Inviato: 04/03/2010, 23:47
da polymetis
Per Teo
“- i vescovi non esistono, esiste solo il papa. Questo dice nella sostanza (non nella forma!) il diritto canonico: ciò che tutti i vescovi del pianeta riuniti insieme non possono fare lo può fare il papa da solo (per tutti e tre i munera, docendi, regendi, sanctificandi)”
L’episcopato è unico, e il papa è al servizio dell’episcopato. Quanto al problema se sia superiore il Concilio ecumenico o il papa, com’è noto è argomento dibattuto da secoli, per il banale fatto che un Concilio non può dirsi ecumenico se un papa non vi partecipa, e la cosa è abbastanza ovvia anche per il mondo antico.
“- l'ecclesiologia del primato e della giurisdizione è definita dai concili (Nicea 6, CostantinopoliI 3, canoni apostolici 1, senza citare l'odiato Calcedonia 28)”
Nicea 6 dice solo: “In Egitto, nella Libia e nella Pentapoli siano mantenute le antiche consuetudini per cui il vescovo di Alessandria abbia autorità su tutte queste province; anche al vescovo di Roma infatti è riconosciuta una simile autorità. Ugualmente ad Antiochia e nelle altre province siano conservati alle chiese gli antichi privilegi. Inoltre sia chiaro che, se qualcuno è fatto vescovo senza il consenso del metropolita, questo grande sinodo stabilisce che costui non debba esser vescovo. Qualora poi due o tre, per questioni loro personali, dissentano dal voto ben meditato e conforme alle norme ecclesiastiche degli altri, prevalga l'opinione della maggioranza.”
Non si specifica quale sia l’autorità del vescovo di Roma, si dice solo che il vescovo d’Alessandria ha potestà sulle province vicine, così come ce l’ha quello di Roma. Se poi Roma abbia anche altro, non è né detto né negato. Comunque, l’ecclesiologia cambia con la geografia, ad esempio in questi canoni non si fa alcuna menzione a Costantinopoli, che a quest’epoca non contava alcunché. Altri Concili la pongono alla ribalta, ma non per questo, solo perché s’è cambiato organizzazione, il cambiamento è per forza negativo. Il fatto cioè che anche l’organizzazione odierna sia diversa da quella del I millennio, così come l’organizzazione Pentarchica fu diversa da quella di Nicea, non dice nulla sul fatto che l’evoluzione per il solo fatto di essere evoluzione sia negativa. Ad esempio oggi Costantinopoli non ha più alcun prestigio in seno alla Chiesa, nel senso che a Costantinopoli oggi ci stanno i turchi e ben pochi cristiani, e non è più la capitale di alcunché. Col criterio di Calcedonia 28 dovrebbe cedere il suo prestigio al vescovo greco ortodosso di Washington....
“
- l'ecclesiologia ratzingeriana da papa bavarese del XVII secolo non è interessata al primato d'onore, ma al potere di svegliarsi la mattina e poter cambiare la fede al primo colpo di tosse (o di Alzheimer”
Dubito gli interessi cambiare, semmai gli interessa avere il, potere di preservare….
“l'unità nella Chiesa Cattolica esiste solo sulla carta, avendo dentro dagli stregoni esorcisti africani ai lefebriani pentiti, i carismatici "che parlano in lingue" , gli uniati travestiti da ortodossi, i medjugoristi e gli anglicani convertiti(che facciano pure ciò che vogliono, basta che il capo sia il papa).”
Ma nelle categorie che citi non c’è diversità di dottrine.
“La Chiesa Cattolica Ortodossa che esiste da duemila anni senza altra garanzia di unità che la fede dei santi padri e dei concili”
Guarda, considerato che mille anni di Padri li abbiamo in comune, credo che tu stia volutamente obliando tutta la sezione occidentale del cristianesimo.
Prima dello scisma il papa non avete un primato d’onore, ma un primato universale, che non ha nulla a che vedere con un primato giurisdizionale, ma semplicemente, in una realtà fluida che ha avuto degli altri e dei bassi, è stato considerato il primo vescovo dell’ecumene per autorità dottrinale. Non esiste un primato così come inteso “nel primo millennio”, perché nel primo millennio questo primato ha avuto esercizi diversi e forme diverse a seconda di quanto fosse necessaria tenere unita la Chiesa o correggere questa o quella eresia. Così si esprime la Congregazione per la dottrina della fede: “Anche per questo, l'immutabile natura del Primato del Successore di Pietro si è espressa storicamente attraverso modalità di esercizio adeguate alle circostanze di una Chiesa pellegrinante in questo mondo mutevole.I contenuti concreti del suo esercizio caratterizzano il ministero petrino nella misura in cui esprimono fedelmente l'applicazione alle circostanze di luogo e di tempo delle esigenze della finalità ultima che gli è propria (l'unità della Chiesa).
La maggiore o minore estensione di tali contenuti concreti dipenderà in ogni epoca storica dalla necessitas Ecclesiae. Lo Spirito Santo aiuta la Chiesa a conoscere questa necessitas ed il Romano Pontefice, ascoltando la voce dello Spirito nelle Chiese, cerca la risposta e la offre quando e come lo ritiene opportuno.
Di conseguenza, non è cercando il minimo di attribuzioni esercitate nella storia che si può determinare il nucleo della dottrina di fede sulle competenze del Primato. Perciò, il fatto che un determinato compito sia stato svolto dal Primato in una certa epoca non significa da solo che tale compito debba necessariamente essere sempre riservato al Romano Pontefice; e, viceversa, il solo fatto che una determinata funzione non sia stata esercitata in precedenza dal Papa non autorizza a concludere che tale funzione non possa in alcun modo esercitarsi in futuro come competenza del Primato”
“Siamo d'accordo che parlarne in questo forum non servirà di certo a risanare tale frattura, ma secondo me è una cosa che fa riflettere, la lotta non è sterile perchè l'unica via d'uscita affinchè le due grandi chiese si riconcilino è proprio l'abbandono da parte del papato di questa assurda supremazia.”
Stai presentando la disputa tra ortodossi e cattolici come se i cattolici dovessero abbandonar e il surplus per tornare alla fede ortodossa. Hai mai pensato che il problema non sia che i cattolici abbiano aggiunto qualcosa, bensì che gli ortodossi abbiano tolto? E che dunque il problema non è la volontà di dominio del papato, ma la volontà di disobbedienza ed anarchismo dell’ortodossia?
Naturalmente si può dire che la dottrina del primato nei secoli s’è modificata, ma il fatto che in Occidente sia cresciuta, nel senso che ha assunto forme di esercizio diverse, non implica che in Oriente non sia invece diminuita rispetto a quello che era nel I millennio. Sono i Concili Ecumenici stessi a stabilire la supremazia di Roma, Nicea in primis. Semmai l’insofferenza di Costantinopoli verso Roma, tutta bizantina, dipende dal fatto che i cosiddetti “romaioi” di Bisanzio si credevano la Nuova Roma, con l’impero che è il Nuovo Israele e Santa Sofia il nuovo tempio di Salomone. Essendo privi di pedigree apostolica, poiché Costantinopoli non è una comunità fondata da un apostolo, i bizantini cercarono di contrabbandare l’idea che Roma avesse una preminenza in quanto era la capitale dell’impero romano, e che dunque Costantinopoli, in quanto capitale dell’impero d’Oriente, dovesse ereditare i privilegi di Roma. Ovviamente l’idea era folle, perché mai i cristiani si sarebbero sognati di dare dei privilegi alla sede romana perché capitale dell’impero pagano che li perseguitava, se Roma aveva una preminenza era per la morte di Pietro e Paolo e la loro predicazione.
“Immaginiamoci se mille anni fa il patriarca di costantinopoli si fosse autoreferenziato come il patriarca supremo della chiesa cattolica, oggi staremmo quì a discutere sulla fondatezza di una cosa del genere”
Non poteva farlo, proprio perché Costantinopoli è venuta fuori dal nulla, e anzi, se non fosse stata la capitale dell’impero, avrebbe dovuto essere sotto Gerusalemme Antiochia ed Alessandria, non potendo vantare alcun pedigree apostolico.
“ontinuo a credere che la chiesa debba avere come capo Gesù Cristo e che ci debba essere parità assoluta tra i principali vescovi della terra e che ogni decisione dottrinale continui ad essere sancita dai concili veramente universali, esattamente come è stato per un millennio.”
Come è stato nel primo millennio nella propaganda ortodossa…Basti pensare ad esempio che nel caso del cosiddetto brigantaggio di Efeso, la scusa che usò il partito che oggi considereremmo ortodosso per invalidare quelle decisioni fu che esse erano state prese contro la cattedra di Roma ed in assenza dei romani….
Per Luciano
“o controllato le occorrenze di Pietro e Paolo.
Se vogliamo sapere chi fu il primo papa dal numero di volte in cui è stato citato nel NT, scopriremo che il primo papa fu Paolo
Paolo batte Pietro 189 a 183
criterio di ricerca:
conteggio dei versetti contenenti o Pietro o Simone o(Pietro e Simone) riferiti alla persona di Pietro apostolo:”
1)CI interessava stabilire un primato nel collegio apostolico. Paolo non era in gara. Il fatto che abbia un mucchio di ricorrenze dipende dal fatto che sono a lui “attribuite” ben 14 lettere contro le sole due di Pietro, ma se stiamo alla vita di Cristo, per vedere chi fosse in primo piano durante la predicazione di Gesù, Pietro surclassa qualsiasi altro apostolo, infatti dicevo di fare un confronto con Giacomo.
2)Il tuo calcolo è errato. Se hai fatto come hai scritto, hai cercato solo Pietro o Simone e non Cefa….
Per Vincy
“Rispondo.
Il fatto che una comunità accademica prenda per pazzo qualcuno non è una novità. Come pure una chiesa.”
No guarda, le sue teorie sono state demolite e s’è visto che stava sognando vedendo cose che neppure erano scritte, e si sa da anni. Puoi leggere qualche recensione accademica dei suoi libri:
http://www.christianismus.it/modules.ph ... d=9&page=5" target="_blank
http://www.christianismus.it/modules.ph ... le&sid=121" target="_blank
“o. Non capisco cosa c'entri affermare che se non si riconosce il primato di Pietro allora cade il canone delle scritture.
Perché? Una chiesa può divenire corrotta allontanarsi dal cristianesimo fondersi con altre religioni e teorie estranee al cristianesimo eppure mantenere l'autorità di rappresentare la Chiesa originale e imporre col suo potere (o meglio i suoi vari poteri) questa autorità serbando per essa la facoltà di emettere sentenze definitive su varie questioni.”
Perché se non sono infallibili, e tu li dici corrotti con varie dottrine, allora non c’è alcun motivo di pensare che il canone non sia una dottrina corrotta tra le tante altre. Se non sono sempre infallibili, nulla garantisce che lo fossero quando è stato fissato il canone nel IV secolo. In tale data facevano già parte della Chiesa un mucchio di dottrine che il protestantesimo rigetta in toto. Viene dunque da chiedersi come sia possibile che questo branco di apostati abbia avuto la possibilità di fissare un canone corretto. Ma in realtà il problema non è se la Chiesa abbia sancito un canone divinamente ispirato, ma come dovremmo fare noi a sapere che, tra le mille apostasie di costoro, quella decisione tra le altre chiamata canone sarebbe corretta.
“Se in una comunità i capi originali diventano corrotti o vengono sostituiti da altri capi che prendono il potere e lo mantengono per secoli, è chiaro che l'autorità decisionale è mantenuta e nella comunità essi rappresentano l'autorità definiva, e chiaramente questi nuovi capi sono in possesso di tutte le documentazioni precedenti e ne detengono la proprietà.
Questo non vuol dire che io debba per forza riconoscere che quei capi siano legittimi”
Il problema di questo ragionamento è che se hanno potuto diventare illegittimi, è perché ovviamente non sono infallibili, ma se non sono infallibili, che garanzia c’è che lo fossero nel IV secolo quando s’è fissato il canone? Inoltre, tu da quando faresti iniziare questa apostasia ed illegittimità?
Ad maiora
Inviato: 07/03/2010, 16:31
da Trianello
Caro Teodoro, mi scuso ancora se non posso rispondere al tuo post con la dovizia di particolari che meriterebbe, ma in questi giorni sono troppo preso da altre faccende per poter seguire il Forum così come vorrei e dovrei fare... comunque, accontentiamoci.
Scrivi:
Menomale, tra tre mesi avrò anche un baccalaureato in teologia papista alla disgustosa Gregoriana, e di trattati di ecclesiologia ne ho piene le tasche (notare l'eufemismo)
Uhm... non mi è chiaro se l'eufemismo sia “papista” o “disgustosa Gregoriana”. Chiedo lumi a tal proposito.
Altra cosa, certo con la stima profonda che provi per i gesuiti il fatto che hai deciso di studiare alla Gregoriana può essere sintomo di due cose: o c'è in te una vena nascosta di masochismo che cerchi di sublimare in questo modo, oppure hai deciso di “formarti” in un ateneo dove “per statuto” praticamente tutti gli autori dei testi che avresti studiato avrebbero avuto una S.J. vicino al nome proprio al fine di cavartela con un comodo argumentum ad hominem quando si trattava di scartare delle nozioni che avrebbero potuto mettere in crisi le tue consolidate certezze.
Bene, allora chiediti perché in giro non ci sono storici senza scritto davanti S.J. che ritengono che l'ecclesiologia del primato-infallibilità-giurisdizione intergalattica-superiorità ai concili sia quella del primo millennio.
Veramente lo credono tutti coloro che analizzino i dati in modo obbiettivo, ovviamente nella misura in cui una dottrina la cui definizione e recezione è stata in fieri per quasi due millenni può consentirlo.
Puoi tranquillamente depennare il canone 28,
No, non lo scarto, perché proprio questo tentativo di furto da parte dei “santissimi” padri orientali ci testimonia quanto il “primato” (nota le virgolette) della cattedra di Roma fosse un fatto assodato a cui bisognava porre rimedio accostando al successore di Pietro il “cappellano” dell'imperatore.
Io non confondo proprio nulla, il primato e l'infallibilità sono puntualmente insieme nelle "verità del primo grado" in qualsiasi immondo manuale di teologia fondamentale. Che siano distinte non me ne frega niente perché questa roba nella tradizione semplicemente non esiste, e metterle nel novero del deposito della fede insieme alla Trinità e ai dogmi cristologici è quanto di più blasfemo io riesca a pensare.
Caro amico, la distinzione è invece essenziale. Il primato, infatti, concerne una questione giurisdizionale e quindi ha una valenza pastorale, mentre l'infallibilità concerne la dottrina e ha quindi una valenza d'ordine dogmatico (questo a prescindere dal fatto che si tratta di due dottrine definite e che quindi godono della medesima nota teologica). La storia della recezione ecclesiale di queste due prerogative del vescovo di Roma non è sempre andata di pari passo, ergo bisogna distinguere necessariamente le cose. In fondo, se ci pensi bene, il primato del vescovo di Roma così come è concepito dall'ecclesiologia cattolica non è molto dissimile (attenzione, non sto dicendo che sia la stessa cosa, sto dicendo che non è poi così dissimile) dal “primato” (prego di notare di nuovo le virgolette) che il patriarca di Mosca esercita su tutte le Russie ed aspirerebbe ad esercitare su tutto il mondo ortodosso. Le cose, invece, sono molto diverse per ciò che concerne l'infallibilità (tanto è vero che la recezione della stessa ha avuto una storia assai più tortuosa che non quella del primato).
Questa affermazione è vera solo se non capisci la differenza tra forma e sostanza. Nel 50 d.C. con 20 cristiani a Corinto, 50 a Filippi, 25 a Roma, etc non hai bisogno neanche dei vescovi. Quando la Chiesa è su scala planetaria servono vescovi ausiliari, diaconi, metropoliti, in una parola una struttura che tenga insieme tutta la baracca.
Il problema, infatti, sta tutto nel modo in cui (cambiando le proporzioni numeriche e geografiche della Chiesa) le ecclesiologie d'Occidente e d'Oriente si sono attenute al modello ideale che, in piccolo, emerge chiaramente dal NT, sia nelle dichiarazioni pre-pasquali di Gesù riportate nei Vangeli (che a prescindere dall'ambiente storico-geografico in cui sono state redatte nel modo in cui sono giunte fino a noi, sono da considerarsi come Parola di Dio e, pertanto, aventi valore “dogmatico”), che nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli: immagine in cui spicca chiaramente la figura di quel Pietro a cui Gesù, per fare della sua Chiesa un solo gregge sotto un solo pastore, aveva affidato il compito di pascere le sue pecore.
Un prestigio tale che la vicina chiesa di Cartagine protesta continuamente per l'invadenza di Roma, reclamando la sua autonomia. Almeno fino a quando non viene annientata dai Vandali. Finiamola, nessuno mette in discussione che Roma sia una sede importante, ma tra questo e il vostro imperatore-dio vestito da babbo natale c'è un abisso.
Il prestigio di Roma su tutte le altre Chiese è un dato innegabile. Il fatto che molte Chiese abbiano faticato parecchio ad accettare la “supremazia” di Roma, specie in Oriente (dove, in effetti, si ebbe per tutto il I millennio un andamento altalenante su questo punto), non è che rende l'ecclesiologia “romana” meno coerente con quella fondata da Cristo, così come il fatto che molti vescovi e chiese faticarono non poco ad accettare la dottrina trinitaria così come stabilita da Niece-Costantinopoli non è che rende la medesima meno vera da un punto di vista dottrinale.
Certo che non è un caso, il pensiero personale di Teodosio (che era in Italia sotto lo scacco costante di Ambrogio) non ha nulla a che fare con quello della Chiesa.
Sì, è sempre la solita storia. Tutte le attestazioni del superiore prestigio di Roma sulle altre cattedre ecclesiali sono frutto di contingenza e non ci dicono nulla sul ruolo e sul prestigio senza eguali che questa specifica chiesa ricopriva nei primi secoli del Cristianesimo. A me questo metodo di interpretare il dati storici ricorda tanto quello con cui i TdG operano le proprie scelte traduttive in ambito biblico e che tu sei stato così bravo a stigmatizzare nel tuo volume dedicato all'argomento.
Vabbè, ma magari questo dipende dal fatto che sui miei manuali di ecclesiologia gli autori hanno OP che segue il nome invece di SJ.
Sono d'accordo. Facciamo governare la Chiesa a Pietro, di certo farà meno danni un sant'uomo morto duemila anni fa che un pazzo che pensa di essere infallibile e superiore alla somma di tutti i vescovi del pianeta. E poi ve la prendete col Corpo Direttivo... mah.
Quanto dici, oltre a testimoniare un livore ed un'acredine che non ti fa molto onore (visto che, per inciso, sei qui con la pretesa di darci lezioni di cristianesimo) e dimostra che, nonostante i manuali che hai macinato alla Gregoriana non hai ancora le idee chiarissime sul ruolo ed i limiti che la dottrina del primato prevede e che, appunto, concede al papa tutt'altro che un potere assoluto, ma appunto un ruolo di tipo arbitrale (il che è in perfetta continuità con quanto accadeva fin dai primi secoli in cui nei momenti di difficoltà ci si appellava al vescovo di Roma perché questo si pronunciasse sull'ortodossia o meno di dottrine discusse). Da che il concetto di infallibilità è stato definito i pontefici se ne sono avvalsi solo due volte ed in entrambe queste occasioni hanno definito delle dottrine pacificamente accettate dalle Chiese in comunione con la cattedra di Pietro, ratificando semplicemente quelle che il sensus fidelium già de facto considerava come delle dottrine di fede divina rivelata, senza che ci fosse bisogno di convocare un Concilio per discuterle.
Tenetevi pure Medjugorie, i neocatecumenali, i carismatici, i lefebriani facendo finta che tutta questa gente sia in comunione di fede, noi stiamo benissimo così.
Me li tengo volentieri, così come mi tengo Francesco d'Assisi e Madre Teresa di Calcutta... basta che voi vi teniate “san” Nicola II Zar di tutte le Russie.
Inviato: 08/03/2010, 0:52
da teodoro studita
Uhm... non mi è chiaro se l'eufemismo sia “papista” o “disgustosa Gregoriana”. Chiedo lumi a tal proposito.
Altra cosa, certo con la stima profonda che provi per i gesuiti il fatto che hai deciso di studiare alla Gregoriana può essere sintomo di due cose: o c'è in te una vena nascosta di masochismo che cerchi di sublimare in questo modo, oppure hai deciso di “formarti” in un ateneo dove “per statuto” praticamente tutti gli autori dei testi che avresti studiato avrebbero avuto una S.J. vicino al nome proprio al fine di cavartela con un comodo argumentum ad hominem quando si trattava di scartare delle nozioni che avrebbero potuto mettere in crisi le tue consolidate certezze.
Non ho certezze consolidate, e non sono masochista. Devo avere l'equiparazione al baccalaureato e alla licenza per poter andare avanti nel dottorato, quindi lo faccio perché devo farlo, stop. Per fortuna invece di 6 anni ne farò solo 2 (ora 1 e 1/2) in virtù del curriculum precedente.
Caro amico, la distinzione è invece essenziale. Il primato, infatti, concerne una questione giurisdizionale e quindi ha una valenza pastorale, mentre l'infallibilità concerne la dottrina e ha quindi una valenza d'ordine dogmatico (questo a prescindere dal fatto che si tratta di due dottrine definite e che quindi godono della medesima nota teologica).
"Appunto, "valenza" non vuol dire un accidente in teologia. Dal punto di vista del tipo di "verità" e del vincolo che impongono sono esattamente sullo stesso piano, che è quello della fede in un dato divinamente rivelato. Che abbia una valenza pastorale o no non c'entra nulla, né interessa nulla all'economia di questo discorso. Ciò che io trovo assurdo è che questa roba venga fatta rientrare sul piano della fede, e che il dissenso causi la forma più alta di condanna, cioè l'anatema. La stessa che uno si becca se dice che Cristo non è Dio, questo per me è del tutto inaccettabile.
La storia della recezione ecclesiale di queste due prerogative del vescovo di Roma non è sempre andata di pari passo, ergo bisogna distinguere necessariamente le cose.
Non ai fini del nostro discorso, perché noi oggi siamo nel 2010 e ci basiamo sulla teologia e sul diritto canonico del 2010. Se una cosa è diventata irreformabile non ce ne importa nulla se mille anni fa non lo era.
In fondo, se ci pensi bene, il primato del vescovo di Roma così come è concepito dall'ecclesiologia cattolica non è molto dissimile (attenzione, non sto dicendo che sia la stessa cosa, sto dicendo che non è poi così dissimile) dal “primato” (prego di notare di nuovo le virgolette) che il patriarca di Mosca esercita su tutte le Russie ed aspirerebbe ad esercitare su tutto il mondo ortodosso.
Delle tue illazioni su cosa vorrebbe fare il patriarca non so che farmene. Di certo non pretende niente di diverso da ciò che pretendono tutti gli altri patriarchi, cioè la presidenza del santo sinodo della sua chiesa. Nessuno pretende giurisdizione intergalattica, infallibilità e superiorità ai concili.
Le cose, invece, sono molto diverse per ciò che concerne l'infallibilità (tanto è vero che la recezione della stessa ha avuto una storia assai più tortuosa che non quella del primato).
Perché tortuosa? Pio IX ha indetto un concilio fantoccio a cui ha graziosamente letto le sue decisioni e sebbene la maggioranza fosse ampiamente recalcitrante nessuno ha voluto rischiare le proprie chiappe. Hai mai letto Döllinger?
Il problema, infatti, sta tutto nel modo in cui (cambiando le proporzioni numeriche e geografiche della Chiesa) le ecclesiologie d'Occidente e d'Oriente si sono attenute al modello ideale che, in piccolo, emerge chiaramente dal NT, sia nelle dichiarazioni pre-pasquali di Gesù riportate nei Vangeli (che a prescindere dall'ambiente storico-geografico in cui sono state redatte nel modo in cui sono giunte fino a noi, sono da considerarsi come Parola di Dio e, pertanto, aventi valore “dogmatico”), che nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli: immagine in cui spicca chiaramente la figura di quel Pietro a cui Gesù, per fare della sua Chiesa un solo gregge sotto un solo pastore, aveva affidato il compito di pascere le sue pecore.
Talmente chiaramente che in 4 patriarcati su 5 (Antiochia compresa, che avrebbe avuto più diritto di tutti a intenderla così) a nessuno è mai balzata in mente l'idea del primato come esercitato nel II millennio. E poi, anche se provassimo che Pietro esercitava tale primato sugli apostoli (cosa che non ho mai sentito dire a nessuno studioso del pianeta che non ricevesse uno stipendio dal Vaticano), cosa a che fare questo col papa di Roma? Perché dovrebbe essere trasmissibile? E perché mai al vescovo di Roma e non a quello di Antiochia?
Il prestigio di Roma su tutte le altre Chiese è un dato innegabile. Il fatto che molte Chiese abbiano faticato parecchio ad accettare la “supremazia” di Roma, specie in Oriente (dove, in effetti, si ebbe per tutto il I millennio un andamento altalenante su questo punto), non è che rende l'ecclesiologia “romana” meno coerente con quella fondata da Cristo
L'ecclesiologia fondata da Cristo era una perla che ancora mi mancava. Penso che siano almeno 100 anni che nessuno si esprime in questi termini. Per me è già tanto che abbia fondato una Chiesa, oggi moltissimi autori contestano anche questo, e con ottimi motivi.
, così come il fatto che molti vescovi e chiese faticarono non poco ad accettare la dottrina trinitaria così come stabilita da Niece-Costantinopoli non è che rende la medesima meno vera da un punto di vista dottrinale.
Con la non piccola differenza che la dottrina trinitaria l'ha stabilita tutta la Chiesa, l'ecclesiologia da Ildebrando in poi l'ha stabilita il papato referenziato da se stesso, e ti meravigli che gli altri non l'abbiano mai accettata?
Sì, è sempre la solita storia. Tutte le attestazioni del superiore prestigio di Roma sulle altre cattedre ecclesiali sono frutto di contingenza e non ci dicono nulla sul ruolo e sul prestigio senza eguali che questa specifica chiesa ricopriva nei primi secoli del Cristianesimo.
Un prestigio enorme... la somma dei vescovi romani che partecipa ai sette concili ecumenici è inferiore a quella dei vescovi orientali che partecipano al concilio meno affollato. È già tanto che gli si faccia la cortesia di notificare ciò che si decide (nella speranza che i barbari latini capiscano, speranza spesso mal riposta, si veda ad es. il famoso caso di Francoforte che sconfessa i canoni di Nicea II) Certamente il patriarca di Roma partecipa di diritto (più o meno direttamente) e la sua sede è importante (almeno a livello teorico), ma tra questo e il primato del II millennio c'è un abisso incolmabile. È chiaro che con la storia scritta dai vincitori non si va molto più in là del proprio naso ma se si guardano un po' le fonti (evitando la forgery isidoriana, possibilmente) lo scenario è molto chiaro.
A me questo metodo di interpretare il dati storici ricorda tanto quello con cui i TdG operano le proprie scelte traduttive in ambito biblico
Questo probabilmente perché non sei uno storico?
Quanto dici, oltre a testimoniare un livore ed un'acredine che non ti fa molto onore (visto che, per inciso, sei qui con la pretesa di darci lezioni di cristianesimo)
Lezioni di cosa ?!? Io rispondo con il giusto sdegno dell'intera cristianità orientale alle assurde pretese di un uomo che si ritiene infallibile di riscrivere i libri di storia a suo uso e consumo. Non sono in grado di dare "lezioni di cristianesimo", ma forse lezioni di storia si, mi limito a questo e a fare notare che la posizione cattolica è piuttosto isolata.
e dimostra che, nonostante i manuali che hai macinato alla Gregoriana non hai ancora le idee chiarissime sul ruolo ed i limiti che la dottrina del primato prevede e che, appunto, concede al papa tutt'altro che un potere assoluto
È proprio la mole di manuali (ma soprattutto di documenti magisteriali) macinati che so benissimo che il potere del papa è completamente assoluto. Anche l'assurdità di dire che se per assurdo il papa insegnasse una cosa palesemente contraria alla Chiesa intera allora
ipso facto non sarebbe più il papa cade a pezzi alla semplice applicazione delle norme del diritto canonico. Questo infatti prevede che il papa non può essere giudicato da nessuno, norma inventata di sana pianta da un episodio altrettanto di fantasia ambientato al Concilio di Nicea e inserito nelle decretali pseudo-isidoriane, poi in Graziano, Bonifacio VIII, Costanza, Vaticano I e così via fino ad oggi, quando chiunque sa benissimo che è una forgery. Quindi anche in questo caso nessuno potrebbe notificare al papa che in realtà non è più il papa. Più ab-solutum (proprio in senso etimologico) di così non vedo proprio cosa possiamo immaginarci. Ma hai studiato il diritto canonico?
, ma appunto un ruolo di tipo arbitrale (il che è in perfetta continuità con quanto accadeva fin dai primi secoli in cui nei momenti di difficoltà ci si appellava al vescovo di Roma perché questo si pronunciasse sull'ortodossia o meno di dottrine discusse).
Sconsiglio di appellarsi a papa Onorio nel caso del monotelismo, visto che un concilio ecumenico (riconosciuto come tale anche da Roma) lo condanna per eresia.
Me li tengo volentieri, così come mi tengo Francesco d'Assisi e Madre Teresa di Calcutta... basta che voi vi teniate “san” Nicola II Zar di tutte le Russie.
Anche identificando Nicola II con i suoi cattivi consiglieri (ma hai studiato storia sui libri sovietici?) dieci Nicola non fanno uno Stepinac.
In ogni modo non hai minimamente afferrato il senso della frase. Io non criticavo nessun santo, ma facevo notare che l'unità della Chiesa Cattolica esiste solo sulla carta. Prova a mettere un Medjugorista vicino a un Lefebriano e vedrai.
Ciao,
Inviato: 10/03/2010, 1:46
da Trianello
Ancora una volta mi scuso se non potrò dilungarmi su questo argomento come vorrei, ma impegni molto più pressanti mi spingono ad economizzare il tempo che posso spendere qui nel Forum. Onestamente, oggi sono piuttosto stanco e non ho né le forza né la voglia di mettermi qui a copiare citazioni ed elaborare forbite argomentazioni. Se ce le farò, approfondirò la questione nei prossimi giorni.
Teodoro ha scritto:
"Appunto, "valenza" non vuol dire un accidente in teologia. Dal punto di vista del tipo di "verità" e del vincolo che impongono sono esattamente sullo stesso piano, che è quello della fede in un dato divinamente rivelato. Che abbia una valenza pastorale o no non c'entra nulla, né interessa nulla all'economia di questo discorso.
Si tratta di due questioni diverse e la loro distinzione è funzionale al discorso che qui si va facendo perché, per quanto queste siano giunte ad ottenere una definizione dogmatica nella stessa circostanza storica, la storia del loro sviluppo e della loro recezione non ha sempre corrisposto, il che va tenuto in conto quando si citano le fonti. per verificare a quale di queste delle due prerogative della Chiesa di Roma e del suo Vescovo ci si stia riferendo nello specifico. Comunque, procediamo.
Non ai fini del nostro discorso, perché noi oggi siamo nel 2010 e ci basiamo sulla teologia e sul diritto canonico del 2010. Se una cosa è diventata irreformabile non ce ne importa nulla se mille anni fa non lo era.
Certo, le definizioni dogmatiche rimangono, ma quale interpretazione dare alle medesime? Se la Scrittura può essere interpretata con l'ausilio del metodo storico-critico, questo vale anche per le definizioni dogmatiche e per i canoni dei concili, i quali, come la scrittura, sono sottoposti a dei “limiti” dettati dal contesto storico-culturale in cui furono formulati.
Ora, le definizioni dogmatiche del Vatinano I (ma soprattutto le loro immediate interpretazioni in seno alla Chiesa) furono influenzate dalla temperie anti-gallicana in cui il Concilio si svolse. Le interpretazioni successive delle stesse, specie la loro recezione da parte del Vaticano II, hanno di gran lunga smorzato i toni “assolutistici” con cui queste furono accolte da principio, snaturandone in parte il senso ed irrigidendone la posizione in un modo che le stesse non autorizzavano a fare. Il tutto viene chiarito con estrema competenza da Tillard nel suo “Il vescovo di Roma”, volume già citato da Polymetis.
Delle tue illazioni su cosa vorrebbe fare il patriarca non so che farmene. Di certo non pretende niente di diverso da ciò che pretendono tutti gli altri patriarchi, cioè la presidenza del santo sinodo della sua chiesa. Nessuno pretende giurisdizione intergalattica, infallibilità e superiorità ai concili.
Quello a cui ha mirato storicamente il Patriarcato di Mosca è dimostrato ampiamente dai conflitti da questo avuti nel corso dei secoli con le altre realtà del mondo ortodosso e la costante opposizione da questo dimostrata contro le aspirazioni all'autocefalia di tante Chiese dell'area slava. Ovviamente, a me, da cattolico, va benissimo che un Patriarca punti a voler fare della Chiesa di Cristo un solo gregge, per cui, ritengo (entro certi limiti) le aspirazioni moscovite in questo senso lecite. Il problema sta tutto nel vedere a quale cattedra episcopale spetti il compito di pascere il gregge di Cristo nel suo complesso.
Da un punto di vista cattolico, non ha molto senso quello che dici poi a riguardo del rapporto tra papa e concilio, questo perché non si dà concilio senza papa, in quanto le decisioni di qualsiasi concilio non sono valide se queste non sono recepite dal papa. E questo è dimostrato ampiamente anche da quanto scrissero gli orientali a papa Leone cercando di fargli sottoscrivere il famigerato canone 28 di Calcedonia, rivolgendosi a lui come “il fedele interprete di Pietro” e come colui che faceva condividere alla Chiesa la fede di Pietro (Mansi 6, 972).
Perché tortuosa? Pio IX ha indetto un concilio fantoccio a cui ha graziosamente letto le sue decisioni e sebbene la maggioranza fosse ampiamente recalcitrante nessuno ha voluto rischiare le proprie chiappe. Hai mai letto Döllinger?
Ho letto Dollinger così come ho letto Tillard e Schatz e le giuste critiche che questi fanno ad uno storico che era esplicitamente contrario a quanto si andava definendo durante il Vaticano I.
Talmente chiaramente che in 4 patriarcati su 5 (Antiochia compresa, che avrebbe avuto più diritto di tutti a intenderla così) a nessuno è mai balzata in mente l'idea del primato come esercitato nel II millennio
La Chiesa di Roma è sempre stata considerata in tutta la cristianità come la pietra di paragone della fede. Già Ireneo scriveva:
“Ma poiché sarebbe troppo lungo in quest'opera enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosi apostoli Pietro e Paolo. Mostrando la tradizione ricevuta dagli apostoli e la fede (cf. Rm 1,8) annunciata agli uomini che giunge fino a noi attraverso le successioni dei vescovi… Infatti con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte — essa nella quale per tutti gli uomini è sempre stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli.”
La Chiesa di Roma era considerata la Chiesa in cui avevano insegnato i due apostoli Pietro e Paolo ed in cui questi, con il martirio, avevano dato la massima testimonianza di fede. A me sembra che le parole di Ireneo non lascino molto spazio al dubbio. Certo, tu mi dirai che Ireneo scriveva dalle Gallie e per questo prendeva in considerazione Roma e che se avesse scritto dalla Siria avrebbe parlato di Antiochia, magari. Ma se così fosse stato, Ireneo, a mio modestissimo avviso, si sarebbe astenuto dall'usare espressioni tanto forti parlando della chiesa di Roma come quella dall'origine “più eccellente” con la quale “deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte” e come la Chiesa per tramite della quale “per tutti gli uomini” viene conservata la tradizione che viene dagli apostoli.
Ovviamente Ireneo è solo uno dei Padri che ci testimoniano la preminenza di Roma su tutte le altre Chiese della cristianità, comprese quelle di sicura origine apostolica.
L'ecclesiologia fondata da Cristo era una perla che ancora mi mancava. Penso che siano almeno 100 anni che nessuno si esprime in questi termini. Per me è già tanto che abbia fondato una Chiesa, oggi moltissimi autori contestano anche questo, e con ottimi motivi.
E' ovvio che i detti gesuani di carattere più spiccatamente ecclesiologico che appaiono nei Vangeli non sono probabilmente letteralmente di Gesù (come probabilmente tutti o quasi i detti di Gesù che appaiono nella Scrittura non sono gli “ipsissima verba Christi”), ma, come dicevo, il NT è parola di Dio (o vuoi contestare pure questo) e, pertanto, va considerato come vincolante a prescindere dall'origine storico-geografica dei suoi singoli brani o versetti. Ora, è un dato lampante a chiunque legga gli Atti degli Apostoli senza avere gli occhi foderati dal prosciutto del pregiudizio anti-papista che in questo testo, che ci descrive una visione idealizzata di quella che avrebbe dovuto essere la comunità dei credenti (la Chiesa), Pietro ha un ruolo preminente tra gli apostoli (per confermartelo, se vuoi, posso citare alcuni passi di Padri greci del I millennio che definiscono Pietro come “il principe degli apostoli” o cose di questo genere, e che quindi questa preminenza di Pietro nel gruppo apostolico l'avevano scorta nella Scrittura).
Un prestigio enorme... la somma dei vescovi romani che partecipa ai sette concili ecumenici è inferiore a quella dei vescovi orientali che partecipano al concilio meno affollato.
Questo perché i Concili venivano celebrati in Oriente e in un'epoca in cui l'Occidente non era propriamente un posticino tranquillo in cui vivere e viaggiare. Si tratta di fattori assolutamente contingenti. Sta di fatto che la conditio sine qua non della validità di un Concilio e dei suoi canoni era l'accettazione da parte di Roma (come ci testimoniano i succitati tentativi da parte degli Orientali di far accettare a papa Leone il sempre succitato canone 28 di Calcedonia che voleva equiparare Costantinopoli a Roma).
Questo probabilmente perché non sei uno storico?
Uhm... il mio curriculum accademico direbbe il contrario, comunque, in effetti, non sono uno storico di professione. I miei studi epistemologici, però, mi mettono in grado di riconoscere un “pregiudizio” in azione.
Quindi anche in questo caso nessuno potrebbe notificare al papa che in realtà non è più il papa. Più ab-solutum (proprio in senso etimologico) di così non vedo proprio cosa possiamo immaginarci. Ma hai studiato il diritto canonico?
Certo che ho studiato diritto canonico (si tratta di un esame costitutivo in ogni corso di teologia cattolica e, pur non avendo ancora conseguito il titolo per mancanza di tempo da dedicare ai corsi, ho frequentato per un certo periodo una facoltà teologica). Il succitato Tillard prende in esame questo problema e fa notare come qui ci sia una sorta “falla” nel diritto canonico (anche se lui parla del diritto canonico secondo il codice del '17). Il Codice di Diritto Canonico attualmente vigente non è stato in grado, a detta di molti canonisti, di recepire compiutamente la lettura che il Vaticano II ha dato all'idea del primato del Vescovo di Roma come di un primato di tipo arbitrale ed all'infallibilità del medesimo in materia di fede come espressione della collegialità dei vescovi e, in ultima analisi, del “sensus fidelium”, rendendo de facto "giuridicamente" ingestibile una situazione straordinaria in cui un papa impazzisse e si mettesse a contraddire quanto definito da un concilio ecumenico. Personalmente, confido in molto nello Spirito Santo (che fino ad oggi è stato in grado di evitare una situazione del genere e credo che lo farà anche per il futuro) e nella perfettibilità del Codice di Diritto Canonico, anche se ritengo che nessun codice potrà mai essere perfetto e che, in talune circostanze estreme, divenga necessario per i cristiani esercitare la virtù dell'epicheia.
Sconsiglio di appellarsi a papa Onorio nel caso del monotelismo, visto che un concilio ecumenico (riconosciuto come tale anche da Roma) lo condanna per eresia.
Le famose proposizioni eretiche di papa Onorio (ammesso che lo fossero davvero) non furono espresse dal suddetto nell'esercizio delle proprie funzioni di vescovo e, pertanto, non ex cathedra, ma in forma privata. Onorio, quindi, se fu eretico, lo fu in quanto “privato cittadino” e non in quanto rappresentante ufficiale della Chiesa di Roma. Nel suo magistero, Onorio, infatti, non espresse mai nulla di eretico. Del resto, di queste cose si discusse ampiamente prima e durante il Vaticano I.
Inviato: 10/03/2010, 22:49
da teodoro studita
1
Le rôle de l’évêque de Rome dans la communion de
l’Eglise pendant le premier millénaire
Le comité mixte de coordination pour le dialogue théologique entre l’Eglise
catholique romaine et l’Eglise orthodoxe
Agios Nikolaos, Crète, Grèce, du 27 septembre au 4 octobre, 2008
Introduction
1. Dans le document rédigé à Ravenne, « Les conséquences ecclésiologiques
et théologiques de la nature sacramentelle de l’Eglise – Communion
ecclésiale, conciliarité et autorité », les délégués catholiques romains et
orthodoxes reconnaissent le lien inséparable entre la conciliarité et la
primauté à tous les niveaux de la vie de l’Eglise : « La primauté et la
conciliarité sont mutuellement interdépendantes. C’est pour cette raison
que la primauté aux différents niveaux de la vie de l’Eglise, local, régional
et universel, doit être toujours considérée dans le contexte de la
conciliarité et de même, la conciliarité dans le contexte de la primauté »
(document de Ravenne, n. 43). Les catholiques romains et les orthodoxes
étaient également d’accord pour affirmer que « selon l’ordre canonique
(la taxis) dont témoigne l’Eglise ancienne », ordre « reconnu par tous à
l’époque de l’Eglise indivise », « Rome, en tant que l’Eglise qui « préside
dans l’amour » selon la phrase de saint Ignace d’Antioche, occupa la
première place dans la taxis et que l’évêque de Rome était par conséquent
le protos parmi les patriarches » (nn. 40, 41). Le document mentionne le
rôle actif et les prérogatives de l’évêque de Rome en tant que « protos
parmi les patriarches », « protos des évêques des sièges principaux » (nn.
41, 42, 44) et le document en tire la conclusion que « l’étude du rôle de
l’évêque de Rome dans la communion de toutes les Eglises doit être
approfondie ». « Quelle est la fonction spécifique de l’évêque du premier
siège dans une ecclésiologie de koinonia ? » (n. 45).
2. Le thème de la prochaine étape du dialogue théologique est donc : « Le
rôle de l’évêque de Rome dans la communion de l’Eglise au premier
millénaire ». Le but est une compréhension approfondie du rôle de
l’évêque de Rome pendant la période où les Eglises d’Occident et
2
d’Orient étaient en communion, malgré certaines divergences entre elles.
Cet approfondissement doit permettre de répondre à la question posée ci-
dessus.
3. Le présent texte traitera de ce thème sous les quatre chefs suivants :
- L’Eglise de Rome, premier siège ;
- L’évêque de Rome comme successeur de Pierre ;
- Le rôle de l’évêque de Rome à des moments de crise dans la
communion ecclésiale ;
- L’influence de facteurs non théologiques.
L’Eglise de Rome, « premier siège »
4. Les catholiques romains et les orthodoxes sont en accord pour reconnaître
que, dès les temps apostolique, l’Eglise de Rome fut reconnue comme la
première parmi les Eglises locales, tant en Orient qu’en Occident. Les écrits des
Pères apostoliques témoignent clairement de ce fait. Rome, capitale de l’Empire,
a rapidement joui dans l’Eglise primitive d’une grande renommée comme lieu
de martyre des saints Pierre et Paul (cf. Rév 11 :3-12). Elle occupa une place
unique parmi les Eglises locales et exerça une influence unique. Vers la fin du
premier siècle, en invoquant l’exemple des martyrs Pierre et Paul, l’Eglise de
Rome écrivit une longue lettre à l’Eglise de Corinthe, qui venait de chasser ses
anciens (1 Clém. 1, 44) où elle encouragea le rétablissement de l’unité et de
l’harmonie (homonoia). La lettre fut rédigée par Clément, identifié par la suite
comme évêque de Rome (cf. Irénée, Adv. Haer., 3, 3, 2), bien que la forme
précise assumée à l’époque par la présidence à Rome reste à préciser.
5. Peu après, sur le chemin de son martyre à Rome, Ignace d’Antioche
s’adressa à l’Eglise de Rome en des termes qui indique l’estime qu’il avait pour
elle : « digne de Dieu, digne d’honneur, digne d’être appelée bienheureuse,
digne de succès, digne de pureté ». Il en parle comme celle qui « préside dans la
région des Romains » et aussi comme celle qui « préside dans la charité »
(« prokathemene tes agapes », Lettre aux Romains, « salutation »). On interprète
cette phrase de manières diverses mais elle semble indiquer que Rome jouait au
niveau régional un rôle d’ancienneté et de présidence et qu’elle se distinguait
dans les fondamentaux du christianisme, à savoir la foi et la charité. Ignace parle
également de Pierre et de Paul, qui avaient prêché aux romains (Romains, 4).
6. Irinée a souligné que l’Eglise de Rome était une référence sûre en matière
de doctrine apostolique. Il était nécessaire que toute Eglise soit en accord
3
(convenire) avec elle, « propter potentiorem principalitatem », phrase qui
pourrait signifier « à cause de son origine plus imposante » ou encore « à cause
de sa plus grande autorité » (Adv. Haer., 3, 3, 2). Tertullien aussi a loué l’Eglise
de Rome « sur laquelle les apôtres [Pierre et Paul] ont versé tout leur
enseignement avec leur sang ». Rome était la plus grande des Eglises
apostoliques et aucun des hérétiques qui y était allé en quête d’approbation
n’avait été reçu (cf. De Praescrip. 36). L’Eglise de Rome était ainsi une
référence tant pour la « règle de foi » que dans la recherche d’une résolution
pacifique de difficultés soit à l’intérieur de certaines Eglises, soit entre elles.
7. L’évêque de Rome était parfois en désaccord avec d’autres évêques.
Quant à la question de la date de Pâques, Anicet de Rome et Polycarpe de
Smyrne n’ont pu se mettre d’accord en l’an 154, mais ils ont maintenu les liens
de la communion eucharistique. Quarante ans plus tard, l’évêque Victor de
Rome fit convoquer des synodes pour régler le problème – un exemple
intéressant et ancien de synodalité, voire d’un pape qui encouragea la réunion de
synodes- et excommunia Polycrate d’Ephèse et les évêques d’Asie après que
leur synode eut refusé d’adopter l’usage romain. Irinée réprimanda Victor pour
sa sévérité et il semble que celui-ci révoqua sa sentence et que la communion fut
préservée. Vers le milieu du 3ième siècle, un important conflit surgit autour de la
question de savoir s’il fallait re-baptiser ceux baptisés par des hérétiques, lors de
leur réception dans l’Eglise. Invoquant la tradition locale, Cyprien de Carthage
et les évêques de l’Afrique du nord, appuyés par des synodes réunis autour de
l’évêque Firmilien de Césarée, dans l’est de la Méditerranée, ont soutenu que de
telles personnes devaient être baptisées à nouveau, tandis que l’évêque Etienne
de Rome, se référant à la tradition romaine et même à Pierre et à Paul (Cyprien,
Ep. 75, 6, 2), soutenait qu’ils ne devaient pas l’être. La communion entre
Etienne et Cyprien fut sérieusement compromise, mais non pas formellement
interrompue. Les premiers siècles montrent ainsi que les décisions et les points
de vue des évêques de Rome étaient parfois contestés par des frères dans
l’épiscopat. Ces siècles témoignent également de la vigueur de la vie synodale
de l’Eglise primitive. Les nombreux synodes africains de l’époque et la
correspondance soutenue entre Cyprien et Etienne et, surtout, avec son
prédécesseur, Corneille, indiquent un esprit intense de collégialité (cf. Cyprien,
Ep. 55, 6, 1-2).
8. Toutes les Eglises de l’Orient et de l’Occident croyaient que l’Eglise de
Rome occupait la première place (c.-à-d. la primauté) parmi les Eglises Cette
primauté résultait de plusieurs facteurs : de la fondation de cette Eglise par
Pierre et Paul et du sentiment de leur présence vivace en cette ville ; du martyre
à Rome de ces deux, les plus importants des apôtres (coryphées), du fait que
leurs tombes (tropaia) était dans la ville et du fait que Rome était la capitale et le
centre de communication de l’Empire.
4
9. Les premiers siècles montrent le lien fondamental et inséparable entre la
primauté du siège de Rome et la primauté de son évêque : chaque évêque
représente, personnifie et exprime son diocèse (cf. Ignace d’Antioche, aux
Smyrniotes 8 ; Cyprien, Ep. 66, 8). De fait, il serait impossible de parler de la
primauté d’un évêque sans parler de son siège. A partir de la seconde moitié du
deuxième siècle, on enseignait que la continuité de la tradition apostolique était
signifiée et exprimée par la succession des évêques des sièges fondés par les
Apôtres. L’Orient comme l’Occident ont continué à soutenir que la primauté du
siège précède la primauté de l’évêque et que celle-là est la source de celle-ci.
10. Cyprien croyait que l’unité de l’épiscopat et de l’Eglise étaient symbolisée
en la personne de Pierre, à qui la primauté avait été donnée, et en son siège et
que tous les évêques détenaient cette charge en commun (« in solidum » ; De
unit. ecc., 4-5). Le siège de Pierre se trouvait donc dans chaque diocèse, mais
particulièrement à Rome. Ceux qui se déplaçaient à Rome venaient « au siège de
Pierre, à l’Eglise primordiale, à la source même de l’unité épiscopale » (Ep. 59,
14, 1).
11. La primauté du siège de Rome en est venue à s’exprimer en différents
concepts : cathedra petri, sedes apostolica, prima sedes. Cependant,
l’affirmation du pape Gélase : « Le premier siège n’est jugé par personne »
(« prima sedes a nemine iudicatur » ; cf. Ep. 4, PL 58, 28B ; Ep. 13, PL 59,
64A), utilisée par la suite dans un contexte ecclésial et qui devint une source de
contentieux entre l’Orient et l’Occident, signifiait à l’origine tout simplement
que l’empereur ne pouvait pas juger le pape.
12. Les traditions orientale et occidentale reconnaissaient au premier parmi
les sièges patriarcaux un certain « honneur » (timi) qui n’était pas purement
honorifique (concile de Nicée, can. 6 ; concile de Constantinople, can. 3 ;
concile de Chalcédoine, can. 28). Cet honneur impliqua une « autorité »
(exousia ; cf. document de Ravenne, n. 12), qui était néanmoins « sans
domination, sans coercition physique ni morale » (doc. De Ravenne, n. 14). Bien
que les conciles œcuméniques fussent convoqués pendant le premier millénaire
par l’empereur, aucun concile ne pouvait être considéré comme œcuménique
sans le consentement du pape, accordé soit préalablement soit à posteriori. On
peut y voir une application au niveau universel de la vie de l’Eglise du principe
énoncé par le canon apostolique 34 : « Les évêques de chaque province (ethnos)
doivent reconnaître celui qui est le premier (protos) entre eux et le considérer
comme le chef (kephale) et ne rien faire d’important sans son consentement
(gnome) ; chaque évêque ne doit gérer que ce qui concerne son propre diocèse
(paroikia) et les territoires qui en dépendent. Mais le premier (protos) ne peut
rien faire sans le consentement de tous. Car de la sorte, la concorde (homonoia)
5
prévaudra et Dieu sera loué par le seigneur dans l’Esprit saint » (cf. Doc. De
Ravenne, n. 24). A tous les niveaux de la vie de l’Eglise, primauté et conciliarité
sont interdépendantes.
13. L’empereur Justinien (527-65) fixa dans le droit impérial l’ordre des cinq
sièges principaux, Rome, Constantinople, Alexandrie, Antioche et Jérusalem
(Novellae 131, 2 ; cf. 109, praef ; 123, 3). Il constitua ainsi le système connu
par la suite sous le vocable de la Pentarchie. L’évêque de Rome fut perçu
comme le premier dans l’ordre (taxis), sans néanmoins que la tradition
pétrinienne soit mentionnée.
14. L’époque du pape Grégoire 1er (590-604) a vu la continuation d’une
dispute qui avait déjà commencé sous le pape Pélage II (579-590) relative au
titre de « patriarche œcuménique » pour le patriarche de Constantinople. Des
compréhensions différentes en Orient et en Occident avaient donné lieu à cette
dispute. Grégoire a vu en ce titre une présomption intolérable et une violation
des droits canoniques des autres sièges orientaux, tandis qu’en Orient, le titre
était entendu comme une expression de droits majeurs à l’intérieur du patriarcat.
Par la suite, Rome accepta le titre. Grégoire dit que personnellement, il refusait
le titre de « pape universel » ; il se considérait honoré plutôt quand chaque
évêque recevait l’honneur qui lui était dû (« mon honneur est l’honneur de mes
frères », Ep. 8, 29). Il s’est donné pour titre « le serviteur des serviteurs de
Dieu » (servus servorum dei).
15. Le couronnement en l’an 800 de Charlemagne par le pape Léon III
marqua le début d’une nouvelle ère dans l’histoire des revendications papales.
Un facteur supplémentaire qui a abouti à des différends entre l’Est et l’Ouest fut
l’apparition des fausses Décrétales (c. 850), dont la visée était le renforcement
de l’autorité romaine afin de protéger les évêques. Les Décrétales jouèrent un
rôle immense pendant les siècles suivants, au fur et à mesure que les papes ont
progressivement commencé à agir dans l’esprit des Décrétales, qui déclarèrent,
par exemple, que toutes les causes majeures (causae maiores), en particulier la
déposition d’évêques et de métropolitains, étaient, en dernier ressort, la
responsabilité de l’évêque de Rome et que tout concile et tout synode recevait
son autorité légale de sa confirmation par le siège romain. Les patriarches de
Constantinople n’acceptèrent pas un tel point de vue, qui était contraire au
principe de synodalité. Bien que les Décrétales ne visent pas en fait l’Orient, des
Occidentaux les y appliquèrent, plus tard, pendant le deuxième millénaire.
Malgré de telles aggravations des tensions, en l’an 1000 les chrétiens et en
Occident et en Orient étaient encore conscients de leur appartenance à une
Eglise une et indivise.
6
L’évêque de Rome, successeur de Pierre
16. L’accent tôt mis sur le lien du siège de Rome et avec Pierre et avec Paul
est devenu avec le temps un lien plus spécifique entre l’évêque de Rome et
l’apôtre Pierre. Le pape Etienne (milieu du IIIe siècle) appliqua le premier à son
propre office Mt 16 :18 (« Tu es Pierre et sur ce roc je bâtirai mon Eglise »). Le
concile de Constantinople en 381 précisa que la ville de Constantinople devait
occuper la deuxième place après Rome : « Parce qu’elle est la nouvelle Rome,
l’évêque de Constantinople doit jouir d’une primauté d’honneur après l’évêque
de Rome » (canon 3). Le critère invoqué par le concile pour l’établissement de
l’ordre des sièges n’était donc pas leur fondation apostolique, mais le place
occupée par la ville dans l’organisation civile de l’Empire romain. Le synode
convoqué en 382 à Rome sous la présidence du pape Damase (cf. Decretum
Gelasianum 3) invoqua un critère différent pour l’établissement de l’ordre des
sièges majeurs. Dans ce cas, trois sièges principaux furent mentionnés : Rome,
Alexandrie et Antioche, sans aucune mention de Constantinople. Il y est dit que
la première place fut attribuée à l’Eglise de Rome à cause des paroles du Christ
à Pierre (Mt 16 :18) et à cause de sa fondation par Pierre et Paul. La deuxième
place fut assignée à Alexandrie, fondé par Marc, le disciple de Pierre et la
troisième à Antioche, où Pierre avait vécu avant de se déplacer à Rome. Cette
idée des trois sièges pétriniens fut répétée par des papes du cinquième siècle, tels
que Boniface, Léon et Gélase. Dès 381-2, donc, s’étaient précisés deux critères
distincts pour l’établissement du rang ecclésial d’une Eglise : le premier
supposait que le statut ecclésial devait correspondre au rang civil de la ville en
question, le second faisait appel à l’origine apostolique et plus spécifiquement
pétrinienne.
17. Le pape Léon (440-461) approfondit et développa de manière significative
l’idée pétrinienne. Il établit une distinction nette entre le ministère pétrinien lui-
même et la personne qui l’exerçait, personne qu’il voyait comme un héritier
indigne (haeres) de saint Pierre (Serm. 3, 4). En tant que héritier, le pape devient
« apostolicus » et il hérite également le « consortium » de l’unité indivisible
entre le Christ et Pierre (Serm. 5, 4 ; 4, 2). En conséquence, il est de son devoir
de prendre soin de toutes les Eglises (cf. 2 Cor 11 : 28 ; Ep. 120, 4). La priorité
accordée à Pierre se fonde sur le fait que le Christ lui confia ses brebis et à lui
seul (Jn 21 : 17 ; cf. Ep 9, Serm. 96, 3). Léon se considérait « le gardien de la foi
catholique et des constitutions des Pères » (Ep. 114), obligé de promouvoir le
respect et l’observance des conciles.
18. Lors du quatrième concile œcuménique (451), la lecture du Tome de Léon
fut suivie de l’acclamation : « Pierre a parlé à travers Léon ». Cela ne constitue
cependant pas une définition formelle de succession pétrinienne. C’était
reconnaître que Léon, l’évêque de Rome, avait articulé la foi de Pierre, qui se
7
trouvait particulièrement dans l’Eglise de Rome. Après ce même concile, les
évêques dirent que Léon était « le porte-parole envers tous du bienheureux
Pierre … transmettant à tous la béatitude de sa foi » (Epistola concilii
Chalcedoniensis ad Leonem papam = Ep. 98 de Léon). Augustin, également, mit
l’accent sur la foi plutôt que simplement sur la personne de Pierre, lorsqu’il dit
que Pierre était « figura ecclesiae » (In Jn. 7, 14 ; Sermo 149, 6) and « typus
ecclesiae » (Sermo 149, 6) dans sa confession de foi en le Christ. Il serait donc
simplifier à l’excès que de dire que l’Occident interprète le « roc » de Mt 16 :18
comme la personne de Pierre tandis que l’Orient l’interprète comme la foi de
Pierre. Dans l’Eglise des premiers siècles, tant à l’Est qu’à l’Ouest, c’était la
succession de la foi de Pierre qui était de la première importance.
19. Il est important de garder présent à l’esprit que toute succession
apostolique est une succession dans la foi apostolique, dans le contexte d’une
Eglise locale particulière. D’un point de vue ecclésiologique, il n’est pas
possible de concevoir une succession entre personnes indépendamment ou en
dehors de la foi apostolique et d’une Eglise locale. Dire, donc, que Pierre parle à
travers l’évêque de Rome signifie en premier lieu que celui-ci exprime la foi
apostolique que son Eglise a reçue de l’apôtre Pierre. C’est surtout en ce sens
que l’on peut comprendre l’évêque de Rome comme le successeur de Pierre.
20. En Occident, l’accent placé sur le lien entre l’évêque de Rome et l’apôtre
Pierre, s’accompagna, surtout à partir du quatrième siècle, d’une référence
progressivement plus spécifique au rôle de Pierre à l’intérieur du collège des
Apôtres. La primauté de l’évêque de Rome entre les évêques s’interprétait peu à
peu comme une prérogative qui lui revenait parce qu’il était le successeur de
Pierre, le premier des apôtres (cf. Jérôme, In Isaiam 14, 53 ; Léon, Sermo 94, 2 ;
95, 3). La position de l’évêque de Rome parmi les évêques était comprise en
fonction de celle de Pierre parmi les Apôtres. En Orient, cette évolution de
l’interprétation du ministère de l’évêque de Rome n’a pas eu lieu. Une telle
interprétation n’y fut jamais explicitement rejetée pendant le premier millénaire
mais l’Orient avait plutôt tendance de voir chaque évêque comme le successeur
de tous les Apôtres, dont Pierre (cf. Cyprien, De unit. ecc., 4-5 ; Origène, Comm
in Matt.).
21. D’une manière quelque peu semblable, l’Occident ne rejetait pas l’idée
de la Pentarchie (cf. supra, n. 13). En fait, l’Occident observait scrupuleusement
la taxis des cinq sièges principaux, Rome, Constantinople, Alexandrie, Antioche
et Jérusalem, autour desquels se développèrent les cinq patriarcats de l’Eglise
ancienne (cf. Document de Ravenne, n. 28). L’Occident n’a cependant jamais
attribué à la Pentarchie la même signification comme mode de gouvernance de
l’Eglise comme l’a fait l’Orient.
8
22. Il est à remarquer que ces manières assez différentes de comprendre la
position de l’évêque de Rome et les rapports entre les sièges majeurs,
respectivement en Occident et en Orient et basées sur des interprétations
bibliques, théologiques et canoniques nettement différentes, ont coexisté
pendant plusieurs siècles jusqu’à la fin du premier millénaire, sans provoquer
une rupture de communion.
Le rôle de l’évêque de Rome pendant des moments de crise dans la
communion ecclésiale
23. L’Eglise a vécu pendant le premier millénaire beaucoup de moments où la
communion ecclésiale était en péril, par exemple chaque fois que les définitions
de Nicée furent contestées en Orient par la condamnation d’évêques orthodoxes
par certains conciles du quatrième siècle et lorsque la formule christologique de
Chalcédoine fut contestée au cinquième siècle par le monophysisme et le
« Hénotikon » (qui provoqua le schisme acacien), et ensuite par le
monoénergisme et le monothélisme au septième et également à l’époque de la
crise iconoclaste aux huitième et neuvième siècles. Les catholiques romains et
les orthodoxes reconnaissent tous les deux l’importance du rôle joué à ces
moments par l’évêque de Rome.
24. En fait, à partir du quatrième siècle, il y a eu une reconnaissance
croissante de Rome comme centre vers lequel le monde chrétien tout entier
pouvait en différentes circonstances adresser des appels en justice ou des
demandes d’aide. En 339-40, Athanase, évêque d’Alexandrie, interjeta appel
auprès du pape Jules. Selon les paroles du pape, citées par Athanase, « Il
[Athanase] est venu, non pas de son propre chef, mais convoqué par lettre de
notre part » (Athanase, Apologia contra Arianos 29 ; cf. 20,33 et 35). Il paraît
donc que Jules n’a pas simplement répondu à un appel de la part d’Athanase,
mais a lui-même pris l’initiative de ‘convoquer’ l’évêque d’Alexandrie. Dans ce
cas, donc, le rôle de l’évêque de Rome semble avoir été plus qu’une simple
instance d’appel.
25. Des demandes d’aide adressées à Rome en des moments de crise étaient
parfois accompagnées de requêtes similaires envoyées à d’autres sièges
ecclésiastiques majeurs. Jean Chrysostome (404), par exemple, en appela non
seulement à Rome mais aussi aux évêques de Milan et d’Aquilée. L’intention
était donc que l’action entreprise par l’évêque de Rome soit coordonnée, dans un
esprit conciliaire, avec celle d’autres sièges majeurs. Qui plus est, les initiatives
de l’évêque de Rome furent généralement entreprises dans le cadre du synode
romain et lui faisaient généralement référence. De ce point de vue aussi, ils
avaient donc un caractère conciliaire ou synodal. Par exemple, dans des
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correspondances lors de la dispute photienne, les évêques de Rome soulignaient
qu’ils avaient pris leurs décisions en conformité avec les règles ou canons et de
manière synodale (« regulariter et synodaliter » ou « canonice et synodaliter »).
26. La procédure à suivre en matière d’appels à Rome fut élaborée par le
concile de Sardique (342-3, canons 3-5). Ces canons disposent qu’un évêque,
après sa condamnation, pouvait interjeter appel auprès du pape et que celui-ci
pouvait, s’il le jugeait approprié, ordonner un nouveau procès, qui devait être
instruit par les évêques des diocèses voisins de celui de l’évêque condamné. Si
l’évêque appelant en formulait la demande, le pape pouvait également envoyer
des représentants pour assister les évêques des diocèses voisins. Sardique, bien
que prévu à l’origine comme un concile œcuménique, était, en fait, un concile
local de l’Occident, dont les canons furent acceptés en Orient lors du concile in
Trullo (692).
27. La description la plus claire des conditions nécessaires pour qu’un concile
puisse être considéré comme œcuménique fut fournie par le septième concile
œcuménique (Nicée II, 787), le dernier à être reconnu comme tel, à la fois en
Orient et en Occident :
-il fallait qu’il soit accepté par les chefs (proedroi) des Eglises et que ceux-ci
soient en accord (symphonia) avec lui ;
-le pape de Rome doit être un « coopérateur » ou « collaborateur » (synergos)
avec le concile ;
-les patriarches de l’Orient doivent être « en accord » (symphronountes) ;
- la doctrine du concile doit être en accord avec celle des conciles œcuméniques
précédents ;
- le concile doit recevoir sa numérotation spécifique, afin d’être rangé dans la
séquence des conciles acceptés par l’Eglise en son ensemble.
Bien que le rôle du pape reçoive ici une mention spécifique, il y a des
différences d’interprétation quant aux termes de symphonia, de synergos et de
symphronountes. L’étude de cette matière doit être approfondie.
28. On peut affirmer que pendant le premier millénaire, l’évêque de Rome, en
tant que premier (protos) parmi les patriarches, exerçait un rôle de coordination
et de stabilité dans des questions relatives à la foi et à la communion, en fidélité
à la tradition et en respectant la conciliarité.
L’influence de facteurs non théologiques
29. Pendant le premier millénaire, un nombre de facteurs qui n’étaient pas
directement théologiques a joué un rôle assez important dans les relations entre
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les Eglises de l’Orient et de l’Occident et a eu une influence sur la
compréhension et l’exercice de la primauté de l’évêque de Rome. Ces facteurs
étaient de divers ordres, par exemple politiques, historiques, socio-économiques
et culturels.
30. Comme indicateurs de facteurs pertinents, on peut retenir les suivants :
- la terminologie, la mentalité et l’idéologie de l’Empire romain ;
- les fluctuations de la politique impériale en ce qui concerne la vie de l’Eglise ;
- le transfert à l’Orient de la capitale de l’Empire ;
- le déclin et la chute de l’Empire romain d’Occident et ses conséquences
en ce qui concerne l’équilibre politique et culturel entre l’Orient et l’Occident ;
- la séparation culturelle progressive entre l’Orient et l’Occident, qui a
débouché sur une méconnaissance, un éloignement et une incompréhension
réciproques ;
- l’expansion de l’islam sur les territoires des patriarcats d’Alexandrie,
d’Antioche et de Jérusalem, de même que dans les régions de l’Afrique du nord
et l’Espagne ;
- l’essor de l’Empire d’Occident de Charlemagne ;
- l’influence personnelle de certaines figures historiques.
Une reconnaissance des facteurs non théologiques à l’œuvre dans les relations
entre l’Orient et l’Occident chrétiens et une appréciation de la nature de leurs
interactions avec différents facteurs théologiques permettent une compréhension
approfondie de la vie et de la foi de l’Eglise et, en particulier, des diversités qui
se développèrent entre l’Orient et l’Occident.
Conclusion
31. Pendant tout le premier millénaire, l’Orient et l’Occident étaient unis sur
certains principes théologiques fondamentaux, par exemple, l’importance de la
continuité de la foi apostolique, l’interdépendance de la primauté et de la
conciliarité/synodalité à tous les niveaux de la vie de l’Eglise et une
compréhension de l’autorité comme « un service (diakonia) d’amour », avec,
comme but, « l’incorporation de l’humanité toute entière dans le Christ » (cf.
Document de Ravenne, nn. 13-14). Bien que l’unité de l’Est et de l’Ouest fût
parfois troublée, les évêques de l’Orient et de l’Occident étaient toujours
conscients de leur appartenance à la même Eglise et du fait d’être successeurs
des apôtres dans un unique épiscopat. La nature collégiale des évêques
s’exprimait dans la vigueur de la vie synodale de l’Eglise à tous les niveaux,
local, régional et universel. Au niveau universel, l’évêque de Rome agissait en
tant que protos parmi les chefs des sièges majeurs. Il y a beaucoup d’instances
d’appels de différentes natures adressés à l’évêque de Rome afin de promouvoir
la paix et de maintenir la communion de l’Eglise dans la foi apostolique.
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32. L’expérience du premier millénaire a eu une influence profonde sur le
développement des relations entre les Eglises de l’Orient et de l’Occident.
Malgré les divergences croissantes et les schismes temporaires pendant cette
période, la communion fut maintenue entre l’Occident et l’Orient. Le principe
de la diversité en l’unité, accepté explicitement par le concile réuni en 879-80 à
Constantinople, a une signification particulière pour le thème de l’étape actuelle
de notre dialogue. Des divergences très nettes de compréhension et
d’interprétation n’ont pas empêché le maintien de la communion entre l’Orient
et l’Occident. Il y avait une conscience très forte de constituer une seule Eglise
et une volonté de rester dans l’unité, comme un troupeau sous un berger (cf. Jn
10 :16). Le premier millénaire, que nous avons étudié pendant cette étape de
notre dialogue, est la tradition commune à nos deux Eglises. Dans ses principes
théologiques et ecclésiologiques fondamentaux, que nous avons étudiés ici, cette
tradition commune devrait servir de modèle pour la restauration de notre pleine
communion.
Le 3 octobre, 2008