Le argomentazioni di Virtesto, sono, come usualmente, prive di significato.
““..noi possiamo essere davanti a cugini che però sono chiamati fratelli e noi non sapremo mai qual è il loro grado di parentela”
E’ il suo ‘mantra’; solo che per un ebreo affermare quanto sopra equivale, penso, a bestemmiare; se Polymetis l’avesse scritto nel Forum di Consulenza Ebraica, ove l’ho notato intervenire nel passato, l’avrebbero bannato a vita.”
Devo precisare che mi hanno già bannato dandomi dell’antisemita, sono un tantino suscettibili. E comunque, non vedo proprio perché dovrei trattenermi dallo scrivere quello che penso sul forum Consulenza ebraica. Non ho mai considerato i frequentatori di quel forum persone competenti o con una formazione scientifica, al massimo, visto che sono il corrispettivo dell’Opus Dei presso i cattolici, cioè dei tradizionalisti, è interessante fare loro domande per avere delle risposte “tradizionali” (cioè quello che pensa un ebreo conservatore). Ma ciò non ha nulla a che vedere col problema di cosa sia scientificamente corretto dire dell’ebraismo.
“Eppure io l’avevo scritto nel mio Post precedente; ho mostrato Scritture nelle quali, in mancanza della parola ‘cugino’ in ebraico, si riusciva ugualmente ad identificare la persona col suo grado di parentela e, soprattutto, ho scritto che gli ebrei avevano il pallino delle genealogie, scrissi che loro ci tenevano in modo ossessivo ad essere identificati. Molte genealogie sono inserite nella Bibbia e si può controllare quanto affermo.”
E io ti ho già detto che il punto non è se si riesca ad identificare un cugino qualora si voglia renderlo esplicito, ma se, tutte le volte che si parla di cugini, si stia attenti a fare ciò. Come già spiegato la lingua serve a fare molte cose, e così anche gli scritti. Ma soprattutto la tua lingua cambia a seconda dei tuoi interlocutori, delle persone cui ti indirizzi. Se devi redigere un contratto, e hai più “fratelli”, è necessario specificare di chi parli, specie se sei dinnanzi ad una persona che non conosci. Il punto è che quando abbiamo a che fare con dei testi narrativi non necessariamente la parentela di un personaggio, o la sua esatta connessione con qualcuno, è di qualche rilevanza nel racconto, e dunque siccome nessuno deve ereditare qualcosa, gli autori non specificano, perché non è quello l’oggetto del testo. O, altrettanto frequentemente, gli autori non specificano perché tutti sanno già di cosa parli. Il problema è che quando il tuo pubblico non è più quello per il quale scrivevi, ma qualcuno che ti legge dopo 2000 anni, a quel lettore mancano dei pezzi che sarebbero stati indispensabili per capire il racconto, e che il narratore ha tralasciato perché alla sua epoca erano noti a tutti. Succede continuamente anche oggi. Faccio leggere un testo greco in cui si dice “Elena, la figlia di Tindaro”, e cosa capisce la gente? Che c’è un tizio chiamato Tindaro che ha partorito Elena. Eppure è sbagliato. In realtà Tindaro è solo il padre sociale di Elena, che fu concepita da Leda, moglie di Tindaro, e Zeus. La mia fonte greca però non lo specifica, e usa questa formula convenzionale, perché da giustamente per scontato che tutti i suoi ascoltatori greci sapessero già che Tindaro era il padre biologico e non il padre putativo. Perché allora non dice “padre adottivo”? Proprio perché non gli importava alcunché specificare, sia perché il fatto che non sia la figlia biologica di Tindaro è irrilevante nell’economia del racconto, sia perché l’autore non specifica ciò che è già noto per tradizione orale a tutti. Allo stesso modo quando noi leggiamo le gesta di qualche eroe anticotestamentario, e ci dicono che è il fratello di qualcun altro, non necessariamente possiamo accorgerci se quel tizio sia davvero un fratello o non piuttosto un cugino, perché all’autore, che magari parlava di tutt’altro e ha citato la parentela en passant, non interessava specificare, o addirittura non riteneva necessario farlo ipotizzando che tutti gli ebrei suoi lettori sapessero già i miti legati al tizio di cui parlava. Se le balie greche raccontavano sin dalla culla ai bambini le storie di Achille ed Ettore a Troia, sicché costoro non avevano bisogno di leggere Omero per sapere chi fossero, similmente gli ebrei dell’epoca in cui questi testi furono scritti non aveva bisogno di leggere la Bibbia per sapere chi fosse Sansone. Quindi ribadisco: prima di leggere un testo occorre vedere qual è il suo scopo. E’ un contratto, un testamento, o una genealogia? Se sì, allora possiamo anche aspettarci che un autore ricorra a delle perifrasi per specificare esattamente la parentela del tizio di cui ci sta parlando, perché quella parentela ricopre una funzione nel testo. Se invece si tratta di altro, e non c’è bisogno di specificare, o perché non è interessante per l’economia del racconto o perché il pubblico già sapeva da tradizione orale, è possibile che qualcuno identificato come fratello di qualcun altro in una fonte in realtà fosse il cugino, solo che non lo sapremo mai, perché mentre della letteratura greca c’è giunto un corpus di scritti molto grosso che consente di fare confronti incrociati, invece di che cosa accadde, che so, all’epoca dei giudici, ci parla solo la Bibbia.
“Una genealogia ebraica funziona ovviamente anch’essa così, per cui, contrariamente a quanto sostiene Polymetis, riuscivano sempre, gli ebrei, a stabilire il loro grado di parentela”
Non ho mai negato che ci riuscissero se volessero, ho semplicemente detto che non necessariamente vogliono, perché non in tutti i contesti narrativi è utile stabilire e specificare esattamente una parentela.
“Più chiaro di così è impossibile. (i matrimoni fra cugini erano permessi) E’mai possibile che Polymetis, plurilaureato, non sapesse queste cose? Diceva bugie????? Lui ha scritto invece, testualmente, che è una “fortuna casuale” sapere il giusto grado di parentela. “
Ho detto che è una fortuna casuale per NOI, leggendo un testo, sapere qual è il grado di parentela di qualcuno, non che gli ebrei, tra di loro, lo ignorassero. Come già detto se anche chiami il tuo cugino col nome di fratello, siccome questo termine significa molte cose, tu sai che esistono fratelli con cui ti puoi sposare, i cugini, e fratelli con cui non ti puoi sposare. Ma ciò non ha nulla a che vedere col problema se tu, leggendo una saga di questa famiglia, possa essere in grado di capire i loro rapporti di parentela leggendo la designazione “fratello”. Capiresti la loro parentela se ci fosse qualche motivo narrativo, ad esempio un matrimonio tra “fratelli”, che inducesse l’autore antico a specificare che tipo di fratelli erano , ad es. il matrimonio, proprio perché vietato ai fratelli uterini, spingerebbe un autore a specificare che erano fratelli perché figli di due fratelli. Ma se il racconto parla d’altro, e i particolari di parentela fossero irrilevanti nello svolgimento del racconto, noi non potremmo sapere se i fratelli citati siano davvero tali.
“Definitivamente il ‘mantra’ di Polymetis che i fratelli sono considerati cugini è andato a farsi benedire. Fine.”
Forse volevi dire “i cugini sono considerati fratelli”. Ma lo sono, una tipologia di “fratelli”. Fratello è un termine che designa i parenti in generale, quindi anche oltre i cugini. Il che non vuol dire che, se esiste un termine generico come “parenti”, poi la gente non sappia di che tipo di parentela si tratta, ma il punto è che esiste un termine ombrello per parlarne.
“E, purtroppo per me, devo ricominciare a parlare dell’altro ‘mantra’ di Polymetis, cioè della famiglia clanica, allargata, ammucchiata ove, appunto, non si capisce chi è fratello e chi è cugino”
Ma chi ha detto che non si capisce chi è fratello e chi è cugino? Tutti sanno chi è figlio di chi, semplicemente esiste un solo termine per identificare ambo i tipo di parentela. Non è difficile da capire che ci può essere un solo termine per indicare due cose diverse, nonostante tu sappia benissimo che sono diverse. Ad esempio la parola “nipote” in italiano indica sia i nipoti dello zio, sia i nipoti dei nonni. Ma questa è una peculiarità dell’italiano, in inglese invece grandson è il nipote del nonno, nephew è il nipote dello zio. Se dico “Marco è il nipote di Dario”, tu non puoi sapere se Dario sia il nonno o lo zio, ma ciò non vuol dire che Marco ignori chi è suo nonno e chi è suo zio.
“ Ma io ,nel precedente Post, avevo già stroncato la famiglia allargata spiegando, con riferimenti storici e non con bla, bla, bla che la famiglia allargata è stata frantumata con l’Esilio a Babilonia,”
E io ti ho già detto che è falso quanto all’oggetto del contendere, ed irrilevante anche se fosse stato vero. Falso perché tu non hai capito cosa io intendo per famiglia allargata, e dunque, dicendomi che non si tratta di un branco di beduini che vivono sotto le tende nel deserto, fai delle contrapposizioni irrilevanti. E non occorre parlare di cunicoli tra le case. Il parallelo più sensato sono le società arabe odierne, che ovviamente hanno famiglie in case separate, ma questo non toglie che l’ambito della famiglia sia più esteso della famiglia nucleare, e abbracci invece all’incirca tre generazioni coi loro relativi discendenti. Ancora oggi se un tizio ti dice che va al matrimonio del fratello, può essere suo cugino. La solidarietà all’interno della famiglia è qualcosa di simile a ciò che avveniva nella società rurale italiana fino all’ottocento.
““ ..La vita dell’ebreo era fondata sul modello coniugale e famigliare. All’inizio di tutto sta la famiglia – padre/madre e figlio – e tutto ritorna alla famiglia, perché l’uomo ha da staccarsi dalla sua famiglia d’origine per costituire con la moglie una famiglia nuova -. Marito/moglie – per essere una sola carne e per generare figli – padre/madre/figli/ IL TUTTO IN UN CONTESTO DI CONTROLLO DELLA SESSUALITA’ NELLA LINEA INDICATA DAI PRECETTI DELLA TORAH” Si viveva SOTTO LA LEGGE con tutti i precetti contenuti nel Libro del Levitico e nel Deuteronomio circa la purezza, la sessualità , la santità, la fedeltà, il ripudio della promiscuità ecc. ecc. per cui dire che esistevano famiglie allargate ai tempi di Gesù è privo di senso, è demenziale. “
Mi chiedo che cosa c’entri tutto quello che hai scritto col problema dell’esistenza o meno di famiglie allargate, non credo tu abbia neppure capito cosa sto dicendo. Guarda che nelle famiglie allargate non è che la gente non sappia chi sia sua moglie, o non possa vivere la legge mosaica. Io non ti parlo di famiglie in cui nessuno sa i rapporti di parentela dell’altro. Poi dici che il tipo di famiglia che descrivo io (e che tu non hai capito qual è) non esiste più dai tempi dell’esilio, ma poi mi citi la legge mosaica come se dovesse provare qualcosa su questo tema di quale fosse il tipo di famiglia, eppure la legge mosaica, almeno secondo la cronologia biblica, precede l’esilio.
“Quindi, riassumendo, i fratelli o i cugini venivano chiaramente identificati. Ognuno a casa sua. Non c’era simbiosi fra cugini e fratelli ma il distacco; ogni famiglia, pur volendosi un gran bene, viveva per conto suo. Ma, ora, come facciamo a dire che Gesù aveva quattro fratelli? Trascrivo ancora:”
Ma perché tu scioccamente ritieni che l’indistinzione semantica di fratelli e cugini richieda un’unica casa in cui vivere? La cosa mi sfugge alquanto. Cosa c’è di strano nell’immaginare una società in cui tutti i parenti fino al terzo grado, e non solo i cugini, sono definibili come fratelli, e al contempo pensare che questa società sia dislocata su varie case? I fossili linguistici sopravvivono per secoli, o millenni, e non sempre le ragioni di un uso linguistico vanno cercate nella società di allora, ma nella società precedente.
“E quindi non è forse per questo motivo che il fariseo Paolo, l’ellenico Luca, i giudaizzanti Marco e Matteo, e poi Giovanni, quello che ogni tanto col suo Vangelo va per conto suo, TUTTI sono d’accordo di scrivere “Adelphoi” per indicare i fratelli di Gesù perché c’era un documento ufficiale che lo documentava? E non si può fare a meno di dire anche che, essendo la famiglia di Gesù molto conosciuta, in vista, lo ‘stato di famiglia ’era semplicemente nella memoria della gente a quell’epoca.”
Tutto quello che scrivi è irrilevante, perché io non ho mai negato che qualcuno ignorasse lo stato di famiglia di Gesù, anzi, faccio conto proprio su questo. Sto semplicemente dicendo che anche se esiste un registro in cui un cugino di Gesù è registrato come figlio di uno zio, ad esempio Simone figlio di Cleofa, ciò non cambia nulla, perché quel rapporto di parentela in ebraico si può sempre dire “fratello”. Quindi il problema non è se Gesù sapesse chi era figlio di suo zio, o se ci fosse un registro sinagogale in cui c’era scritto, il problema è che tutti questi rapporti si possono sempre dire con la parola ebraica “'ah”. Quindi davvero non capisco che cosa significhi questo tuo sproloquio sul fatto che gli ebrei sapevano chi fosse loro cugino. Io non ho mai negato questo, ho solo deto che si può parlare di tale grado di parentela col termine “fratello”, quindi se anche tu sai benissimo che qualcuno è figlio di tua zia, lo puoi designare così, Questo perché, come ripeto, il termine nasce e si evolve in un contesto tribale a famiglia allargata che vede una famiglia molto più coesa delle famiglie nucleari moderne, e così è rimasto nei secoli come fossile linguistico. All’epoca di Gesù non c’erano più tre generazioni che vivevano sotto la medesima tenda, ma il lessico era rimasto, e anche il modo di fare famiglia, pur ciascuno a casa sua, era molto più coeso di come lo intendiamo noi.
Quanto al perché in greco ci sia scritto “adelphoi”, cioè fratelli, l’ho già spiegato. Si tratta di un calco dell’ebraico che non è stato possibile togliere perché la traduzione in greco avrebbe perso l’ambivalenza dell’ebraico. Il gruppo dei parenti di Gesù costituiva una componente importante nella Chiesa antica, e avevano il titolo di “fratelli del signore”, che in ebraico è del tutto corretto perché con quel termine ci si può riferire a parenti di vario grado. Ma non fu possibile tradurlo in greco, perché per l’appunto sarebbe diventato “cugini del signore”. La traduzione non era possibile, perché parlando in ebraico si può usare un termine che indica un grado di parentela molto prossimo, mentre nel greco attico che distingue tra fratelli e cugini il titolo sarebbe stato svilito (c’è da dire comunque che in greco koiné abbiamo qualche caso di “fratello” usato per indicare cugini). La cosa non deve sorprenderci. Anche la LXX, quando deve tradurre espressioni veterotestamentarie in cui si parla di fratelli che sono cugini, come nel caso dei figli di Kis, usa adelphos. Quindi non si vede proprio perché i traduttori del NT, traducendo l’ebraico “'ah”, avrebbero dovuto fare diversamente dai traduttori della Settanta.
Quindi ribadisco: quando si parla di “fratelli dei signore” si ha a che fare con un titolo onorifico, che suona bene in ebraico perché fratelli sono definibili tutti i parenti stretti, ma che tradotto in greco specificando il grado di parentela sarebbe suonato orribile, e dunque viene lasciato tale.
“ Vangeli non sono una traduzione dell’ebraico, sono stati scritti in greco e, in questa lingua esiste un vocabolo diverso per cugino o fratello inoltre occorre far notare che da nessuna parte è scritto che Gesù era figlio unico per cui, in punta di diritto, quando Gesù pronunciava la parola “ ‘ha” poteva significare anche fratello.”
I Vangeli non sono secondo i più traduzioni dell’ebraico, ma i detti di Gesù sì. Se Gesù ha parlato, l’evangelista ovviamente riporta una traduzione di una frase in una lingua semtica. Dunque quando Gesù ha in bocca fratelli, può voler dire cugini. E similmente sono traduzioni dei “titoli”, tipo “Giacomo fratello del signore”, che, proprio perché titoli resi possibili dal peculiare significato di “fratello” in ebraico, non sono traducibili.
“Polymetis cita nel suo Post il fatto che Gesù, sulla croce, affida la madre a Giovanni invece che ai suoi fratelli, gli stessi che poi troviamo in Atti 1/13-14 in preghiera e convertiti. Non ho ben capito cosa voleva dimostrare”
Che se diede sua madre in custodia a Giovanni, evidentemente Maria non aveva altri figli che s’occupassero di lei dopo la dipartita del suo unico figlio. Altrimenti come fa Giovanni a prendersela in casa, se Maria aveva altri figli?
“ ( Quindi ,ora che abbiamo appurato il distacco fra cugini e fratelli , quel versetto significherebbe: “Neppure i suoi cugini credevano in lui” Non ti fa ridere, Vieri??)”
La cosa fa ridere proprio perché traduciamo. Ma in una società dove, come ripeto, si applica “fratello” per qualsiasi parente stretto, la frase vuol dire “neppure i suoi parenti credevano in lui”. Vuol solo dire che neppure i suoi consanguinei avevano fede in Gesù.
“Comunque quella era la situazione prima della crocefissione, , di conseguenza sulla croce affida sua madre a Giovanni, fratello in fede, in armonia con quanto diceva Gesù stesso che cioè la fratellanza di fede è superiore a quella carnale.”
Il punto è che per accudire Maria non occorre essere gesuani, dunque non si spiega perché i figli di Maria fossero inadatti a curarsi di lei, se ci fossero stati. Ma soprattutto non avrebbe neanche avuto il potere legale di strappare la madre ai suoi altri figli. Inoltre, il fatto che i fratelli di Gesù non credessero in lui riguarda l’inizio della predicazione di Gesù, non la fine della predicazione. Dopo la crocifissione infatti li troviamo a pregare insieme a Maria concordi nella fede. Sicché non ha senso dire che Gesù dia Maria a Giovanni perché i fratelli erano miscredenti e la fraternità spirituale è ciò che conta, infatti quando Gesù morì non erano più miscredenti, e dunque nulla si sarebbe opposto ad affidare loro Maria.
““Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio d’Alfeo e Simone lo Zelota, e Giuda figlio di Giacomo. Tutti questi perseveravano concordi nella preghiera, con le donne, e con Maria, madre di Gesù e con i fratelli di lui (kai syn tois adelphois autou)” Ci accorgiamo subito di dover fare anche qui la stessa osservazione fatta nei Vangeli, cioè che la parola ‘meter’ ,madre, è messa, nella stessa espressione, insieme a quegli ‘adelphois’ dei quali (secondo l’interpretazione corrente) sarebbe la “zia” sotto l’etichetta di “madre”!”
Ma non c’è scritto che Maria sia la madre di costoro, o che sia la zia chiamata “madre”. “Madre” è riferito solo a Gesù. E comunque notate che è ben strana l’espressione “con i fratelli di lui” se Maria fosse stata loro madre. Perché non scrivere “c’era Maria, madre di Gesù e gli altri suoi figli”? Invece hanno scritto “c’era Maria, madre di Gesù con i fratelli di lui”.
“Qui vi riporto, molto parzialmente, un commento ad uno scritto di Mons.Ravasi che parlava delle Marie:
“…sia il Papa che Ravasi ‘dimenticano’ di specificare che Maria di Cleofa (una quarta Maria dice Ravasi) è definita “la sorella della madre di Gesù” (Giov.19.25), anch’essa di nome Maria. Essi stessi, per primi si rendono conto come sia impossibile che i genitori di “Maria” abbiano dato lo stesso nome a più figlie, pertanto lo nascondono…”
Non si capisce cosa voglia dire questa argomentazione, che semmai dimostra il contrario. In Gv 19, 25 sta scritto che sotto la croce c’era Maria "madre di Gesù e la sorella (αδελφή) della madre di lui Maria di Cleofa e Maria Maddalena". Dunque, se davvero fosse improbabile che i genitori chiamino due figlie con lo stesso nome, avremmo la prova evidente che due donne definite sorelle non lo sono, e dunque sono solo parenti.
“ Invece lì si parla di Egesippo e c’è qualcuno che spiega che Egesippo quando parla di fratelli di Gesù sono da considerarsi carnali e non cugini, come appunto anch’io sostenevo. “
E io ho risposto a questo signore che la sua comprensione della sintassi greca non legge le parole in fila e suppone un iperbato non necessario. Non ho avuto repliche.
“Giuseppe Flavio nelle A.G. libro XX/IX-83 scrive:” ..e introdusse davanti a loro un uomo di nome Giacomo, fratello di Gesù che era soprannominato Cristo..” E qui per dire ‘fratello’ si usa il corretto vocabolo greco ; ed in A.G.Libro 1/XIX/290 Giuseppe scrive:”.. Rebecca, mia madre, è sorella di Labano, tuo padre. Essi avevano lo stesso padre e la stessa madre, quindi noi, tu ed io, siamo CUGINI” E per dire cugini usa proprio ‘anepsioi’ evitando di tradurre “ ‘ha” con ‘adelphos’, che invece ha riservato per Giacomo.”
Avevo già risposto a questo passaggio, e dovrò ricitarmi da solo, spiegando che “fratello del signore” nella chiesa antica era un titolo, e dunque era intraducibile in greco, perché avrebbe perso l’ambivalenza garantita dal termine semtico.
Se questo appellativo girava nella Chiesa primitiva perché così era chiamato non si vede perché un esterno ne debba ricavare qualcosa di diverso. Giuseppe Flavio ripete solo quanto sente dai cristiani, cioè “Giacomo fratello di Gesù”. O si vuole sostenere che Giuseppe Flavio, non cristiano, conoscesse la genealogica familiare di quello che per lui è un personaggio insignificante vissuto 40 anni prima, oppure ripete semplicemente la titolatura cristiana.
Inoltre l’ho già spiegato, il fatto che esista un termine più specifico, e che lo si possa anche usare, non implica che non possano esistere anche termini generici. In italiano ad esempio esiste “cugino”, ma ciò non implica che sia impossibile usare “parente”, e che nell’opera scritta di un italiano non possano trovarsi entrambi. Non è che se in un passo specifichiamo qual è il grado di parentela di qualcosa, allora abbiamo abrogato la possibilità di usare anche il termine più generale. Così è lo stesso per Giuseppe Flavio, che dimostra di conoscere anche l’uso semitico di “fratello” come “parente” e di utilizzarlo. Flavio infatti in Antichità 1,12,1 racconta che quando Abramo fece passare Sara per sua sorella, non avrebbe mentito perché era figlia di suo fratello. Nella Guerra Giudaica 6,6,4 egli scrive che “i figli ed i fratelli” del re Izate si sarebbero arresi a Tito, ma subito dopo, a dimostrarci che nella sua mente fratelli e parenti sono interscambiabili, ci dice che Tito avrebbe messo in catene “i figli ed i parenti (sungheneis)” del re facendoli portare a Roma. Secondo il tuo ragionamento che vorrebbe azzerare la ricchezza semantica di una lingua questa doppia designazione sarebbe impossibile.
Perché il titolo “fratello del signore” è stato mantenuto di greco è semplice spiegarlo. Nella Chiesa primitiva i parenti maschi di Gesù costituivano un gruppo accanto agli apostoli (At 1,14; 1Cor 9,5) e godevano di un’altissima stima(si veda anche Egesippo). Ora si può tenere per certo che questi uomini, anche se erano soltanto cugini di Gesù, nella chiesa di lingua aramaica erano chiamati “i fratelli del Signore”; non esiste infatti in quella lingua alcuna espressione concisa per definire questo rapporto di parentela, inoltre proprio questo titolo esprimeva il particolare riguarda riservato a quel gruppo di persone . Ma, una volta che questo titolo onorifico fosse stato adottato dalla chiesa primitiva, è storicamente pressoché impensabile che nell’ambito greco della chiesa ci si fosse rifiutati di darlo ai parenti del Signore. Il nome fu tradotto alla lettera perché era un predicato saldamente radicato, anzi un titolo onorifico. Stesso discorso vale per il passo paolino che citi: “Non abbiamo noi il diritto di condurre attorno con noi una moglie sorella in fede come fanno gli altri apostoli ed i fratelli del Signore e Cefa?”. Paolo può parlare di costoro come “fratelli del signore” perché era questa la titolatura aramaica con cui erano noti.
Anche i passi dove gli abitanti di Nazaret parlano di fratelli non presentano alcuna difficoltà se ci ricordiamo che quelle parole furono pronunciate in aramaico. Ricordiamoci che non esiste alcun termine per dire cugino e questo concetto, qualora lo si voglia specificare, si diceva con un “figlio del fratello di”. Per gli abitanti della cittadina la designazione di Gesù come “fratello” di Giacomo ecc. era l’unica naturale per due ragioni; prima di tutto, un’esatta definizione dei rapporti di parentela avrebbe richiesto prolisse circonlocuzione del tutto inadatte alla situazione di immediato stupore, specie se i parenti, pur essendo tutti cugini, apparteneva a diverse linee di parentela (cosa del tutto probabile visto che la Maria di Cleofa sotto la croce è detta madre solo di due dei fratelli di Gesù). Supponiamo che Giacomo e Ioses fossero figli di una sorella della Madonna, Giuda e Simone figli di un fratello di San Giuseppe; in tal caso la domanda degli abitanti di Nazaret in Mc avrebbe dovuto suonare così: “Non è egli… il figlio della sorella della madre di Giacomo e Ioses, il figlio del fratello del padre di Giuda e di Simore?”. E in Mr “Non si chiamano Giacomo e Giuseppe i figli della sorella di sua Madre, Simone e Giuda i figli del suo prozio?”. Quella gente disse “fratello”, e dinnanzi alla sinteticità dell’espressione aramaica i traduttori dal greco si sono regolati di conseguenza. In secondo luogo la designazione fratello è perfetta perché gli abitanti di Nazaret vogliono mettere in rilievo come Gesù è strettamente legato alle persone che essi conoscono bene, ergo renderla con cugino avrebbe svilito la cosa.
“ Aderiamo alla tesi secondo la quale i fratelli di Gesù sono suoi fratelli di sangue. Nessun testo canonico, quando parla di Gesù, precisa che non si tratta di figli di Maria e Giuseppe. Se la questione fosse stata scottante sarebbe stato normale chiarire l’equivoco.”
Ma non era una questione scottante, proprio perché tutti conoscevano la famiglia di Gesù che era ancora viva quando questi testi furono scritti, e dunque non c’era bisogno di specificare nulla.
““Neppure i suoi fratelli credevano in lui” (Giov.7.5). Giovanni non l’avrebbe sottolineato come motivo di scandalo, se avesse voluto dire che suoi cugini non credevano in lui! “
Vuol dolo dire “i suoi parenti non credevano in lui”. Se traducendolo come “cugino” ti suona ridicolo è perché per l’appunto il termine cugino in ebraico indica qualcosa di molto distante. Ma in una società in cui sono definibili fratelli anche i parenti stretti, perché davvero facevano una vita coesa, questa espressione suonava benissimo anche se si trattava di figli di uno zio.
Ad maiora