Cerco di rispondere in maniera incrociata ai post precedenti; è ovvio che analizzando i singoli versetti, non ne potrebbero che nascere «estenuanti discussioni». D’altronde occorre farlo proprio per dar loro un «valore pratico». Ammettiamo pure che la Bibbia sia «parola di Dio»; non è però una parola
diretta, in quanto la “lingua” di Dio è mediata dalle lingue degli uomini, ebraico aramaico greco [cui il geovismo ha “generosamente” aggiunto l’ulteriore mediazione della NWT, più le sotto-mediazioni delle varie lingue nazionali, fra cui la TNM]. Ognuna di queste lingue ha interpretato e
alterato la parola divina secondo le strutture della propria, inoltre
contaminandola ancor più con la propria versione parziale del mondo, oltre che con i pregiudizi che ogni età porta con sé.
Da qui il lavoro ermeneutico ed esegetico di filologici e teologi, teso da un lato ad arrivare al dettato originario delle scritture, fino al punto di ottenere un testo il più vicino possibile alla sua prima redazione scritta, dall’altro ad andar
oltre a quel testo, per avvicinarsi il più possibile alla “lingua” originaria di Dio.
In altre e più semplici parole, dal punto di vista del credente cristiano, la Bibbia è un testo
ispirato, che non va preso, per ovvie ragioni storiche, in senso letterale, ma va
interpretato per cercare di coglierne la riposta essenza divina, contaminata dalle stratificazioni storiche che ogni lingua, ogni età, ogni autore, portatori della loro limitata e spesso pregiudizievole concezione del mondo, vi hanno apportato.
Partendo da quest’ottica, nel passo di
1 Corinzi in questione, a ben vedere Paolo parla di
un singolo aspetto ben preciso, ovvero del’abbigliamento della donna nella preghiera e nella profezia, che non va perciò,
sic et simpliciter, esteso a tutto il comportamento della donna rispetto all’uomo. È vero che egli giustifica quell’aspetto con le concezioni e i preconcetti generalmente ammessi al suo tempo, ma ciò non implica che noi dobbiamo né accettarli alla lettera, né estenderli indebitamente. Dobbiamo se mai capirli, interpretarli, e anche qui, andar oltre.
Che significa andar oltre? Semplicemente che o accettiamo la letteratura letterale dei TdG, con tutti gli assurdi cui essa porta, o ci limitiamo a ricercare nel testo la sapienza per conformarvi la nostra etica, o più profondamente (e pericolosamente) cerchiamo di penetrarne l’essenza originale con un approccio mitico, allegorico, simbolico o quant’altri espedienti ermeneutici non si voglia aggiungervi.
In questa ultima direzione, “che cosa dice realmente la Bibbia”?
Gen. 5, 2
Li creò maschio e femmina, e pose loro nome Adamo. Qui non si parla di Eva, ma di un principio maschile, e di uno femminile, che sono compresenti in ogni uomo ( e naturalmente in ogni donna). Nel mio post precedente scrivevo:
i teologi del Rinascimento arrivavano persino a domandarsi se la donna avesse un’anima; con risposta positiva ma differenziata: l’uomo ragionerebbe di testa, la donna di pancia; strano a dirsi questa constatazione è alla base della successiva scoperta della sessualità, con la scoperta che in un uomo agisce anche una sessualità femminile, e nella donna una maschile; e col corollario che l’omosessualità ha valenze psichiche, prima che biofisiche.
In quest’ottica la superiorità maschile non va interpretata come superiorità di un genere biofisico su un altro genere, ma come superiorità della nostra parte razionale, maschile, la testa, rispetto a quella istintuale, femminile, la pancia. Ovvero nulla a che fare col nostro essere uomo o donna come sesso. Paolo non poteva porsi questo problema, perché
non lo concepiva. Allo stesso modo condannava i maschi che andavano con altri maschi senza minimamente intuire la natura omosessuale del loro atto, per cui a buon diritto
Polymetis può dire che è falso che la Bibbia condanni l’omosessualità, in quanto come categoria psichica essa non vi è contemplata.
Qui il problema è analogo: la Bibbia non è misogina, e non condanna affatto l’emancipazione della donna; semplicemente
non la concepisce, perché non ne conosce la natura (sia chiaro, non sto parlando di Dio, ma di chi concretamente ha scritto i testi biblici: uomini reali, concreti, storici, e in quanto tali relativi e fallibili). Non è come avevo già scritto, obsoleta; è datata, il che significa che dobbiamo coglierne quello che vi è di ancora attuale. Per quello che non vi è contenuto, o vi è contenuto solo in embrione, dobbiamo coltivare questo embrione, e prenderci la nostra responsabilità del nostro pensare e agire come esseri che pensano e agiscono nel 2000, e non come i TdG, nella illusoria campana di vetro di un presente astorico, fermo a 2000 anni fa.
In concreto e semplicemente: nemmeno il più acceso maschilista che abbia un minimo di comprendonio si sognerebbe oggi di fondare la superiorità del suo sesso sulle parole di Paolo, perché è così evidente che la sua testimonianza è storica, datata, dettata dai pre-concetti, relativi e non assoluti, del suo tempo; che solo un matto o un TdG possono arrivare a tale aberrazione. E se proprio noi vogliamo leggere 1
Cor 11, 3-10 dobbiamo andare per forza oltre allo scritto, superandolo, come ho fatto io o in qualsiasi altro modo si voglia, perché fermandoci ad esso il primo torto che faremmo lo faremmo proprio a Paolo, che non può essere ritenuto colpevole di anti-femminismo 1800 anni prima che il femminismo nascesse, mentre noi saremmo ben colpevoli, se lo accusassimo di non essere nato 1800 anni dopo. Non parliamo poi se lo seguissimo pedissequamente. In stile WTS: “se vi chiedessero di abbandonare la posta elettronica per il piccione viaggiatore, lo fareste?”. Ecco, questo fanno coloro che si conformano oggi ai versetti di Paolo. Ciò non toglie che il piccione viaggiatore, a suo tempo, abbia servito; per il semplice fatto che la posta elettronica non esisteva.