Finalmente grazie a Polymetis ed alle sue (per me) convincenti spiegazioni, mi permetto di riassumere i diversi punti di vista riprendendo inizialmente i commenti di Cattivo esempio.
alla maniera di vieri
assoluta irrilevanza della ratio
assoluta supremazia della fides
........
Quando io insistevo sempre sul discorso che l'uomo non è un computer, una macchina dotata solo ed esclusivamente di “ragione” di “logica”ma che spesso questa ragione e questa logica vengono condizionate anche da una "iniziale'emotività” e solo successivamente in base alla quale ragiona., prendendomi alla fine anche dell'
intellettualmente disonesto, non posso allora pretendere almeno un minimo di ragione quando, come in questo caso, per principio e per pregiudizio personale, Cattivo Esempio scrive:
fides et ratio sono agli antipodi inconciliabili anche se eserciti di pensatori si sono cimentati in una impresa impossibile.......
.......non ammettendo pertanto di fatto che l'uomo possa ragionare ed agire anche in base ai “sentimenti” tra i quali ovviamente è compresa anche la fede?...
Interessante in proposito quanto ho trovato:
Ragione e sentimento
http://psicologonettunoanzio.it/lintell ... entimento/" onclick="window.open(this.href);return false;
........Gli individui dotati di Intelligenza emotiva vivono le proprie emozioni e i propri processi di pensiero in pieno equilibrio e armonia, costruendo così una perfetta sintonia tra conoscenza e consapevolezza di sé.
Come già ripeturo più e più volte i principi della C.C. si basano su “fides et ratio”.
Fides et ratio"
https://it.wikipedia.org/wiki/Fides_et_Ratio" onclick="window.open(this.href);return false;
Fides et ratio (in italiano Fede e ragione) è una lettera enciclica pubblicata da papa Giovanni Paolo II il 14 settembre 1998.
L'enciclica venne diffusa e presentata ai vescovi, sacerdoti e fedeli il 15 ottobre 1998.
L'enciclica incomincia con
la metafora delle due ali - la fede e la ragione - con cui lo spirito umano spicca il volo verso la ricerca della verità.
Con questa metafora, il Papa spiega che fede e ragione non si escludono, ma al contrario si completano e si sostengono a vicenda.
L'enciclica prosegue spiegando quindi che la fede non va accettata ma va pensata, anzi esige di essere pensata.
Nessuna fede può essere accettata se prima non è pensata dall'intelletto, tramite il quale Dio si rivela e spiega il suo amore: infatti, esso viene rivelato all'uomo, che a sua volta deve conoscere e capire la rivelazione; il processo della conoscenza della rivelazione passa però dalla ragione, non vi è altra via.
L'ascolto della Parola in ogni caso non trova subito la logica accettazione: spesso la razionalità ha la necessità di ricerca, che si fermerebbe subito se essa fosse solo analitica; pertanto, affinché la razionalità continui a dare il suo riscontro c'è la necessità della fede di proseguire anche se in quel momento la ragione non dà risposte.
La ragione quindi, per perseguire la ricerca e avere le sue risposte, ha spesso la necessità di invocare la fede
Le mie conclusioni a quanto espresso da cattivo esempio:
assoluta irrilevanza della ratio
assoluta supremazia della fides
....risulta per me, assolutamente non veritiera.
Andiamo ancora avanti:
se la chiesa dogma che gli asini volano
per il credente volano
e non è un esempio balzano
basti pensare al dogma della perpetua verginità di Maria
Riprendo allora in merito le parole di Polymetis:
“Quello che ho affermato è ciò che credo sulla figura di Gesù. Non dico di poter dimostrare quello che affermo, dico solo che neppure chi nega quello che affermo io possa dimostrare che quello che dico è falso. Il che non è gran cosa, perché posso dire che nella Galassia di Andromeda ci siano alieni verdi, e nessuno può dimostrare che ho torto, ma ciò non rende vero quello che sostengo, semplicemente rende non dimostrabile la sua falsità-
Di nuovo Cattivo esempio che insiste:
...il preambolo è stupefacentemente, scandalosamente non vero
è chi afferma un concetto che deve provare quel che dice,
Risposta di Plymetis
Chi afferma un concetto deve provare che è vero solo se pretende che quello che dice sia dimostrato. Ma se una persona afferma qualcosa, dicendo che non ha le prove di quello che afferma, non incombe su di lui alcun onere della prova, visto che non ha preteso che il suo discorso provi alcunché.
Similmente chi nega qualcosa che è affermato senza prove, può respingere quello che gli è stato proposto senza addurre prove (Quod gratis adfirmatur, gratis negatur). A meno che questo negatore non solo pretenda di dire che quello che ha detto il suo interlocutore è indimostrato, ma anche che sia sicuramente falso
.
…........
ed ancora...sullo stesso argomento...Polymetis dice:
Mi sembra una cosa abbastanza ovvia che se qualcuno ti dice che crede qualcosa per fede, proprio perché dice che è fede, non gli si può chiedere conto di una dimostrazione che non sta dicendo di avere. Si dice spesso in logica affirmanti incumbit probatio (lett. "la prova spetta a chi afferma"). Dunque se io dico "Dio esiste", dovrei provarlo.
Ma se dico "credo che Dio esista", non sto più affermando che Dio esista, ma che io credo che Dio esista, quindi l'oggetto dell'affermazione è la mia fede, non l'esistenza di Dio. Del resto se tu chiedi la dimostrazione del fatto che chi afferma di non aver prove debba comunque provare quello che dice, io, altrettanto demenzialmente, potrei chiederti di provare il fatto che quando si afferma qualcosa lo si debba dimostrare. Qual è la dimostrazione di affirmanti incumbit probatio (lett. "la prova spetta a chi afferma")?
Ci sono delle cose che non si possono dimostrare, e sono punti di partenza. A me pare del tutto evidente che se dico cosa credo, senza pretendere di averne alcuna prova, e affermando che non l'ho, il mio discorso sia accettabile nella categoria "fede".
Andiamo ora al solito discorso sulla Trinità sempre contestato da Valentino....
Polymetis non ha detto che ciò che ha scritto rappresenta una "dimostrazione" della presunta veridicità della dottrina della trinità. Polymetis ha detto che lui "crede", per fede, che la dottrina della trinità sia vera, e lo crede in base a degli "assunti" che accetta sempre per fede.
In tutto questo Polymetis mostra un'encomiabile onestà intellettuale.
Polymetis non ha detto che crede nella trinità "perché l'ha insegnata Gesù", non ha detto che crede nella trinità "perché è una dottrina insegnata gli apostoli", non ha detto che crede nella trinità "perché è una dottrina che si trova nel NT".
Polymetis ha detto in sostanza che crede nella trinità "perché lo insegna quella chiesa" che lui crede, sempre per fede, essere "ispirata" da Dio.
Ti spiega insomma che lui ripone fede negli insegnamenti della chiesa cattolica "a prescindere" se tali insegnamenti possano essere ricondotti davvero a Gesù o agli apostoli.
In parole povere Polymetis non ha alcun problema a riconoscere che non esiste nessuna dottrina della trinità nel NT per il semplice motivo che lui, da cattolico, non basa la sua fede su quello che "dice il NT" (usando una terminologia "fondamentalista") ma basa la sua fede su ciò che insegna la chiesa cattolica perché, per fede, la ritiene "ispirata".
Mi è parso però di capire che Polymetis sul tema avesse ribadito però altri e ben diversi concetti..... :
….. intendo dire che non si può dimostrare che la Trinità sia falsa, perché alla domanda "si può dare almeno un caso in cui i Vangeli siano pieni di fatti non storici, e tuttavia la Trinità sia vera?", la risposta sarebbe un sì, questo caso ipotetico esiste.
Si può dare un caso in cui ciò accada, ed è il caso che gli evangelisti siano ispirati, e dunque mostrino una comprensione di Gesù magari superiore a quella che lui stesso aveva di sé in vita, e gliela mettano in bocca.
La cosa può sembrare improbabile detta così, ma il discorso cattolico si basa su alcuni assunti del proprio sistema, ossia la logica dell'incarnazione.
L'idea è che Gesù, pur essendo di natura divina, spogliò se stesso facendosi uomo. Orbene, l'onniscienza non è compatibile con la condizione umana: non sarebbe ciò stato possibile per Gesù condursi come un umano se avesse avuto consapevolezza di essere DIo, e dunque consapevolezza di tutto l'universo passato, presente, futuro. Il Vangelo di Luca ci dice che cresceva in sapienza, quindi in culla non sapeva di tutto il cosmo (da qui l’annoso problema della comunicazione ipostatica delle due nature di Gesù, ossia in che misura Cristo, essendo una sola persona, avesse accesso alla propria natura divina).
Ciò porta i teologi cattolici a ipotizzare che Dio si sia spogliato della propria consapevolezza, e che l'abbia riacquisita progressivamente, arrivando alla piena consapevolezza della propria natura dopo la resurrezione (è l’idea della kenosis, lo svuotamento). (1)
Assumendo questo punto di vista viene da chiedersi se anche i discepoli abbiano acquisito consapevolezza della divinità di Gesù immediatamente dopo la resurrezione. Stando a Giovanni 20,28 con la confessione di Tommaso, così come viene interpretata per lo più, la risposta sarebbe sì.
Ma ciò non spiegherebbe perché i Vangeli più antichi, come Marco, non abbiano chiaramente espressa come in Tommaso l'idea della divinità di Gesù.
Si può dunque optare, tra le varie ipotesi tutte possibili, che la consapevolezza da parte dei discepoli della divinità di Gesù non sia stata immediata, e sia maturata sino a giungere al proprio compimento in Giovanni, che piazza dunque la dichiarazione della divinità di Gesù sia all'inizio sia alla fine del proprio Vangelo, in una perfetta ring composition .
L’idea di fondo del mio discorso dunque è che i discepoli abbiano meditato su Cristo, aiutati dallo Spirito Santo, e siano giunti ad una progressiva comprensione della sua divinità.
Una volta giunti a questa consapevolezza hanno riletto la vita di Cristo alla luce di questa loro sopraggiunta consapevolezza.
Tutto ciò si basa su alcuni assunti come vedete:
1)Il fatto che sia esistita una presa di consapevolezza graduale in Gesù stesso.
2)Che esista una guida dello Spirito Santo verso la Chiesa, e che dunque essa possa arrivare a vedere il senso di un gesto con una maggiore penetrazione di quello che gli davano gli autori stessi di quel gesto.
Tra l'altro, come rammenta Valentino, dire che Nuovo Testamento, in alcune sue parti, si proclami la divinità di Cristo, non implica ancora che nel Nuovo Testamento si parli della Trinità.
Diciamo che, al pari dell'evoluzione della presa di consapevolezza degli apostoli, questo dogma era l'unica via d'uscita possibile una volta ammesso che Gesù fosse Dio e che tuttavia esiste un solo Dio.
La necessità di tenere insieme la divinità di Gesù e il monoteismo ha condotto la riflessione cristiana ad elaborare il dogma trinitario.
Valgono per questo le stesse considerazioni fideistiche da me fatte per la vita di Gesù, ossia che la riflessione posteriore, se ispirata, può essere più vera di quello che ne potevano sapere gli agenti la cui vita veniva analizzata.
La mia idea cioè è che non si troverà certo una formulazione della Trinità nel Nuovo Testamento, bensì che in esso si trovino tutti gli elementi che, messi in relazione uno con l'altro, abbiano condotto sotto ispirazione a formulare questo dogma che li tiene assieme.
Questo non è un tradimento dei testi o di Gesù più di quanto l'albero possa essere considerato un tradimento del seme. L'ottica dello sviluppo della dottrina rispetto alla vita stessa di Gesù sembra essere stata fatta propria, se non da Gesù, almeno dal Gesù di Giovanni: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future” (Gv 16,12-15)
L'idea che la Chiesa sia ispirata, e che dunque sotto la guida dello Spirito Santo possa elaborare dei dogmi riflettendo sul deposito della propria Traditio (si badi che non ho detto Nuovo Testamento, ma Traditio) è un postulato che gli atei non sono obbligati ad accettare, ma lo debbono accettare i cristiani che vogliano tenersi il Nuovo Testamento.
…......
Insomma con la mania del rigettare la Trinità per mania di "origianarianesimo" (intendendo con questa parola la mania di tornare al cristianesimo delle "origini", ossia degli apostoli), chiunque dovrebbe buttare via oltre alla Trinità anche il NT, perché se è vero che gli apostoli non sapevano nulla della Trinità, certamente nulla sapevano nel Nuovo Testamento,........
…....Per riassumere il mio discorso può tenere insieme che le frasi su Gesù presenti nel Nuovo Testamento non siano state pronunciate dal Gesù storico e al contempo che non siano un falso, come non è un falso il bel discorso che Tucidide mette in bocca a Pericle per commemorare i morti di Atene. Non sarà di Pericle, ma Tucidide conosceva Pericle meglio di quanto Pericle conoscesse se stesso, e gli ha messo in bocca un programma politico della miglior forma possibile.
In breve è sempre pur vero che nel Vangelo non venga mai indicata la parola “Trinità” ed il concetto trinitario non venga espresso mai chiaramente ma al contempo è innegabile che in più parti del Vangelo stesso si parli del “Padre”, del “Figlio” e dello “Spirito Santo”......
In base a
quanto affermato da Polymetis, la famosa differenza fra il “Gesù della fede” ed il “Gesù storico” dibattuta in precedenza in estenuanti discussione precedenti venga ribadita dalle sue parole:
L’idea di fondo del mio discorso dunque è che i discepoli abbiano meditato su Cristo, aiutati dallo Spirito Santo, e siano giunti ad una progressiva comprensione della sua divinità. Una volta giunti a questa consapevolezza hanno riletto la vita di Cristo alla luce di questa loro sopraggiunta consapevolezza.
Mi fa oltremodo piacere che anche Polymetis possa condividere
questa idea che si fecero gli apostoli sulla deicità di Cristo, subito dopo la sua resurrezione e che l'idea che Gesù fosse stato VERAMENTE il figlio di Dio, alla fine non fu una "idea" improvvisata di una certa corrente all'interno del cristianesimo antico e divenuta poi maggioritaria ma fu già da allora il pensiero dominante della chiesa di PIETRO.
Quante volte è stata contestata a suo tempo la parola “figlio di Dio” relegandola solo ad una espressione usuale per quel tempo ?
Io mi sarò espresso magari con parole più semplici ma il concetto alla fine rimane poiché se anche le parole “figlio di Dio” rimangono sempre le stesse alla fine Sono
le intenzioni che vengono cambiate dagli apostoli stessi dopo la resurrezione di Cristo e dove si afferma “ ma tu sei VERAMENTE il figlio di Dio”....
Mi rimane chiaro a questo punto il baratro di incomprensioni che possono essere generati a questo punto
da chi basandosi solo sul “Gesù storico” e quindi solo sulle “parole” e non sulle “intenzioni” delle persone possa rimanere inaccettabile il vero convincimento da parte degli apostoli della deicità di Cristo anche se ancora non ben definita.
Se vi ricordate allora avevo fatto una volta un esempio stupido sulle possibili interpretazioni delle parole: “quella si che è una brava donna”.....dove a seconda degli interlocutori e dei punti di vista si potevano dare connotazioni assolutamente diverse da positive ad estremamente negative.....ma le parole erano sempre le stesse.....e chi a distanza di 2000 anni possa ritenersi allora assolutamente sicuro sulle vere intenzioni degli apostoli e non basandosi solo sulle parole, dato poi che i fatti successivi hanno dato ragione a questi sentimenti nuovi ?
In breve, alla fine ringrazio il buon Polymetis di aver chiarito (almeno a parer mio) questi due importantissimi punti:
- le differenze fra chi solo per pura razionalità desideri sempre prove concrete quando queste per fede non potranno mai essere date e nemmeno essere a sua volta smentite.
- Le notevoli per non dire abissali differenze tra chi partendo dalla sola storia e quindi dal non poter per principio accettare miracoli, resurrezioni o conversioni ( non potendo leggere nella testa di persone di 2000 anni fa...) ritiene sempre la figura di Gesù Cristo come semplicemente “umana” anche se profetica, guaritrice, ecc. e la versione “diversa” e di fede che accetta e considera quanto espresso precedentemente da Polymtis.
Un grazie infine a Quixote per il suo equilibrato intervento e dove ribadisce:
I quali Sinottici poi, assolutamente non possono dirsi un “falso storico”: falsa è la donazione di Costantino, può esserlo, in tutto o in parte, il testimonium Flavianum. Già è piú difficile dimostrare la “falsità” della pericope dell’adultera. Questo a prescindere dal contenuto: perché ci sia un falso dev’esserci un falsario, che è categoria che difficilmente può attribuirsi agli evangelisti; nemmeno si può parlare di “manipolazione”, perché non è tale la differenza di prospettiva fra un vangelo e l’altro, che uno sia piú filoromano o attento alle usanze ebraiche dell’altro ecc. La divergenza di per sé non significa niente.