cambiamento. Tra le prime riforme varate ci fu quella che riduceva i tassi d’interesse da usuraio, e costruirono alcuni ospedali e strade.

Mao Tze Tung e i suoi quadri comunisti non intendevano semplicemente occupare il Tibet. Desideravano la cooperazione del Dalai Lama nel trasformare l’economia feudale del Tibet in conformità con gli obiettivi socialisti. Perfino Melvyn Goldstein, che è solidale con il Dalai Lama e con la causa dell’indipendenza tibetana, ammette che “contrariamente all’opinione corrente in Occidente”, i cinesi “perseguivano una politica moderata. Avevano cura di mostrare rispetto per la cultura e la religione tibetane” e “permettevano ai vecchi sistemi monastico e feudali di continuare immutati. Fra il 1951 e il 1959, non solo non venne confiscata alcuna proprietà aristocratica o monastica, ma venne permesso ai signori feudali di esercitare una continua autorità giudiziaria nei confronti dei contadini a loro vincolati ereditariamente.” (25) Non più tardi del 1957, Mao Tze Tung cercò ancora di rafforzare una politica progressiva. Ridusse il numero di quadri cinesi e delle truppe in Tibet, e promise al Dalai Lama che la Cina non avrebbe portato a termine riforme terriere in Tibet per i sei anni successivi e oltre, se le condizioni non fossero ancora maturate. (26)

Nondimeno però, l’autorità cinese in Tibet arrecava grandi disagi ai signori e ai Lama. Ciò che li infastidiva più di ogni altra cosa non era che gli intrusi fossero cinesi. Nel corso dei secoli avevano visto cinesi andare e venire, godendo di buone relazioni con il Generalissimo e il regime reazionario del Kuomintang in Cina. (27) Effettivamente, l’approvazione del governo reazionario del Kuomintang era necessaria, per ratificare la scelta dell’attuale Dalai Lama e del Lama Panchen. Quando il giovane Dalai Lama fu investito della sua carica a Lhasa, ciò avvenne con un scorta armata di truppe di Chiang Kaishek e di un ministro cinese in carica, in conformità con una tradizione secolare. (28) Quel che preoccupava i signori tibetani e i Lama era che questi cinesi recenti erano comunisti. Si sarebbe trattato soltanto di una questione di tempo, ne erano certi, poi i comunisti avrebbero iniziato ad imporre le loro soluzioni ugualitarie e collettiviste sulla loro teocrazia altamente privilegiata.

Nel 1956-57 bande armate tibetane tesero un’imboscata al convoglio dell’Esercito di Liberazione del Popolo cinese (EPL). La sommossa ricevette il sostegno esteso e materiale della CIA, comprendente armi, provviste e l'addestramento militare per le unità di commando del Tibet. È ormai di conoscenza pubblica che fu la CIA a impiantare le basi di sostegno in Nepal, compiendo numerosi ponti aerei per le operazioni di guerriglia condotte all’interno del Tibet. (29) Nel frattempo negli Stati Uniti, la Società Americana per un'Asia Libera, un ramo della CIA, propagandava in modo dispiegato la causa di resistenza del Tibet. Il fratello maggiore del Dalai Lama, Thubtan Norbu, ha giocato un notevole ruolo in questo gruppo. Molti dei commando del Tibet e gli agenti che la CIA aveva paracadutato nel paese, erano dei capi di clan aristocratici o i figli dei capi. Il novanta per cento di loro non li conosceva nessuno nel paese, secondo una relazione della CIA. (30)
La ridotta guarnigione dell’EPL in Tibet non avrebbe mai potuto catturare tutti loro, se non avesse ricevuto il sostegno dei tibetani che non sostennero la rivolta. Questo dimostra che la resistenza ha avuto una base piuttosto stretta dentro il Tibet. "Molti Lama e molti membri laici dell'elite e molti dell'esercito del Tibet hanno sostenuto la rivolta, ma la maggioranza della popolazione non l’ha fatto e questo ha sancito il suo fallimento," scrisse Hugh Deane. (31)

Nel loro libro sul Tibet, Ginsburg e Mathos raggiungono una conclusione simile: "Gli insorti del Tibet non sono mai riusciti a raccogliere nei loro ranghi anche solo una consistente parte della popolazione, per non dire niente della maggioranza di essa. Per quanto può essere constatato, la gran parte della popolazione di Lhasa e della campagna contigua, non aderirono nonostante il tentativo di unirle nella lotta contro il cinese..." (32)
Alla fine la resistenza si sgretolò.

I Comunisti rovesciano il Feudalesimo

Qualunque presunta ingiustizia e qualunque presunta nuova oppressione furono introdotte dai cinesi in Tibet dopo 1959, essi di fatto hanno abolito la schiavitù ed il sistema di servi della gleba e l’utilizzo di mano d'opera non pagata. Hanno eliminato il sistema delle tasse, creato piani di nuovi lavoro, ridotto in gran parte la disoccupazione e la miseria. Hanno costruito i soli ospedali che esistono nel paese, e un nuovo sistema educativo, rompendo perciò il monopolio educativo dei monasteri. Hanno costruito i sistemi d’irrigazione per l'acqua e portato l’energia elettrica a Lhasa. Abolito il sistema delle flagellazioni pubbliche, le mutilazioni e le amputazioni come criminali forme di punizione. (33)
Il governo cinese ha espropriato anche le proprietà terriere e ha riorganizzato i contadini in centinaia di comuni. Heinrich Harrer ha scritto un libro di successo sulle sue esperienze in Tibet, che è diventato un film di Hollywood. (Solo dopo si è saputo che Harrer era stato un sergente nazista sotto Hitler. (34)
Egli narra che i tibetani resisterono orgogliosamente contro i cinesi e "che hanno difeso nobilmente la loro indipendenza... Erano predominantemente i nobili, i proprietari ed i Lama; sono poi stati puniti utilizzandoli per eseguire i lavori più bassi, come lavorare alla costruzione di strade e ponti. Furono poi ulteriormente umiliati, essendo usati per la pulizia delle città prima dell’arrivo dei turisti..." Dovevano anche vivere in un accampamento originalmente abitato da mendicanti e vagabondi. (35)

Dal 1961 centinaia di migliaia di acri precedentemente posseduti dai signori e dai Lama furono distribuiti agli affittuarii ed ai contadini senza terra. Nelle zone pastorali, le greggi che erano state possedute una volta dai nobili furono date alle comuni dei poveri e dei pastori. Miglioramenti ed investimenti furono apportati nell'allevamento del bestiame e per le nuove coltivazioni di verdure e di frumento e orzo, che furono introdotti per la prima volta; fu pianificato il sistema di irrigazione, che hanno portato ad un notevole incremento della produzione contadina. (36)

Molti rimasero religiosi come sempre, e liberi di dare le elemosine al clero. Ma la gente non fu più costretta a omaggiare o fare regali obbligati ai monasteri ed ai signori. I molti monaci che erano stati costretti negli ordini religiosi da bambini senza poter scegliere ora erano liberi di rinunciare alla vita monastica e così migliaia di essi, particolarmente quelli più giovani, tornarono alla vita civile. Il clero restante può vivere contando su minimi stipendi governativi ed un reddito supplementare guadagnato officiando ai servizi di nozze ed ai funerali. (37)

Le denunce fatte dal Dalai Lama circa le sterilizzazioni di massa e la deportazione forzata dei tibetani, fatte dai cinesi non hanno mai trovato conferme da alcuna prova.

Sia il Dalai Lama che il suo fratello più giovane e consigliere, Tendzin Choegyal, hanno sostenuto che "più di 1.2 milioni di tibetani sarebbero morti come conseguenza dell’”occupazione cinese”.(38)
Ad essi non importa come spesso nelle loro dichiarazioni, che i numeri dati siano sconcertanti e lasciano completamente perplessi.

Il censimento ufficiale del 1953 sei anni prima dell’arrivo dei cinesi, aveva registrato l'intera popolazione del Tibet, stabilendo la cifra di 1.274.000 abitanti.
Altre valutazioni avevano conteggiato circa due milioni di tibetani abitanti il paese. (39)
Se i cinesi avessero ucciso 1.2 milioni, città intere dell'inizio degli anni 60 e parti enormi della campagna, effettivamente quasi tutto il Tibet, sarebbe stato spopolato, trasformato in un enorme campo di concentramento, pieno di fosse comuni e cimiteri, di cui però non abbiamo trovato prove. La forza militare cinese nel Tibet non era abbastanza grande come numero, non avrebbe potuto sterminare materialmente tutta quella gente anche se avesse speso tutto il proprio tempo e attività, senza fare nient’altro.
Le autorità cinesi ammettono "errori" nel passato, specialmente durante la rivoluzione culturale 1966-76, quando le persecuzioni religiose raggiunsero un alto livello sia in Cina che nel Tibet. Dopo la rivolta verso la fine degli anni 50, furono migliaia i tibetani incarcerati. Durante il “grande balzo in avanti”, la collettivizzazione dell’agricoltura, la coltivazione forzata del grano furono imposte ai contadini, a volte con effetti disastrosi. Verso la fine degli anni 70, la Cina aveva ottenuto la completa pacificazione della situazione nel Tibet" ed ha provato a modificare e correggere alcuni errori commessi durante i due decenni precedenti." (40)

Nel 1980 il governo cinese iniziava una serie di riforme destinate ad assegnare al Tibet un grado sempre più grande di autonomia e di auto amministrazione. Ai tibetani venne permesso di coltivare propri appezzamenti di terra, vendere le eccedenze della raccolta, scegliere le coltivazioni più adatte al proprio sostentamento e per mantenere il bestiame e le pecore. Vennero ripristinate le comunicazioni con il mondo esterno ed i controlli di frontiera furono facilitati per permettere ai tibetani di visitare i parenti in India e Nepal. (41)

Le Elites, gli Emigrati ed il denaro della CIA

Per i Lama dell’alta società tibetana ed i signori, l'intervento comunista fu una calamità. La maggior parte di loro fuggirono all'estero, come il Dalai Lama, che scappò in un'operazione organizzata direttamente dalla CIA. Alcuni scoprirono con orrore che avrebbero dovuto lavorare per vivere. Quelle elite feudali che rimasero in Tibet e decisero di cooperare col nuovo regime, si trovarono davanti a nuove situazioni di vita non certo facili.
Eccone alcuni esempi: nel 1959, la giornalista Anna Louise Strong visitò l'Istituto Centrale delle Minoranze Nazionali a Pechino, che addestrava le varie minoranze etniche per il servizio civile o preparava per l'entrata nelle scuole agricole e mediche. Dei 900 studenti del Tibet presenti, la maggior parte erano servi in fuga e ex schiavi. Ma circa 100 erano di famiglie agiate del Tibet, inviate dai loro genitori in modo che avrebbero potuto ottenere posti favorevoli nella nuova amministrazione. Il divario di classe che divideva tra questi due gruppi di studenti era fin troppo evidente. Una nota del direttore dell'istituto diceva: “Quelli provenienti dalle famiglie nobili ritengono che in tutte le cose essi sono superiori. Si risentono di dover portare le proprie valigie, fare i propri letti, badare alla propria stanza. Questo, pensano, è un incarico da schiavi; si ritengono insultati perché pretendiamo che facciano questo. Alcuni non l'accettano e tornano a casa; altri alla fine l'accettano.
Il servo all’inizio ha paura degli altri e non può sedere con facilità nella stessa stanza con essi. In periodi successivi prossimo cominciano ad avere meno paura ma tuttavia continuano a sentire differenze e non riescono a mescolarsi. Soltanto con il tempo e la discussione continua raggiungono il momento in cui si mescolano facilmente e si sentono come studenti e persone, criticandosi o aiutandosi l'un l'altro, con normalità. (42)
Intanto fu fatto un patto nauseante dagli emigrati tibetani con l’Occidente ed il sostegno sostanzioso di agenzie americane per il mantenimento di un mondo fondato sulla disuguaglianza economica.
Dall’inizio del 1960 la comunità tibetana in esilio ha intascato segretamente 1,7 milioni di dollari all'anno dalla CIA, come accertato dalla documentazione rilasciata dal Ministero degli Affari Esteri USA nel 1998. Quando questo fatto è stato pubblicizzato, l'organizzazione del Dalai Lama ha emesso un comunicato ammettendo che aveva ricevuto alcuni milioni di dollari dalla CIA durante gli anni 1960 per inviare squadre armate di esiliati in Tibet per contrastare la rivoluzione maoista. Il Dalai Lama riceveva per sé 186.000 dollari, rendendolo così di fatto un agente ufficiale pagato dalla CIA. Anche i servizi segreti indiani l'hanno finanziato e anche altri esiliati tibetani. (43)

Egli si è sempre rifiutato di dire se egli o suoi fratelli hanno lavorato per la CIA. Anche l'agenzia si è rifiutata di commentare. (44)
Nonostante abbia sempre presentato sé stesso come difensore dei diritti umani, e per questo vinse il Premio Nobel per la pace nel 1989, il Dalai Lama ha sempre continuato a frequentare e avuto come consiglieri l'émigrazione aristocratica ed ogni altro reazionario, durante il suo esilio. Nel 1995, il Raleigh, il N.C. News e Observer ha messo in prima pagina una fotografia a colori del Dalai Lama mentre
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Cogitabonda
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Messaggio da Cogitabonda »

Vedi Virtesto, quando scrivi frasi come "Le religioni hanno sempre avuto una stretta correlazione non soltanto con la violenza, ma anche con lo sfruttamento economico" tralasci sempre di scrivere che parli delle religioni quando sono assurte a regime politico o a sistema sociale. In questo modo fai apparire gli appartenenti a una fede (a ogni fede, sappiamo che non discrimini) come sostenitori consapevoli o sprovveduti fiancheggiatori di un regime. E' chiaro che tu pensi il contrario, ma siamo in tanti a pensare che si possa essere cattolici nonostante Torquemada, calvinisti nonostante il rogo di Serveto, comunisti nonostante Stalin.
Compiacersi di aver ragione è sgradevole - Avere troppa coscienza di sé è odioso - Commiserarsi è infame
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Ma sì, ma sì..

Messaggio da virtesto »

.Cogitabonda ,hai ragione. Mentre il primo scritto è mio, frutto di vecchie letture anche dei quaderni Limes (Caracciolo) il secondo l'ho ripreso piè pari dalla Rete per spiegare perché ho tanto astio verso i buddisti.

Ho voluto fare questo intervento dopo aver letto in questi giorni, notizie quindi attuali, delle violenze dei buddisti sui musulmani in Birmania. Quindi ho raccolto quanto sapevo sui buddisti affinché se ne abbia un'idea di quello che veramente sono.

Mi dispiace che Quixote ammicca e non spiega.
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Giulioplasma
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Messaggio da Giulioplasma »

Quixote ha scritto:
Giulioplasma ha scritto:Questo post è francamente incommentabile...
Caro amico, è un piacere leggerti, anche se a ogni morte di papa. E il constatare che le corna del tuo avatar, quando è il caso, sanno come orientarsi. :ironico:
Ciao Quix! Vedrò di essere un pochino più presente. :sorriso:
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Muscoril-Matisse
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Messaggio da Muscoril-Matisse »

Carissimi,
Anni fa ho avuto fra le mani un articolo su di una setta (?) buddista, menzionava anche una forma di ostracismo stile WTS.
Matisse
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Cogitabonda
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Messaggio da Cogitabonda »

Muscoril-Matisse ha scritto:Carissimi,
Anni fa ho avuto fra le mani un articolo su di una setta (?) buddista, menzionava anche una forma di ostracismo stile WTS.
Matisse
Forse era la Soka Gakkai? E' un movimento che, più o meno, sta al buddismo come i TdG stanno al cristianesimo.
Compiacersi di aver ragione è sgradevole - Avere troppa coscienza di sé è odioso - Commiserarsi è infame
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deliverance1979
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Messaggio da deliverance1979 »

Comunque la "provocazione" di virtesto è interessante e getta luce su aspetti che per noi occidentali o indigeni dell'area mediterranea non sono poi cosi scontati.
Forse il tema del suo thread è provocatorio come per ogni articolo di giornale che vuole essere letto grazie ad un titolo ammiccante.
Sicuramente ci sono milioni di buddisti praticanti che amano pace ed armonia per tutti.... forse saranno naif, ma ci sono... :ok:

Francamente (per mia ignoranza) facevo i buddisti personcine molto più tranquille. :ironico: :ironico: :ironico:
E visto che Virtesto ha citato Caracciolo e Limes, completo l'opera dicendo che ascoltando spesso radio radicale che ha una certa comunicazione con il Dalai Lama, ho sempre pensato che le immolazioni buddiste potevano essere la massima espressione di violenza espressa non con un'aggressione, bensì con un autolesionismo di protesta.
Ed invece si scopre che anche i buddisti menano le mani.

Comunque per dare una botta al cerchio ed uno alla botte, mi sento di ribattere a virtesto solo con un mio personale appunto che proviene da una mia visione di vita.
A mio modestissimo parere, una religione che predica la non violenza a prescindere, è peggiore di coloro che la utilizzano come principale sistema di repressione per due motivi.
Primo la violenza ha sempre fatto parte dell'essere umano e non sempre la violenza è sbagliata.
Secondo, nel momento in cui dovessero servirsi della violenza per difendersi e difendere la propria ideologia, verrebbe meno un cardine della cultura stessa della non violenza.

Di conseguenza ogni ideologia partorita dall'essere umano ha sempre contemplato l'uso della forza per la risoluzione di molte dispute tra uomini.
Anzi, a volte molti culti che predicavano amore e pace hanno poi celato internamente nefandezze di ogni sorta, con sfruttamenti psicologici, fisici e sessuali dei suoi adepti, con conseguente stratificazione della società su livelli ben distinti dove "pacificamente" certuni dominano o peggio, tiranneggiano sugli altri.

Ed allora preferisco la scazzotata da saloon (guerra o scontro) che una sottomissione passiva e rassegnata che costringe qualcuno ad essere perennemente sotto ad altri, senza possibilità di riscossa o di poter cambiare le cose.

Pertanto ben vengano le mezze misure che contemplano il detto: "la virtù sta nel mezzo".... in tutti i sensi guerra e pace compresi :strettamano:

PS: Quixote inorridirà leggendo queste mie parole ma tantè.... :ironico: :ironico:
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Muscoril-Matisse
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Messaggio da Muscoril-Matisse »

Cogitabonda ha scritto:
Muscoril-Matisse ha scritto:Carissimi,
Anni fa ho avuto fra le mani un articolo su di una setta (?) buddista, menzionava anche una forma di ostracismo stile WTS.
Matisse
Forse era la Soka Gakkai? E' un movimento che, più o meno, sta al buddismo come i TdG stanno al cristianesimo.
Carissima,
A memoria (sight) mi sembra di sì, abbastanza rigidi. Cerco di recuperare il testo. Grazie e complimenti per la conduzione, anche se seguo in silenzio.
Matisse :timido2:
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Paxuxu
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Messaggio da Paxuxu »

virtesto ha scritto:Siamo abituati da molto tempo a vedere gli Islamici come terroristi ed oppressori di altri gruppi religiosi. In Birmania invece succede che la minoranza islamica dei Rohingya subisce violenze da parte della maggioranza buddista. I buddisti, proprio loro, in veste di carnefici! Nell’ultimo anno più di 200 musulmani sono stati uccisi ed oltre 150.000 sono sfollati per non subire violenze. Sono numeri che colpiscono soprattutto se si tiene conto del fatto che le violenze sono state perpetrate da chi si è fatto sempre portavoce di un credo pacifista e contrario all’uso della violenza.
Perchè non scrivi anche del perchè si sono ribellati i buddisti?

Facile estrapolare scritti a proprio uso e consumo.

Bravo comunque ad inneggiare ad un popolo come quello cinese che ha distrutto una Nazione come la Mongolia, conquistato con le armi un'altra Nazione come il Tibet e creato Gulag nell'Isola di Formosa, da dove arrivano tanti articoli pericolosissimi per la NOSTRA incolumità e dei NOSTRI figli, oltretutto avuti da un'intera Nazione schiava.

Bravo, continua così che hai le idee molto chiare, altro non c'è da aggiungere in quanto con gli INTEGRALISTI di qualsiasi religione ho smesso da secoli di interagire.


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virtesto
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Paxuxu...

Messaggio da virtesto »

...perché non ce lo spieghi te perché i buddisti si sono "ribellati"?? Dai!! Poi guarda che in genere sono le minoranze che si ribellano al potere , qui invece è la minoranza islamica che subisce.

Per quanto riguarda la Cina, leggo un giornale tutti i giorni e quindi lo so anch'io cosa succede su questa terra. Io, come al solito, ho solamente mostrato una faccia nascosta di quel problema.Non esiste solamente il bianco ed il nero purtroppo . Si passa da bianco al nero con molte tonalità di grigio in mezzo.
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deliverance1979
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Messaggio da deliverance1979 »

Bè virtesto non ha tutti i torti sulla violenza del buddismo.
La maccheronica wikipedia, (io mi ricordai di aver letto qualcosa sul libro "I soldati dell'imperatore") cita riguardo al buddismo giapponese.

Il Buddhismo secondo la Via imperiale (Kōdō Bukkyō, 行動仏教)[modifica | modifica wikitesto]

Monaci zen del monastero Eihei-ji (永平寺) durante l'addestramento militare a seguito della mobilitazione generale nel marzo del 1938 (anno XIII dell'era Shōwa).
Con il sopraggiungere della Seconda guerra mondiale il governo imperiale sottomise tutte le religioni ad uno stretto controllo per assicurarsi il loro appoggio nell'imminente conflitto. Durante il periodo dell'ultimo conflitto l'appoggio delle scuole buddhiste giapponesi nei confronti del Governo fu dunque pressoché totale, tale da far varare una nuova forma di Buddhismo che si identificava totalmente con la figura dell'imperatore: il Kōdō Bukkyō (行動仏教, Il Buddhismo secondo la Via imperiale).

Già l'esercito aveva apprezzato la formazione religiosa che alcuni alti ufficiali avevano ricevuto all'interno delle scuole Zen. Lo stesso generale Nogi Maresuke (乃木希典, 1849-1912), considerato l'eroe della guerra russo-giapponese, aveva studiato lo Zen Rinzai sotto il severo maestro Nakahara Nantembō (中原南天榛, 1839-1925) ottenendo il certificato dell'illuminazione.

Esemplificativo di questo atteggiamento di accondiscendenza alle tesi della guerra, fu la posizione del famoso maestro Zen Sōtō Sawaki Kōdō (沢木興道, 1880-1965)

« Il sutra di Kannon ci esorta a ricordare sempre la forza di Kannon. Il tenente colonnello Sugimoto sostiene che dobbiamo ricordare sempre la forza dell'imperatore. Se noi teniamo presente la forza dell'imperatore potremo liberarci della vita e della morte, trascendere la fortuna e la sfortuna e impegnarci in battaglia »
(Sawaki Kōdō Shoji o Akirameru Kata (Il merito per chiarire la vita-morte) in Daihorin maggio 1944, pagg. 6-7. Cit. in Brian Victoria. Lo Zen alla guerra Dogliani CN, Sensibili alle foglie, 2001)
Ma non fu solo lo Zen ad appoggiare lo Stato durante il conflitto, furono, indistintamente, tutte le scuole buddhiste. Certamente si registrarono singoli casi di protesta a questo stato di cose, ma furono solo casi individuali. Ciò che spinse il Buddhismo giapponese ad appoggiare acrtiticamente il governo imperiale durante la Seconda guerra mondiale fu la genuina convinzione che tale guerra fosse una "guerra santa", una guerra di liberazione e di riscatto dell'intero continente asiatico nei confronti del colonialismo occidentale, i soldati giapponesi furono quindi considerati dai buddhisti giapponesi dei veri e propri bodhisattva[24].

Sicuramente il principio del buddismo sarà stato torto e piegato dall'impero del sol levante per i propri scopi politici, ma di sicuro ha funzionato... :strettamano:
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Mauro1971
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Messaggio da Mauro1971 »

O bella, che argomentone.

Ebbene si, anche il Buddhismo la dove ha assunto una funzione istituzionale si è comportato esattamente come ogni altra religione che ha avuto questo ruolo.

Ci sono parecchi omississ nei resoconti di Virtesto, ma le cose che riferisce sono vere, anzi ce ne sono anche molte di più.

Però bisognerebbe magari informarsi sulle Scuole esistenti in Tibet e quali di queste hanno perpretato determinati "usi e costumi" e quali no, gli ngakpa, e tanto altro ancora.
Un errore fondamentale, a mio avviso, è ad esempio il pensare che la Cina abbia in qualche modo "liberato" il Tibet.
Non lo ha mai fatto, non gliene poteva fregar di meno, l'interesse di Mao ai tempi era in primis di avere un confine a contatto con l'India ed in secondo luogo l'accesso a risorse naturali notevoli. I Cinesi non sono stati e non sono di sicuro "morbidi" con i Tibetani, la repressione violenta è tutt'oggi all'ordine del giorno ed è in atto una sistematica distruzione della cultura Tibetana in qualsiasi sua forma, non viene neppure più insegnata la lingua.
La deforestazione selvaggia ha portato danni ingenti a nazioni confinanti per il mancato drenaggio idrico e da decenni a questa parte innondazioni distruttive sono derivate da questo tipo di sfruttamento.
Anche solo il possesso di una foto del Dalai Lama da parte di un Tibetano ne consta la pena di morte de facto.

E' verissimo però che il Tibet era un paese estremamente arretrato, ancora avviluppato in un suo certo medievo ancora nella prima metà del secolo scorso, ma è anche vero che l'allora giovanissimo Dalai Lama cercava di portare delle riforme proprio su questi temi, anche se la polititca Cinese non ha lasciato il tempo per poter sapere cosa effettivamente sarebbe successo.
Di qui poi bisognerebbe approfondire ancora e vedere come il ruolo di governo fosse in mano alla Scuola Gelugpa e relativi monasteri, queli fossero invece le posizioni ed i ruoli delle Scuole Sakyapa, Kagyupa e Nigmapa, ed ancora degli Ngakpa, Maestri laici, quelle dei praticanti della religione pre-buddhista Bon, nei suoi tre lignaggi Bon Antico, Yugdrung Bon e Bon Moderno e la sistematica distruzione da parte dei Gelug nei secoli passati di quella che era la 5a Scuola, la Jonang che era ritenuta del tutto scomparsa (leggasi: sterminata dai Gelugpa) in realtà è riuscita a sopravvivere in luoghi remotissimi e che è "uscita allo scoperto" solo negli ultimissimi decenni.

Le cose poi sono molto cambiate dal 1956 in poi, all'atto dell'esodo in India di moltissimi Tibetani. Ad esempio mentre nei secoli precedenti la Scuola Gelugpa (quella del Dalai Lama) soggiogava anche violentemente le altre Scuole ed i Bonpo, oggi coesistono tutte le Scuole in una sorta di coalizione ed a Dharamsala, sede del Governo in Esilio Tibetano, si trovano Monasteri di tutte le Scuole e dei Bon.
Ci sono stati anche dopo l'esilio fenomeni particolari del tutto Tibetani che hanno radici pure politiche, come un primievo tentativo del Dalai Lama di unire tutte le Scuole in una unica, cosa che non gli è riuscita per una netta opposizione delle altre che si erano riunite intorno alla figura del 16° Karmapa; la scissione di una parte dei Gelug più "tradizionali" e raicali a seguito della messa al bando della pratica di un Protettore considerato non più allineato al Dharma (per chi interessato cerchi "Dolgyal"); gli eventi della successione del 16° Karmapa ed i due 17esimi Karmapa; i danni combinati da Chogyam Trungpa in America.

La situazione è ancora complessa ed alcuni "asti secolari" tra alcune Scuole sono stati importati anche in occidente e si ritrovano anche tra praticanti occidentali, non tutti ma vi assicuro che la cosa sussiste.

Ciò che non comprendo però è il particolare astio di Virtesto verso il Buddhismo in generale. Nel senso, allora lo stesso atteggiamento dovrebbe sussistere verso la CC, alcune Chiese Protestanti, l'Islam, l'Induismo... insomma, tutte le religioni.

Personalmente, per quanto c'è una responsabilità storica da parte di tutte le Religioni istituzionali, credo ci sia da fare un distinguo tra il fatto che gli appartenenti a queste debbano averla ben presente con l'imputarne un'eventuale "colpa" a questi.

Devo dire però che proprio la presa di coscienza del fatto che nessuna religione, nessuna forma di spiritualità, ha dato nei secoli ed a oggi un qualche "frutto" che possa indicare una sorta di superiorità morale e spirituale rispetto alle altre, ma il constatare che si sono comportate ovunque più o meno alla stessa maniera, che l'uomo si è comportato ovunque al peggio di se stesso senza che alcun messaggio mostrasse una qualche forza superiore, una qualche verità capace di cambiare veramente l'essere umano, è stata ed è una delle motivazioni che mi ha portato all'ateismo.
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virtesto
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Mauro 1971..

Messaggio da virtesto »

...non è che ho un particolare astio verso i Buddismo. Il titolo, per esempio, che dice "Da buttare" era solo per fare sensazionalismo ed attirare l'attenzione dei Foristi per leggerlo. Anche i titoli dei giornali spesso usano questa tecnica "raffinata" per farsi leggere.

Poi , ovviamente, sono d'accordo al 110% col tuo ultimo paragrafo di conclusione. E' così. Ho voluto aprire questa discussione quando ho letto settimana scorsa delle violenze dei buddisti sulla minoranza islamica in Birmania. Mi ha fatto incazzare. Spero che ora, tutti quelli che hanno letto questa discussione ,se c'era qualcuno che ancora pensava che il buddismo fosse quello alla Richard Gere o alla Roberto Baggio si siano ricreduti.
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Mauro1971
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Messaggio da Mauro1971 »

virtesto ha scritto:...non è che ho un particolare astio verso i Buddismo. Il titolo, per esempio, che dice "Da buttare" era solo per fare sensazionalismo ed attirare l'attenzione dei Foristi per leggerlo. Anche i titoli dei giornali spesso usano questa tecnica "raffinata" per farsi leggere.

Poi , ovviamente, sono d'accordo al 110% col tuo ultimo paragrafo di conclusione. E' così. Ho voluto aprire questa discussione quando ho letto settimana scorsa delle violenze dei buddisti sulla minoranza islamica in Birmania. Mi ha fatto incazzare. Spero che ora, tutti quelli che hanno letto questa discussione ,se c'era qualcuno che ancora pensava che il buddismo fosse quello alla Richard Gere o alla Roberto Baggio si siano ricreduti.
Ho intravisto qualcosa sull'accaduto in Birmania, e sinceramente non ho approffondito, è tra l'altro piuttosto difficile avere notizie attendibili da quelle zone è non ho modo per sapere quanto quelle notizie siano reali o manipolate.

Inoltre il Buddhismo non esiste, esistoni i Buddhismi ed esistono correnti molto diverse anche all'interno della stessa Scuola. Ad esempio in Sri Lanka, Thailandia, e pure in Birmania vi è l'unica Scuola Hinayana sopravvissuta, la Theravada, ma all'interno ci sono correnti, "sottoscuole" se vogliamo, che hanno caratteristiche molto diverse, è un mondo molto frammentato ed è facilissimo trovare di tutto.
Questo ovviamente se parliamo di monaci, se si parla di popolazione... beh, credo tutti abbiamo vivide nella memoria le immagini del film Gandhi dove in India si scontravano tra Mussulmani ed Indù, o gli scontri tra Cattolici e Protestanti in Irlanda, ecc... ecc...
Non conoscendo la reale situazione storica sociale che vivono in quelle terre mi riesce difficile dare una connotazione precisa e netta all'accaduto.

Una cosa sola mi fa strano però, e mi fa un po' dubitare di quelle fonti. La differenza principale tra le Scuole Hinayana e quelle Mahayana è l'adesione ai 5 precetti. Per le Scuole Hinayana questi sono imprensindibili e da seguire in qualsiasi caso. Nelle Scuole Mahayana invece l'intenzione è superiore al precetto. Mi reisce difficile, non certo impossibile ma difficile, immaginarmi dei monaci Theravada che vadano al massacro di chiunque, ma devo dire che gli unici che ho conosciuto sono quelli della Tradizione della Foresta Thailandesi, che sono assolutamente pacifisti. C'è un monastero in Italia di questa tradizione, vicino a Rieti, dove ci sono le donne Thailandesi che cucinano, ed anche solo per assaggiare i loro piatti vale la pena andarci almeno una volta in occasione di un evento pubblico :ok:
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