ortodossia vs primato della chiesa romana

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ClintEastwood
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Ho provato a cercare ad esempio la tua citazione "Ep.5.154", assolutamente indecifrabile anche andando a guardare tutte le quinte epistole di ognuno dei 14 volumi
Come volevasi dimostrare...
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Trianello
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Caro Teodoro, è evidente che nelle mie citazioni delle epistole di Gregorio magno il primo numero sta per il tomo ed il secondo per il numero della lettera (ho semplicemente adottato la numerazione araba anche per il volume). Purtroppo non dispongo di una mia copia personale di tutto l'epistolario di Greogrio Magno, quindi io stesso non ho potuto verificare tutte le citazioni, ho personalmente verificato la maggior parte delle citazioni che ho riportato qui:

http://www.newadvent.org/fathers/3602.htm" target="_blank" target="_blank" target="_blank (in traduzione inglese)

e qui:

http://www.documentacatholicaomnia.eu/0 ... T.pdf.html" target="_blank" target="_blank" target="_blank (nell'originale latino dal Migne).

Con queste tue accuse di dilettantismo e di "metodi da WTS" continui a gettare gratuitamente fumo negli occhi ai lettori del Forum, volendomi far passare per quello che non sono. Ho più volte chiarito che non sono uno specialista in questa materia. Io ho una laurea in antropologia, una in filosofia (entrambe conseguite cum laude) e, a tempo perso, sto cercando di conseguirne una in teologia, visto che causa morte improvvisa del Prof. di cui ero assistente presso l'Università di Roma Tre, il mio trionfale cammino verso la docenza universitaria si è fatalmente arenato circa quattro anni fa e stenta a riprendere, anche perché con tutto il tempo che spendo nei vari Forum non ne trovo mai a sufficienza per completare alcune pubblicazioni a cui sto lavorando da un sacco di tempo. Non sono uno specialista in materia, ma non sono nemmeno un dilettante, quindi, per ciò che riguarda gli studi umanistici; ergo cerco sempre di verificare sui testi originali la correttezza e la pregnanza delle fonti che cito (quando posso farlo). Al momento, data la marea di guano in cui sono immerso in questi giorni è già tanto che sto qui a risponderti, visto il tuo modo di fare spocchioso e sufficiente da "so tutto io ed il resto dell'umanità, tranne quel signore barbuto che siede a Mosca, al quale comunque dovrò dare qualche lezione di ripasso, non ci ha mai capito un accidente di storia del cristianesimo".
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ClintEastwood ha scritto:
Ho provato a cercare ad esempio la tua citazione "Ep.5.154", assolutamente indecifrabile anche andando a guardare tutte le quinte epistole di ognuno dei 14 volumi
Come volevasi dimostrare...
Leggi sopra.
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teodoro studita
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Caro Trianello,
Io avrò anche un "modo spocchioso e sufficiente da so tutto io" (poi sono io quello che argomenta ad hominem) ma ti ho indicato un problema preciso (cioè che le tue presunte citazioni sono malfatte e non verificabili) cui tu non rispondi.
Dici infatti:
è evidente che nelle mie citazioni delle epistole di Gregorio magno il primo numero sta per il tomo ed il secondo per il numero della lettera
Bene, se è così evidente allora dimmi cosa vorrebbe dire "Ep. 5.154", visto che il tomo V non ha certo 154 lettere.
Scusa se butto ancora fumo negli occhi, eh :sorriso:
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Teodoro ha scritto:
Bene, se è così evidente allora dimmi cosa vorrebbe dire "Ep. 5.154", visto che il tomo V non ha certo 154 lettere.
Scusa se butto ancora fumo negli occhi, eh
In effetti, quella è proprio una delle citazioni che non mi è stato possibile verificare, evidentemente ci deve essere un errore nel riferimento del repertorio in cui la ho trovata (farò ulteriori indagini), ma nei lik che ti ho citato trovi diverse delle altre, in particolare ti suggerisco di controllare (nel link che ho riportato) il Migne col. 957 Ep. 9.13 in cui si parla della sede di Costantinopoli come "soggetta" alla Sede Apostolica. Ne ho verificate anche altre sul Migne, come Ep. 3.30.
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Trianello ha scritto:In effetti, quella è proprio una delle citazioni che non mi è stato possibile verificare, evidentemente ci deve essere un errore nel riferimento del repertorio in cui la ho trovata
Ma come, non era "la più prestigiosa enciclopedia cattolica mai editata in cui le citazioni sono incorporate nel testo" ?

Ma vediamo le altre citazioni (se di citazioni si può parlare, essendo di mezza riga cadauna), ad esempio:
“La Sede Apostolica, che sta a capo di tutte le Chiese” (Ep. 13.50)

(Considerazione analoga in Ep. 8.50)
Strano a dirsi, neanche queste due sono rintracciabili, visto che il tomo XIII ha solo 43 lettere e il tomo VIII 35. Un altro errore della prestigiosa? Suppongo dunque che tu non abbia verificato neanche queste.

C'è da vedere allora se le altre esistono, sono tradotte correttamente e la loro estrapolazione dal contesto non ne stravolge il significato. Sono proprio curioso...
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Cominciamo con la prima "citazione":

“Come è manifesto, la Sede Apostolica è stata posta per volontà di Dio al di sopra di tutte le Chiese” (Ep. 3.30)
EPISTOLA XXX. AD JOANNEM SUBDIACONUM. Ut Mediolanensium apud Genuam scrutetur vota; quae si in Constantium consentiant, hunc a propriis episcopis faciat consecrari.

Gregorius Joanni subdiacono.
Quanto apostolica sedes (Grat. dist. 63, c. 10) , Deo auctore, cunctis praelata constat Ecclesiis, tanto inter multiplices curas, et illa nos valde sollicitat. [0627D] ubi ad consecrandum antistitem nostrum exspectatur arbitrium [a [0627D] EPIST. XXX.—Hac ex epistola, et ex anteced. manifestum est ordinationem et consecrationem episcopi Mediol. ex Romani pontificis arbitrio consensuque olim factam. Mortuo Constantio, sanctus Gregorius Pantaleonem notarium misit, ut Deusdedit ejus successorem de more consecrari curaret.] . Defuncto igitur Laurentio Ecclesiae [0628A] Mediolanensis episcopo, sua nobis relatione clerus innotuit in electione se filii nostri Constantii, diaconi sui, unanimiter consensisse. Sed quoniam eadem non fuit subscripta relatio, ne quid quod ad cautelam pertinet omittamus, hujus idcirco 646 praecepti auctoritate suffultum [b [0628D] Genua et Janua, vulgo Genova. Gall. Genes, urbs Liguriae clarissima, nunc archiepiscopalis, et cognominis reipublicae primaria, omnibus satis nota. GUSSANV.] Genuam te proficisci necesse est. Et quia multi illic Mediolanensium coacti barbarica feritate consistunt, eorum te voluntates oportet, eis convocatis, in commune perscrutari. Et si nulla eos diversitas ab electionis unitate disterminat, siquidem in praedicto filio nostro Constantio omnium voluntates atque consensum perdurare cognoscis, tunc eum a propriis episcopis, sicut antiquitatis mos exigit cum nostrae auctoritatis assensu, solatiante Domino, facias consecrari, quatenus hujusmodi servata [0628B] consuetudine, et apostolica sedes proprium vigorem retineat, et a se concessa aliis sua jura non minuat. (Cf. Joan. Diac. l. IV, c. 24. Vide sup. ep. 29.)

to John, Subdeacon.
Gregory to John, etc.Inasmuch as it is manifest that the Apostolic See is, by the ordering of God, set over all Churches, there is, among our manifold cares, special demand for our attention, when our decision is awaited with a view to the consecration of a bishop. Now on the death of Laurentius, bishop of the church of Mediolanum, the clergy reported to us that they had unanimously agreed in the election of our son Constantius, their deacon. But, their report not having been subscribed, it becomes necessary, that we may omit nothing in the way of caution, for you to proceed to Genua (Genoa), supported by the authority of this order. And, inasmuch as there are many Milanese at present there under stress of barbarian ferocity, you must call them together, and enquire into their wishes in common. And, if no diversity of opinion separates them from the unanimity of the election— that is to say, if you ascertain that the desire and consent of all continues in favour of our aforesaid son, Constantius,— then you are to cause him to be consecrated by his own bishops, as ancient usage requires, with the assent of our authority, and the help of the Lord; to the end that through the observance of such custom both the Apostolic See may retain the power belonging to it, and at the same time may not diminish the rights which it has conceded to others.
Come si può vedere dalla lettura dell'intero testo, la lettera si riferisce a un caso particolare concernente un'elezione episcopale che coinvolge i territori di Milano e Genova, entrambi soggetti all'autorità canonica del patriarca d'Occidente. L'espressione cunctis ecclesiis è dunque palesemente riferita alle chiese della giurisdizione occidentale, mentre nulla lascia intendere che Gregorio si stia riferendo alle chiese di tutto il mondo. Al di là da ciò che appare chiaramente dalla semplice lettura di questo testo, anche un esame comparato del lessico e dei temi dell'epistolario porta alla medesima conclusione. Giusto per fare un esempio possiamo notare infatti che nell'epistola 27 del libro VII (riporto il testo integrale in calce), Gregorio Magno dice testualmente che "se un vescovo è chiamato universale, la chiesa universale va in rovina, se uno che è universale cade", facendoci così capire contemporaneamente varie cose, tutte utili al nostro esame delle fonti:

- che la sua opposizione all'aggettivo "universale" non ha a che fare con il titolo di patriarca, come pretendeva polymetis (e a cui avevo già risposto trattarsi di un anacronismo)

- che pretendere che un vescovo sia universale implica che può esistere un vescovo "più vescovo degli altri" (leggere il testo della lettera), che è inaccettabile

- che quando vuole esprimere il concetto di "tutto, proprio tutto", preferisce universus a cunctus (cosa che ho poi verificato anche in altri passi del medesimo epistolario)

Siamo dunque di fronte a una citazione artatamente estrapolata dal suo contesto (di per sé chiarissimo) e usata in maniera strumentale e ingannatrice, prassi che conosciamo fin troppo bene e che dovrebbe far riflettere. Tempo permettendo esaminerò anche le altre cosiddette "citazioni", ora sono veramente in ritardo.

873 EPISTOLA XXVII. AD ANASTASIUM EPISCOPUM. Universalis vocabulum a Constantinopolitano episcopo usurpari, non magni interesse sentiebat cum imperatore Anastasius. Gregorius hocce vocabulo universam Ecclesiae fidem corrumpi contendit.

Gregorius Anastasio episcopo Antiocheno.

Desideratam suavissimae vestrae sanctitatis epistolam communi filio Sabiniano diacono deferente suscepi, in qua non linguae, sed animae verba profluebant. Et non mirum si bene loquitur qui perfecte vivit. Quia enim per magistrum spiritum in schola cordis [a [0882D] EPIST. XXVII [Al. 24].—Excusi, per praecepta] praecepta vitae didicistis, terrena cuncta despicere, ad coelestem patriam festinare, quantum vos in [0882C] bono profecistis, tantum bona etiam de aliis sentitis. Dum vero in scriptis vestrae beatitudinis multa de me dici laudabilia audirem, intellexi studium, quia commemorare voluistis non quid sum, sed quid esse debeam. Illud vero quod me dicitis morum meorum debere reminisci, et maligno spiritui quaerenti animas cribrare pro nulla causa locum dare, ego quidem me semper malis moribus fuisse recolo, atque eosdem in me mores si possum vincere ac delere summopere festino. Si tamen, ut vos creditis aliquid boni habui, in omnipotentis Dei adjutorio confido quia oblitus non sum. Sed sanctitas vestra, ut video, in praemissis verbis dulcedinis, et subsequenti hoc verbo epistolam suam api esse similem voluit, quae mel simul et aculeum portat, ut me et melle satiaret, et aculeo pungeret. [0882D] Sed inter haec ego ad meditandam Salomonis vocem redeo: Quia meliora sunt vulnera diligentis, quam inimici blandientis oscula (Prov. XXVII, 6) .

Quod vero dicitis pro nulla causa dare nos locum scandalo debere, haec mihi et piissimus Dominus filius vester, pro cujus vita incessanter orandum est, jam saepius scripsit; et quod ille ex potestate, scio quia hoc vos ex amore dicitis. Nec miratus sum vos in vestris epistolis imperialia verba posuisse, quia habent inter se maximam cognationem amor et potestas. [0883A] Nam utraque [b [0883D] Turon., Norm., Corb., Vatic., etc., ita habent, consentiuntque vet. Ed. At in recent. legitur principaliter praesunt.] principaliter praesuirunt, utraque per auctoritatem semper loquuntur.

Et quidem in suscipienda fratris et consacerdotis nostri Cyriaci synodica epistola dignum non fuit ut pro causa profani vocabuli moras facerem, ne unitatem sanctae Ecclesiae perturbarem; sed tamen de eodem superstitioso et superbo vocabulo eum admonere studui, dicens quia pacem nobiscum habere non posset, nisi elationem praedicti verbi corrigeret, quam primus apostata invenit. Vos tamen eamdem causam nullam esse dicere non debetis, quia si hanc aequanimiter portamus, universae Ecclesiae fidem corrumpimus. Scitis enim quanti non solum haeretici, sed etiam haeresiarchae de Constantinopolitana Ecclesia sunt egressi. Et ut de honoris vestri injuria taceam, si unus episcopus vocatur universalis, universa Ecclesia [0883B] corruit, si unus universus cadit. Sed absit haec stultitia, absit haec levitas ab auribus meis. 874 In omnipotente autem Domino confido, quia quod promisit citius impleturus est: Omnis qui se exaltat humiliabitur (Luc. XIV, 18, 11) .

Haec occupatus in multis ad epistolarum vestrarum dicta in brevitate respondi; nam quae modo loqui per scripta non debeo, in animo signata manent. Peto ut me beatitudo vestra in suis sanctis orationibus semper ad memoriam reducat, quatenus a malis me temporalibus et aeternis vestrae intercessiones eripiant. Pro serenissimo autem domino imperatore studiose et ferventer orate, quia valde est ejus vita mundo necessaria. Cesso autem amplius dicere, quia et vos non dubito scire.
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Teodoro ha scritto:
Strano a dirsi, neanche queste due sono rintracciabili, visto che il tomo XIII ha solo 43 lettere e il tomo VIII 35. Un altro errore della prestigiosa? Suppongo dunque che tu non abbia verificato neanche queste.
Sono appena rientrato a casa dalla veglia di Pasqua… visto che ho un trasloco in corso, non è agevole per me andarmi a ripescare le citazioni (che non ho preso dalla “New Catholic Enciclopedia”, ma dei vecchi appunti che avevo a casa di mia mamma estrapolati dal classico su San Gregorio Magno del Dudden, il quale elenca le epistole in un modo a volte non concorde rispetto al Migne, da cui la mia difficoltà nel verificare le citazioni). Le cose fatte di corsa sono quasi sempre fatte male… e questa ne è la dimostrazione.
Correggo, la citazione 5,154 è, in realtà, 5,44:

“Post eius uero obitum, cum indignus ego ad ecclesiae regimen adductus sum,”

Dal contesto, però, non è possibile stabilire che qui senza ombra di dubbio Gregorio stesse facendo riferimento alla Chiesa universale.

La citazione 13,50 stava per 13,49 (in quanto il tomo XIII non conta 43 epistole, ma 49 nell’edizione citata dalla mia fonte). La citazione recita per intero così:

“Contra hoc si dictum fuerit quia nec metropolitam habuit nec patriarcham, dicendum est quia a sede apostolica, quae omnium ecclesiarum caput est, causa audienda ac fuerat dirimenda, sicut et praedictus episcopus petisse dinoscitur, qui episcopos alieni concilii habuit omnino suspectos."

E qui, invece, il contesto sembra spingere proprio per l’idea della sede apostolica concepita come vertice della Chiesa a cui tutti i vescovi che non hanno un metropolita o un patriarca a cui rispondere direttamente sono tenuti a rivolgersi.

Per ciò che concerne l’analisi stilometrica da te proposta… beh… c’è da considerare che la lettera che hai citato (che la mia fonte considera come la 24 del tomo VII) è proprio una di quelle che appartengono alla polemica relativa al titolo di “patriarca ecumenico” e alla particolare accezione con cui Gregorio intende l’espressione “vescovo universale” ed il motivo per cui la rifiuta.
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Trianello ha scritto:la citazione 13,50 stava per 13,49 (in quanto il tomo XIII non conta 43 epistole, ma 49 nell’edizione citata dalla mia fonte). La citazione recita per intero così:

“Contra hoc si dictum fuerit quia nec metropolitam habuit nec patriarcham, dicendum est quia a sede apostolica, quae omnium ecclesiarum caput est, causa audienda ac fuerat dirimenda, sicut et praedictus episcopus petisse dinoscitur, qui episcopos alieni concilii habuit omnino suspectos."

E qui, invece, il contesto sembra spingere proprio per l’idea della sede apostolica concepita come vertice della Chiesa a cui tutti i vescovi che non hanno un metropolita o un patriarca a cui rispondere direttamente sono tenuti a rivolgersi.
La vicenda sembra decisamente più complessa, e dunque si fa anche vagamente interessante. Ho delocalizzato la disamina del lato tecnico sul progetto pilota del forum di christianismus (http://christianismus.forumfree.it/?t=47281627" target="_blank) per non tediare i lettori con ardue questioni filologiche. Ciò che per il momento posso dire di questa citazione è che più che una lettera sembra una sorta di appendice legale ad una lettera di Gregorio Magno (forse la 13.43), ma non capisco se si tratta di materiale autentico o no.
Vorrei andare a fondo con questa storia, per il momento non ho visto nulla nell'epistolario di Gregorio che faccia vedere un'ecclesiologia del primato che possa in qualche modo giustificare la prassi posteriore o costituirne una legittima base storica, e come sempre quando si va a scavare in questi testi, c'è da affrontare il problema delle forgeries costruite nei secoli dai sostenitori del primato. È un terreno minato, in cui spesso testi autentici e spuri sono giustapposti come se niente fosse, e bisogna andare a guardare le edizioni critiche (quando ci sono) o gli studi specialistici fatti –possibilmente- non dai gesuiti.
Chi è interessato al lato tecnico può seguire la vicenda all'altro link, qui cercherò di riassumere in post più user-friendly.
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Ieri Sodano ha chiamato il papa "dolce Cristo in terra" non si pecca di idolatria e bestemmia in questo modo?
Potrei capire "dolce rappresentante di Cristo in terra"...
ciao
"La cosa più triste è che molto spesso chi viene ingannato, o illuso, tende a rimanere strettamente ancorato a quello in cui crede nonostante le evidenze indichino chiaramente che la realtà è diversa. Forse è talmente affezionato alle sue credenze che preferisce chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie di fronte a qualunque cosa possa farle vacillare."
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Messaggio da Michele Ginanneschi »

Mario70 ha scritto:Ieri Sodano ha chiamato il papa "dolce Cristo in terra" non si pecca di idolatria e bestemmia in questo modo?
Potrei capire "dolce rappresentante di Cristo in terra"...
ciao
No. Sodano ha usato una antica espressione pronunciata da Santa Caterina da Siena in seguito ad una visione. Se trovo la storia da qualche parte ti metto il link.
L'impossibile non esiste.
Presentazione: viewtopic.php?f=7&t=2207" onclick="window.open(this.href);return false;
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Ecco!

http://www.google.it/url?sa=t&source=we ... 4RJHd7rd3g" target="_blank" target="_blank
L'impossibile non esiste.
Presentazione: viewtopic.php?f=7&t=2207" onclick="window.open(this.href);return false;
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Michele Ginanneschi ha scritto:
Mario70 ha scritto:Ieri Sodano ha chiamato il papa "dolce Cristo in terra" non si pecca di idolatria e bestemmia in questo modo?
Potrei capire "dolce rappresentante di Cristo in terra"...
ciao
No. Sodano ha usato una antica espressione pronunciata da Santa Caterina da Siena in seguito ad una visione. Se trovo la storia da qualche parte ti metto il link.
Comunque quando l'ho sentita pronunciare, sono sobbalzato dalla sedia, la trovo comunque blasfema.
ciao
"La cosa più triste è che molto spesso chi viene ingannato, o illuso, tende a rimanere strettamente ancorato a quello in cui crede nonostante le evidenze indichino chiaramente che la realtà è diversa. Forse è talmente affezionato alle sue credenze che preferisce chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie di fronte a qualunque cosa possa farle vacillare."
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teodoro studita ha scritto:
La vicenda sembra decisamente più complessa, e dunque si fa anche vagamente interessante. Ho delocalizzato la disamina del lato tecnico sul progetto pilota del forum di christianismus (http://christianismus.forumfree.it/?t=47281627" target="_blank" target="_blank" target="_blank) per non tediare i lettori con ardue questioni filologiche. Ciò che per il momento posso dire di questa citazione è che più che una lettera sembra una sorta di appendice legale ad una lettera di Gregorio Magno (forse la 13.43), ma non capisco se si tratta di materiale autentico o no.
Vorrei andare a fondo con questa storia, per il momento non ho visto nulla nell'epistolario di Gregorio che faccia vedere un'ecclesiologia del primato che possa in qualche modo giustificare la prassi posteriore o costituirne una legittima base storica, e come sempre quando si va a scavare in questi testi, c'è da affrontare il problema delle forgeries costruite nei secoli dai sostenitori del primato. È un terreno minato, in cui spesso testi autentici e spuri sono giustapposti come se niente fosse, e bisogna andare a guardare le edizioni critiche (quando ci sono) o gli studi specialistici fatti –possibilmente- non dai gesuiti.
Chi è interessato al lato tecnico può seguire la vicenda all'altro link, qui cercherò di riassumere in post più user-friendly.
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Vedo che in MGH il testo citato appare in 13.50, così come lo avevo citato io all'inizio. Non so, purtroppo, a quale edizione dell'epistolario di Gregorio Magno si riferisse il Dudden, da cui ho ripreso queste citazioni, ma vedo che le discrepanze rispetto al Migne sono molteplici (al livello di collocazione dei singoli brani, perché da un punto di vista testuale, invece, fino ad ora non ho riscontrato diversità alcuna).
C'è da considerare, comunque, il fatto che Schatz parla di Gregorio (a cui però non dedica molto spazio nella sua ricostruzione storica del Primato di Roma) come di un papa, per certi versi, in contro-tendenza rispetto a chi lo aveva preceduto e lo seguì. Per il Dudden (ma il suo studio risale al 1905, in piena epoca post Vaticano I) non c'è dubbio che Gregorio fosse consapevole del ruolo della Cattedra di Pietro all'interno della grande Chiesa. Ho rimediato il volume di R. A. Markus, Gregory the Great and his world, che a quanto pare è lo studio attualmente più autorevole sulla figura complessiva di questo papa (il volume è stato anche tradotto in italiano dall'editrice Vita e Pensiero). Appena i casini in cui sono immerso in questi giorni mi daranno una tregua, verifecherò che cosa ne pensa l'autore rispetto al tema in oggetto.

Caro Teodoro, visto che ci sei, prova a verificare la citazione di 9.12 secondo il Migne (ma che la mia fonte cita come 9.26) e che recita così:

"Nam de constantinopolitana ecclesia quod dicunt, quis eam dubitet sedi apostolicae esse subiectam? Quod et piissimus domnus imperator et frater noster eiusdem ciuitatis episcopus assidue profitentur."
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Ci sto lavorando. Per il momento sto traducendo le ultime lettere del volume XIII per capire bene il contesto della lettera 50 (ed.MGH). Per il momento mi sembra di aver capito che il materiale è autentico, ma il breve inciso che costituisce la citazione del tuo repertorio non è certo il nocciolo della questione. Si tratta di capire come il mittente e il destinatario della lettera interpretavano quell'espressione en passant nel contesto specifico di quella lettera. Per il momento non mi pronuncio, ma sto vedendo tutte le tue citazioni, per contestualizzarle, in primo luogo. La cosa è particolarmente significativa perché Gregorio Magno potrebbe rappresentare – proprio in virtù dell'abbondanza di fonti che abbiamo – un buon paradigma di esercizio del primato della sede romana nel primo millennio. Ma è chiaro che per farlo bisogna che le fonti siano studiate come si deve, perché le frasette di 4 parole tirate fuori dal contesto sono sempre usate in maniera fallace e strumentale, e in questo i gesuiti non sono in nulla diversi dalla WT, sono solo meno grossolani.
In giornata tiro le conclusioni su XIII.50
Ciau,
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Se posso aggiungere, Jean Laporte nel suo volume sui padri della chiesa (un sunto generale) circa Gregorio afferma che in molte delle sue lettere fà comunque valere la sua autorità in diverse circostanze, ma essendo un edizione S.Paolo non è che mi fiderei più di tanto..
Sottolineando che io non sono dell'idea che ai tempi di Gregorio un'idea del primato non ci fosse affatto, ma che era una dottrina o se si vuol chiamarla un'ideologia che si andò costruendo nei secoli indietro, ci vuole comunque onestà storica e vedere se Gregorio intendesse veramente ciò che è stato riportato in quelle citazioni.
Non ci scordiamo le precedenti dispute tra Stefano e Cipriano e i successivi rimagheggiamenti del De unitate ecclesia di quest'ultimo; insomma le ambizioni papali iniziarono ben prima di Gregorio, in discussione quindi resta il fatto se esse fossero lecite o meno; per il sottoscritto non lo erano ma forse storici stipendiati dal vaticano avranno qualcosa di illuminante da raccontarci..

Per Gregorio comunque un'analisi diretta sull'epistolario è fondamentale, io non ne dispongo, l'edizione tradotta è questa:

http://www.libreriadelsanto.it/libri/97 ... i-iii.html

Da questo link si trovano facilmente gli altri, se qualcuno disponesse di queste edizioni potrebbe dare un'occhiata, anche se vedo che Teodoro sta già indagando.


Stay tuned on the future.
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ClintEastwood ha scritto: Per Gregorio comunque un'analisi diretta sull'epistolario è fondamentale, io non ne dispongo, l'edizione tradotta è questa:

http://www.libreriadelsanto.it/libri/97 ... i-iii.html

Da questo link si trovano facilmente gli altri, se qualcuno disponesse di queste edizioni potrebbe dare un'occhiata, anche se vedo che Teodoro sta già indagando.
Città Nuova produce delle pessime traduzioni, senza uno straccio di apparato critico, senza testo a fronte e se le fa pagare una follia. Per avere l'intero epistolario bisognerebbe sganciare circa 300 euro...
Mi costa meno tradurre da un buon testo (quello dei MGH ad esempio) solo ciò che mi interessa... :blu:
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ClintEastwood
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Messaggio da ClintEastwood »

Pensa un pò, pure 70 euro a volume per cattive traduzioni.. Che mondo di ladri :triste:
peraskov
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Messaggio da peraskov »

Anche identificando Nicola II con i suoi cattivi consiglieri (ma hai studiato storia sui libri sovietici?) dieci Nicola non fanno uno Stepinac.
Riguardo a Stepinac credo che tu stia parlando molto superficialmente di qualcosa che non conosci.
Sandro
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teodoro studita
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Messaggio da teodoro studita »

Allora, per ciò che attiene a XIII.50, mi sembra si tratti di un gruppo di lettere sulle vicende di un vescovo spagnolo, che per motivi che ancora non ho capito ha passato dei guai (con la chiesa locale visigota? Con la giustizia civile?) e ha fatto appello al papa, cioè alla massima autorità occidentale (del suo territorio canonico). Questi risponde e poi allega una lettera di motivazioni (appunto la nostra) che è nient'altro che un collage dal codice teodosiano, le novelle di Giustiniano, e altre leggi alcune delle quali ampiamente obsolete ma che servivano allo scopo di legittimare la catena di dipendenza gerarchica dal vescovo spagnolo al papa di Roma.
Se tale lettura è corretta (ma devo tradurre anche le lettere che precedono per averne la certezza) l'espressione citata en passant si riferirebbe senza dubbio al territorio dei destinatari della missiva e dei vari attori coinvolti, cioè la chiesa e le autorità visigote e i vescovi cattolici in Spagna. Affermare che la "sede apostolica" (sottinteso Roma) sia superiore alle altre chiese è funzionale alla legittimazione del diritto d'appello all'autorità superiore all'interno del territorio canonico del patriarca d'occidente. Questo tuttavia è pacifico e non fa problema a nessuno, tantomeno agli ortodossi. Nei prossimi giorni (vacanze finite=meno tempo) vedrò di tradurre anche le tre lettere che precedono per avere la conferma di ciò.
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teodoro studita ha scritto:Allora, per ciò che attiene a XIII.50, mi sembra si tratti di un gruppo di lettere sulle vicende di un vescovo spagnolo, che per motivi che ancora non ho capito ha passato dei guai (con la chiesa locale visigota? Con la giustizia civile?) e ha fatto appello al papa, cioè alla massima autorità occidentale (del suo territorio canonico). Questi risponde e poi allega una lettera di motivazioni (appunto la nostra) che è nient'altro che un collage dal codice teodosiano, le novelle di Giustiniano, e altre leggi alcune delle quali ampiamente obsolete ma che servivano allo scopo di legittimare la catena di dipendenza gerarchica dal vescovo spagnolo al papa di Roma.
Se tale lettura è corretta (ma devo tradurre anche le lettere che precedono per averne la certezza) l'espressione citata en passant si riferirebbe senza dubbio al territorio dei destinatari della missiva e dei vari attori coinvolti, cioè la chiesa e le autorità visigote e i vescovi cattolici in Spagna. Affermare che la "sede apostolica" (sottinteso Roma) sia superiore alle altre chiese è funzionale alla legittimazione del diritto d'appello all'autorità superiore all'interno del territorio canonico del patriarca d'occidente. Questo tuttavia è pacifico e non fa problema a nessuno, tantomeno agli ortodossi. Nei prossimi giorni (vacanze finite=meno tempo) vedrò di tradurre anche le tre lettere che precedono per avere la conferma di ciò.
Cordialità,
C'è solo il problema che il periodo in oggetto non fa riferimento solo ai metropoloti, ma anche ai patriarchi. Si dice che un vescovo che non ha un metropolita o un patriarca a cui rispondere direttamente, si deve rivolgere alla sede apostolica. L'appello a Roma, quindi, non sembra da intendersi come appello alla sede del Patriarcato più prossimo, perché, se così fosse, non si spiegherebbe quel "nec patriarcham" che appare nel periodo. Diciamo che, se non altro, questo lascia aperta la porta ad una intepretazione "massimalista" del primato di Roma nella Taxis ecclesiale (quella che molti specialisiti, anche i due autori della Voce dell'Enciclopedia Cattolica da me citata, attribuiscono al pontefice in oggetto).
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Ma per favore, quale dovrebbe essere il patriarca per un vescovo spagnolo se non il papa di Roma?
Oh mio Dio.
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teodoro studita ha scritto:Ma per favore, quale dovrebbe essere il patriarca per un vescovo spagnolo se non il papa di Roma?
Oh mio Dio.
Non cogli il nocciolo del problema. La citazione dice che se un vescovo non ha un metropolita o un patriarca a cui rivolgersi, allora deve rivolgersi alla sede apostolica. Se le cose stessero come dici tu, non avrebbe senso parlare di "patriarchi" in questo contesto. Se un vescovo spagnolo si deve rivolgere alla sede apostolica perché qui risiede il suo patriarca, allora non ha senso dire che se un vescovo non ha né un metropolita "né un patriaraca" a cui rivolgersi lo deve fare, perché se gli si vuole fare intendere che si deve rivolgere al "suo patriarca" allora quel "nec patriarcham" non c'entra nulla e mi domando che diavolo ci stia a fare. La cosa più logica è ritenere che in relazione ad un caso particolare Gregorio (come si è soliti fare in ambito giuridico) citasse un principio di natura più universale che voleva, appunto, che se un vescovo non aveva un metropolita od un patriarca a cui rivolgersi si rivolgesse direttamente alla sede apostolica.
Del resto, l'idea che Gregorio aveva della dignità della Sede di Roma non si può evincere né da una singola sua epistola, né dal un insieme di epistole legate ad un caso particolare, ma dal complesso dei suoi scritti e del suo operato... e, a quel che vedo, gli specialisti che si sono occupati in maniera approfondita di questa figura storica, pubblicando corposi volumi sulla stessa (il Dudden in primis) sono tutti (mi pare) dell'opinione che questo papa avesse un'idea del primato del vescovo Roma un po' più "forte" rispetto a quella di un "primus inter pares" (il che, ovviamente, non significa che sarebbe stato pronto a sottoscrivere le tesi degli ultramontani).
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Il testo dice:

Se uno volesse opporsi a ciò, poiché non ebbe né un metropolita né un patriarca, si deve dire che, poiché la causa doveva essere ascoltata e risolta dalla sede apostolica che è a capo di tutte le chiese, anche il predetto vescovo lo chiese, com’é noto, lui che ritenne certo sospetti i vescovi stranieri (ariani?).

Ora, si dà il caso che il tale fosse un vescovo spagnolo, e il fatto che non potesse riferirsi a un metropolita o a un patriarca è da leggersi alla luce della norma legale che si sta citando alcuni capoversi più su (traduzione un po' brutale)

Riguardo alla persona del presbitero bisogna prestare attenzione a ciò, poiché se ebbe una qualche accusa, non da uno straniero (doveva) essere diretto, ma il suo vescovo doveva accostarsi (a lui), così come questa costituzione delle Novellae rivela, la quale parla dei vescovi, dei chierici e dei monaci santissimi, amati e molto onorati da Dio: “Imp. Iustinianus perpetuus Augustus a Pietro gloriossisimo prefetto del pretorio, Capitolo LIII. Se uno ha una qualche accusa contro un chierico, un monaco, una diaconessa, una monaca, o un asceta, informi dapprima il santissimo vescovo a cui ciascuno di quelli è sottoposto...etc

Le leggi che Gregorio cita sussumono una catena gerarchica il cui cardine è il vescovo locale (per i presbiteri) o il metropolita/patriarca locale (per i vescovi). Ma poiché il poveraccio in questione era un vescovo in una provincia ariana senza metropolita o patriarca, nella catena gerarchica il diritto di giudicare il vescovo spettava al patriarca di Roma. Mi sembra piuttosto limpido senza evocare ambiguità che il testo non ha.
In ogni modo sto traducendo anche ciò che precede prima di passare alle altre "citazioni", se sono tutte di questo tenore ne abbiamo abbastanza per fare un Larchet vol.II
Santa pace.
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Non per essere tignoso, ma a mio avviso la difficoltà rimane, se si vuole intepretare il brano in oggetto (anche alla luce del resto del testo della lettera) come fai tu.
La norma citata, come hai fatto notare, fa riferimento ad una ben precisa gerarchia nella Chiesa: ci sono i vescovi locali, i metropoliti e i patriarchi. Ora, nel testo si dice che un vescovo che non aveva un metropolita o un patriarca a cui rivolgersi non rimaneva che rivolgersi direttamente a Roma quale vertice della Chiesa. Il problema è: qui Roma deve essere intesa come sede del Patriarca d'Occidente e quindi capo di tutte le Chiese occidentali o come sede del vescovo che gode di un primato all'interno della Chiesa tutta?
E' vero che i cinque Patriarcati della Pentarchia nel VI secolo non erano gli unici patriarcati esistenti, ma erano questi i Patriarcati in senso stretto, occupando gli altri patriarchi, a livello gerarchico, praticamente il grado di metropoliti (e, in quanto tali, essendo sottoposti ai Patriarchi della Pentarchia). A me pare abbastanza logico supporre che nella citazione Gregorio ponga metropoliti, patriarchi e Roma in un preciso ordine gerarchico e che il fatto che questi non faccia riferimento alla sede apostolica come patriarcato, ma come vertice di tutta la Chiesa sia molto significativo. Se Gregorio avesse inteso in questo periodo Roma semplicemente come patriarcato d'Occidente, avrebbe probabilmente evitato quel "nec patriarcham" ed avrebbe parlato solo di metropoliti. Mi rendo comunque conto che, trattandosi di un vescovo spagnolo, l'argomentazione non è così stringente. Il fatto, però, che Gregorio si riferisca a Roma come il vertice di "tutte" le Chiese, mi pare confortare la mia proposta intepretativa piuttosto che la tua.

A tempo perso, sto leggendo la monografia di Markus su Greogorio il Grande, anche se non sono ancora arrivato al capitolo che riguarda i suoi rapporti con l'Impero e la Chiesa d'Oriente (quello in cui l'autore dovrebbe parlare anche del tema di cui stiamo discutendo).
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Nel frattempo, tanto per la cronaca, ho rintracciato anche queste citazioni della epistola 37 del V libro, una di quelle legate alla polemica sul titolo di Patriarca Ecumenico (che Gregorio rende con “vescovo universale”):

Cunctis ergo euangelium scientibus liquet quod uoce dominica sancto et omnium apostolorum principi petro apostolo totius ecclesiae cura commissa est. Ipsi quippe dicitur: petre, amas me? Pasce oues meas. Ipsi dicitur: ecce satanas expetiit cribrare uos sicut triticum; et ego pro te rogaui, petre, ut non deficiat fides tua; et tu aliquando conuersus confirma fratres tuos. Ipsi dicitur: tu es petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam, et portae inferi non praeualebunt aduersus eam; et tibi dabo claues regni caelorum, et quodcumque ligaueris super terram, ligatum erit et in caelo, et quodcumque solueris super terram, soluta erunt et in caelo. Ecce claues regni caelestis accipit, potestas ei ligandi et soluendi tribuitur, cura ei totius ecclesiae et principatus committitur

E poco sotto, sempre nella medesima epistola:

Certe pro beati petri apostolorum principis honore per uenerandam chalcedonensem synodum romano pontifici oblatum est.”

Qui Gregorio si riferisce al fatto che il titolo di "vescovo universale" fosse stato offerto al Romano Pontefice per il legame particolare che questi aveva con Pietro (a cui era stata concesso il potere su tutta la Chiesa). Non sembra, in effetti, che il Concilio in oggetto avesse offerto un tale titolo al Papa di Roma, quello che conta, però, in questo contesto, è il legame speciale che Gregorio vede tra il Vescovo di Roma e l'apostolo Pietro, tale da far sì che le prerogative del secondo si riflettano sul primo.
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Altra citazione, tratta dall'Epistola 37 del libro VII.

"Quis enim nesciat sanctam ecclesiam in apostolorum principis soliditate firmatam, qui firmitatem mentis traxit in nomine, ut petrus a petra uocaretur? Cui ueritatis uoce dicitur: tibi dabo claues regni caelorum. Cui rursum dicitur: et tu aliquando conuersus confirma fratres tuos et iterum: simon iohannis, amas me? Pasce oues meas. Vnde et, cum multi sint apostoli, pro ipso tamen principatu sola apostolorum principis sedes in auctoritate conualuit, quae in tribus locis unius est. Ipse enim sublimauit sedem, in qua etiam quiescere et praesentem uitam finire dignatus est"

Subito dopo, Gregorio parla delle sedi di Alessandria e di Antiochia come di quelle che, in un certo modo, condividono la posizione di Roma, ma come "illuminate" da questa, per così dire, poiché la prima Chiesa era stata fondata da Marco, che da Roma era partito, mentre la seconda era stata fondata da Pietro prima di recarsi a Roma.

Tra le altre cose, ho scoperto che il Dudden, l'autore da cui ho tratto le citazioni che sto cercando a poco a poco di rintracciare, non era un gesuita e nemmeno un cattolico, si trattava di uno studioso di confessione anglicana.
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Mi permetto un'altra riflessione relativa alla citazione tratta dalla lettera 50 (49) del libro XIII.
Tale citazione è preceduta dal presente periodo:

Et si quis iudicatis contradixerit, ad beatissimum archiepiscopum et patriarcham dioceseos illius referatur causa, et ille secundum canones et leges huic praebeat finem.

Come ha giustamente notato Teodoro, qui ci troviamo di fronte ad una sorta di climax gerarchico ascendente che giunge ai patriarchi (da un esame, per il momento ancora preliminare e grossolano, dell'epistolario di Gregorio, mi è sembrato di notare che quando questi parla di “patriarca” o “patriarcato” lo fa sempre in riferimento ai quattro Patriarcati orientali della Pentarchia). Subito dopo viene il periodo incriminato, in cui si dice che se un vescovo che non ha né metropolita né patriarca a cui rivolgersi, deve rivolgersi a Roma. Ora, dato il contesto, a me pare proprio che qui la Sede Apostolica venga indicata come culmine del succitato climax gerarchico e che quando si dice che questa è a capo di tutte le Chiese non si voglia sottintendere alcuna limitazione territoriale alla sua autorità, vale a dire che si cita Roma come vertice gerarchico della Chiesa tutta e non come quello della sua porzione occidentale.
Tale intepretazione è a mio avviso supportata (oltre che da quanto ho già riportato sopra) anche da quanto Gregorio scrive nella lettera 27 del libro IX:

"Nam quod se sedi apostolicae dicit subici, si qua culpa in episcopis inuenitur, nescio quis ei episcopus subiectus non sit."

Non mi sembra che questa sentenza, nella sua radicalità, lasci spazio per limitazioni territoriali del potere del Vescovo di Roma, al quale, si dice testualmente, non c'è vescovo che non sia soggetto.

Sono riuscito a procurarmi i due volumi del Dudden (l'astuto gesuita, che poi era un pastore anglicano) dedicati a Gregorio Magno (quelli da cui, tanto tempo fa, avevo tratto le citazioni che qui ho ricopiato). In effetti, questi cita le epistole di Gregorio secondo l'edizione MGH e non secondo l'ordine in cui appaiono nel Migne. Nei prossimi giorni, tempo permettendo, inserirò nel Forum le scansioni delle pagine relative a quanto stiamo qui discutendo. Tra le altre cose, il Dudden non nasconde la sua antipatia per le intepretazioni ultramontane del primato papale così come stabilito dal Vaticano I (lui scriveva in un'epoca in cui queste erano ancora dominanti in ambito cattolico), facendo notare come, pur considerando Gregorio la Sede di Roma, in quanto cattedra petrina, il vertice della Chiesa, concepiva la propria autorità (sulla linea di Leone Magno) sulla Chiesa tutta in termini molto rispettosi dell'autonomia delle varie Chiese locali e del loro prestigio (specialmente nei confronti delle altre due sedi petrine di Antiochia e di Alessandria, con cui questi riteneva che Roma, pur rimanendo superiore, condividesse, in qualche modo, il primato nella Chiesa).
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Annaspando tra mille impegni rieccomi sul blocco di epistole del volume XIII. Si tratta, come accennavo nei post precedenti (in cui stavo faticosamente leggendo nei ritagli di tempo), di lettere volte a dirimere questioni relative a casi particolari che coinvolgevano singoli vescovi di vari territori in Spagna: nella XIII, 47 un Ianuario (o Gennaro, se preferite) vescovo di Malaga, e i colleghi Stefano e Comiziolo sempre spagnoli, per il tramite di un Giovanni in qualità di difensore (e investigatore); la 48 relativamente a questioni disciplinari nei monasteri a Maiorca e Cabrera (nelle Baleari); la 49 con la risposta di Giovanni dopo l'investigazione sulla (ingiusta) offesa a Ianuario e la 50 (quella con la frase citata) che è una sorta di appendice legale al blocco che precede.
Ciò che emerge chiaramente, è che Gregorio sopperisce al vuoto istituzionale della gerarchia ecclesiastica in una terra che in quel momento non solo non aveva sedi metropolitane, ma era altresì divisa tra cattolici e ariani, in perenne conflitto –spesso violento– tra loro. In questo contesto, l'episcopato locale vittima di angherie da parte verosimilmente dei colleghi ariani che in quel momento avevano perso l'appoggio de potere politico (la conversione di Recaredo è quasi contemporanea a queste lettere) non può che fare riferimento all'unica figura istituzionale dell'occidente, cioè il patriarca di Roma. Questi esercita il previsto ruolo di arbitro dei problemi dei vescovi del suo territorio canonico e ciò non desta alcuna meraviglia. Gregorio non si sta riferendo a un territorio extra-canonico in virtù di chissà quale concezione universale del papato (allora inesistente), ma sta svolgendo il normale ruolo di ogni patriarca: dirimere le beghe dei suoi vescovi con la maggiore autorevolezza possibile.
È chiaro che in questo contesto l'inciso “si dictum fuerit quia nec metropolitam habuit nec patriarcham, dicendum est quia a sede apostolica, quae omnium ecclesiarum caput est, causa audienda ac fuerat dirimenda..." debba riferirsi alla situazione particolare che ha generato quel blocco di lettere, dunque ai vescovi di Malaga e ai monaci di Maiorca e Cabrera, tutta gente che in loco (cioè in Spagna) non ha nec metropolitam nec patriarcham e che dunque deve riferirsi alla sede apostolica in quanto è ciò che immediatamente c'è al di sopra dell'episcopato locale nella catena gerarchica. In tutto ciò dove sarebbe la traccia di una visione universalistica del papato, di un potere extra-giurisdizionale, della superiorità alle altre sedi patriarcali non si sa, per il banale motivo che non c'è. Gregorio Magno stava esercitando le sue funzioni di Patriarca esattamente come i suoi colleghi orientali, con l'unica differenza della geografia (una enormemente minore concentrazione di cittadini cristiani ma su un enormemente più vasto territorio canonico).
Inutile dire che estrapolare quattro parole da quell'epistola (o meglio da quelle epistole, che vanno lette in blocco) è capzioso e fuorviante.
Nei prossimi giorni andrò avanti con il resto delle "citazioni" (ormai le virgolette sono d'obbligo), per leggerle nella loro lingua e nel loro contesto.
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In questa tua replica non hai minimamente tenuto conto delle osservazioni che avevo esposto nei post precedenti e che rendono la tua tesi non così "pacifica" come tu la vuoi far passare.
Te le riassumo per brevità:

Quando Gregorio parla di Patriarchi, in tutto il suo epistolario (almeno così mi è sembrato di verificare da una breve ricerca al computer), lo fa sempre in riferimento ai quattro Patriarchi orientali della Pentarchia e mai ai Patriarchi locali (tipo il metropolita di Cartagine che, a volte, veniva anche chiamato Patriarca).

Il brano citato è inserito in una disquisizione sulla gerarchia ecclesiastica caratterizzata da un climax ascendente che culmina nella sede apostolica, la quale viene citata dopo metropoliti e patriarchi. Questo pone la sede apostolica al vertice della Chiesa, come superiore a metropoliti e patriarchi (e si si considera quanto detto al punto precedente, la cosa è abbastanza significativa).

Gregorio aveva una concezione dell'ecclesiologia che leggeva la suddetta come fondata esplicitamente sulla volontà di Cristo che aveva posto Pietro a capo degli apostoli (vedi le varie altre citazioni che qui ho elencato).

Gregorio vedeva le sedi di Antiochia e di Alessandria (proprio in ragione della loro origine petrina) come quelle che in qualche modo condividevano il “primato” di Roma, mentre giudicava esplicitamente la sede di Costantinopoli come sottomessa a quella di Roma. Questo è un segno evidente del fatto che Gregorio quando fa riferimento al “primato” di Roma non lo legge in senso “territoriale”, ma come esteso a tutta la Chiesa.

C'è da considerare che non ho ancora postato tutte le citazioni elencate dal Dudden che, come dicevo, sono una ventina e che vanno lette nel loro complesso per capire come Gregorio ponesse decisamente Roma al vertice gerarchico della Chiesa e che anche se accettava il regime pentarchico come un dato di fatto, non assimilava la sede apostolica ai Patriarcati orientali (dei quali solo due, quello di Antiochia e quello di Alessandria, a suo avviso, godevano di una vera e propria dignità particolare, in ragione del fatto che condividevano con Roma l'origine petrina), considerandola come la sede che presiede su tutta la Chiesa.

Come dicevo, poi, il Dudden non era una papista gesuita stipendiato dal Vaticano, ma un accademico oxoniense di confessione anglicana (nonché cappellano di Re Giorgio V) molto critico nei confronti della dottrina del "primato di Roma" così come allora interpretata da molti in seno alla Chiesa cattolica. Ergo, le sua ricostruzione del pensiero di Gregorio a riguardo della dignità del Vescovo di Roma non risente di nessun "preconcetto" confessionale... a differenza della tua (senza contare i numerosi anni da lui spesi nello studio della figura di Gregorio Magno onde produrre la sua ponderosa monografia in due tomi).
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