Manoscritti e attendibilità

La Bibbia dei Testimoni di Geova è davvero una traduzione fedele ed accurata delle Sacre Scritture?

Moderatore: polymetis

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Viandante
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Manoscritti e attendibilità

Messaggio da Viandante »

Durante una discussione è stato affermato che: nel caso si trovi un manoscritto più recente nella area geografica da cui si pensa possa provenire e un altro manoscritto più antico (molto più vicino al periodo di cui tratta) la scelta NON sempre è da considerarsi più ovvia quella del manoscritto più antico.
Per farmi capire:

se si trova un manoscritto del vangelo di giovanni datato 700 dc ma nell'area dove realmente è vissuto l'apostolo Giovanni e un manoscritto del vangelo di Giovanni datato 200 dc ma rinvenuto ad esempio in russia non sempre la scelta e la considerazione ricade su quello del 200dc.

Cosa ne pensate, quanta è vera questa affermazione secondo voi?
Saluti
Viandante



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polymetis
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Messaggio da polymetis »

La qualità di un manoscritto non dipende meramente dalla sua antichità, o dalla locazione geografica del suo ritrovamento, ma dalla posizione che occupa sullo stemma codicum.
Un manoscritto può essere del 200 d.C. ma frutto di una catena di sette copie, mentre un manoscritto del 400 d.C., benché più vecchio di due secoli, potrebbe essere stato copiato pure dall'originale, cioè dall'autografo. In filologia si dice recentiores non deteriores.

Ad maiora
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Alla base delle scelte fondamentali del Nolano - a Londra come a Roma -, c'era il convincimento di appartenere alla "casa" dei filosofi, e che ad essa bisogna essere sempre fedeli, anche nei rapporti con i potenti della Chiesa e dello Stato, perché la casa della filosofia è la casa della verità: in un modo intelligente e anche astuto, certo, ma sempre fedeli. (Michele Ciliberto)
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Quixote
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Messaggio da Quixote »

Recentiores non deteriores? Ma sai che che la stizzita uscita di Cobet (in Paul Maas) mi intriga sempre piú?: comburendi, non conferendi. :risata: È vero che i codici piú recenti non sono necessariamente i meno lontani dall’originale. Ma qui si parla soprattutto di aree geografiche. Ora è vero che le aree geografiche, per cosí dire, di periferia, sono quelle piú conservative. Ciò è ben noto in linguistica; per un esempio banale la Sardegna è quella che, in Italia, conserva meglio il vocalismo latino, per es. in certi vocaboli che conservano la -U finale dove tutto il resto d’Italia l’ha modificata in -O. Si veda anche Wikipedia, s. v. Lingua sarda ove si riporta in immagine un Pater Noster che esordisce: «Babbu nostru chi ses in chelu ecc.» (chiedo scusa ma non ho sottomano la mia biblioteca e non posso citare da testi che possiedo).

Lo stesso vale, in linea generale, per la filologia. Nella realtà concreta, però, ogni manoscritto costituisce caso a sé, e va analizzato e studiato per la sua storia particolare. Perché il fatto che un codice si presenti scritto in un area periferica, non significa, ipso facto, che appartenga veramente a quell’area. In altre parole esso potrebbe essere copia di un codice recentissimo o antichissimo. Nel primo caso la regola non varrebbe nulla, perché ovviamente la patina linguistica periferica sarebbe dovuta non all’originale, ma al copista.

Insomma, è il caso per caso, che decide, non le regole generali. L’unica, per il filologo serio, è saperne il piú possibile sul codice o sui codici che sta analizzando. La filologia è una scienza storica, e in storia vale il dato accertato, non vale il verosimile, proprio delle regole generali. Questo non significa che la storia sia puro relativismo, significa solo che primo dovere dello storico, e del filologo, è saperne il piú possibile del problema che sta analizzando. Solo dopo egli deciderà se la soluzione che ne vien fuori si attagli o meno alle regole generali, siano esse recentiores non deteriores, o la concordanza o meno con le teorie sulle aree geografiche.
Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς.
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
GIOVANNI, III, 19. (G. Leopardi, La ginestra, esergo)
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