Libro La Bibbia prima del dogma

Per discutere di temi ed argomenti di vario genere.

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Cogitabonda
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Messaggio da Cogitabonda »

teodoro studita ha scritto:Non si tratta neppure di dilettanti, perché per definizione il filologo dilettante, pur non svolgendo quella occupazione in modo professionale (dove, cioè qualcuno ti paga) almeno ha una formazione scientifica adeguata, quindi almeno una laurea in filologia. Qui abbiamo un laureato in musica e spettacolo e un altro senza alcun titolo con valore legale. Il risultato non può che essere un pasticcio, abbastanza evidente anche da una prima lettura,ad es. dove una volta scrivono "kurios" e un'altra "kyrios".
Ovviamente poi non c'è alcuna "collana scientifica" né tantomeno alcun "peer review", ma una casa editrice non specializzata e di nessuna fama e nessun comitato di esperti. I peer review sono pubblici, peraltro.
Insomma, non vedo alcun motivo sensato per parlare di questa cosa.
Molti di noi frequentatori abituali del forum, ma anche tanti lettori occasionali, hanno contatti con i TdG e potrebbero prossimamente sentir citare questo libro come fonte obiettiva e autorevole. Mi sembra tutto sommato utile dar modo a queste persone di decidere se valga o no la pena di spendere soldi per acquistarlo.
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Messaggio da Cogitabonda »

Un forista mi ha scritto in privato a proposito della questione del conflitto d'interesse, che avevo sollevato in un post recedente: "si può benissimo essere uomini di fede, e essere al contempo filologi serissimi e di gran valore". Ha ragione, né volevo sostenere il contrario. Anche in questo caso, temo di aver dato per scontate cose che per me sono abituali perché fanno parte del mio lavoro.

Ora tenterò di spiegarmi meglio.

Tutti noi siamo abituati a sentir parlare di "conflitto d'interessi" in riferimento a politica e affari, settori in cui spesso il conflitto d'interessi si traduce, o dovrebbe tradursi, in "incompatibilità". In campo scientifico non è così, o almeno non sempre. Come ho scritto in un altro post, ci sono fior di studiosi che hanno degli interessi privati eppure rimangono autorevoli, e difatti vengono invitati a parlare a convegni, a pubblicare i loro articoli sulle riviste più prestigiose eccetera, ma sempre con la dovuta trasparenza, cioè facendo sapere all'ascoltatore o al lettore che il Tal dei Tali è coinvolto con XYZ.

Quella trasparenza di cui parlavo è mancata completamente nel caso del libro di cui si discute qui. Se prendo in mano un testo di filologia neotestamentaria del cardinale Martini c'è scritto chiaramente a quale chiesa apparteneva. Per chi legge è importante saperlo. Non so a voi, però a me scatta un campanello d'allarme se una cosa di questa importanza viene taciuta.
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teodoro studita
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Messaggio da teodoro studita »

Cogitabonda ha scritto: Molti di noi frequentatori abituali del forum, ma anche tanti lettori occasionali, hanno contatti con i TdG e potrebbero prossimamente sentir citare questo libro come fonte obiettiva e autorevole. Mi sembra tutto sommato utile dar modo a queste persone di decidere se valga o no la pena di spendere soldi per acquistarlo.
Ma certo, non volevo assolutamente dire che non bisogna parlarne, figuriamoci, ma solo che non vedo quale importanza possa avere l'opera di due outsiders nel panorama scientifico, ammesso che al mondo scientifico interessi qualcosa della TNM, cosa di cui dubito profondamente. In ogni modo ho trovato il tempo per dare una lettura alle pagine che qualcuno è stato così gentile da inviarmi e mi sono accorto tra l'altro che la mia prima critica era infondata (il "kurios" faceva parte di una citazione verbatim) e chiedo venia della mia fretta. Capirete che non ho voluto dedicare più di 25 secondi a questa roba e l'occhio è balzato alle due grafie diverse, senza tanto andare per il sottile.

Magari mi informo se qualche rivista scientifica pubblicherebbe una recensione a questo lavoro (pur avendo tutti i limiti di cui al mio primo post), in tal caso comprerò una copia e provvederò io stesso. Ma dubito che qualche rivista specialistica sia interessata a tali amenità.
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Quixote
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Messaggio da Quixote »

Invero non vi sarebbe motivo sensato di parlare di questo lavoro, se non fosse per il “contorno”, decisamente più interessante, in quanto esplicativo di ciò che sta sotto alla produzione e allo smercio di simili libelli; come evidenziato, fra l’altro, dai puntuali post di Cogi. È ciò, in questa sede è forse più rilevante che ripetere per l’ennesima volta le assurdità di certe interpretazioni geoviste, o evidenziare l’inconsistenza delle loro pubblicazioni pseudo-scientifiche; in realtà apologetiche, basta scorrere l’indice, presente in PDF, in anteprima, sul sito di Aracne. Il punto è che la stragran parte dei TdG, lungi dal saper distinguere kurios da kyrios, non distinguerebbe Pinocchio dalla Storia vera di Luciano, per cui sarà facile per loro opporre questo testo, che so? a un recente libro di uno studioso serio e plurititolato, e affermare la superiorità di quello su questo. E hai voglia a sbattergli in faccia corsi e lauree in filologia classica, paleografia, storia antica ecc. che glie ne frega, quando la loro amata WTS le declassa non solo come orpelli inutili, ma addirittura controproduttivi? Per cui tutti questi nostri discorsi servono, se servono, a chi ancora non c’è dentro, o non ha del tutto perduto quel po’ di spirito critico che la natura elargisce, in misura maggiore o minore, a tanti di noi. Gli altri si comporteranno come le pecore di Pantagruel e Gargantua, pronti e disposti a finir in mare con l’ariete.

Ciò premesso, nemmeno è corretto destituire di fondamento un lavoro solo perché prodotto da una casa editrice di discussa qualità o per il fatto che chi l’ha scritto ha fatto il DAMS invece di Lettere o altro di pertinente; novantanove su cento azzeccherò nella previsione, ma nulla mi assicura a priori di non essermi imbattuto nell’eccezione. Una critica autentica non può basarsi solo su questo, anche se, parlando di TdG, viene in automatico. Sta di fatto che agendo in questo modo non farei che rafforzare l’opinione di chi è già prevenuto nei miei confronti, e, lungi dall’ottenere lo scopo che questo forum si prefigge, potrei ottenere l’effetto opposto. Pertanto non trovo del tutto inutile nemmeno discutere del libro in sé, e delle idee, se idee vi sono, a prescindere da chi le abbia formulate, e da chi l’abbia pubblicato, altrimenti la pecora, se non suicida stupida, potrei diventare io. Senza però sottacere che, mentre il filologo cattolico può scindere da sé e dimenticare , quando fa filologia, di essere cattolico, un TdG non può fare altrettanto. In realtà non esiste il filologo “allineato”, perché se tale, non sarebbe filologo, ma ideologo. Uno studio serio si fa partendo dai dati, per arrivare alle soluzioni. Poiché in questo testo, viceversa, le soluzioni sono preconfezionate, e chi scrive adatta i dati per confermarle, questo non può essere considerato un lavoro scientifico, perché della scienza non osserva il metodo. Salvo eccezioni, ma in questo caso rare come l’araba fenice.

PS — L’indice del libro a questo link:

http://www.aracneeditrice.it/pdf/9788854867574.pdf" onclick="window.open(this.href);return false;

Curioso che ben un terzo del testo sia dedicato al solo staurós
Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς.
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
GIOVANNI, III, 19. (G. Leopardi, La ginestra, esergo)
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Primo postPresentazioneStaurós: palo o croce? (link esterno)
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polymetis
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Messaggio da polymetis »

Ma perché stiamo a parlare dei Testimoni di Geova? È ovvio che costoro, non avendo alcuno che li prenda in considerazione, debbono incensarsi da soli. E che la loro vita culturale è talmente misera che, appena uno di loro prenda anche solo una laurea triennale e scriva un libro, devono appendere i manifesti, tanto l’evento è raro tra le loro fila.
Resta il fatto che i TdG sono scientificamente il nulla, e probabilmente lo rimarranno, per via delle tesi cervellotiche e settarie che propugnano, le quali non hanno alcuna possibilità di conquistare l’assenso di chi già non parteggi per le loro idee a causa della comune fede settaria. Stiamo parlando della pubblicazione di questo libricino come se fosse un evento, e lo è davvero, pur nella sua insignificanza, perché come dicevamo i TdG scientificamente sono zero, e dunque anche uno 0,1 è una grande novità che merita attenzione. Ovviamente, chi lavora nel mondo accademico continuerà a non saper nulla degli studiosi TdG e delle loro balzane idee, a meno che non siano i TdG a cercare il dialogo con loro. Capita spesso infatti che i dilettanti spediscano i loro libercoli a qualche professore universitario, al fine di poter pubblicare poi i bigliettini di ringraziamento ricevuti in cambio come fossero recensioni positive (ed invece si tratta di mere frasi di circostanza dovute ad un regalo).
Come dicevo, la ricezione e l’impatto di questo libro nel mondo accademico sarà con tutta probabilità insignificante, perché non basta pubblicare qualcosa, occorre che il mondo accademico ne discuta, e, se è il caso, recepisca quello che viene scritto come un avanzamento della ricerca. In caso contrario di tratta di “idiozie” (ovviamente nel senso etimologico del termine, cioè pareri privati).

Io a differenza di Teodoro conosco la casa editrice Aracne, e la conosco perché è spesso usata da dottorandi e giovani ricercatori per le loro pubblicazioni. Si tratta di un editore per lo più a pagamento, e suppongo che sia anche questo il caso, che stampa i lavori dei giovani ricercatori desiderosi di pubblicare perché hanno bisogno di un tot di pubblicazioni per vincere concorsi accademici. Questa casa editrice pubblica libri di diversissime qualità, essendo a pagamento ovviamente non fanno gli schizzinosi. Ha ragione Teodoro ha dire che non è una casa editrice specialistica, cioè settoriale, ed in effetti io la conoscevo solo per le pubblicazioni di filosofia. Ora che vedo il loro sito pare pubblichino pure romanzi, e titoli di qualsiasi genere, ovviamente a pagamento. La peer review ovviamente non garantisce la correttezza di qualcosa che c’è scritto, non è questo il suo scopo. Il revisore non dev’essere d’accordo con te, deve solo verificare se utilizzi un metodo scientifico oppure no. Qui è stato fatto? Non ne ho idea, perché non ho intenzione di comprare questo libro, e certo non lo farò arrivare alla biblioteca di Ca’ Foscari, perché la scarsa qualità del prodotto l’ho evinta già dalla lettura delle poche pagine che avete scansionato. Se però Arduini è furbo, farà come fanno tutti coloro che bramano apparire nei cataloghi delle biblioteche universitarie, cioè prenderà una ventina di copie e le spedirà come regalo alle varie biblioteche universitarie sparse nella Penisola, le quali ovviamente non rifiutano regali. La peer review come dicevo non esige che il revisore sia d’accordo con quello che scrivi, deve semplicemente verificare se usi un metodo corretto. Inoltre solitamente avviene questo: se un revisore non boccia un libro, può tuttavia fornire una lista di modifiche consigliate, che spetta all’autore accettare o no, perché comunque nel complesso il libro è comunque considerato già pubblicabile. Quindi non sapremo mai se i revisori abbiano manifestato qualche perplessità sulla trattazione del tetragrammaton nel Nuovo Testamento. Inoltre la peer review fatta dalle case editrici non settoriali, è notoriamente carente sui problemi specialistici. Ogni casa editrice a pagamento ha i suoi “revisori” di riferimento, ad esempio tre o quattro nomi per le scienze bibliche, e dunque non andranno mai a cercare uno specialista del tetragramma. Cosicché se avessero un revisore che nella vita si occupa dei Salmi, gli farebbero anche correggere un libro su Isaia, perché banalmente è lui l’uomo deputato per le scienze bibliche.
Quanto al problema della confessionalità di un autore, devo dichiararmi in disaccordo con la maggioranza dei pareri che ho letto qui. Nel mondo accademico non distinguiamo tra libri scritti da protestanti e cattolici, ma tra libri scientifici e libri non scientifici. Se leggo un libro di scienze bibliche, è probabile che ignori la fede dell’autore, a meno che non sia dichiarata in copertina. Ma questo è ovvio: le confessioni protestanti e quella cattolica hanno studiosi di tale calibro, lontani da ogni proposito apologetico, che il problema della fede dell’autore semplicemente non si pone. Meier ad esempio è un sacerdote cattolico, e scrive senza problemi che secondo lui Gesù ebbe dei fratelli: questo perché scrive da accademico, non in qualità di prete.
Il problema della fede degli autori di un testo si pone invece qui, visto che abbiamo a che fare notoriamente con dei pareri che non hanno presa nel mondo accademico, e dunque, quando veniamo a scoprire che chi li propone è guarda caso parte della confessione religiosa nota per queste bizzarrie, storciamo il naso. Il mondo accademico infatti, che sia laico, protestante, cattolico o ortodosso, non recepisce queste tesi, e dunque il fatto che gli unici libri in cui le troviamo siano, guarda caso, opera di gente partigiana, deve far riflettere.

Veniamo alle pagine che ci sono state riportate. Esse si basano su questo ragionamento, che sintetizzo a beneficio dei lettori:

-Non è vero che nella LXX originaria ci fosse kyrios, c’era il tetragramma.

-Se c’era il tetragramma nei LXX, non ha senso dire che i cristiani abbiano messo kyrios al posto di Yhwh nel NT seguendo la LXX. Se avessero seguito la LXX, infatti, al massimo avrebbero dovuto lasciarcelo il tetragramma, in quanto nella LXX originaria c’era appunto il tetragramma.

-La sostituzione del tetragramma con kyrios sarebbe opera dei cristiani provenienti dal paganesimo che, in quanto estranei all’ambiente ebraico in cui nacque il Nuovo Testamento, avrebbero adottato consuetudini diverse dagli autori originali.

Ora, io non so, perché non ho letto il libro, come Arduini suffraghi questi punti, posso solo immaginarlo avendo letto alcuni suoi interventi in rete, conoscendo quello che i TdG internettiani dicono su queste faccende, e soprattutto avendo letto dell’altra letteratura geovista su cui potrebbe essersi basato (Furuli, Fontaine, ecc).
A questo proposito dunque sarà bene fare alcune puntualizzazioni su ciò che il mondo accademico crede a proposito di ciascuno dei punti sopraelencati. Non lo faccio con la pretesa che il mondo accademico abbia ragione e i TdG torto, ma solo affinché si sappia qual è l’opinione comune, quella manualistica, che trovereste su ciascuno di questi punti, affinché poi chiunque scelga da solo cosa credere.

-Non è vero che nella LXX originaria ci fosse il tetragramma. Gli studiosi ritengono in maggioranza che ci fosse proprio kyrios, e che i manoscritti che riportano il tetragramma non rispecchino in questo la LXX ma siano delle revisioni in senso giudaizzante del testo. Ciò è stato mostrato da Pietersma il quale faceva notare che questi testimoni, oltre ad avere il tetragramma (espresso in varie e molteplici forme), avevano anche altre revisioni in senso giudaizzante, e dunque non sono necessariamente il testo da cui deriva la nostra LXX attuale, ma dei rivoli che si sono distaccati da essa (solo un papiro col tetragramma, 4QLXXLevb, è un candidato credibile ad essere un antenato della LXX attuale). Sicché, se il NT citava dalla LXX, non v’è alcuna prova che lo facesse da queste versioni con correzioni giudaizzanti.
Secondo il parere prevalente nel mondo accademico la LXX sarebbe nata senza tetragramma, in seguito esso sarebbe stato aggiunto, insieme ad altre correzioni giudaizzanti documentabili, dagli autori di questi papiri giudaizzanti. Il problema ovviamente è sapere da quale testo greco citino gli autori del NT. Da quello originale della LXX senza tetragramma, da una versione giudaizzante col tetragramma? La risposta non è facile perché:

1)Gli autori del NT non sembrano citare sempre dalla LXX, quindi forse a volte traducono direttamente dall'ebraico in greco, o forse citano da versioni a noi non note.

2)Può darsi benissimo che ci fossero diversi versioni dell'AT in greco, e quella che noi chiamiamo LXX sia solo una di queste, o addirittura che quella che noi chiamiamo LXX non esistesse proprio in epoca pre-cristiana ed essa sia solo l'unione tarda di diverse versioni pre-cristiane.

Ecco cosa scrive a proposito N.F. Marcos, un grande septuagentista, in un volume che per l’appunto è “manualistico”, cioè con le conoscenze standard sulla disciplina:

“Molto probabilmente già i traduttori del Pentateuco utilizzarono kyrios per tradurre il tetragrammaton, ma forse molto presto e certamente nel I sec. a.C. si attuò nel giudaismo palestinese un processo arcaizzante di correzione del nome sacro, che viene scritto in ebraico, in scrittura quadrata o paleoebraica oppure traslitterato in greco, mentre nei circoli cristiani si generalizza l'uso di kyrios.”
N.F.Marcos, La Bibbia dei Settanta, Paideia, p.194

Ciò detto, non mi interessa granché di quello che i TdG hanno da protestare sulla correttezza di questa tesi, qui voglio solo asserire che è questa l’ipotesi standard adottata nel mondo accademico sul tetragramma nei LXX, e non certo la loro, quindi non si può partire in un ragionamento dando per scontata una tesi minoritaria.

-Non è vero che degli Ebrei, se il nome ci fosse stato nella LXX che usavano, l’avrebbero conservato per riverenza verso il nome. Al contrario. La riverenza verso il Nome di Dio portava gli Ebrei già all’epoca o sovente a non usarlo, o a sostituirlo. a Qumran, ambiente questo sì di sicuro giudaico, in citazioni bibliche dove compare il tetragramma esso viene sostituito nella citazione con adonay, e questa è la prova che, a ridosso dell'epoca cristiana, anche in ambiente giudaico avviene questa sostituzione addirittura citando dal testo ebraico, figurarsi dunque se non poteva avvenire citando dal LXX, sempre ammesso che in tale LXX i tetragramma ci fossero.
Per la documentazione di quanto affermo, potete leggere la scansione di alcune pagine tratte da un capitolo di André Lamaire, semitista, epigrafista ed autore specializzato in storia dello yahwismo

https://forum.infotdgeova.it/viewtopic.p ... 6262&hilit" onclick="window.open(this.href);return false;

Ovviamente, per rendere problematica la tesi dei TdG secondo cui la presenza di Ebrei avrebbe garantito la preservazione del nome, a me non serve sostenere con altrettanta sicumera il contrario, cioè che se c’erano ebrei, questi ebrei avrebbero certamente sostituito Yhwh con Signore. Mi basta far notare che spesso lo fanno, e dunque, se anche ci fosse stato Yhwh nella LXX usata dai giudeo-cristiani, perché mai nel NT avrebbero dovuto per forza conservare Yhwh? Ribadiamo che qualsiasi manoscritto del NT ha kyrios, quindi ci vorrebbero certezze un po’ più forti per andare contro una simile evidenza testuale, e non una catena di ipotesi. Se fosse dimostrato che la LXX usata dai cristiani aveva il tetragramma, e fosse dimostrato altresì che gli Ebrei, perché Ebrei, avrebbero tenuto il tetragramma, allora davvero l’assenza del tetragramma nei manoscritti del Nuovo Testamento poteva creare dei dubbi. Ma finora nessuno di questi due passaggi è qualcosa più di una fantasia. Le ipotesi non dimostrate sono già due, cioè che: 1)la LXX in uso presso i giudeo-cristiani avesse il tetragramma. 2)Se l’avesse avuta, in quanto essi erano ebrei, avrebbero mantenuto il tetragramma.
La prima ipotesi è indimostrata, la seconda invece è addirittura sicuramente falsa, perché siamo pieni zeppi di testimonianze di Ebrei dell’epoca precedente al Nuovo Testamento che citando versetti biblici col tetragramma lo sostituiscono.

-Terzo punto che ci interessa: Il Nt non è affatto nella sua integrità un’opera di ambiente ebraico. Dove sta scritto? Io vedo 27 testi, scritti in greco, spesso di autore ignoto, e dei quali non si può dimostrare un autore ebreo o una lingua semitica come testo base. A poco vale citare Bocaccini il quale dice che fino al 70 il cristianesimo fa parte dell’ebraismo. Se anche avesse ragione, che cosa ce ne importa, visto che parte del Nuovo Testamento, compresi i 4 Vangeli, è per l’appunto posteriore al 70?
Qui, come ho detto, mi limito ad esporre la tesi standard nel mondo accademico, la quale sostiene che degli autori dei Vangeli non conosciamo l’identità, che la paternità apostolica è dubbia, e che quelli che a Carmignac&Co. parevano semitismi nel loro greco, sono per lo più spiegabili con peculiarità attestate altrove nel greco koinè, che è più elestico di quello classico.
Ma poi, se anche il NT fosse di matrice tutta ebraica, perché composto da ebrei, nessuno dubita che comunque sia spesso rivolto, in molto suoi libri, a delle comunità cristiana sparse in tutto l’Impero e oltre, cioè piene di Gentili. Non è che sia un testo ad uso interno ebraico, e dunque, indipendentemente dalla presunta etnia d’origine degli autori, il fatto che esso sarebbe stato maneggiato da Gentili, non costituiva di per sé un buon motivo per non mandare in giro testi col tetragramma?

Dunque abbiamo una quintuplice difficoltà alla tesi del tetragramma nel Nuovo Testamento, e cioè che essa, così come ricostruita dai TdG, si basa sulla concatenazione di ipotesi inverificabili:

1° ipotesi: nella LXX originaria c’era il tetragramma. La maggioranza degli studiosi segue invece Pietersma ed è del parere che quei tetragrammi appartengano non al testo della LXX ma a versioni giudaizzanti.
2° ipotesi: nella LXX usata dai giudeo-cristiani c’era il tetragramma. Impossibile da determinare.
3° ipotesi: se nella LXX usata dai giudeo-cristiani c’era il tetragramma, essi l’avrebbero certamente mantenuto citando la LXX nel NT. Ciò è falso. Gli Ebrei, persino citando dall’ebraico all’ebraico, cioè senza traduzioni di mezzo, sostituivano sovente Yhwh con “Signore”. Non abbiamo dunque alcuna garanzia che, poiché Ebrei, l’avrebbero mantenuto citando la LXX nel Nuovo Testamento.
4° ipotesi: il NT sarebbe il prodotto di Ebrei. Cosa che invece non si può sapere, visto che non conosciamo gli autori degli scritti di svariati testi del NT.
5° ipotesi: se anche fosse opera di Ebrei, costoro non avrebbero esitato ad usare il tetragramma, sapendo che i loro libri avrebbero circolato non solo tra ebrei, ma pure tra i pagani. Questa è pure un’ipotesi improbabile.

Dunque, alla luce di questo mare di congetture improbabile, tutte contro il consensus accademico e sostenute solo da pochi autori, che basi forti ci possono mai essere per ignorare l’evidenza testuale che non abbiamo neppure un manoscritto del NT col tetragramma?

Per chi volesse leggere un dibattito articolato sul tema, qui c'è una discussione che conducemmo io e Teodoro tempo fa con l'utente Barnabino su questo soggetto:

http://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=53663936" onclick="window.open(this.href);return false;

Ad maiora
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Alla base delle scelte fondamentali del Nolano - a Londra come a Roma -, c'era il convincimento di appartenere alla "casa" dei filosofi, e che ad essa bisogna essere sempre fedeli, anche nei rapporti con i potenti della Chiesa e dello Stato, perché la casa della filosofia è la casa della verità: in un modo intelligente e anche astuto, certo, ma sempre fedeli. (Michele Ciliberto)
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Messaggio da polymetis »

Il punto è che la stragran parte dei TdG, lungi dal saper distinguere kurios da kyrios, non distinguerebbe Pinocchio dalla Storia vera di Luciano,
Ciò è verissimo Quixote. Mi fanno un po' ridere i TdG che acclamano questo o quell'altro loro autore, illudendosi di saper distinguere una pubblicazione seria da una non seria, e dunque, di poter finalmente additare un loro correligionario che farebbe parte dell'empireo degli studiosi. Che ne sanno queste persone di una pubblicazione scientifica in ambito filologico? Non saprebbero riconoscerla neppure se gliela mettessero sotto il naso, quindi i loro applausi sono irrilevanti, dal primo all'ultimo.
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Messaggio da Cogitabonda »

polymetis ha scritto:Quanto al problema della confessionalità di un autore, devo dichiararmi in disaccordo con la maggioranza dei pareri che ho letto qui. Nel mondo accademico non distinguiamo tra libri scritti da protestanti e cattolici, ma tra libri scientifici e libri non scientifici. Se leggo un libro di scienze bibliche, è probabile che ignori la fede dell’autore, a meno che non sia dichiarata in copertina. Ma questo è ovvio: le confessioni protestanti e quella cattolica hanno studiosi di tale calibro, lontani da ogni proposito apologetico, che il problema della fede dell’autore semplicemente non si pone. Meier ad esempio è un sacerdote cattolico, e scrive senza problemi che secondo lui Gesù ebbe dei fratelli: questo perché scrive da accademico, non in qualità di prete.
Già, ma se le confessioni protestanti e quella cattolica hanno questi studiosi credo che conti non poco il fatto che questi non hanno mai pensato, in cuor loro, che fosse peccaminoso esaminare le traduzioni delle sacre scritture dal punto di vista delle scienze umane, e se avessero l'impressione di trovarvi degli errori potrebbero parlarne liberamente con altri studiosi senza il timore d'incorrere in una scomunica.
Per un TdG è molto diverso. La Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture, stando a quanto affermò a suo tempo il Corpo Direttivo, è stata prodotta direttamente dalla divina provvidenza. Nota bene: non la Bibbia, ma la sua traduzione in inglese! Cito: “Per mezzo dell’organizzazione teocratica dei suoi unti testimoni egli (Dio) ha reso sempre più chiara la verità della Bibbia purificando il loro linguaggio. Così oggi essi parlano e vivono in armonia con la lingua del prossimo nuovo mondo. E fin d’ora, in quest’anno 1950, la sua provvidenza produce questa traduzione del Nuovo Mondo delle Scritture greche cristiane come un’ulteriore purificazione del discorso del suo popolo. Egli l’ha benignamente provveduta come un’ulteriore, potente mezzo per rivolgere ai popoli una ‘lingua pura’”.(La Torre di Guardia 1° maggio 1951 p. 139). Se un TdG crede in questo, non potrà accostarsi allo studio delle traduzioni delle scritture con la disposizione mentale di un filologo. Se invece riuscisse a farlo sarebbe un filologo, ma non sarebbe un autentico Testimone di Geova.
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Cari grecisti per noi comuni mortali "provenienti" da studi tecnici e non classici...

Messaggio da Ray »

polymetis ha scritto:
Il punto è che la stragran parte dei TdG, lungi dal saper distinguere kurios da kyrios, non distinguerebbe Pinocchio dalla Storia vera di Luciano,
Ciò è verissimo Quixote. Mi fanno un po' ridere i TdG che acclamano questo o quell'altro loro autore, illudendosi di saper distinguere una pubblicazione seria da una non seria, e dunque, di poter finalmente additare un loro correligionario che farebbe parte dell'empireo degli studiosi. Che ne sanno queste persone di una pubblicazione scientifica in ambito filologico? Non saprebbero riconoscerla neppure se gliela mettessero sotto il naso, quindi i loro applausi sono irrilevanti, dal primo all'ultimo.
Un po più chiari ? Please!
La parola greca Kyrios (Κύριος) significa "Signore, Signore, padrone". Nell'uso religioso designa Dio. E 'utilizzato sia nella traduzione dei Settanta della Bibbia ebraica e Nuovo Testamento greco
http://en.wikipedia.org/wiki/Kyrios_(biblical_term" onclick="window.open(this.href);return false;)
Nell'antica Grecia, una donna non poteva stipulare un contratto se stessa e gli accordi sono stati fatti dal suo tutore o Kurios. [1] Per una donna non sposata il Kurios potrebbe essere suo padre, e se morto, i fratelli uno zio o un parente sarebbe il Kurios [1].
http://en.wikipedia.org/wiki/Kurios" onclick="window.open(this.href);return false;

Kyrios=Signore ... mentre Kurios può essere tradotto anche come padre o tutore ?

:boh: :boh:
Ray

Le falsificazioni e le varianti involontarie si accumulano man mano che un testo è ricopiato attraverso i secoli. Ogni scriba riproduce gli errori degli scribi precedenti e ne aggiunge di propri. Non possediamo alcun originale dei libri del nuovo testamento, ma neppure copie eseguite direttamente sugli originali, né copie di copie...Bart D. Ehrman
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kyrios e kurios sono la stessa parola. SI tratta in ambo i casi di tentativi diversi di traslitterare la stessa parola.
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polymetis ha scritto:kyrios e kurios sono la stessa parola. SI tratta in ambo i casi di tentativi diversi di traslitterare la stessa parola.
OK
:ironico:
In pratica .... cosa pesa di più un Kg di paglia o un Kg di ferro.. :occhiol:
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La WTS per dimostrare che la Bibbia che abbiamo oggi contiene lo stesso identico messaggio che era stato scritto alle origini, nei manoscritti vergati dagli apostoli e da altri scrittori del primo secolo, fa questo ragionamento:
*** rs p. 58-p. 59 Bibbia ***
Come possiamo essere sicuri che la Bibbia non sia stata cambiata?
“Per numero di MSS [manoscritti] antichi che comprovano uno scritto, e per gli anni che separano l’originale dai MSS che lo comprovano, la Bibbia ha un netto vantaggio rispetto agli scritti classici [di Omero, Platone e altri]. . . . Il numero di tutti i MSS classici messi insieme è minimo in paragone con quelli biblici. Nessun libro antico è così ben documentato come la Bibbia”. — The Bible From the Beginning, di P. Marion Simms, New York, 1929, pp. 74, 76.
Secondo dati del 1971, esistono circa 6.000 copie manoscritte, complete o parziali, delle Scritture Ebraiche; la più antica risale al III secolo a.E.V. Delle Scritture Greche Cristiane, esistono circa 5.000 manoscritti in greco, il più antico dei quali risale all’inizio del II secolo E.V. Ci sono anche molte copie di antiche versioni in altre lingue.
Nell’introduzione ai suoi sette volumi sui “Papiri biblici Chester Beatty”, Frederic Kenyon scrisse: “La prima e più importante conclusione tratta dall’esame di questi [papiri] è confortante in quanto confermano l’essenziale integrità dei testi esistenti. Né nell’Antico né nel Nuovo Testamento si notano varianti notevoli o fondamentali. Non ci sono omissioni importanti né aggiunte di brani, e neanche varianti che influiscano su fatti o dottrine essenziali. Le varianti del testo riguardano cose secondarie, come l’ordine dei vocaboli o il preciso vocabolo usato . . . Ma la cosa veramente importante è la conferma, mediante prove più antiche di quelle sinora disponibili, dell’integrità dei testi a nostra disposizione”. — The Chester Beatty Biblical Papyri, Londra, 1933, p. 15.
Quindi le migliaia di manoscritti esistenti, anche se non sono del primo secolo, costituirebbero la prova schiacciante che il testo biblico è stato trasmesso in maniera assolutamente fedele. Non ci possono essere dubbi od incertezze su aspetti fondamentali o su dottrine ritenute essenziali per poter essere considerati “veri adoratori”.

Come ho già osservato in un altro mio messaggio, questa assoluta certezza, questa “prova” che dimostrerebbe come Dio stesso abbia preservato la Sua Parola dalla corruzione e da alterazioni significative, non vale più quando si tratta della questione “nome di Dio”: come scrive anche l’Arduini nella pagina succitata, le migliaia di manoscritti esistenti non permetterebbero di concludere in maniera certa che non vi siano state delle modifiche al testo originale.
E tali modifiche avrebbero riguardato proprio il nome di Dio, uno degli aspetti ritenuti fondamentali nella fede dei TdG.

Ma a questo punto sorge la domanda: se le Scritture cristiane sono state cambiate, sin dai primissimi tempi, ed è stato tolto da esse il nome “Geova” (o una sua forma equivalente), questo fa cadere l’intero discorso della preservazione divina della Parola: se Dio, infatti, ha permesso una simile alterazione, chi ci garantisce che le Scritture non siano state modificate/alterate anche in altri punti?

A questa domanda i TdG, ripetendo a memoria ciò che hanno appreso dalla WTS, rispondono: “Le migliaia di manoscritti esistenti dimostrano che il testo non è stato modificato”. :conf:

Insomma, un ragionamento circolare, che rivela una mancanza di coerenza od uniformità di opinioni, ma in cui si dice quello che – in base alle circostanze – è più utile dire per sostenere le teorie della WTS.

Due pesi e due misure.

Achille
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polymetis
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Messaggio da polymetis »

Ray ha scritto:
polymetis ha scritto:kyrios e kurios sono la stessa parola. SI tratta in ambo i casi di tentativi diversi di traslitterare la stessa parola.
OK
:ironico:
In pratica .... cosa pesa di più un Kg di paglia o un Kg di ferro.. :occhiol:
Non so se sia un buon esempio, un kg di paglia ed un kg di ferro infatti sono due elementi differenti. Kyrios e kurios invece sono la medesima parola, cioè κύριος. Si tratta di due modi differenti di traslitterare la lettera greca "ט". Solitamente si usa la "y", ed infatti questa lettera in greco si chiama ipsilon. Se alcuni la traslitterano con "u", è per cercare di rendere il suo suono. In greco classico infatti, almeno secondo la ricostruzione erasmiana, questa lettera si leggeva come una "u" francese o lombarda. Quindi kyrios è una traslitterazione un po' più scientifica, kurios invece è un tentativo di venire incontro al lettore, esplicitando come la parola va letta (secondo la pronuncia erasmiana).
Se Teo ha detto che gli sembrava un pasticcio è perché, nei testi filologicamente accurati, si usa un medesimo standard di traslitterazione per tutto il testo. È poco elegante, e segno di trascuratezza, rendere la stessa parola a volte con kyrios e a volte con kurios, anche perché il lettore potrebbe pensare che tu stia parlando di termini diversi.
Infatti, in alcuni casi, se la trascrizione in italiano volesse far conoscere al lettore la pronuncia, allora la "u" potrebbe corrispondere corrispondere a diverse lettere greche. Potrebbe essere cioè il già citato ipsilon, ma anche il dittongo "ου", che si legge ugualmente "u" (ma questa volta si legge come una "u" italiana, non come una "u" lombarda).

Sicché dietro kurios avrebbe potuto celarsi anche κούριος (kourios), che è un aggettivo significante "giovanile".
Per questo è bene tenere la stessa convenzione di traslitterazione per tutto il libro, stabilire cioè ad esempio che renderai la ipsilon con y, e il dittongo "ou" con "ou", altrimenti il lettore può essere mandato in confusione. La reazione di Teo è dovuta al fatto che quando si scrive un testo antichistico, sin dalla tesi di laurea, queste cose sono le prime che vengono notate. Per dei dilettanti possono apparire sottigliezze, ma nel nostro mondo sono quasi tutto. Io ho ancora gli incubi per quando durante la tesi di laurea triennale mi hanno corretto tutti gli spiriti e gli accenti, gli spazi, i font diversi, le maiuscole. ecc.
Eppure, ancora ringrazio per il rigore che m'è stato impartito, ed infatti alla laurea specialistica potei navigare da solo per la redazione editoriale della mia tesi, al punto che ora tocca a me correggere i lavori altrui, ed insegnare le regole del mestiere.
Com'è stato fatto notare, tuttavia, qui il problema non sussiste, perché la difformità non dipende dagli autori del libro, ma dal fatto che l'autore che citano riporta un'altra modalità di traslitterazione.

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Alla base delle scelte fondamentali del Nolano - a Londra come a Roma -, c'era il convincimento di appartenere alla "casa" dei filosofi, e che ad essa bisogna essere sempre fedeli, anche nei rapporti con i potenti della Chiesa e dello Stato, perché la casa della filosofia è la casa della verità: in un modo intelligente e anche astuto, certo, ma sempre fedeli. (Michele Ciliberto)
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Messaggio da Vittorino »

polymetis ha scritto:Quanto al problema della confessionalità di un autore, devo dichiararmi in disaccordo con la maggioranza dei pareri che ho letto qui. Nel mondo accademico non distinguiamo tra libri scritti da protestanti e cattolici, ma tra libri scientifici e libri non scientifici. Se leggo un libro di scienze bibliche, è probabile che ignori la fede dell’autore, a meno che non sia dichiarata in copertina. Ma questo è ovvio: le confessioni protestanti e quella cattolica hanno studiosi di tale calibro, lontani da ogni proposito apologetico, che il problema della fede dell’autore semplicemente non si pone. Meier ad esempio è un sacerdote cattolico, e scrive senza problemi che secondo lui Gesù ebbe dei fratelli: questo perché scrive da accademico, non in qualità di prete.
Il problema della fede degli autori di un testo si pone invece qui, visto che abbiamo a che fare notoriamente con dei pareri che non hanno presa nel mondo accademico, e dunque, quando veniamo a scoprire che chi li propone è guarda caso parte della confessione religiosa nota per queste bizzarrie, storciamo il naso. Il mondo accademico infatti, che sia laico, protestante, cattolico o ortodosso, non recepisce queste tesi, e dunque il fatto che gli unici libri in cui le troviamo siano, guarda caso, opera di gente partigiana, deve far riflettere.
Ad maiora
Ringrazio Poly per questo suo bellissimo, ennesimo intervento e, a riprova delle sue parole, riporto un passaggio del cardinale Gianfranco Ravasi che presenta quelle che, a suo parere, sono le «quattro opere che hanno scavato in profondità i singoli vangeli. Intendiamo riferirci a W. Trilling per Matteo, a W. Marxsen per Marco, a H. Conzelmann per Luca e a R. Bultmann per Giovanni» (Dalla terza pagina di copertina del libro di Wolfgang Trilling, Il Vero Israele, Piemme, 1992).
:strettamano:
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Messaggio da teodoro studita »

Grazie Poly per aver spiegato a tutti la storia di κυριος.
Io più brevemente (anche perché il mio browser fa una fatica terribile a scrivere in questo forum infestato dagli emoticon) dirò che sto ricevendo una serie di njet alla pubblicazione di una recensione su questo libro. PArlo ovviamente di riviste specialistiche e di classe A che, per motivi facili a comprendersi, non sono interessati a questo genere di letteratura trash. Visto che me lo stanno chiedendo in molti, vedrò se è il caso di insistere con editori che mi devono qualche cortesia, ma non garantisco nulla.
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Messaggio da Achille »

Nel libro vengono menzionati Valerio Polidori e Angelo Fregnani:

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Messaggio da Achille »

La nota in cui viene segnalato il link alla pagina di Angelo Fregnani (Quixote) sulla questione paolo/croce:

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http://www.fregnani.it/splash/stauros.htm" onclick="window.open(this.href);return false;

Angelo, nella bibliografia, ha citato anche qualche pagina del sito Infotdgeova:

Mini Webliografia [all’11 agosto 2011]

Il "ripristino" del nome di Dio — Critica precisa e ben documentata, solo a tratti polemica, sulla sostituzione del nome Geova a κύριος, e, più in generale, al teragramma JHVH, con ulteriore biblio-webliografia. Il sito contiene anche pagine ben documentate sulla questione dello staurós, di cui segnalo quelle sul graffito del Palatino, che letteralmente demoliscono le tendenziose pagine del Parsons (The non-christian cross, cit. pp. 36-39).
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Messaggio da Achille »

La parte sulla croce/palo, scritta da un altro TdG (un certo Simone Frattini) mi fa venire in mente questa vignetta:

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La conclusione (cioè la dottrina della WTS) è che Gesù è morto su un palo, e non, come i cristiani di tutti i tempi hanno sempre creduto, su una croce.
Cosa fanno questi TdG? Mantenendosi sempre fermi su questa conclusione, fanno di tutto per cercare di dimostrare che le testimonianze che contrastano con questo insegnamento watchtoweriano non siano in effetti conclusive e non permettano di dimostrare che la WTS è in errore.

Un po' come i TdG hanno fatto con un altro argomento in cui tutte le testimonianze storiche dimostrano che stanno sbagliando, cioè la data del 607.
Non riuscendo a trovare nessuna autorità che sostenesse tale data erronea per la caduta di Gerusalemme, cosa hanno fatto i TdG?
Ecco come Raymond Franz riassunse la questione:
Non trovammo proprio niente a sostegno del 607 a.E.V. Tutti gli storici additavano una data posteriore di 20 anni. Tra le decine e decine di migliaia di tavolette cuneiformi di terracotta, trovate nell’area mesopotamica e risalenti al tempo dell’antica Babilonia, di cui, prima di dedicarmi alla raccolta per la voce Archeologia sull’Ausiliario ignoravo la consistenza numerica, nessuna comprovava per l’impero Neo-babilonese (epoca in cui è fissato il regno di Nabucodonosor) una durata tale da permettere di includerci il 607 a.E.V., la data da noi sostenuta, come quella della distruzione di Gerusalemme. Tutto additava un periodo più breve di 20 anni rispetto a quello sostenuto nella nostra cronologia pubblicata in vari libri. Sebbene considerassi questo fatto inquietante, ero disposto a credere che la nostra cronologia fosse corretta malgrado tutta l’evidenza contraria. Così, nella stesura del materiale per l’Ausiliario, furono dedicati molto spazio e tempo nel tentativo di togliere credibilità alle evidenze archeologiche e storiche che attestavano l’erroneità della nostra data del 607 a.E.V. e che fornivano un diverso punto di partenza per i nostri calcoli e, conseguentemente, un punto d’arrivo differente dal 1914. Charles Plonger ed io ci recammo alla Brown University di Providence, Rhode Island, per intervistare il professor Abraham Sachs, uno specialista in antichi testi cuneiformi. Volevamo cercare di ottenere qualche informazione attestante qualche falla o un qualsiasi lato debole nelle indicazioni astronomiche contenute in molte tavolette, indicazioni che provavano l’infondatezza del nostro 607 a.E.V. Alla fine fu evidente che, se davvero la nostra data fosse stata quella giusta, si sarebbe verificata una teorica cospirazione da parte degli antichi scribi – senza alcuna ragionevole giustificazione - per falsificare i fatti. E allora, come un avvocato di fronte a una prova che non può annullare, il mio tentativo fu quello di screditare o ridurre la credibilità degli antichi testimoni che avevano presentato quella prova: l’evidenza dei testi storici relativi all’Impero neo-babilonese» - Crisi di coscienza, pagg. 47,48.
A me pare che anche in questo caso, nella parte di questo libro sulla croce/palo, sia stato seguito lo stesso metodo.

Achille
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Messaggio da 607Evolved »

Achille Lorenzi ha scritto:Immagine
Achille, forse ti sfugge che la scrivania degli scienziati è tutta in disordine e sporca. E poi c'è pure, udite udite, un teschio!!! Invaliderà in qualche modo le loro tesi, no? :ironico:
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Messaggio da Quixote »

È vero, le pagine sullo staurós del libro in questione, pagine che, lo ricordo, costituiscono un buon terzo dello stesso, mi elargiscono l’onore di una citazione (e sí che c’era di molto meglio, come la sezione dedicata di questo stesso sito, o il PDF di Leolaya, ma forse, per un TdG, sono tabú :-)) Per cui mi risulta un po’ sgradevole doverle criticare, e se mai il dott. Simone Frattini, a quanto sembra autore di dette pagine, oltre che gestore di un sito TdG non ufficiale, dovesse leggermi, me ne dolgo con lui, ma poiché tocca un’argomento rilevante, sono costretto a segnalarne le insufficienze metodologiche e filologiche.

Ho dato una veloce scorsa al libro, e devo dire che i primi capitoli non mi sono dispiaciuti, pur avendo intravisto qua e là alcuni argomenti tendenziosi e conclusioni non sempre convincenti. Devo comunque riconoscere agli autori una certa qual competenza e anche una certa correttezza nel presentare le loro tesi, in una maniera non polemica e, per quanto loro possibile, obiettiva. O perlomeno io, che non ho le conoscenze di Poly e Teodoro in materia, non mi sento di darne sui due piedi un giudizio superficiale e non ponderato. Lo stesso però non posso dire dell’ultimo capitolo, quello sullo staurós alla luce del mos Romanorum, che fin dall’inizio presenta una certa capziosità e una equivoca aderenza con le posizioni ufficiali della WTS, menzionandone la ricca documentazione a supporto (p. 195), ma evitando accuratamente di far notare quanto detta documentazione sia obsoleta e soprattutto distorta manipolata e asservita alle note posizioni geoviste sull’argomento.

La tesi di fondo del capitolo è, in buona sostanza, la giustificazione della resa di staurós con ‘palo di tortura’ nella TNM. Ma, per dimostrarne la liceità, invece di servirsi di argomenti linguistici e filologici, i soli veramente pertinenti a dirimere la questione in maniera scientifica, il dott. Frattini si serve di una strana equazione il cui senso sfugge, in quanto dedica gran parte del capitolo alla descrizione e confutazione di quello che egli chiama mos Romanorum, ovvero la prassi seguita dai Romani nel crocifiggere i condannati. Chiarito che, secondo la sua opinione, tale prassi non è adeguatamente supportata dalle fonti, che egli riporta – glie ne va dato atto – in modo copioso anche se metodologicamente infelice, ne conclude, con un volo pindarico imbarazzante, che stante la mancanza di questa procedura e la poca chiarezza delle relative fonti, la traduzione della TNM è accettabile e conseguente.

Parrebbe però che al dott. Frattini difettino le basi metodologiche storiche filologiche per porre la questione nei suoi giusti termini. Sta di fatto che egli cita ripetutamente varie fonti, Plauto in primis, che è una delle più rilevanti, direttamente dalla rete… cosa che se avessi fatto io nelle mie tesine universitarie, che lo citavo dalle edizioni critiche del Leo e del Lindsay, mi avrebbero sbattuto a casa senza nemmeno sostener l’esame; questo perché citare da una fonte inaffidabile, ignorando il reale stato delle lezioni tramandate dai codici (spesso divergenti da quelle riportate dal dott. Frattini, che sono a volte congetture azzardate), significa a priori il rischio di inibirsi la comprensione autentica della fonte stessa. In secondo luogo egli dequalifica la testimonianza di autori come lo stesso Plauto, Plutarco, Petronio, Giustino ecc. in quanto, usando la sua stravagante terminologia, si tratterebbe non di una fonte «diretta», ovvero “storica”, ma di una fonte «immaginaria», e pertanto destituita di autorevolezza. Evidentemente gli sfugge che proprio perché fonti “immaginarie“, cioè non opera di uno storico stricto sensu, esse siano solitamente più fededegne e affidabili di quelle che egli chiama dirette, ovvero risalenti alla storiografia antica, e che oltretutto con terminologia corretta andrebbero piuttosto definite secondarie (e non «primarie» come, il dott. Frattini, erroneamente, le definisce); ciò in quanto mediate e riflesse, ed elaborate in modo indiretto dallo scrittore, e proprio per questo più sospette allo storico odierno. Chiarisco con un esempio, di cui su questo forum si è parlato: lo storico Flavio Giuseppe, probabilmente per ingraziarsi i suoi protettori romani, offre una descrizione esagerata e ai limiti dell’umano del terrapieno fatto costruire dal governatore Silva per espugnare Masada. Ma l’archeologia ha dimostrato l’infondatezza del suo racconto, e di conseguenza quanto di adulatorio vi fosse nella sua testimonianza tesa a esaltare oltre il consentito i protagonisti dell’impresa, che va non poco ridimensionata. Viceversa Plauto, che trasporta la commedia greca a Roma (la cosiddetta palliata, dal pallio greco), pur lasciando l’ambiente greco, ne attualizza e romanizza usi e costumi, e non ha alcuna necessità di deformarli, anzi ha quella opposta di renderli verosimili agli spettatori, che tali usi conoscevano bene, e che era controsenso falsare; per cui lo storico di oggi ha meno difficoltà ad accettarne la testimonianza, in quanto non inquinata da alcuna motivazione ideologica o d’altro genere. Similmente ha poca importanza che la croce descritta da Artemidoro sia all’interno di un libro sull’interpretazione dei sogni. Proprio perché Artemidoro non aveva alcun interesse a deformare la realtà, lo storico odierno accetterà la sua testimonianza senza gli scrupoli che potrebbe avere se la raccogliesse da Diodoro o Livio, storici “di professione”, e quindi propensi a interpretare e, non di rado, equivocare quel che narravano. Lo stesso che per le «immaginarie» vale per le fonti che il dott. Frattini denomina «simboliche», come quelle di Barnaba o di Giustino: certo non ne vien fuori un mos Romanorum, ma che essi alludano a una croce a due bracci, e non a un palo, è insensato negarlo, come sarebbe insensato negare che, perché simbolica, la croce da loro descritta non avesse un preciso referente nella realtà.

In altre parole la costante dequalificazione che il dott. Frattini fa delle fonti immaginarie rispetto alle dirette (con terminologia, lo ripeto, scorretta e fuorviante) andrebbe piuttosto ribaltata, oltre che addotta a testimonianza della sua carenza storico-metodologica. Egli pretenderebbe un inesistente manuale De crucifixione redatto da fonte antica e autorevole, non rendendosi conto che la storia è altra cosa, ovvero la ricostruzione più probabile ed economica di un episodio di un evento di un costume antico. È vero che le numerose fonti che egli cita non sono di per sé mai troppo chiare e precise, ma dal loro confronto se ne possono trarre deduzioni abbastanza attendibili, anche se non certe in assoluto. E ciò vale per tutta la storia antica, quale la possiamo ricostruire, nel suo complesso. Sta se mai a chi controbatte la tesi più economica e accreditata portare le prove che la sua ipotesi sia meno fumosa di quella che egli contesta. E in ciò il dott. Frattini fallisce miseramente, perché anch’egli si limita, come la WTS, a cercar di smontare l’ipotesi croce, senza portare un solo straccio di prova dell’ipotesi palo, che va riferita, non lo si dimentichi mai, non a un caso generalizzato, ma a un caso specifico, quello della crocifissione di Gesú, che costituisce quella sí una prova “diretta”, e che, guarda caso, il dott. Frattini par quasi ignorare, visto che né la inserisce nel suo elenco delle fonti, né la fa oggetto di una trattazione specifica, evitando fra l’altro l’accentuazione di alcuni dei luoghi neotestamentari che contraddicono al suo assunto. Senza contare che tutte le testimonianze da lui arrecate che non si prestino a interpretazione equivoca, e sono numerose, parlano sempre in direzione di uno strumento complesso, mentre da quelle equivoche non si può risalire alla forma dello strumento utilizzato, che potrebbe essere, indifferentemente, sia una croce che un palo, per cui la tesi del palo rimane comunque… al palo, e non decolla.

Insomma, tutta la fatica del dott. Frattini, alla fin fine si dimostra sprecata, e non prova un emerito nulla, se non che, per dimostrare un teorema algebrico, si sia servito della geometria. Anche ammettessimo la sua ipotesi, che non esista un mos Romanorum, che non vi fosse prevista una fustigazione, che non vi fosse previsto un cartello sopra la testa ecc… much ado about nothing direbbe Shakespeare, tanto rumore per nulla, a meno che non si voglia anche mettere in dubbio che corona di spina, sferze e flagelli, sputi e insulti ecc. il Signore non li abbia mai subiti. Quel che unicamente rileva, al fine di stabilire la correttezza della traduzione TNM/NWT, è esclusivamente la forma della croce di Cristo, e le stesse testimonianze addotte dal dott. Frattini vanno, come si è detto, in questa direzione, che solo chi è ottenebrato da motivi ideologici e teologici preconcetti può non vedere. E che questi motivi allotri sussistano risulta evidente quando, fra le sue conclusioni, egli accenna al fatto che non esista nelle fonti prova di uno sgabello cui il condannato potesse appoggiare i piedi (p. 276); è manifesto in questo caso che egli ha di mira non la realtà storica del dato, in sé insignificante e che nessuno si sogna di contestare, ma l’immagine tradizionale cristiana, con intento puramente apologetico o peggio, denigrativo nei confronti del cattolicesimo, che ha fatto sua tale iconografia. Quanto poi al mos Romanorum, la sua presunta assenza è contraddetta dalle fonti, almeno per quanto riguarda i cittadini romani; per es. Liv. I, 26, 6, che è la più eloquente — fonte omessa dal dott. Frattini, e ne esistono altre a supporto – che però non si può applicare, sic et simpliciter, al supplizio di schiavi o di cittadini di altra nazionalità. Ma nulla vieta che tale prassi, certo diversificata, nel tempo e nello spazio, vi fosse anche per questi ultimi; e qui ribalto contro di lui l’argomento favorito dal geovismo: non c’è nessuna prova della croce? ebbene non vi è nessuna prova che non esistesse una prassi usuale per la crocefissione, dopotutto indizi ve ne sono uno strafottio, a partire dallo stesso testo evangelico.

Il dott. Frattini conclude (p. 273): «se fosse esistita una procedura di crocifissione romana (che i critici dei Testimoni di Geova descrivono anche nei particolari), questa si sarebbe formata all’insaputa degli scrittori e storici romani stessi». Argomento e ipotesi che non vale nulla, se non a dimostrare la poca conoscenza, da parte sua, dei canoni storicistici antichi, ovvero di quello che gli storici scrivevano e di quello che, volutamente, fosse per stile costume opportunità ecc. ritenevano conveniente tacere. Come scritto scherzosamente in un altro thread, solo per caso ci è noto che cosa i Romani usassero al posto della carta igienica. E solo per caso uno storico latino o greco ci avrebbe informato della precisa tecnica usata per il supplizio di uno schiavo o di un ebreo, ché sarebbe stata caduta stilistica inenarrabile. Di certo uno storico odierno non si stupisce di questa assenza nelle fonti, si stupirebbe, se mai, del contrario, in quanto la bassezza dell’argomento era decisamente in conflitto coi canoni retorici della storiografia antica, che non si sarebbe mai umiliata a descrivere nel dettaglio la tecnica della crocefissione di uno schiavo. E se anche fosse avvenuto, questa reticenza spiegherebbe alla grande la rarità di una simile descrizione, e non farebbe nessuna meraviglia, nel naufragio immane degli storici classici (di Livio è conservato un quarto), che essa non si sia tramandata. Né si può pretendere una descrizione al dettaglio dalle altre fonti, che non hanno fini storici.

In conclusione, le tesi del dott. Frattini non hanno nulla a che vedere con la traduzione della TNM, che andava se mai affrontata con argomenti filologici stricto sensu, ovvero lessicali etimologici semantici ecc., che egli trascura completamente, limitandosi a riportare una vaga quanto succinta citazione dalla Companion Reference Guide to the Christian Bible (p. 276) che non dà ragione a nessuno, e che non è sicuramente una fonte autorevole al riguardo. Quanto poi alla sua concessione finale, che quel ‘palo di tortura’ è eccessivo, in quanto trattasi di supplizio e non di tortura, e meglio sarebbe tradurre col solo ‘palo’, pare più un machiavello per poter vantare indipendenza di giudizio che non una vera e propria obiezione alla TNM. Nella Conclusione del libro chi scrive (sicuramente non il dott. Frattini, che erra scrivendo Mos con la maiuscola, mentre questi erra scrivendo romanorum con la minuscola) recita (p. 282): «La scelta [del palo di tortura] non è criticabile sotto il profilo teologico»: per l’appunto, è un motivo teologico, ergo extra-storico, ergo associato a un’ideologia religiosa, che la ispira. Non è un motivo filologico, che, per quanto non immune dai preconcetti e dai limiti obiettivi del filologo, a questa ideologia non è asservito, e non si fonda su questa per deformare il dato, ma interpreta il dato, per quanto gli è concesso, in maniera scientifica e priva di pregiudizi. E se il dato è incompatibile con la tesi, cambia la tesi, non il dato.
Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς.
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
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Primo postPresentazioneStaurós: palo o croce? (link esterno)
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Messaggio da Achille »

A proposito di testimonianze storiche, sto leggendo questo libro:

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Molto interessante. Ne posterò alcune pagine.
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Pagine 189-190:

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Achille
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Quixote ha scritto:...Quanto poi al mos Romanorum, la sua presunta assenza è contraddetta dalle fonti, almeno per quanto riguarda i cittadini romani; per es. Liv. I, 26, 6, che è la più eloquente — fonte omessa dal dott. Frattini, e ne esistono altre a supporto – che però non si può applicare, sic et simpliciter, al supplizio di schiavi o di cittadini di altra nazionalità. Ma nulla vieta che tale prassi, certo diversificata, nel tempo e nello spazio, vi fosse anche per questi ultimi; e qui ribalto contro di lui l’argomento favorito dal geovismo: non c’è nessuna prova della croce? ebbene non vi è nessuna prova che non esistesse una prassi usuale per la crocefissione, dopotutto indizi ve ne sono uno strafottio, a partire dallo stesso testo evangelico.
Secondo me il punto è l'approccio che questi TdG hanno a tali indizi. Se l'intento fosse quello di arrivare a delle conclusioni obiettive, imparziali ed indipendenti, le testimonianze esistenti potrebbero bastare per giungere a tali conclusioni. Ma quando si parte da un presupposto dal quale non si può e non si vuole allontanarsi (e cioè che Cristo è morto appeso ad un palo: questa è la Verità emanata dal "canale di Dio"), ecco che tutti gli indizi e le testimonianze devono essere lette ed interpretate in maniera tale da non inficiare tale "verità".
Un po' come può fare un avvocato che deve difendere un suo cliente colpevole...

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Messaggio da cercaverità »

Molto interessante. Sono passati ormai parecchi anni, a quell'epoca non sapevo neanche che i TDG negavano la croce, ma ricordo che un insegnante parlando delle guerre puniche disse che i romani avevano imparato dai cartaginesi l'uso di crocifiggere. Solo che sul web non ho trovato nulla che lo confermasse. Una domanda; i crocifissi come morivano? Dissanguati? Di sete? Secondo quello che ho letto nella bibbia gli frantumavano le gambe per farli morire prima se volevano.
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Dt 18:21,22 Se tu pensi: Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detta? Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l'ha detta il Signore; l'ha detta il profeta per presunzione: di lui non devi aver paura.

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nello80
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Messaggio da nello80 »

cercaverità ha scritto:Molto interessante. Sono passati ormai parecchi anni, a quell'epoca non sapevo neanche che i TDG negavano la croce, ma ricordo che un insegnante parlando delle guerre puniche disse che i romani avevano imparato dai cartaginesi l'uso di crocifiggere. Solo che sul web non ho trovato nulla che lo confermasse. Una domanda; i crocifissi come morivano? Dissanguati? Di sete? Secondo quello che ho letto nella bibbia gli frantumavano le gambe per farli morire prima se volevano.

Per quello che so i crocifissi morivano perlopiù soffocati.
Infatti tendevano ad alzarsi facendo forza sulle gambe e quando queste (i ginocchi) venivano rotte si accellerava la morte perchè non avevano più la forza di alzarsi e far prendere area ai polmoni.
Nel buio totale una voce d'uomo mi disse: "Vieni verso di me, non voglio farti del male...", ma io accesi un cerino e vidi ch'ero sul margine di un precipizio, e l'uomo che mi parlava era, invece, dalla parte opposta...

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Achille
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Messaggio da Achille »

Quixote ha scritto:È vero, le pagine sullo staurós del libro in questione, pagine che, lo ricordo, costituiscono un buon terzo dello stesso, mi elargiscono l’onore di una citazione (e sí che c’era di molto meglio, come la sezione dedicata di questo stesso sito, o il PDF di Leolaya, ma forse, per un TdG, sono tabú :-))
Puoi immaginarti se si "contaminano" citando siti "apostati". Li leggono (e digrignano i denti), ma si guardano bene dal citarli in qualche loro scritto: darebbero un pessimo esempio. Interessante comunque che citando la tua pagina sulla croce, indirettamente danno modo a qualche eventuale TdG di rintacciare anche il sito Infotdgeova, che tu hai citato in una nota. E lo stesso vale per l'ottimo studio di Leolaya, tradotto da Polymetis.

Per quanto riguarda le testimonianze degli scrittori delle origini sulla croce, copio incollo dal sito ( http://www.infotdgeova.it/dottrine/croce.php" onclick="window.open(this.href);return false; ):

La tradizione cristiana primitiva attesta che Gesù morì su uno strumento a forma di croce

«È per opera del Verbo di Dio che tutte le cose quaggiù sono state disposte e strutturate - per questo la crocifissione del Figlio di Dio si è compiuta anche lungo tutt'e quattro queste dimensioni, quando egli ha tracciato sull'universo il segno della sua croce. Infatti, col suo farsi visibile, ha dovuto rendere visibile la partecipazione di questo nostro universo alla sua crocifissione, per mostrare, con la sua forma visibile, l'azione che egli esercita sull'universo visibile: che egli cioè illumina l'altezza, cioè tutto quanto è nel cielo, che contiene la profondità, cioè quanto esiste nelle viscere della terra, che estende la sua lunghezza da oriente a occidente, che governa come nocchiero la regione di Arturo e la larghezza del Mezzogiorno, chiamando d'ogni parte coloro che sono dispersi, alla conoscenza del Padre». Ireneo di Lione (140 ca. - 202 ca.), Dimostrazione della predicazione apostolica, 31-34.

«Infatti, poiché lo perdemmo per mezzo del legno, per mezzo del legno è divenuto visibile a tutti, mostrando in se stesso l’altezza, la lunghezza, la larghezza e la profondità e, come disse uno degli anziani, riunendo i due popoli in uno per mezzo dell’estensione delle braccia». Ireneo di Lione, Adversus Haereses, V, 17,4.

«Fuggite questi dannosi polloni che generano frutti di morte [parla dei doceti], e se uno ne gusterà morirà all'istante. Essi infatti non sono piantagione del Padre. Se infatti lo fossero, apparirebbero come i rami della croce, e il loro frutto sarebbe incorruttibile. Per mezzo della croce, nella sua passione, Cristo vi chiama, essendo voi sue membra». Ignazio di Antiochia (morto nel 110 d.C.), Ai Tralliani, XI,1-2.

«Non veneriamo le croci né le desideriamo. Voi piuttosto, che venerate idoli di legno, adorate forse le croci di legno, perché parti dei vostri dèi. Che altro sono le insegne, gli stendardi e i vessilli militari, se non croci dorate e ornate? I vostri trofei di vittoria imitano l'aspetto non solo della croce nuda, ma anche dell'uomo su di essa affisso. Il segno della croce ci si presenta, spontaneamente, nella nave, quando viaggia a gonfie vele e quando procede a remi alzati; quando si innalza il giogo, è un segno di croce, e così pure se l'uomo prega Dio spiritualmente con le mani elevate. Perciò il segno di croce, o si basa su dati naturali, o viene espresso dai vostri usi». Minucio Felice (II sec. d.C.), Ottavio, 29,2-3.6-8.

«Ponete mente difatti a tutte le cose che sono al mondo e vedete se, senza questa figura, si possano costruire e combinarsi. Il mare, ad esempio, non si fende se questo trofeo, sotto il nome di vela, non stia intero sulla nave; la terra non si ara senza di esso; gli zappatori e i meccanici non compiono il lavoro se non mediante arnesi fatti a questa foggia. La forma umana poi per nessun'altra caratteristica si distingue da quella degli animali irragionevoli, che per essere eretta e possedere l'estensibilità delle mani e presentare sul volto il naso, per il quale si compie la respirazione vitale, così disposto sotto la fronte da formare appunto una croce. Per bocca del Profeta fu detto: Il respiro della nostra faccia è Cristo Signore (Lam 4,20). E ad attestare la potenza di queste figure stanno i vostri stessi emblemi, cioè i vessilli e i trofei, con i quali voi sempre marciate, ostentando, anche se ciò facciate senza porvi mente, in essi appunto il segno del dominio e del potere. E i simulacri, che innalzate, dei vostri Imperatori morti, con iscrizioni che li deificano, non hanno anch'essi questa foggia? E ora che abbiamo cercato, per quanto era in noi, di convincervi, sia con ragionamenti, sia mostrandovi il valore di questo segno, ci sentiamo esonerati d'ogni responsabilità, se voi restate increduli». Giustino, Prima apologia, 55 (II sec. d. C.).

«Il fatto poi che fosse ordinato che quell'agnello dovesse essere completamente arrostito [si riferisce all'agnello pasquale ebraico, n.d.r.] era simbolo della passione di croce che Cristo doveva patire. Infatti l'agnello che viene arrostito si cuoce in una posizione simile alla forma della croce, poiché uno spiedo diritto viene conficcato dalle parti inferiori alla testa, e uno messo di traverso sul dorso e vi si attaccano le zampe dell'agnello». Giustino, Dialogo con Trifone, 40,3, II sec. d.C.

«È parte di una croce ogni legno che sia posto in direzione verticale» (Tertulliano, Apologetico XVI, 7XVI, 7). «Se fai opposizione sulla forma, quanta poca differenza c’è tra lo stipite della croce e Pallade Attica o Cerere Faria, le quali sono solo un palo rozzo e non lavorato, e che rappresentano un idolo di legno informe? È parte della croce, e anche la più grande, qualsiasi legno fissato in posizione verticale. Ma a noi rimproverate di adorare la croce intiera, s’intende con la sua traversa, e il suo sedile sporgente. Per questo voi siete assi più biasimevoli, poiché adorate un legno mutilo e incompleto, che altri invece adorano completo e assemblato!” (Tertulliano, Ad gentes I, XII, 3-5, ca. 160 d.C.).

«Anche Mosè ebbe la rivelazione della crocifissione quando il popolo di Israele, attaccato dai nemici, stava per subire una sconfitta, permessa da Dio perché imparasse che i suoi peccati lo travolgevano nella rovina. Lo spirito allora ispirò al cuore di Mosè di rappresentare una figura della croce e di colui che vi avrebbe sofferto sopra (significando anche che, se non si confida in lui, si verrà travolti da un'eterna sconfitta). Mosè dunque ammucchiò armi su armi in mezzo alla battaglia: si pose così al di sopra di tutti, e stese le braccia. Subito Israele cominciò a vincere. Ma ogni volta che le abbassava, subito venivano sopraffatti. Perché tutto questo? Perché comprendessero che non avrebbero potuto salvarsi senza confidare nel crocifisso» (cfr. Es 17:8-16). Lettera di Barnaba, 10-12, ca. 100 d.C. (La Società Torre di Guardia parla della Lettera di Barnaba nella sua rivista Svegliatevi! dell'8/5/1977, pp.27-8, e ne cita alcune affermazioni sulla croce, tratte da una particolare interpretazione di alcuni passi biblici. La Società però non cita questo chiarissimo ed inequivocabile passo della Lettera in cui si dice lo stauròs aveva la forma della tradizionale croce).

Anche altri scrittori antichi usarono stauròs nel senso di croce

Luciano di Samosata (nato nel 120 d.C.) era un noto oratore/avvocato e autore di scritti satirici. In uno di questi, intitolato il Giudizio delle Vocali, nel capitolo 12, mette in ridicolo l'eccesso di studio stilistico tipico dell'epoca: si tratta di un processo della lettera Sigma contro il Tau (lettere dell'alfabeto greco ovviamente), accusato di "appropriazione indebita" di parole nel dialetto attico. I giudici nel processo erano le sette vocali dell'alfabeto greco: l'accusa rivolta al Tau era quella di essere stato prepotente nei riguardi del povero sigma, del quale aveva tentato di usurpare il posto in varie parole (talatta per talassa, Prattein per Prassein e altre). Quale sarà, si domanda Luciano, la giusta punizione del colpevole Tau? Quella egli pensa, indicata dalla forma stessa della lettera, cioè il supplizio della croce, che specifica con la parola "stauròs". Da ciò si può dedurre che "stauròs" indicava (anche) un attrezzo molto simile al Tau ma soprattutto che nel 165 d.C. era di comune accezione indicare la croce con il termine "stauròs".

Nella sua tragedia Prometeo o Il Causaso, Luciano di Samosata mette in scena un dialogo tra Mercurio e Vulcano, i quali, parlando della punizione che spetta al Titano Prometeo, dicono che egli sarà crocifisso alle rocce del Caucaso:

«Mercurio. Ecco, o Vulcano, il Caucaso, dove dobbiamo inchiodare questo sventurato Titano. Andiamo guardando se v'è qualche rupe acconcia, qualche balza nuda di neve, per fermarvi salde le catene, e sospenderlo alla vista di tutti.
Vulcano. Andiam guardando, o Mercurio: non conviene crocifiggerlo in luogo basso e vicino alla terra, ché gli uomini da lui formati verrebbero ad aiutarlo: né troppo in cima, ché non sarìa veduto da quei di giù. Se ti pare, qui è una giusta altezza, su questo precipizio potrà esser crocifisso: stenderà una mano a questa rupe, ed un'altra a questa dirimpetto.
Mercurio. Ben dici: queste rocce son brulle, inaccessibili da ogni parte, ed alquanto pendenti; e nella rupe c'è appena questo poco di sporto, dove poggiare le punte de' piedi: per croce non troveremmo di meglio. Non indugiamo, o Prometeo: monta, ed accónciati ad essere affisso al monte».

Non ci possono essere dubbi che per crocifissione si intende in questo scritto che la vittima (Prometeo) sarebbe stata fissata alla rupe con le braccia distese in senso orizzontale.
NOTA: Nel testo originale, al posto di croce troviamo “stauros”, al posto di crocifiggere “anastauroo”.

Stauròs negli antichi manoscritti

«Particolarmente importanti sono i papiri Bodmer II (P66) e Bodmer XIV-XV (P75), entrambi scritti verso il 200 E.V. Il Bodmer II contiene buona parte del Vangelo di Giovanni, mentre il Bodmer XIV-XV contiene buona parte di Luca e di Giovanni e testualmente è molto vicino al manoscritto Vaticano 1209» (Libro Perspicacia, vol. 2, p. 204).

In questi papiri la parola «stauròs» è resa in modo tale che la "T" e la "R" sono unite, assumendo la forma di una croce, con la "R" che fa pensare addirittura al capo reclinato di un condannato:

Immagine

L' immagine è composta da:
C = antico sigma = S;
T = tau = T
P = ro = R
O = omicron
N = ni = N

Le vocali a (alfa) e y (ipsilon) dopo il sigma e il tau che darebbero stayron sono omesse. Tau e ro sono fusi in unica immagine - la linea sovrastante le parole, usata in greco e latino, indica di regola che esse sono state contratte (cf il dnus per Dominus, lo IC per Iesous). Il risultato è stron = da leggersi stauròn (accusativo di stauròs).
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Achille Lorenzi ha scritto:
Quixote ha scritto:È vero, le pagine sullo staurós del libro in questione, pagine che, lo ricordo, costituiscono un buon terzo dello stesso, mi elargiscono l’onore di una citazione (e sí che c’era di molto meglio, come la sezione dedicata di questo stesso sito, o il PDF di Leolaya, ma forse, per un TdG, sono tabú :-))
Puoi immaginarti se si "contaminano" citando siti "apostati". Li leggono (e digrignano i denti), ma si guardano bene dal citarli in qualche loro scritto: darebbero un pessimo esempio. Interessante comunque che citando la tua pagina sulla croce, indirettamente danno modo a qualche eventuale TdG di rintacciare anche il sito Infotdgeova, che tu hai citato in una nota. E lo stesso vale per l'ottimo studio di Leolaya, tradotto da Polymetis.
Io non ho voluto calcare questo punto, e l’ho messa sull’ironia. Ma il fatto è che uno studioso serio, non omette di citare le fonti avverse, fossero anche del suo peggior nemico. Ora mi viene il dubbio che abbiano citato un mio scritto, che in fin dei conti nell’economia del mio sito, che parla di tutt’altro, non è che un passatempo di pochi giorni, a tutt’altro fine che quello di offrire una documentazione appropriata. Quasi mi vien da pensare che con questa operazione essi vogliano dire; «Ecco! Vedete? Sono ben inconsistenti i nostri oppositori!». Vero è che mi hanno menzionato per il buon numero di fonti da me riportate, ma esse sono ben misere rispetto allo studio di Leolaya.

Del resto l’ingenuità e il candore del dott. Frattini, cui devo riconoscere l’impegno profuso e la buona volontà, non si rivela tanto dal citare dalla rete, come ho ironizzato; lo fanno ormai tutti, salvo nei lavori di stretta filologia formale (cui, ahimè, io sono condannato :-). Ma si guardano come dalla peste dal dirlo, a meno che non vogliano farsi deridere da tutta la comunità accademica. Il segreto è farlo bene, altrimenti riveli la tua incompetenza. Ma dichiararlo addirittura, è un mezzo suicidio. :risata:

Piuttosto, Eva Cantarella è un’illustre studiosa di fama internazionale, figlia dell’insigne grecista Raffaele Cantarella, del quale possiedo i due volumi di storia della letteratura greca classica ed ellenistica. Dal suo libro il dott. Frattini cita, ma da altra edizione, le pagine che hai riportato in cui la Cantarella non si fa nessuno scrupolo di riportare le testimonianze di Plauto e Artemidoro, cui io ho alluso nel mio post precedente, perché meglio di me sa che l’assurda contrapposizione di fonti storiche e non storiche operata dal dott. Frattini non ha alcun senso. Quello che invece appare strano è che il dott. Frattini, dato che ha letto il libro della Cantarella, abbia omesso di parlare dell’iscrizione di Pozzuoli, che se ben ricordo Poly conosce bene, perché ne ha scritto da qualche parte. Come la Cantarella scrive, sono «le uniche regole giuridiche di cui siamo a conoscenza», ma in quanto tali vanno decisamente contro la tesi di un insussistente mos Romanorum. Per cui anche qui mi viene il dubbio che il dott. Frattini sia stato “disonesto”, e abbia scientemente evitato di citare una fonte che lo contraddiceva.
Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς.
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
GIOVANNI, III, 19. (G. Leopardi, La ginestra, esergo)
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Primo postPresentazioneStaurós: palo o croce? (link esterno)
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personalmente intravedo..

Messaggio da Ray »

Polymetis:
È poco elegante, e segno di trascuratezza, rendere la stessa parola a volte con kyrios e a volte con kurios, anche perché il lettore potrebbe pensare che tu stia parlando di termini diversi.
Questo racchiude il tutto,forse questo libro non è per gli addetti al lavoro,più per un lettore che vuole rassicurazioni che accuratezza.
In pratica penso che sia stato fatto per il tdg ..a cui non interessano le specificità ma soltanto dove poter citare e avallare le dottrine della WT.
Sicché dietro kurios avrebbe potuto celarsi anche κούριος (kourios), che è un aggettivo significante "giovanile".
Per questo è bene tenere la stessa convenzione di traslitterazione per tutto il libro, stabilire cioè ad esempio che renderai la ipsilon con y, e il dittongo "ou" con "ou", altrimenti il lettore può essere mandato in confusione. La reazione di Teo è dovuta al fatto che quando si scrive un testo antichistico, sin dalla tesi di laurea, queste cose sono le prime che vengono notate. Per dei dilettanti possono apparire sottigliezze, ma nel nostro mondo sono quasi tutto
A questo punto non saprei se il tutto sia stato fatto con uno scopo o con intenzione ( e questo indicherebbe la scarsa considerazione che l'autore ha per chi legge il libro) o senza scopo e intenzione (e questo "può" o "fa " intendere la poca dimestichezza della lingua greca, dell'autore o con parte l'argomento in questione).Da profano di greco antico posso essere solo osservatore e lettore dei fatti. :occhiol:

O NO ? :boh:
Ray

Le falsificazioni e le varianti involontarie si accumulano man mano che un testo è ricopiato attraverso i secoli. Ogni scriba riproduce gli errori degli scribi precedenti e ne aggiunge di propri. Non possediamo alcun originale dei libri del nuovo testamento, ma neppure copie eseguite direttamente sugli originali, né copie di copie...Bart D. Ehrman
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