I Testimoni di Geova e lo studio della Bibbia

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Cogitabonda
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Per Mara

Messaggio da Cogitabonda »

Io sono sempre la stessa, altre volte ti ho fatto da interprete quando non riuscivi a esprimerti come avresti voluto, stavolta invece ho provato a farti da interprete per chiarirti quello che realmente ha scritto Sergio Pollina, per spiegarti perché trovo ingiuste le accuse che gli hai fatto. Evidentemente stavolta il mio tentativo di aiuto non ti piace e così mi accusi di far finta di non capire, di fare ostruzionismo. La cosa mi dispiace, ma non interessa agli altri che leggono.
Quello che interessa a tutti, invece, è che le priorità del forum non sono cambiate. Sono molti i modi in cui si possono aiutare i TdG, gli ex-TdG e tutti coloro che coi TdG hanno a che fare. Nessuno qui vuole dare la priorità alle disquisizioni teologiche rispetto al racconto di esperienze vissute, alle riflessioni personali, al riferire notizie prese dalla stampa. Tutte queste forme di contributo al forum sono utili, tutte hanno la loro dignità, tutte meritano rispetto. Di tutte il forum e i suoi lettori hanno bisogno, oggi come ieri.
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Achille
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Messaggio da Achille »

Una sintesi della presentazione del libro, così come mi è stata riferita da uno dei presenti:

Venerdì scorso, come annunciato anche nel forum, in una sala della libreria delle Edizioni Paoline al centro di Napoli, accanto al Duomo, si è tenuta la presentazione del libro "I Testimoni di Geova e lo studio della Bibbia" di Aveta e Vona. A detta dei responsabili della libreria la partecipazione del pubblico è stata particolarmente significativa in considerazione delle condizioni climatiche (giornata molto afosa) e della specificità del tema in discussione.

L’incontro si è protratto per circa 2 ore e si è concluso solo perché si erano superate le ore 19.00, orario previsto per la chiusura della libreria; infatti è stato vivace e intenso il dibattito che è seguito alla presentazione dei contenuti del libro, da parte degli autori. Alla fine dell’incontro, intrattenendomi con alcuni dei presenti che acquistavano il libro, ho scoperto che qualcuno era ancora “formalmente” Testimone di Geova, mentre altri erano ex Testimoni la cui attenzione all’evento era stata richiamata dal fatto che conoscevano gli autori del libro, due noti ex Testimoni napoletani.
"Tantum religio potuit suadere malorum".
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Alfonso
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Un commento al libro “I Testimoni di Geova e lo studio della Bibbia” di Achille Aveta e Bruno Vona

La lettura del testo di Achille Aveta e Bruno Vona, I Testimoni di Geova e lo studio della Bibbia, è stata per me particolarmente arricchente sotto vari punti di vista. Per buona parte dell’umanità la Bibbia è un testo sacro. È il testo fondante della religione cristiana, così come l'Antico Testamento lo è stato, ancor prima, per la religione ebraica. È considerata la “Parola di Dio”, divinamente ispirata. Proprio per questo, in una prospettiva religiosa, non la si può immaginare in balìa dell'arbitrio di ciascuno. Negli ultimi decenni il modo di leggere la Bibbia è molto cambiato. C'è chi ritiene che la Scrittura esiga una lettura in chiave di fede, e ne deduce che, perciò, debba essere escluso qualsiasi tipo di lettura diversa; c'è chi, invece, ritiene che possa essere studiata come si studiano altri libri antichi, tenuto conto che è, sì, Parola di Dio, ma espressa attraverso le parole di uomini, con un linguaggio e secondo schemi culturali propri del suo tempo. Il richiamo alla fede è un esigenza degli autori biblici; ma una lettura condotta secondo metodi “critici” è un potente strumento che ci permette di penetrare a fondo nel messaggio del testo. Altrimenti il rischio è quello di una lettura “fondamentalista”, ossia strettamente letterale, che è probabilmente il metodo peggiore che oggi si possa utilizzare.
La Scrittura non significa sempre ciò che sembra dirci alla lettera: ha una ricca varietà di metafore, di parabole e di immagini. Pertanto i Testimoni di Geova dimostrano una scarsa sensibilità nel respingere, per partito preso, ogni metodo di lettura diverso da quello proposto dal Corpo Direttivo. Ebbene, il testo di Aveta e Vona chiarisce come la tesi, promossa dai Testimoni di Geova, di un Dio che detta la Sua Parola “come un uomo d'affari può far scrivere una lettera alla segretaria” (pag. 109), non rende giustizia agli autori sacri, né alle origini o al contenuto dei libri biblici ed evidenzia che le citazioni bibliche, addotte dai Testimoni come prova, non possono reggere il confronto con una critica seria ed accurata. Col tempo la Scrittura “infallibile” ha dovuto confrontarsi, ad esempio, con la realtà dell'evoluzione e con le relative decine di scoperte ad essa collegate, a tal punto che si potrebbe tranquillamente dire che non poche delle conclusioni cui giungono i Testimoni di Geova sono spazzate via dal devastante peso di una montagna di fossili. Non è nemmeno lontanamente concepibile chiudere gli occhi di fronte al dato evolutivo, trascurando completamente le prove forniteci sulla base dei fossili e dell'anatomia comparata, o dalle discipline biologiche più recenti quali genetica, biochimica, ecologia, etologia, neurobiologia, biologia molecolare. È diventato molto difficile continuare a sostenere che Adamo ed Eva siano personaggi storici, realmente esistiti, o che l'uomo sia presente su questo pianeta da soli 6000 anni (vedi le pagg. 116-123 del libro).
Quale credibilità si può riconoscere a chi, oggi, legge in maniera letterale la storia dell'arca di Noè, accreditata della straordinaria capacità di poter ospitare al suo interno per quaranta giorni e quaranta notti una coppia di ciascuna specie animale, vale a dire all'incirca due milioni di esseri viventi? Per molti, oggi, è evidente che molte delle antiche narrazioni bibliche non sono storiche ma sapienziali, interessate, cioè, a presentare il significato filosofico di ciò che accade ogni giorno, non la cronaca di ciò che è accaduto concretamente un giorno di tanto tempo fa.
Ebbene, il libro di Achille Aveta e Bruno Vona mostra quanto uno studio serio della Bibbia abbia un doppio dovere: sottoporre a verifica le tesi proposte dai Testimoni di Geova e, su un fronte più esteso e più impegnativo, valutare la Scrittura per ciò che è. La questione è tutt'altro che banale. Gli argomenti discussi nel libro I Testimoni di Geova e lo studio della Bibbia inducono a destarci dal torpore, a risvegliare dentro di noi domande, sollecitano ad orientarci, ci incoraggiano a penetrare più a fondo e magari a rileggere in maniera nuova la Scrittura. Una nuova luce attraverso la quale l'unico Dio e una fede matura in Lui ci vengono attestati nelle forme e nei generi letterali più svariati: in prosa e poesia, in testi autobiografici e in racconti storici, in disposizioni giuridiche e in ordinamenti cultuali, nelle minacce e nelle promesse dei profeti, in inni e lamentazioni, in saghe e leggende, in novelle e parabole, in oracoli, detti sapienziali e sentenze teologiche.
Di fronte a tutto ciò il “metodo di studio” proposto dal Corpo Direttivo è costruito in maniera tale che dalla Bibbia diventa possibile estrarre, a proprio piacimento e per i propri scopi, tutto e il contrario di tutto, proponendo una verità censurata, un Dio censurato. Come spiegano gli Autori, «l'assenza di metodo, o un cattivo metodo, ma anche la degenerazione di un buon metodo, producono “eisegesi”; invece di cogliere il senso, si introduce quello che si vorrebbe ascoltare e quello che si vorrebbe far dire alla Bibbia» (pag. 232). Tale metodo propone una fede il cui contenuto si fonda su dettagli, punteggiature ed improbabili, rocambolesche interpretazioni, decisamente vacillanti, una fede non fondata su solide convinzioni personali. Non appena il soffio del vento del “pensiero indipendente” scuote i racconti leggendari, la certezza di quel tipo di fede si sfalda. A tale proposito è indicativo quanto scritto a pag. 25 del libro: «Perciò il termine movimento ben si addice al gruppo dei Testimoni di Geova, perché evidenzia proprio il costante mutamento nelle credenze e nella sensibilità degli associati, che accompagna sistematicamente la storia di questo gruppo religioso».
Lo studio della Bibbia, svolto in maniera seria, è connesso con la fede di ciascuno e aiuta a non perderci nei meandri di dettagli spesso insignificanti, se non fuorvianti. Solo a titolo d'esempio: la rappresentazione di Dio che incontriamo già nell'Antico Testamento con forme e lineamenti umani e con sentimenti e comportamenti umani, presa alla lettera, ci riporterebbe all'ambito del pensiero precritico della mitologia. Invece, cogliendo lo spirito profondo della Scrittura e non soffermandoci sulla forma, potremo scoprire che, dalla prima all'ultima pagina, la Bibbia non si limita a parlare di Dio, ma si parla anche con Dio, lodandolo e lamentandosi, pregandolo e ribellandosi. Comunque si parli nella Bibbia di Dio, miticamente o non miticamente, metaforicamente o concettualmente, prosasticamente o poeticamente, il rapporto con Lui, concepito come un interlocutore cui ci si può rivolgere come un Tu, è un elemento costitutivo fondamentale, insopprimibile della fede biblica. Un Dio che può essere ascoltato e invocato, che parla e al quale ci si può rivolgere. Interpellato da questo Tu, l'uomo si sente, a sua volta, rivestito di una dignità che non conosce uguali in altre culture.
Un’ultima riflessione merita l’argomento del nome “Geova”, discusso nel quinto capitolo del libro. Qui gli Autori ci mostrano come sia fuorviante l'interpretazione letterale proposta dai Testimoni di Geova nel pensare che il Dio di Israele abbia rivelato la fede monoteistica fin dall'inizio come un dogma o, in generale, come una verità teoretica. Durante il cammino delineato dagli Autori comprendiamo che la fede rigorosa in solo Dio si è sviluppata gradualmente. Come si può arguire da singoli passi dell'Antico Testamento, anche i patriarchi d'Israele furono da principio adoratori di idoli. La fede in un solo Dio si impose in un secondo momento non in virtù di una riflessione teoretica, bensì in base a un comportamento pratico (pagg. 328-329). Anche le tribù israelitiche ammisero per lungo tempo, e con disinvoltura, l'esistenza di altri dèi. La fede in un unico Dio, Jahvè, ricevette un'impronta decisiva solo molto più tardi. In questo modo venne ad imporsi un “monoteismo di principio” e non solo “pratico”. Anche su questo tema si evidenzia quanto il Corpo Direttivo abbia trasformato, come scrive Sergio Pollina nella Presentazione del libro, questo argomento «in una sorta di mantra: quello del nome di Dio, che è la bandiera e il marchio di fabbrica del movimento», rendendolo oggetto di una sterile e ormai inutile disputa (pag. 18). In tal modo ci si allontana dal cuore del problema, soffermandosi sulla superficie. Qual è il significato di questo nome enigmatico? Non si tratta di una dichiarazione sull'essenza di Dio, ma di una dichiarazione sulla volontà di Dio: vi si esprime la presenza di Dio, la sua esistenza dinamica, il suo essere presente, reale, operante, il suo infondere sicurezza, il tutto in una formulazione che non permette oggettivazioni, cristallizzazioni e fissazioni di sorta.
Dalla lettura di questo libro (in special modo dei capitoli primo, sull’autorità dottrinale del Corpo Direttivo, e terzo, sulla traduzione geovista della Bibbia) emerge quanto sterile possa essere uno “studio della Bibbia” come quello proposto da persone (i componenti del Corpo Direttivo) a digiuno degli elementi fondamentali per la sua comprensione come l’esame della copiatura, delle traduzioni, dell'esegesi (dove l'unità di filologia e storia genera un approccio al testo che va a ricercarne il senso originario per distinguerlo dalle interpretazioni successive), dell'ermeneutica, l'elaborato processo che mira non solo a spiegare il testo ma anche e soprattutto a renderlo interessante per il soggetto odierno, traducendolo nella sua situazione vitale, per non parlare della chiarezza del linguaggio (carenza resa evidente nelle tabelle comparative riportate alle pagg. 215-229 del libro).
A voler descrivere l’essenza del libro di Aveta e Vona con poche parole si può dire che esso contribuisce a consolidare il convincimento che la Bibbia contiene la Parola di Dio, ma è necessario superare la dimensione della lettera ed entrare in quella dello spirito, “perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita” (2 Corinzi 3:6).
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