Per Vazda
“in realtà tu la soluzione l'hai data, ed è esattamente la soluzione totalitaria del cancellare ciò che arbitrariamente viene posto come male solo perchè diverso e non piace.”
Soluzione in senso pratico, ma certo non soddisfacente dal punto di vista teoretico: il che non toglie che sia la migliore possibile, quella che ha minori difetti, essendo impossibile nelle cose umane rinvenire la perfezione.
Non mi sembra d’aver negato che questa soluzione sia totalitaria, ho fatto un altro step invece, chiedendomi se questa forma di totalitarismo sia da scartare o se invece sia corretta ed inevitabile. Argomentavo infatti che tale “totalitarismo” del pensiero è insito in qualunque democrazia, nella misura in cui si stabilisce a priori che ci sono dei giudizi ormai superati perché erronei. Un caso eclatante è il pregiudizio razzista: non è possibile oggi sostenere, senza beccarsi una denuncia per incitamento all’odio razziale, che i neri siano una razza inferiore e dei sub-umani.
Come già detto dunque il problema non è se nella democrazia ci siano dei pareri vietati, perché è già ovvio che ci siano, bensì il problema è se lo Stato ha deciso, secondo verità, quali siano i pareri da vietarsi. Pare evidente che, in assenza di un criterio di verità universale, lo stato si basi su una sorta di ottimismo gnoseologico, cioè da per scontato che la verità si imponga a lungo andare con la forza delle argomentazioni, e che se dunque un parere viene percepito dai più come pregiudizio ingiustificato, allora è perché è stata la ragione a prevalere. Ciò è particolarmente vero quando il parere che finisce per prevalere viene da una minoranza prima perseguitata, che dunque aveva solo la forza delle argomentazioni dalla sua parte, e questo è il caso sia nei neri che dei gay. Ed è un indicatore altrettanto utile il fatto che un parere faccia breccia anche nel campo avversario: pare che ad esempio la maggioranza dei bianchi si sia spostata su posizioni anti-segregazioniste, pur non avendo alcun movente per farlo, e lo stesso discorso ovviamente vale per gli etero, che hanno ormai sdoganato l’omosessualità, al punto che, per fare l’esempio degli Usa, il 70% di chi in America ha oggi meno di 32 anni è favorevole ai matrimoni gay. Traggo questo dato da un articolo del Fatto Quotidiano che, commentando il fatto che la Corte Suprema sta per esprimersi su due importanti sentenze sulla costituzionalità delle leggi che impediscono le nozze gay, ha così chiuso l’articolo: “ Il 70% di chi in America ha oggi meno di 32 anni è favorevole ai matrimoni gay. La decisione della Corte è quindi fondamentale, ma non decisiva. I nove giudici non faranno altro che accelerare, o rallentare, qualcosa che è inevitabilmente già iscritto nel futuro degli Stati Uniti.”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03 ... ma/542333/" onclick="window.open(this.href);return false;
Per riassumere dunque, il fatto che una posizione venga da un gruppo di minoranza, e che essa abbia fatto breccia anche in chi non ha alcun movente per sostenerla, è un eccellente indicatore del fatto che siamo dalla parte della ragione. Sospetti sono sempre invece i piagnistei contro il cambiamento che vengono dalle maggioranze che detengono il potere, e che vogliono togliere ad altri quello che esse hanno per sé: questi sono indicatori probabilistici molto utili per discernere quali cause la democrazia deve sostenere, e quali invece deve cassare. Se la maggioranza, per giunta agitando l’arma irrazionale del disgusto tabuistico, non è riuscita a reprimere le idee avverse, allora abbiamo un forte indicatore del fatto che in quelle idee si esprimono istanze che non chi possa sbarrar loro la strada, perché la loro razionalità è chiara, così com’è chiaro similmente che solo il disgusto ed il pregiudizio muove chi le vorrebbe rigettare. C’è poi il fatto grandioso che le posizioni dei diritti gay non solo hanno fatto breccia nel campo di chi non aveva nessun movente per sostenerli, ma persino nel campo avversario. Vale a dire che nelle pagine degli stessi teologi cattolici ormai è chiaro che la posizione del magistero ordinario appare insostenibile. Sfortunatamente il carattere provinciale della teologia italiana fa sì che i nostri seminaristi non lo sapranno mai, ma basta guardare in Germania (fenomeni come il documento Kirche 2011 firmato da più della metà dei professori di teologia cattolica tedeschi) o negli Usa, per rendersi conto che ormai i teologi cattolici si vergognino, giustamente, di dover spiegare alla gente che la Chiesa cattolica non è solo la miopia che sembra trasparire dai documenti che vengono da Roma. Sicché, visto che la nuova generazione di teologi sarà impossibilitata a sostenere cose in cui non crede, l’accettazione dell’omosessualità anche all’intero della Chiesa cattolica è solo questione di qualche decennio, cioè il tempo necessario a far sì che gli attuali pastori dalla chioma incanutita terminino il loro transito su questa terra. La relatività generale einsteniana e la fisica quantistica similmente si imposero non appena tutti i vecchi fisici formatisi nell’ottocento finirono sottoterra. Non è una cosa detta così per ridere, o un luogo comune, che i vecchi siano i più recalcitranti al nuovo, questo perché più gli anni passano e più le abitudini si sedimentano nel nostro animo, rendendoci sclerotici (dal greco skleroi, cioè “duri”) al cambiamento. Cambiare un’opinione infatti, mutare la nostra visione del mondo, richiede una totale riorganizzazione del nostro io, operazione alla quale la nostra psiche è allergica, perché non vuole lasciare la sicurezza di ciò che è già consolidato e funziona per avventarsi verso l’ignoto della novità- Sicché è vero che i vecchi sono i più restii ad accettare pareri nuovi, e che il futuro della rivalutazione dell’omosessualità in teologia è nelle mani dei giovani.
“ze" e tu stesso non fai che affermare che il pensiero del suddetto felpato babbeo è oramai minoranza, quindi, per coerenza dovrebbe essere tutelato. E invece no! Ed è qui che si rivela l'intolleranza della tua posizione. Quando le istanze gay sul matrimonio erano minoranza e considerate assurde, contrarie alla morale, pericolose per la società e così via tu (immagino) e anche io difendevamo il diritto democratico di questa minoranza di esprimere e portare aventi tali istanze e tali idee anche se sgradite alla maggioranza, proprio in base alla libertà di parola e di portare avanti le proprie idee per cercare di farle diventare maggioranza. Perchè io ritengo che i gay così come chiunque altro abbia il diritto di portare avanti tutte le istanze che vuole, anche quella per cui lo stato deve mantenere a vita tutti i gay o i biondi o i mancini o...”
Ci sono vari problemi su questo punto. In primis i gay sono ancora una minoranza, in fatto di persone, mentre la maggioranza è eterosessuale. Quanto al pensiero circa il matrimonio invece, come hai giustamente detto, pare essere divenuta una minoranza chi lo vorrebbe negare, e una maggioranza chi lo vorrebbe affermare. Queste due situazioni sono però simmetriche, e per vari motivi.
Perché infatti noi non consideriamo affatto una minoranza da tutelare quella dei razzisti, e facciamo leggi contro la discriminazione razziale? Perché si tratta di una minoranza le cui pretese non sono su se stessi, ma sulla vita altrui. Mentre i neri che lottavano contro la discriminazione chiedevano per sé diritti che non avevano, al contrario il razzista che si opponeva a questi diritti non chiede di fatto tutele per sé, bensì chiede solo che vengano tolte tutele ad altri. E’ qui l’assimetria: nessuno impedisce al maschio bianco esistere, quindi quando egli invoca il diritto a discriminare i neri, non sta rivendicando i diritti per sé, in quanto li ha già, bensì chiede di toglierli ad altri. In effetti c’è qualcosa che gli viene tolto dall’introduzione di una legge anti-discriminazione, ma per l’appunto non riguarda lui stesso, bensì il suo potere su un altro, cioè gli viene tolto il suo potere di insultare e picchiare un nero.
Lo stesso discorso vale per i cosiddetti diritti dell’attuale minoranza contraria al matrimonio gay: l’articolo di Le Figaro giocava maliziosamente su questo punto, mostrando di non capire nulla, quando paventava che in futuro le coppie eterosessuali non avrebbero più potuto andare in giro con loro figlio per i parchi. Ma l’estensione dei diritti alle coppie gay non diminuirà affatto, fino a prova contraria, il diritto alle famiglie omosessuali di esistere.
Così come non si può tutelare il diritto a discriminare del razzista, perché si tratta di qualcosa che non riguarda il razzista stesso, ma solo il suo voler negare ad un altro i diritti che lui stesso invece ha, lo stesso discorso si deve fare per chi è contro il matrimonio gay. Non si può mettere sullo stesso piano il diritto che aveva la minoranza gay ad esigere diritti per se stessa, col presunto diritto dell’omofobo di discriminare in tema di matrimonio, perché per l’appunto nessuno impedirà a quelle persone di continuare ad avere la loro bella famiglia etero, quindi la loro rivendicazione non è per la sicurezza di loro stessi, e non è una tutela per loro, ma al contrario quello che richiedono è di agire per togliere diritti ad altri. E come può aver senso paragonare la tutela di una minoranza che chiedeva diritti per sé, con invece una minoranza che non chiede diritti per sé ma chiede di toglierne ad altri? Qui si viola per l’appunto il principio base secondo cui, se non puoi dimostrare che la mia condotta privata ti danneggia, o danneggia il bene pubblico, non esiste alcun motivo per cui uno Stato possa vietarla. E’ sulla base di questo grimaldello che, implacabilmente, s’è fatto strada il diritto alle nozze gay. Nessuno finora è infatti riuscito a trovare una ragione convincente, se non in qualche studio screditato, che indicasse un qualsivoglia svantaggio sociale derivante dalle nozze gay.
“Però, adesso che tali "tue" idee sono maggioranza (a sentire te, io ho i miei dubbi vista la manipolazione delle cifre che abbiamo avuto ad esempio nel caso della legalizzazione dell'aborto) curiosamente, ma curiosamente mica tanto, tale tolleranza e tale diritto democratici non li vuoi riconoscere agli altri, neghi agli altri quello stesso diritto che sino a ieri hai invocato per te stesso, con la scusa che sarebbe... offensivo. La democrazia non può essere tutela delle minoranze quando fa comodo e legge del più forte quando non fa più comodo per la propria ideologia. Del resto quelle che mi hai elencato sono appunto aberrazioni della democrazia che in una democrazia effettiva, come tende ad essere quella americana, non hanno posto in quanto appunto la libertà di parola è realmente tutelata dalla costituzione. Ma quella americana è una democrazia, con tutti i suoi difetti, figlia dell'illuminismo anglosassone e non, come in europa, del totalitarismo ideologico giacobino.”
Questo tuo discorso mi pare che non risponda a nessuna delle obiezioni che avevo sollevato. In primis non ho capito quali sarebbero le aberrazioni della democrazia che ho elencato: è un’aberrazione della democrazia il razzismo, o che si facciano leggi contro la libertà di parola del razzista?
Perché vedi, è proprio questo il punto: se tu difendi come valore intoccabile la libertà di parola, allora devi ammettere come conseguenza necessaria l’impossibilità di qualsiasi legislazione che penalizzi la diffamazione o qualsiasi forma di incitamento all’odio, che sia quello razziale o quello etnico. Non ho ben capito se è questo quello che affermi, o se forse non ti sei reso conto che è questa la conseguenza di ciò che affermi. Io infatti ho affermato che già ora le democrazie occidentali tutelano alcune minoranze contro la possibilità che si parli male di loro, esiste dunque una vera e propria verità di Stato su alcuni temi, ad esempio il fatto che “Tutti gli uomini sono uguali”, e dunque, per corollario, un nero non è inferiore ad un bianco. Se qualcuno fa propaganda razzista, lo mettono in galera per incitamento all’odio razziale, perché il nero ha il diritto di non subire le conseguenze rovinose che l’incitatore d’odio ha sollevato contro di lui.
Ciò detto dunque, se fai della libertà di parola un valore assoluto, e dunque qualcosa che debba tutelare la libertà di parola di qualunque gruppo di pensiero, allora necessariamente dovrai ammettere che si debba dar libertà di parola anche ai razzisti, o ad un nazista che inneggi nuovi pogrom contro gli ebrei. Se invece ammetti che il diritto di quel nazista a parlare vada temperato col diritto dell’ebrei a non essere insultato, allora devi anche ammettere che esistono dei campi in cui esiste una verità di Stato, e che è giusto che sia così, sul fatto che alcune opinioni, come quella razzista, ormai appartengono ad un passato figlio dell’ignoranza, e che non meritano cittadinanza, e non solo perché sono stupide, ma perché fanno del male a delle persone che lo Stato ritiene innocenti dei crimini a loro ascritti. Se cioè la mia accusa ad un nero è che lui è un idiota inferiore perché nero, lo Stato ha una verità sua propria, stabilita nella Costituzione, che dice che invece tutti gli uomini sono uguali.
Se ammetti dunque che è corretto che esista una verità di stato su alcuni punti, e che dunque alcuni pareri non sono più leciti, allora hai già ammesso il principio in base al quale lo Stato potrebbe decidere in futuro di censurare i pareri omofobi. La discussione infatti non starebbe più sul fatto che lo Stato abbia il diritto di censurare i pareri contro alcuni gruppi, la discussione sarebbe unicamente sul problema di quali siano i gruppi da tutelare, cioè quali siano i gruppi che si sono conquistati il consenso concorde della società sul fatto che le accuse contro di loro sono infondate.
A questo punto ritorna la motivazione che ho dato della censura dei pareri omofobi: sono offensivi. Ovviamente pare che il discrimine tra un’offesa che la legge reprime, ed una invece che non può essere repressa, è la verità dell’offesa medesima. Dare ad un mafioso del mafioso non è reato, ma se lo dici ad una persona per bene, la tua libertà di parola si scontra col suo diritto a non essere insultato, e dunque ti becchi una condanna. Come dicevo il discrimine tra le offese tollerate e quelle non tollerate sta nella verità delle offese. Ancora una volta ci troviamo dinnanzi al problema che la democrazia non ha alcun criterio metafisicamente cogente per stabilire la verità di qualcosa, ma per nostra fortuna, o forse per nostra sfortuna, a seconda del punto di vista, la società non richiede una dimostrazione matematica della falsità di un’offesa per censurarla. Si accontenta di meno, e cioè di una serie di indizi concordi, gravi e convergenti che hanno conquistato il consenso del mondo civile. Non esiste infatti una dimostrazione matematicamente certe che i neri siano umani come i bianchi, né esiste dimostrazione dell’uguaglianza tra uomo e donna, semplicemente la società s’è formata un consenso su questi temi, che le fa decidere di non tollerare i cosiddetti liberi pareri di personaggi che si fanno scudo della libertà d’espressione per offendere altre persone. Infatti, poiché s’è stabilito, al punto da elevarlo a principio costituzionale, l’uguaglianza di uomo e donna, non è tollerabile per una società che si basi su tali fondamenti che qualcuno inciti i mariti a picchiare le donne disobbedienti, come quale imam musulmano ogni tanto si sogna di poter fare anche qui in Italia. Lo stato non concede cioè alla propaganda dell’odio di poter circolare, perché i pareri non sono neutri, ma sono macigni che rendono irrespirabile l’aria per milioni di persone. Orbene, nel caso dell’omosessualità la comunità scientifica ha da tempo deciso che l’omosessualità sia una variante naturale del comportamento umano, ed essa è stata depatologizzata. Sotto questo profilo dunque il fatto che ci siano ancora personaggi che si permettono di dire che i gay siano anomali, malati, patologici, e tutta un’altra serie di parole francamente offensive, dovrebbe essere considerato alla stregua di chi nel 2013 difendesse le teorie di Lombroso, o le teorie naziste di quei medici che misuravano crani ariani per decretare che i “negri” erano una razza inferiore. Perché nessuno potrebbe pubblicare più un articolo dove si sostiene che gli ebrei sono una razza diversa ed inferiore per motivi anatomici? Per la banalissima ragione che lo Stato, e il consenso civile, ha sposato una teoria scientifica, quella cioè dell’uguaglianza degli esseri umani. E ancora una volta, il fatto che questa teoria si sia imposta nonostante la maggioranza non avesse nessun movente utilitaristico per accettarla, è uno degli indizi della sua verità, al contrario le resistenze che provenissero da qualche bianco, preoccupato di perdere gli schiavi della sua piantagione, non avrebbero lo stesso peso, proprio perché in quel caso egli avrebbe interesse a sposare una teoria razzista. La convergenza dunque di tutto il mondo verso la teoria dell’uguaglianza tra i popoli, e dell’uguaglianza d’intelletto tra uomo e donna, è stato qualcosa che si ripete oggi con la depatologizzazione dell’omosessualità. Se non è più tollerabile dire che i neri sono così per via della famosa maledizione di Cam, per quanto tempo ancora si dovrebbe accettare che altri esseri siano definiti impunemente come “anormali”, “malati”, e via discorrendo, perché c’è gente mentalmente arretrata che non può fare a meno di retaggi ancestrali che provengono dalla matrice semitica del loro testo sacro? Se una società NON crede che qualcuno sia malato, e crede che l’essere omosessuali anziché etero sia esattamente come essere biondi anziché mori, cioè una variante del tutto sana e naturale, tale società può forse tollerare a lungo che ad un suo membro venga dato sistematicamente del malato da alcuni reazionari? Non tollereremmo forse che un predicatore dia dei malati a coloro che sono rossi di capelli, e martoriasse tutto uno stato con la sua propaganda? No di certo, e i rossi di capelli avrebbero tutto il diritto ad incazzarsi e a chiedere rispetto per se stessi. Se dunque una società è arrivata alla conclusione che l’omosessualità è una variante della natura umana al pari che l’essere rossi anziché mori, mancini anziché ambidestri, ecc., cioè una cosa del tutto ininfluente, può essa tollerare che ci sia ancora qualcuno che nel 2013 si permette di sostenere che i gay sono “anormali” e “malati”?
Il ministero delle Pari Opportunità ha da poco elaborato questi spot, dove si mostra la linea di pensiero che vi ho appena illustrato, e cioè: cosa c’è da dire sul fatto che una persona sia rossa di capelli? Niente, è una cosa normale. E dunque cosa c’è da dire sul fatto che qualcuno sia gay? Niente, è una cosa normale…
Ecco, c’è gente che non s’è ancora messa in testa che essere gay è come essere biondi anziché mori, e neppure s’è messo in testa che per la comunità scientifica i suoi tentativi di patologizzare l’omosessualità sono una cosa seria quanto i nazisti che misuravano crani per scoprire quanto gli ariani fossero superiori. E dunque, se appartengono alla stessa totale inconsistenza argomentativa, perché tollerare l’omofobo, visto che le sue argomentazioni non sono più serie di quelle dei medici nazisti, e che offendono ingiustificatamente una categoria di persone così come i medici delle SS offendevano la diginità degli ebrei? E se l’ebreo ha il diritto, riconosciutogli dallo stato, di non sentirsi dire da nessuno che è d’una razza inferiore, perché mai si dovrebbe tollerare che il gay si senta dire che è malato e anormale, visto che ormai s’è stabilito che non è così? La gravità dell’offesa sta proprio in questo, e per immaginarvela, amici lettori, non dovete far altro che figurarvi, voi che siete presumo sani, che ci sia qualcuno sistematicamente si prenda la libertà di dirvi, in tv e a mezzo stampa, che siete malati, magari riuscendo a convincere quelli culturalmente indifesi di questa balla. Lo sopportereste? Non credo. E allora, non chiedete ad altri normali, cioè i gay, di avere pazienza, se voi stessi, capite bene, non l’avreste. Se dopo queste mie righe non sarete ancora d’accordo con me sul fatto che punire chi diffonde il pregiudizio, e dunque l’odio, verso i gay, ha la stessa logica consequenzialità che punire chi incita all’odio razziale, è perché evidentemente non s’è ancora scolpita nella vostra mente la consapevolezza che le accuse contro i gay sono infondate come lo erano quelle contro i neri, le donne, o gli ebrei. Negli ultimi casi citati la scuola ha fatto un lavoro eccellente, negli anni passati, per mostrarvi quanto fossero assurdi i pregiudizi contro queste categorie di persone. Nel caso dei gay invece siamo dinnanzi ad una categoria che si sta emancipando in questi anni, e dunque, occorrerà aspettare decenni perché in quelli della nostra generazione si faccia chiara l’idea dell’assoluta indistinzione tra il pregiudizio razzista e quello omofobo a livello sia di gravità che di infondatezza.
“Per cui sì, mi dispiace ma il tuo è un pensiero a tutti gli effetti totalitario ed è molto più offensivo e molto più pericoloso per la (mia e non solo) libertà di quanto lo sia un mio (o di altri) eventuale disaccordo sui matrimoni omosessuali.”
No, quello che è offensivo è che ci sia gente che tolga diritti ad altri, anche quando l’esercizio di questi diritti non lo danneggerebbe. Nel tuo caso invece, il toglierti il diritto di offendere qualcuno è cosa sacrosanta, nella misura in cui l’esercizio di questo presunto diritto avrebbe sì delle ricadute su altri, e in particolare: 1)l’offesa alle persone gay. 2)Il fatto che si tolga a loro il matrimonio, nel caso il tuo parere venga ascoltato.
Quindi, da capo: l’esercizio dei gay di questo loro diritto, il matrimonio, non s’è ancora capito quale diritto tuo o della società lederebbe, al contrario s’è visto chiaramente quali diritti altrui lederebbe il tuo presunto diritto di parola, cioè il diritto alla dignità altrui, e a sposarsi.
Ed esattamente come non esiste il diritto a diffamare un innocente, allo stesso modo non esiste un diritto a chiedere che altri siano discriminati.
Per Mara
“IO mi chiedo , ma a che serve ,per chi si ama davvero ,in concreto ,potersi sposare o no !!!”
L’essere sposati comporta tutta una serie di privilegi che facilitano oggettivamente la vita di coppia, e dunque, sebbene due persone non sposate possano amarsi comunque, l’accedere al matrimonio consente loro di accedere ad alcuni diritti, tra cui la possibilità di scegliere le cure del partner, la reversibilità della pensione, privilegi fiscali vari. Sicché, anche a prescindere dall’amore, è del tutto discriminatorio che le coppie etero possano accedere a questi privilegi, e le coppie gay no: non pare infatti che lo stato dia alle coppie etero questi privilegi in virtù del fatto che esse possano figliare, infatti non è vero che si dà il matrimonio a coloro che tra gli etero possono figliare, bensì si sposano pure gli sterili perché malati o perché troppo vecchi, sicché l’essenza del matrimonio civile italiano è un’altra.
Ciò detto, alcuni punti: è vero che non serve il pezzo di carta per amarsi, ma non si vede comunque perché gli etero possano accedervi e i gay no. Se il matrimonio è inutile, perché non lo aboliamo anche per gli etero? E se non sei d’accordo ad abolirlo, forse vi riconosci un qualche valore. E se questo qualche valore ce l’ha, in virtù di cosa i gay ne sono esclusi?
Forse il matrimonio sta riacquistando importanza proprio perché sono i gay a chiederlo, e così facendo essi fanno indirettamente capire anche agli etero quanto siano fortunati ad averlo. Cameron per questo diceva che l’estensione del matrimonio ai gay non lo fiaccherà, ma anzi, lo rafforzerà.
Una coppia etero può correre il rischio di sposarsi, può correre il rischio che le vada bene o fallisca, mentre ai gay non è lasciata questa possibilità di scegliere.
Inoltre, è vero che il pezzo di carta non è garanzia della solidità e perpetuità di un legame, ma neppure si può dire che esso sia del tutto indifferente. Una coppia gay che volesse lasciarsi, al momento, deve semplicemente decidere di fare le valige e separarsi, esattamente come avviene nelle coppie etero non sposata. Nel caso dei coniugi invece alcuni problemi si risolvono perché, sapendo che il loro legame è qualcosa di sancito dallo stato, gli sposi fanno almeno uno sforzo ulteriore per provare a fare andare bene le cose. Se non sono soddisfatto della mia vita di coppia e sono semplicemente convivente, nulla mi impedisce di andarmene quella sera stessa, mentre se sono sposato ci penserò almeno due volte di più, prima di prendere quella decisione. Non a caso le coppie sposate che non funzionano vanno dal consulente matrimoniale per cercare di salvare il loro rapporto, e questo perché riconoscono nel matrimonio un valore da conservare. Non è detto che ci riescono, ma almeno ci provano, in virtù del fatto che danno un valore all’istituzione matrimoniale superiore a quello della convivenza. Sicché, non è vero che sia ininfluente sulla durata dei rapporti il potersi sposare o meno, perché i rapporti di chi si può sposare durano di più, per la banalissima ragione che si fanno più problemi a separarsi.
C’è poi un altro fattore: il matrimonio sancisce il riconoscimento sociale di un’unione. Sapere che la società ti riconosce come un’entità esistente, rafforza la tua consapevolezza. Tutti gli amici di una coppia, o quelli che semplicemente li conoscono, sanno che tra quei due esiste un legame chiamato matrimonio, rispetto al quale occorre comportarsi in un certo modo. Se devi invitare marito e moglie ad una cresima, sai che devi inviare un solo invito, ad esempio, perché quella è una sola famiglia. A questo proposito è indicativo del fatto che, qualche anno fa, una coppia di futuri sposi etero, si conobbero in casa di due gay che convivevano. Allorché i due ragazzi etero, qualche anno dopo, si sposarono, successe una cosa folle: non arrivò una sola partecipazione, per la loro coppia di amici gay nella casa dei quali si erano conosciuti, ma due partecipazioni distinte. Certo, erano gli anni ’90, ma ciò dice bene il tipo di mentalità contro cui ancora oggi occorre combattere. Sarebbe mai accaduta una cosa del genere se questi due ragazzi gay si fossero potuti sposare? Non sarebbe stato questo un segnale luminoso, in grado di penetrare qualunque cataratta dei loro ciechi amici, che loro due costituivano una famiglia?
Sapere che lo Stato riconosce i matrimoni gay, ha fatto poi in generale aprire gli occhi ad alcuni omofobi; ci sono storie di genitori che si sono detti: “ma se persino lo Stato consente a mio figlio di sposarsi, e riconosce lui e suo marito come coppia, posso continuare a credere che il suo amore sia qualcosa di anormale?”
Il riconoscimento sociale delle coppie gay, manda cioè un messaggio agli omofobi che vorrebbero ghettizzarle, mostrando loro che esse fanno parte a pieno diritto della società civile. Nessun agente di polizia, in Spagna, si sognerebbe di disturbare due persone gay che si baciano in strada, perché se quella coppia può sposarsi come una coppia etero, allora evidentemente hanno diritto di baciarsi in pubblico come fanno le coppie etero. In un paese in cui il matrimonio gay non esista invece, a qualche agente zelante potrebbe venire il dubbio che certi atteggiamenti siano contrari al buon costume (ovviamente l’agente in questione dovrebbe essere un po’ vecchiotto, e proveniente da un ambiente di sub-cultura).
Per Caribu70
“Ribadisco che nulla ho contro le unioni omosessuali anche se ritengo che non si possano equiparare a matrimoni eterosessuali perchè non sono equiparabili”
Una pura petizione di principio, senza alcune spiegazione. I biondi sono i più belli, perché i biondi sono i più belli.
“in grado di crescere figli già nati da precedenti relazioni ma non ritengo logico permettere loro di accedere ad adozioni; inutile negare che facendo questo sconvolgeremmo quello che per millenni è stato il corso naturale delle cose: un uomo e una donna sono padre a madre dei propri figli (o di figli da loro cresciuti), un uomo ed un uomo o una donna e una donna non possono in nessun modo essere padre e madre di figli che già per natura non possono comunque essere di entrambi; sono gretto, omofobo o pieno di pregiudizi??? Non lo so ma mi sento libero di esprimere il mio dissenso.
”
Ma mio caro Caribu, quello che scrivi è tanto vero quanto del tutto irrilevante. Infatti, non si vede cosa c’entri il fatto che ci sia una necessità biologica di incontro-maschile femminile per generare figli, col fatto che servirebbero un maschio ed una femmina per allevarli. Uno è un problema biologico, l’altro un problema psicologico e pedagogico. Mi spieghi dunque dove sta la consequenzialità logica tra “ci vogliono un maschio e una femminile per generare” e “ci vogliono un maschio e una femmina per allevare”. Io davvero non riesco a capire come queste due frasi si implicherebbero. Uno è un problema biologico e riguarda la generazione, l’altro è un problema pedagogico. Di fatto la tua tesi che queste due faccende si implichino è smentita sia dal mondo animale, sia dal mondo umano presso altre culture. Nel mondo animale infatti esistono numerose specie in cui il maschio, dopo aver fecondato la femmina, non ha alcuna funzione nell’educazione dei figli, perché se ne va, ed anzi, se li reincontrasse, li mangerebbe. Esistono specie dove non svolge alcun ruolo educativo né il maschio né la femmina, ad esempio una tartaruga il cui uovo viene deposto sulla spiaggia e viene fecondato, ma poi quando la tartaruga marina nasce non ha nessun genitore con sé. Anche in queste specie dunque si può vedere come la necessità biologica del generare, non implichi la necessità dei due sessi per allevare, ed infatti i genitori possono esserci tutti e due, o solo uno, o nessuno dei due. Ma per di più l’etologia ti avrebbe insegnato, se tu ne avessi avuto qualche cognizione, che in natura esiste persino il corrispettivo dell’adozione gay, cioè esistono coppie di animali omosessuali che crescono i loro cuccioli, cioè avviene spesso nei pinguini, nei fenicotteri, ed in molti altre specie. Come vedi dunque non c’è alcuna consequenzialità tra la necessità di biologica della complementarietà sessuale, e una presunta necessità invece di una complementarietà sessuale per allevare.
E non voglio sentire il patetico discorso secondo cui noi non siamo animali, e dunque, il fatto che una cosa avvenga nel mondo animale, da sola non basta a giustificare che avvenga tra gli uomini, ad esempio la vedova nera uccide il compagno, ma ciò non implica che possiamo approvare l’uxoricidio tra le donne umane. Questo discorso è verissimo, ma non c’entra nulla: io non sto citando il comportamento animale perché da ciò deriverebbe che l’adozione omosessuale umana sia giusta, lo sto citando solo per mostrare che non esiste nessuna necessità naturale in ciò che affermi. Se poi l’adozione omosessuale umana sia corretta, andrà valutato trattando della psicologia umana, ma ciò che mi interessava mettere in luce, tramite gli esempi del mondo naturale, è solo la totale assenza di una correlazione necessaria tra la necessità di una coppia maschio-femmina per generare, e la presunta necessità di una coppia maschio-femmina per allevare.
Passiamo perciò a studiare il comportamento umano: anche in questo ti devo informare che ciò che tu ritieni sia ovvio, e avvenga dall’alba dei tempi, è invece un pregiudizio frutto della tua ignoranza antropologica. Le società umane infatti conoscono molti casi in cui la generazione è ovviamente maschio-femminale, ma non lo è l’accudimento della prole. Per essere precisi ci sono società dove, ad esempio, non esiste il matrimonio ma solo la “visita notturna”, cioè un uomo fa visita a casa di una giovane, la feconda, e poi il figlio non avrà più alcun rapporto col padre, né il padre e la madre andranno a vivere assieme, infatti la madre resta nella sua famiglia d’origine, e là cresce il figlio, senza che quest’ultimo sia cresciuto da quella che noi chiameremmo la sua famiglia biologica. Eistono cioè società in cui non ci sono mariti per le donne né padri per i bambini, perché tutto ciò che esiste è la famiglia d’origine dei tuoi consanguinei (ne sono esempi i
leh dei Na e i
taravad dei Nayar). Ci sono poi società dove c’è l’eduzione del padre e della madre, ma i padri e le madri sono più d’uno: nei gruppi poliandrici il bambino, pur avendo un padre biologico, cresce con più genitori maschi, perché la donna ha più mariti. Ed è inutile dire che, essendo le tecniche per verificare la paternità geneticamente un’innovazione, in questi gruppi dove la donna giace con più maschi non è possibile sapere veramente chi sia il padre biologico, sicché il figlio viene davvero cresciuto da tutti i padri come se fosse figlio loro. E, se anche lo sapessero qual è il loro figlio biologico, è una caratteristica della nostra cultura occidentale il pensare che ci sarebbe un rapporto privilegiato tra il padre carnale e il bambino, questo perché noi abbiamo una precisa struttura genealogica basata sui legami di sangue ben impressa nella nostra testa, ma ciò non implica che sia così anche in altre culture.
Famiglie poliandriche (una donna più mariti) che crescono i figli, famiglie poliginiche (un uomo, più donne che si dividono il ruolo di madre), famiglie dove i padri non ci sono affatto (i Na e i Nayar), e addirittura popoli in cui, dopo lo svezzamento, nessuno dei genitori biologici cresce il figlio, ad esempio tra i Wahele della tanzania, dove è la sola nonna materna che si prende l’onere di crescere il figlio, e lo fa lasciando sia la propria casa d’origine poliginica, dov’era vissuta come co-moglie, per dedicarsi alla crescita del bambino.
Gli esempi di cose anomale secondo il nostro modello occidentale potrebbero continuare all’infinito, l’unica cosa certa è che l’idea che servano per forza una madre ed un padre per crescere un bambino è figlia di un provincialismo culturale, e soprattutto, quest’idea erronea non può essere fatta derivare dall’assunto che servono un padre e una madre per generare. Servono per generare, ma nulla in ciò ci dice che servano per allevare. Solo col nostro eurocentrismo un po’ spinto potremmo metterci a pensare che in tutte queste culture i figli crescono male… In realtà, fino a prova contraria, crescono benissimo, perché quello che serve per crescere un figlio è l’amore ed il rispetto, non la macchina del complesso edipico, fantasia sviluppata decenni fa da un certo viennese morto e mummificato. Curiosamente il mondo cattolico, da sempre nemico della psicanalisi e di Freud, nonché di costruzioni del tutto immaginarie e senza fondamento come il complesso di Edipo, sta riscoprendo la psicanalisi freudiana con decenni di ritardo in funzione antigay…
Ma torniamo a noi: si potrebbe replicare che, il fatto che esistano nella società umana altri modelli di famiglia e di accudimento dei figli, non implica ipso facto che siano tutti parimerito. Infatti, ad esempio, nelle società umane esistono anche dittature, monarchie, e democrazie, ma noi non deduciamo che, siccome esistono varie forme di governo, allora sono tutte equivalenti, pensiamo invece che la nostra sia la migliore, e con fondati motivi dico io.
Quest’obiezione è interessante da analizzare, ma non mi serve farlo per confutare l’argomentazione di Caribu, infatti volevo solo dimostrargli che, anche nel mondo umano, non c’è nessun collegamento necessario tra la necessità biologica di maschio-femmina per allevare, e la presunta necessità di maschio-femmina per allevare. Ciò dimostrato, cioè che non è necessario che esistano maschio e femmina per allevare, viene da chiedersi se però questo modello, benché non necessario, sia almeno il migliore.
Da questo punto di vista l’onore della prova dovrebbe spettare a chi afferma che sia il migliore. Da parte nostra, sebbene non fosse nostro compito dimostrare alcunché, possiamo dire che ricerche trentennali hanno già mostrato che non c’è nessuna differenza quanto a salute psichica tra i figli cresciuti in famiglie gay ed i figli cresciuti in famiglie etero, sicché, come ha recentemente sentenziato la cassazione è “il mero pregiudizio a dire che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”. Qui la storia di questa recente sentenza:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01 ... ne/467382/" onclick="window.open(this.href);return false;
“ E' inutile negare come nel corso degli ultimi decenni già notevoli danni sono stati causati ai minori a causa dei divorzi in continua crescita, come difficile sia crescere un bambino o una bambina da parte di una coppia in cui uno dei genitori non è padre o madre naturale ma genitore acquisito, posso dirvi che nella scuola che frequenta il figlio della mia compagna (ed è una piccola scuola) viene utilizzata la consulenza esterna continua di un neuropsichiatra infantile proprio per aiutare i ragazzi nei problemi legati alla famiglia, per mia figlia stessa nel momento in cui io e sua madre ci siamo separati è stato necessario ricorrere al supporto di un valido neuropsichiatra infantile; detto questo non credo che per dei figli cresciuti da una coppia non "convenzionale" possano davvero essere tutte rose e fiori e soprattutto non adesso in cui questa società ha già troppi problemi legati ad una grave crisi della famiglia "tradizionale" da risolvere”
Questa argomentazione è del tutto priva di senso. Il disagio dei bambini figli di una coppia divorziata, che si trovano a vivere con solo uno dei genitori, e col nuovo partner dei genitore divorziato, non deriva dal fatto che non c’è la madre o il padre, bensì che non c’è PIÙ la madre o il padre. Lo stesso vale per quei bambini che perdono un genitore nell’infanzia: il trauma deriva dal fatto che prima la madre c’era, e poi non c’è stata più, cioè dal fatto che la famiglie su cui aveva costruito i suoi affetti s’è spezzata. Ciò accade anche nel divorzio: il bambino aveva costruito la sua psiche sulla presenza di mamma e papà insieme, e poi si trova senza uno dei due, o perché un genitore muore, o perché divorzia. Il trauma in questo caso deriva dalla perdita. Ma se una persona è da sempre cresciuta in una coppia gay, non c’è alcun trauma legato alla perdita. Gli scompensi emotivi dei figli dei divorziati dipendono cioè dal fatto che si è incrinata la propria famiglia di riferimento. Questo non è il caso delle famiglie gay, dove il bambino crescerebbe sin dall’origine con questa sua famiglia arcobaleno, e dunque formerebbe i suoi punti di riferimento sulla base dei suoi genitori gay.
Non si vede poi perché il fatto che la società abbia dei problemi legati alla famiglia tradizionale debba sbarrare le porte ai gay. Ma che ragionamento è? Hanno diritto a provare solo gli etero? I gay vogliono e hanno il diritto di poter provare a riuscire, o a sbagliare, come fanno tutte le coppie etero.
Ciò detto, noterete che nel mio discorso s’è parlato di “diritto all’adozione da parte delle coppie gay”, ma questa espressione è vista come fumo negli occhi da alcuni, perché in teoria il bambino non è qualcosa su cui si possa esercitare un diritto. Propriamente parlando, non esiste un diritto al figlio, nel senso che i bambini non sono strumenti della nostra soddisfazione personale. Non esiste cioè il diritto delle coppie ad adottare, ma solo il diritto del bambino ad essere adottato.
Tutto ciò è vero, ma non si vede come possa ostacolare le adozioni gay: se infatti, come pare ormai acclarato dal mondo scientifico, i figli crescono ugualmente bene in famiglie omogenitoriali ed in famiglie eterosessuali, il diritto dei bambini ad essere adottato si incarnerebbe ugualmente bene nelle coppie gay. E poi, chissà perché, solo quando si parla delle coppie gay ad alcuni bigotti puzza l’espressione “diritto di adottare”, che invece, se usato per parlare di una coppia etero che si chiede se abbia o meno i requisiti per adottare un figlio, non suscita alcun moto di protesta.I gay che vogliono adottare bambini sono degli egoisti che farebbero dei bambini una merce, gli etero che vogliono adottarli invece sono persone caritatevoli che si spendono per il prossimo… Scriveva Francesco Lucrezi, storico ebreo: “
Nel caso di specie, non ho mai capito perché il desiderio di genitorialità, quando manifestato da una coppia ‘normale’, venga sempre benedetto ed elogiato come un segno di generosità, altruismo, amore, mentre, quando manifestato da una coppia omosessuale, diventi capriccio, consumismo, egoismo.”
Per Siegil
“Premetto che io non mi faccio pare mentali sui termini da usare (in nessun caso, nemmeno in quello che illustrero' a breve), per cui non sono assolutamente contrario a questo uso della parola "famiglia". Pero', secondo questo ragionamento, non dovremmo allora (ad esempio) intendere per "Chiesa" o "Chiesa Cattolica" l'istituzione gerarchica invece dell'insieme di tutti i fedeli, proprio perche' e' questa l'accezione che viene usata di solito nel linguaggio? Secondo questo ragionamento infatti, poco importa che questa identificazione sia sbagliata, ed etimologicamente la parola derivi come ripeti spesso da Ecclesia e percio' significhi l'insieme dei fedeli: visto che nel linguaggio la gente (diciamo ignorante) la usa in un'altra accezione, e visto che il significato di una parola viene da come e' usata nel linguaggio e non dal resto (come ad esempio l'etimo), allora il significato di "Chiesa Cattolica" si riferisce proprio all'istituzione, no? Non trovi che ci siano delle analogie? Cosa ne pensi?”
Bisogna capire cosa intendiamo. Se famiglia può indicare sia la famiglia nucleare tradizione, sia le coppie gay, allora si potranno chiamare famiglia entrambe queste realtà, e di volta in volta specificare di che cosa si sta parlando per fare delle considerazioni apposite. Il significato nuovo di famiglia, non cancella quello vecchio, semmai vi si affianca. Sono i sostenitori del vecchio significato gli unici che pretendono di avere l’esclusiva, e che vorrebbero estromettere gli altri da questa parola, mentre le coppie gay non si sognerebbero di dire che allora gli altri non sono più una famiglia.
Quando si tratta di Chiesa, io vedo in uso entrambi i significati di “clero” e di “popolo di Dio”, e non so quale sia il più frequente: sento infatti la gente dire “faccio parte della Chiesa”, intendendo che fa parte del popolo di Dio, in quando essendo un laico chi dice questa frase, non potrebbe con essa stare dicendo che fa parte del clero. Una volta specificato che Chiesa può significare sia clero sia popolo di Dio, occorre solo stabilire di volta in volta di che cosa si stia parlando. Il cattolico crede infatti all’infallibilità della Chiesa come popolo di Dio, composto di laici e fedeli, e non all’infallibilità è all’indefettibilità della Chiesa nel senso del solo clero. Sicché non tange molto le mie posizioni se, dopo aver stabilito che Chiesa in quel discorso significa “clero”, qualcuno mi dicesse “la Chiesa ha sbagliato”, francamente non me ne importerebbe nulla, non essendoci alcun articolo della mia fede che dica che il clero sia immune da errore. Com’è noto infatti i sacramenti non funzionano in base alla moralità di chi li compie, ma perché Dio agisce in essi. E la correttezza dell’insegnamento, è pure essa indipendente dalla moralità di chi lo impartisce. C’è un dogma sull’infallibilità dottrinale del papa allorché parli ex cathedra, non sulla sua impeccabilità. I peccati del clero cattolico sono dunque irrilevanti per la fece cattolica, sebbene vadano comunque sorvegliati, perché non tutto il popolo è in grado di fare le distinzioni astratte che io qui e te stiamo facendo, e dunque alcune anime semplici sono erroneamente portate ad identificare i peccati personali dei loro pastori con una presunta erroneità delle dottrine di quegli stessi ministri di culto.
Ad maiora