nardo ha scritto:Visto che in questa discussione si sta discudendo di evidenti violazioni da parte dei TdG, ripropongo un quesito che avevo posto in diverso topic:
Partiamo dal presupposto che i Testimoni di Geova sono una setta e non una religione. Su questo punto penso che siamo tutti d'accordo, se non lo fossimo, possiamo discuterne.
Sappiamo tutti che le sette sono pericolose (per i singoli e per la società in generale) ma tendenzialmente in occidente sono tollerate. Potrebbe essere ipotizzabile che uno stato decida di non tollerarle più? Soprattutto di fronte a tutto quello è che emerso in questo topic (violazioni a leggi e diritti).
Ovvero, cosa rende una organizzazione vietabile e un'altra no? Perchè penso che siamo tutti d'accordo che certe organizzazioni debbano essere illegali e, se presenti nello stato, messe al bando.
Prendo spunto da quanto dici per esprimere quello che già ho scritto qua e là.
Riassumendo la mia opinione.
Un'organizzazione è illegale in toto, nessun componente escluso, dai vertici alla base, con diversi gradi di responsabilità ma tutti accomunati dall'essere associati per violare deliberatamente e sistematicamente la legge come unica attività dell'associazione,quando sono presenti tutti questi fattori e si definisce associazione a delinquere. Quindi uno stato democratico attuerà le forme di repressione adeguate per ripristinare l'ordine pubblico e ristabilire la giustizia perseguendo tutta l'organizzazione con tutti i imezzi possibili.
Vi sono organizzazioni però di cui non è facile dare una definizione senza impelagarsi in discussioni socioantropologicoreligiose infinite per le quali uno Stato non ha tempo nè risorse. Basterebbe in questo caso non vietare l'organizzazione di per sè (che sia un culto, una setta, una frangia estremista di una religione, un nuovo movimento religioso, un circolo, un club, un'associazione giovanile...chi decide se sono tutti buoni o tutti cattivi?) ma approntare degli strumenti di indagine a livello statale, sul modello della Royal Commission australiana, che si occupino di verificare, per ogni gruppo, quali sono le direttive interne, le norme e le regole cui aderiscono i partecipanti, cosa decidono i loro dirigenti in merito alle questioni di pertinenza dello Stato e da esso tutelate e normate. Qualora si identifichino normative e pratiche interne al gruppo che violano le leggi statali o i diritti dell'uomo si passerebbe all'intimare al gruppo di modificare ciò che nel suo ordinamento interno è in conflitto con i requisiti determinati per legge. Se l'organizzazione recepisce le indicazioni della Corte per adeguare le proprie pratiche (N.B. Pratiche, non credenze) alle esigenze di adeguatezza alle leggi (leggi che si presume a tutela dei cittadini) del Paese in cui vuole operare potrebbe tranquillamente esistere. Se palesemente l'organizzazione invece dimostrasse di continuare ad applicare direttive dall'alto che impongono in maniera più o meno esplicita (più o meno chiara) ai propri adepti di agire non in conformità ai diritti e doveri vigenti nello Stato, a partire da quelli tutelati ed espressi nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e nella Costituzione Nazionale locale, a quel punto sarebbero da prendere provvedimenti contro i vertici e non contro i singoli o l'organizzazione in sè. E se non si può agire contro i vertici si può sempre invocare nei singoli casi la gerarchia dei diritti che, per quanto tutti tutelati, per ogni persona possono essere superati per importanza da emergenti "cause superiori" o diritti più ampi. Uno Stato potrebbe imporre per esempio che un genitore perda istantaneamente per direttissima la patria potestà sul figlio minore in caso si opponga a trasfusioni di sangue o terapie salvavita urgenti quando spinte da "futili motivi" nei quali includere l'opinione personale su materie di competenza del Servizio Sanitario Nazionale. In questo modo l'ultima parola spetterebbe ai medici, senza passare nemmeno dai lunghi processi in tribunale, e non riguarderebbe certo solo l'astensione dal sangue. Pensate all'astensione dai vaccini, alle diete vegane estreme imposte da certi genitori, a quelli che pensano di curare ogni cosa abbia il bambino con rimedi omeopatici o casalinghi. Accertato il rischio per la salute del minore una buona legge potrebbe tranquillamente scavalcare il diritto del genitore alla patria potestà sul figlio in nome di un bene maggiore, ossia la sopravvivenza e il benessere del minore. Cosa che peraltro si fa già in caso di abusi e maltrattamenti accertati in famiglia.
Nel mio esempio è chiaro, credo, come io pensi che la cosa migliore non sia mirare ad una legge che ti vieti di essere Testimone di Geova e fine, perché sei libero di professare la tua religione, bensì una legge atta a proibirti di fare le cose che il tuo culto ti dice di fare e che sono in conflitto con la legislazione che io Stato appresto per il benessere dei miei cittadini e che faccio rispettare per lo stesso fine, senza eccezioni, a tutti.