La tua confusione cara Naaman viene dal fatto che ti sei dimenticato del genitivo che segue a charakter. È verissimo che questo termine viene dal linguaggio delle zecche, ed indica una riproduzione. Quello che i dilettanti come te non possono sapere, perché conoscono il significato delle parole greche solo dai dizionari, e non dall’uso delle parole nella lingua, che non saprebbero leggere, è in che senso charakter sia una riproduzione. E’ una riproduzione non nel senso di un’immagine sbiadita ed imperfetta, perché nel qual caso il greco utilizzerebbe altre espressioni, charakter è la riproduzione nel senso di una riproduzione che è una copia. Ma il punto del tuo fraintendimento è un altro, cioè dimenticare il genitivo che c’è dopo, dove c’è scritto che è la riproduzione “della sostanza”. Vedi, il fatto che la riproduzione dell’imperatore sulla moneta non sia l’imperatore, come tu insipidamente scrivi, si deve al fatto che la moneta copia la superficie esterna dell’imperatore, cioè i suoi lineamenti, traducendola in uno spazio bidimensionale. La riproduzione dell’imperatore in realtà non è una riproduzione dell’imperatore, ma dell’aspetto esterno di un imperatore, cioè dei suoi lineamenti. E mi sembra ovvio che qualsiasi oggetto di cui si riproduce l’esterno, produrrà un’immagine di quell’oggetto, e non l’oggetto stesso, perché ciò che si riproduce di quell’oggetto è solo la sua fisionomia esterna. Un quadro non riproduce un uccello, ma il profilo esterno del di un uccello. Invece Ebrei dice che Gesù è la riproduzione dell’ipostasi di Dio, della sua sostanza, di ciò che sta sotto l’apparenza esterna, cioè Cristo è la riproduzione dell’essenza. E la riproduzione dell’essenza non crea un’immagine esterna come nel caso della riproduzione di un qualsiasi oggetto tridimensionale, dove la riproduzione crea solo un calco dell’esterno di quell’ente.“Nella tua trattazione, caro Mario, tralasci completamente il primo termine soffermandoti solo sul secondo. In Ebrei 1:3 non viene detto che Gesù è "ipostasi di D-o". Al contrario viene detto che Gesù è "charaktêr tês hypostaseôs", Gesù è dunque il charaktêr dell'ipostasi di D-o, non l'ipostasi stessa! Dobbiamo dunque concentrarci sul significato di charaktêr in greco. Secondo il Liddel-Scott il significato di χαρακτήρ è il seguente:
χαρακτήρ:...segno inciso o impresso, impronta, segno, marchio su monete e sigilli.
Sulle monete romane trovavamo impresso il volto dell'Imperatore non l'imperatore stesso! Sicche si può dire che Gesù rappresenta in qualche modo D-o pur non essendo D-o stesso. Questa è l'immagine che ci suggerisce il termine charaktêr. Interessante anche ciò che dice il Thayer:
1) the instrument used for engraving or carving
2) the mark stamped upon that instrument or wrought out on it
2a) a mark or figure burned in (Lev. 13:28) or stamped on, an impression
2b) the exact expression (the image) of any person or thing, marked likeness, precise reproduction in every respect, i.e facsimile
Sostanzialmente Ebrei 1:3 ci dice che Gesù è l' "immagine" di D-o, una "rappresentazione" di D-o ma non D-o stesso. In Gesù troviamo impressa "l'imago D-i". Interessante il parallelismo che se ne può trarre con l'insegnamento paolino che riconosce nell'uomo Gesù l' "ultimo Adamo". “
Riprodurre l’essenza di un uccello, la sostanza di un uccello, richiederebbe, se usassimo la tecnica moderna, non di dipingere l’uccello o fotografarlo, perché così facendo non avremmo certo fotografato ciò che sta sotto l’uccello, la sua ipo-stasi, bensì richiederebbe di clonarlo tramite duplicazione del dna, perché è il dna l’essenza di quell’uccello.
La tua obiezione è la stessa che si sente dei TdG quando essi obiettano che questo passo afferma che Gesù è “l’impronta” di Dio e non Dio stesso, la riproduzione di un monte non è il monte stesso. Ma ben poco hanno capito del testo perché essendo intriso di teologia alessandrina e ci vuole un palato fine…
Il ragionamento dei TdG andrebbe bene se ci fosse la riproduzione di qualunque altra cosa fuorché l’ipostasi. Se infatti stesse scritto “riproduzione della testa” allora l’immagine della testa sarebbe diversa dalla testa in sé, ma qui sta scritto che ad essere riprodotta è l’ipo-stasi, cioè “ciò che sta sotto”, la natura, non dunque un’apparenza esterna che possa essere raffigurata in un dipinto. La natura, la sostanza, non è riproducibile con un’immagine, perché non è la veste esterna bensì la natura interna.
La riproduzione non dell’esterno di qualcosa, ma della “sostanza” di qualcosa, della sua essenza, è per forza identica all’essenza di partenza. L’essenza è ciò che rende qualcosa ciò che è, l’essenza del cane, è il suo essere cane, quindi la riproduzione dell’essenza del cane non è l’immagine di un cane in un dipinto, ma è un altro cane, cioè un altro essere dotato dell’essenza canina.
Non a caso gli esegeti dell’Ecole Biblique commentano giustamente: “irradiazione… impronta della sostanza: queste due metafore desunte dalla teologia alessandrina della sapienza e del Logos (Sap 7, 25-26) esprimono l’identità di natura tra il Padre e il Figlio e nello stesso tempo la distinzione delle persone. Il Figlio è l’“irradiazione” o il riflesso della gloria luminosa (cf. Es 26,14+) del Padre: Lumen de lumine. Ed è l’“impronta” (cf Col 1,15+) della sua sostanza, come l’impronta esatta lasciata da un sigillo (Cf. Gv 14,9)”
L’impronta\riproduzione della sostanza, e non di una superficie tridimensionale esteriore, è una sostanza identica, quindi se la sostanza del Padre è di essere Dio, il Figlio è Dio come il Padre, perché la riproduzione di una natura, è una natura identica.
Tutti i termini sono problematici, in quanto sono termini umani. Il Concilio Laterano IV del 1215 dichiarò che tutti gli asserti umani, in quanto asserti mediati e tradotti, sono più dissimili che simili alla realtà di Dio (DS 806) . La teologia cattolica sa bene questo, e si tratta solo di trovare quelli meno problematici, consci come siamo che se riuscissimo ad afferrare il mistero di Dio, probabilmente non avremmo afferrato Dio, ma un essere creato da noi e dunque alla nostra portata.“Nessuna confusione: il problema come vedremo è d'ordine filosofico. Tuttavia non dobrebbe passare inosservato che in ogni caso, l'ambiguita e l'inadeguatezza di questi termini (in relazione al dogma trinitario qualcuno ha parlato addirittura di un' "indigenza del linguaggio": ovvero la non esistenza di termini consoni alla formulazione del presunto "mistero trinitario") risulta essere già problematico. Come ho già avuto modo di osservare è lo stesso Rahner (e prima di lui Agostino) a ritenere che i termini usati nella formulazione dogmatica trinitaria siano, a voler usare un eufemismo, problematici. “
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Veramente, si trattò solo di capirsi, tra Oriente ed Occidente, su cosa si intendeva per i rispettivi termini, perché i latini prima capivano i termini greci sulla base della loro etimologia, e non sulla base del significato corrente che avevano assunto in greco. E’ vero che in origine hypostasis indicava la sostanza (nel senso di essenza), e dunque la sua traduzione latina, sulla base del significato primigenio del termine, avrebbe dovuto essere sub-stantia. Ma all’epoca delle dispute cristologiche del IV secolo, hypostasis in greco indicava la persona, e dunque era davvero “persona” la traduzione adeguata, sebbene non sarebbe stata necessariamente la traduzione corretta ai tempi di Aristotele 7 secoli prima. Il significato delle parole infatti non è dato dalla loro etimologia, ma dal loro uso, cosicché un termine all’epoca di Platone ed Aristotele, non significa quello che significava all’epoca dell’autore di Ebrei, e neppure quello che indicava nel IV secolo. Ma per districarsi in questi problemi bisogna aver esperienza di traduzioni dei testi greci, e non esperienza nello scartabellare dizionari senza capirli come fanno i TdG. Questi strumenti servono per chi il greco lo sa già, nei dilettanti creano solo confusione.Agostino si rendeva perfettamente conto che l'utilizzo di "persona" per tradurre il greco "ipostasi" era un utilizzo in senso "accomodato" e non "ex significatione sua". “
Come se bastasse usare una parola simile a quella usata in passato dai modalisti, per ricadere nella loro dottrina. Non credo ci sia pericolo. Rahner conosce bene il delicato equilibrio tra unità della sostanza e triplicità delle persone che era stato un cardine della riflessione patristica e tomista, semplicemente fa un’altra scelta terminologica, che per lui era più felice.“Rahner è consapevole che la terminologia è inadeguata e sfocia nel triteismo. Egli propone un'alternativa, ma non sembra che la "proposta Rahner" migliori la situazione. Altri critici, non io, ritengono la proposta Rahner non innovativa ed altrettanto problematica potendo esitare in una specie di formulazione modalista.”
Probabilmente ha questa datazione nelle enclave fondamentaliste che tu frequenti… Non abbiamo dati che ci permettano di datare questa lettera, né tanto meno a prima del 70 d.C.; il terminus ante quem è una citazione in una lettera di Clemente Romano a fine I secolo, di più non si può dire. 70, 86, 95, 60, sono tutte date altrettanto plausibili.“Caro Mario stai facendo un pò di confusione! Cronologicamente la lettera agli Ebrei è collocabile tra il 54 ed il 70e.v....”
Non mi sembra che Mario abbia espresso l’idea che il temine vada inteso come vuole Plotino. Innanzitutto occorre vedere di qualche termine “ipostasi” stiamo parlando, perché è ovvio che per capire il senso che ne è dato dalla lettera agli Ebrei, confronti col successivo Plotino sono meno significativi di quelli con autore medio platonici del I secolo. Ma Mario giustamente parlava di medio platonismo, e non di neoplatonismo, e viene da chiedersi dove tu abbia letto che Mario avrebbe voluto inscrivere Plotino tra i medioplatonici. Dire che un termine deriva nell’uso dal neoplatonismo, ovviamente non implica un’identità di utilizzo, ma solo una derivazione. Nellì’ipotesi che i trinitari nel IV secolo abbiano derivato il loro linguaggio da Plotino, ciò non implica un’identità di significati, come giustamente anche tu notavi. In realtà nessuno ha derivato alcunché da qualcun altro, almeno a livello consapevole. Semplicemente le varie scuole di secolo in secolo hanno modificato il senso del termine, e così ciascuno s’è trovato ad utilizzare quel termine col significato che aveva assunto, al pari di come noi utilizziamo i termini italiani sulla base del significato che hanno assunto nella nostra lingua, del tutto disinteressati a chi sia stato il primo ad utilizzare un termine in questo significato.“.o poco dopo. Tuttavia l'impiego filosofico della parola ipostasi nei termini da te riportati risale al neoplatonismo NON al medioplatonismo. Plotino è un neoplatonico NON un medioplatonico. Quindi invece di rifarci al paradigma semantico-filosofico plotiniano dovremmo capire come il termine venisse inteso ed impiegato nel primo secolo......e non al tempo dei neoplatonici circa 150 anni dopo! IPOSTASI NELLA SUA ACCEZIONE FILOSOFICA PLOTINIANA E' UN TERMINE DEL NEOPLATONISMO (terzo secolo) NON DEL MEDIOPLATONISMO (primo secolo). Ma non capisco come questo potrebbe aiutarti! Il sistema plotiniano usa ipostasi intendendo TRE NATURE di ordine gerarchico che vengono "generate" per DEGRADAZIONE. Se applichi questo paradigma tal quale in un sistema trinitario ci troveremmo di fronte nè al triteismo, nè al modalismo MA ADDIRITTURA IN UN SISTEMA GNOSTICO IN CUI LE EMANAZIONI DEGRADANO SEMPRE PIù DALLA PERFEZIONE ORIGINARIA PER CUI OGNI IPOSTASI è MENO PERFETTA DI QUELLA PRECEDENTE. NON A CASO I TRINITARI SI SON TROVATI COSTRETTI A RIMANEGGIARE ANCHE PLOTINO!”
E chi nega che Dio sia uno? I trinitari dicono forse che ci sono tre dèi?“"Ascolta, o Israele: Hashem è il nostro D-o, Hashem è uno" (Deuteronomio 6:4”
Il che vuol dire solo, per un trinitario, che la natura divina di Cristo, non è la natura umana.“"Egli NON è un uomo" (Giobbe 9:32)”
Se passassimo agli argumenta ex auctoritate, tu dovresti subito diventare trinitario, visto che Moltmann lo era, e che gli anti- trinitari tra i cristiani sono 4 gatti senza importanza intellettuale, come s’addice a chi non ha avuto un’istruziione tale che gli permetta di governare la complessità. I teologi possono avere varie idee, bisogna vedere se siano giuste, inoltre parlare di tendenze modaliste latenti in un collega, non vuol dire dargli del modalista. Che Moltmann non abbia mai brillato in dogmatica, e soprattutto la sacramentaria, sono sue cruces note agli studiosi, e derivano dal fatto che egli non poté accedere in maniera adeguata alla sintesi tomista, ma si muoveva su un piano pre-filosofico ingenuo, che farebbe impallidire qualsiasi filosofo per la sua assenza di rigore e di lessico metafisico. Ma ciò è irrilevante. Forse occorre andare alla radice dei problemi.“ono in buona compagnia. Jürgen Moltmann..”
Mi pare che l’assunzione del nominalismo medievale di Roscellino, abbia poco a che fare col problema se, assumendo per vera la Trinità, essa sia coerente o meno. Semplicemente, almeno prendendo per buono al momento il tuo resoconto di Roscellino, è il concetto di natura intrinseca di un ente che viene rifiutato, ma siccome questo è invece intrinseco alla Trinità, qui non si tratterebbe più di vedere se la trinità sia coerente coi propri assunti, bensì si mettono in dubbio alcuni assunti della Trinità.“Questo è il nocciolo concettuale del “nominalismo” di Roscellino. Seguendo coerentemente il nominalismo roscelliniano è impossibile affermare l'esistenza di una essenza divina in tre persone, quindi devono esistere tre divinità separate. Per un nominalista coerente non possono infatti che esistere i casi individuali (questo uomo qui, questo cavallo qui, ecc), senza dover postulare l’universale “uomo” o “cavallo”: sicché non è ammissibile che una cosa partecipi di tre idee distinte. Applicando questo paradigma alla dottrina trinitaria, Roscellino asserì che la "trinità" deve essere costituita di tre distinte persone divine, e che l'unità tradizionalmente ascrittale è essenzialmente verbale, o nominale.”
Comunque, quello che sarebbe applicabile a degli enti mondali, e cioè l’inesistenza per i nominalisti di una natura comune sussistente a due esseri umani separati, non è applicabile alla divinità trinitaria. Infatti, il bersaglio polemico dei nominalisti è da una parte Platone con le sue idee separate, di cui i singoli enti mondani parteciperebbero, dall’altra la tesi dell’esistenza della forma inerente ad ogni singolo ente, come per i peripatetici. L’applicazione alle tre persone divine c’entra poco per l’appunto perché non si tratta di tre persone separate, di cui poi si debba cercare un’essenza comune. Il nominalista dice che esiste solo l’individuo, ed in qualche senso è così anche per la Trinità. Quando si dice che la sostanza divina è unica alle tre persone, non si intende semplicemente che hanno 3 natura identiche, altrimenti anche io e miei due amici, in quanto esseri umani, saremmo una sola natura in tre persone. No, si intende molto di più. E non solo che il Figlio è tutto ciò che è il Padre, ove non s’opponga la relazione, perché ancora staremmo dicendo che sono enti uguali, senza spiegare perché sarebbero una cosa cosa. Unità della sostanza in Dio vuole invece comunicare il mistero secondo cui la sostanza è numericamente una, e non tre sostanze uguali come possiamo esserlo io, Gianni e Marco, numericamente una sola, e ciascuna delle tre persone è l’interezza di questa sostanza. Non c’è la sostanza del Figlio, e accanto quella del Padre, ciascuno di essi occupa, se così si può dire, la stessa sostanza, ciascuno di essi è Dio tutto intero , non solo nel senso che sia uguale per divinità alle altre persone, ma proprio nel senso che ciascuna delle tre persone è la stessa sostanza. La nostra mente, abituata cogli enti mondani, non concepisce ciò, perché nel nostro mondo c’è un singolo ente per ogni singola sostanza, ed io e Mario non possiamo spartirci la stessa sostanza, né tanto meno essere ciascuno di noi l’interezza di quella sostanza, al massimo capiremmo di potercela dividere al 50% ciascuno. Da questa constatazione, il passo successivo è però spiegare in che senso non siamo caduti nell’eresia modalista, perché coloro che non sono avvezzi di filosofia, potrebbero ritenere che se ciascuna persona è l’interezza della sostanza, e si dà una sola sostanza, allora le tre persone, siano in automatico una sola persona. L’incapacità di comprendere questa tensione tra il patto che i tre non si dividono l’unica sostanza, ma sono ciascuno l’intero della sostanza, e tuttavia continuano ad essere tre persone distinte, è la radice della tua incomprensione del dogma trinitario, e del fatto che credi sia applicabile una strategia come quella che attribuisci a Roscellino (del quale in realtà non possiamo ricostruire esattamente la posizione, dovendoci basare su resoconti avversari). L’unità delle tre persone nella natura divina esiste, perché esattamente come Roscellino non negherebbe l’esistenza di un singolo individuo, così nella Trinità la sostanza è una sola, e non tre individui ciascuno dei quali avrebbe tre sostanze distinte accomunate dall’appartenenza allo stesso genere, ad un universale, che per Roscellino non esiste.
Il problema nasce per l’appunto dal fatto che le persone, nel nostro mondo, sono delle sostanze separate ed individue, che ricevono il loro carattere di persone dalla loro separatezza. Ma la teologia trinitaria invece concepisce la divinità diversamente, dicendo che la persona, è la relazione. Noi nel nostro mondo vediamo che la relazione è qualcosa di accidentale ed estrinseco, tale che date due persone, può esserci o non esserci relazione tra di loro. Nella Teologia trinitaria è il contrario: le persone non pre-esistono alle relazioni tra di loro in seguito da capire come si relazionino, al contrario, la persona è la relazione. Lo Spirito Santo non è in relazione al Padre e al Figlio, è la relazione tra il Padre ed il Figlio. Ciascuna persona divina è la sostanza tutta intera, proprio perché ciascuna di esse è la relazione tra le altre due persone, le quali sono ciascuna una relazione a loro volta tra le altre due, senza che pre-esista alcuna persona alla relazione, essendo la relazione costitutiva della persona. Le relazioni però, che nel nostro mondo sono accidentali, in Dio sono sussistenti, essendo in Dio tutto sussistente, ed essendo Dio privo di accidenti.
Ad maiora