Per Peraskov
“Quando cominci a dire che un certo modo di ragionare somiglia ai Tdg è solo perché sei in difficoltà, pensi che mi debba sentire condizionato da questi paragoni? Stai dicendo un cumulo enorme di inesattezze: il darwinismo non è un dogma “nel mondo accademico” è un dogma per i darwinisti e tu lo dimostri. Coloro che confutano il darwinismo sono tanti ed in numero crescente e tra gli stessi darwinisti si vanno cercando teorie correttive se non alternative perché molti hanno compreso la debolezza insostenibile di troppe “premesse” necessarie per sostenere il castello, qualcuno è già arrivato a parlare di vita extraterrestre.”
Notoriamente sui libri di biologia, dei licei come delle università, anziché il darwinismo e le ipotesi sull’albiogenesi adesso ci sono le cause finali…
Ma non ti rendi conto che non basta citare dei nomi, perché esista un dibattito? Non ti rendi conto che il mondo è grande, e che si possono citare dei nomi, proprio perché questi nomi differiscono da quello che pensano tutti gli altri? Ma soprattutto, la tua impostazione non è feconda per la scienza. Mettersi a dire: “non possiamo spiegare, ergo tiriamo fuori Dio come pezza”, blocca lo sviluppo scientifico. Dire invece che esista una spiegazione del tutto naturalistica, e provare a cercarla, questo è ciò che svela di dilemmi di anno in anno.
Sull’entità reale della supposta crisi del darwinismo, che non è mai esista, si possono leggere queste risposte del sito Talk Origins, che ha la bontà di non parlare a vanvera ma di riportare precise statistiche facendoci conoscere le dimensioni del fenomneo:
Claim CA110:
Evolution is a theory in crisis; it will soon be widely rejected.
http://www.talkorigins.org/indexcc/CA/CA110.html" onclick="window.open(this.href);return false;
Claim CA111:
Many scientists reject evolution and support creationism.
http://www.talkorigins.org/indexcc/CA/CA111.html" onclick="window.open(this.href);return false;
Claim CA111.1:
More than 300 scientists (over 400 as of 7/18/2005) from all disciplines have signed a statement expressing skepticism of the ability of random mutation and natural selection to account for the complexity of life.
http://www.talkorigins.org/indexcc/CA/CA111_1.html" onclick="window.open(this.href);return false;
Claim CA112:
Many mainstream scientists point out serious problems with evolution, including problems with some of its most important points.
http://www.talkorigins.org/indexcc/CA/CA112.html" onclick="window.open(this.href);return false;
Claim CA113:
Quotes from many noncreationist authorities show that evolutionists themselves find many various failures of evolution.
http://www.talkorigins.org/indexcc/CA/CA113.html" onclick="window.open(this.href);return false;
“Quei tromboni sono scienziati, non filosofi, ed a me interessa ciò che dicono in quanto scienziati. In quanto tali conoscono le caratteristiche delle galassie sicuramente meglio dei filosofi e se affermano che l’età e la grandezza dell’universo sono insufficienti per giustificare anche quel primo numero, li considero sicuramente più affidabili dei filosofi che lo negano.”
Gli scienziati? Ma credi davvero, come i TdG, che esista un dibattito nelle università su questi problemi? I singoli nel mondo scientifico non contano nulla: la scienza si costruisce perché c’è la comunità accademica che controlla le idee dei colleghi in un sistema di peer review. Io qui non sto parlando da filosofo, sebbene quello che manca a coloro che citi è proprio la filosofia, infatti partono dall’errore che si dovesse arrivare a questa particolare configurazione, e dunque decretano che sarebbe impossibile arrivarci casualmente, non rendendosi conto che qualsiasi esito è altrettanto improbabile. Gli scienziati sono d’accordo con me, non con te, come vedremo subito, se proprio volessimo ridurci ad usare argumenta ex auctoritate, visto che non c’è dubbio che il neodarwinismo sia il paradigma trasversale di tutta la biologia moderna e che è inutile citare i suoi sostenitori, perché occorrerebbe citare ipso facto la quasi totalità dei biologi. Ma andiamo con ordine. Dici in primis che gli scienziati da te citati conoscono le caratteristiche delle galassie, e dunque essi sanno che non sono sufficienti per giustificare quella probabilità. Ebbene, si dà il caso che nessuno degli scienziati che citi, e che danno quei numeri, si è posto in realtà il problema della quasi infinità dei pianeti dell’universo. O almeno, in nessuno dei punti delle tue citazioni si evincono considerazioni al riguardo. Essi dicono solo che la probabilità che si formi la vita è una su un miliardo (o anche un numero più grande). Ebbene, come sai che qualcuno abbia mai fatto notare loro che nella nostra sola Galassia c’è più di un miliardo di pianeti, e che dunque il loro ragionamento si condanna da solo, perché ci dice che c’è anzi da aspettarsi che proprio in un pianeta su un miliardo quello che essi ritengano improbabile avvenga? Ma soprattutto, tu che cosa hai da rispondere a questo ragionamento?
Da ultimo, quello che affermo, sono per l’appunto scienziati a scriverlo, se tanto ti interessa il loro parere, che questa volta è il parere della maggioranza. Cito ad esempio il recentissimo lavoro di Nick Lane, biochimico dell’University College di Londra che si occupa di bioenergetica e di origini della vita:
“
Che cos’era la Terra quando infuse per la prima volta la vita in elementi inorganici? Noi siamo unici, o estremamente rari, o il nostro pianeta era solo uno su un milione di miliardi di incubatrici disseminate nell’universo? Secondo il principio antropico la risposta a questa domanda ha poca importanza. Se si ammette che la probabilità di vita nell’universo sua di uno su un milione di miliardi, allora per ogni milione di miliardi di pianeti c’è una probabilità pari a 1 che la vita debba emergere da qualche parte. E poiché noi ci troviamo su un pianeta vivente, è ovvio che dobbiamo vivere proprio su quella parte. Per quanto estremamente rara possa essere la vita, in un universo infinito c’è sempre la probabilità che la vita emerga su un pianeta, e poiché noi viviamo su un pianeta abitato, se nell’universo c’è un solo pianeta abitato, quello è sicuramente il nostro pianeta” (Nick Lane, Le invenzioni della vita, Milano, 2012, Il Saggiatore)
E poi questi calcoli della probabilità davvero sparati a caso…
Qui una confutazione dei calcoli della probabilità creazionisti:
http://www.talkorigins.org/faqs/abioprob/abioprob.html" onclick="window.open(this.href);return false;
Il premio nobel Cristian de Duve ad esempio ne ha fatto un altro, per lui alla formazione della vita non servono miliardi di anni, ma solo 10.000, e che essa si frutto del determinismo della chimica (Christian de Duve, Alle origini della vita, Milano, 2008, Longanesi). Com’è deludente affidarsi al verbo dei santoni creazionisti! Sostanzialmente l’idea è che non si sia trattato di un’interazione fortuita ma che le cose non potessero che andare così, stanti le leggi della chimica attuali. Il che porta acqua al mio mulino, cioè che se si vuole ipotizzare Dio, è meglio ipotizzarlo come architetto che congegna le leggi della fisica, affinché poi l’universo produca la vita in base a quelle leggi, piuttosto che cercare di dire che quelle leggi da sole non bastano, inventarsi “cause finali” o l’intervento divino in itinere, e poi venire smentiti anni dopo.
“Hai ragione quando dici che non può essere paragonato il DNA all’Iliade, infatti la formazione del DNA è tremendamente più complessa. Tu ne parli solo in senso matematico, come probabilità che esca una certa sequenza, tanto che fai il paragone con il superenalotto, ma solo perché non ne conosci il meccanismo. Per l’energia necessaria viene utilizzato l’ATP (adenosintrifosfato) una molecola estremamente complessa che non funziona se manca uno qualsiasi dei suoi tanti componenti: poiché è impossibile, per caso e selezione naturale, che questi si siano formati ed incastrati in quel modo nello stesso istante, ci deve essere stato un lunghissimo periodo nel quale il caso aggregava progressivamente, uno dopo l’altro, questi componenti. Per quale motivo avrebbe dovuto essere scelta questa aggregazione che in quel momento, essendo incompleta, non serviva a niente? “
Questo è un altro classico errore logico, cioè quello della cosiddetta “complessità irriducibile”. Si vuole cioè sostenere che, siccome un qualcosa non funziona se tutte le sue componenti non esistono già all’unisono, allora è impossibile che si siano evolute una alla volta, perché quel qualcosa non avrebbe affatto funzionato, e, se non funzionava, non c’è motivo per cui la selezione naturale avrebbe dovuto selezionare i singoli componenti che, step dopo step, avrebbero infine fatto funzionare il meccanismo una volta presenti tutti insieme. Questo errore logico fu già confutato da Darwin quando dovette parlare di come si formò l’occhio umano. Vediamo in che cosa consiste l’errore con un esempio, e poi applichiamo la strategia risolutiva individuata al nostro caso.
Copio parte di un articolo che Scientific American, edito anche in italia col nome "Le scienze", dedicò alla teoria della complessità irriducibile:
I nuovi nemci di Darwin
di H.Allen Orr, professore di biologia all'università di Rochester, New York.
Michael J. Behe, professore di scienze biologiche presso la Lehigh University (e membro anziano del Discovery Institute), è un biochimico che scrive trattati tecnici sulla struttura del DNA. È lui il più famoso del piccolo gruppo di scienziati che lavora sull'intelligent design, e le sue tesi sono, fino a oggi, le più note. Il suo libro Darwin 's Black Box, pubblicato nel 1996, divenne inaspettatamente un best seller e fu nominato dalla «National Review» come uno dei 100 migliori saggi del XX secolo.
Non sorprende che i dubbi di Behe nei confronti del darwinismo prendano il via da considerazioni di biochimica. Cinquant'anni fa, afferma, qualsiasi biologo poteva raccontare storie come quella dell'evoluzione dell'occhio. Ma quelle storie, nota Behe,
iniziavano invariabilmente dalle cellule, le cui origini evolutive erano sostanzialmente lasciate senza spiegazioni. Questo non ha creato problemi finché si riteneva che le cellule non fossero qualitativamente più complesse degli occhi. Quando i biochimici hanno iniziato ad analizzarne i meccanismi interni, ciò che hanno trovato li ha sbalorditi. Una cellula è piena di strutture estremamente complesse, centinaia di macchine microscopiche ognuna delle quali ha un compito preciso. La tesi «datemi una cellula e vi darò un occhio» sostenuta dai darwinisti, dice Behe, ha iniziato a suonare sospetta: partire da una cellula è come iniziare con il 90 per cento del cammino già fatto.
La principale argomentazione di Behe è che le cellule non sono complesse solo come grado, ma anche come tipo, e contengono strutture «irriducibilmente complesse». Ciò significa che se si rimuove una qualsiasi parte di questa struttura, la struttura non funziona più. Behe offre un semplice esempio, non biologico, di un oggetto irriducibilmente complesso: la trappola per topi. Una trappola è fatta di molte parti (piattaforma, molla, gancio, martelletto, barra di metallo), che devono essere tutte presenti perché funzioni. Se si elimina la molla, il funzionamento della trappola non peggiora, ma si annulla. Altrettanto avviene, sostiene Behe, con il flagello dei batteri. Il flagello è una piccolissima elica esterna fissata ad alcuni batteri che ruota a una velocità di 20.000 giri al minuto, e permette al batterio di muoversi all'interno del suo mondo acquatico. Comprende circa 30 proteine diverse, tutte disposte secondo un ordine preciso, e se anche una sola fosse rimossa, il flagello smetterebbe di ruotare.
In Darwin 's Black Box, Behe afferma che la complessità irriducibile mostra un «vuoto incolmabile» dal darwinismo. Come fa un processo di perfezionamento incrementale a dar vita a una cosa come un flagello, che necessita di tutte le sue parti per funzionare? Gli scienziati, dice, devono affrontare il fatto che «molti sistemi biochimici non possono essere costruiti da una selezione naturale che si basa sulle mutazioni». Alla fine conclude che le cellule irriducibilmente complesse nascono così come le irriducibilmente complesse trappole per i topi: qualcuno le ha progettate. La tesi di Behe è che il creatore avrebbe costruito la prima cellula, risolvendo il problema dell'irriducibile complessità; dopo di che l'evoluzione potrebbe aver proceduto con mezzi più o meno convenzionali. Secondo il creazionismo di Behe, potreste ancora essere una scimmia che si è evoluta nella savana africana; solo che le vostre cellule ospitano dei micromeccanismi costruiti circa quattro miliardi di anni fa da un'intelligenza senza nome.
Ma l'argomentazione principale di Behe è entrata immediatamente in crisi. Come hanno sottolineato i biologi, ci sono diversi modi con cui l'evoluzione darwiniana può dar luogo a sistemi irriducibilmente complessi. Una possibilità è che strutture elaborate possano evolvere per una funzione e poi essere cooptate per un'altra del tutto differente, e irriducibilmente complessa. Chi dice che le 30 proteine dei flagelli non fossero presenti nel batterio molto prima che i batteri iniziassero ad avere il flagello? Avrebbero potuto assolvere ad altri compiti, e solo successivamente essere usate nella costruzione del flagello. In effetti, oggi ci sono tracce evidenti del fatto che in passato diverse proteine flagellali hanno avuto un ruolo in un tipo di pompa molecolare scoperta nelle membrane delle cellule batteriche.
Behe non dà molto peso a questo tipo di via «indiretta» alla complessità irriducibile, in cui le parti prima hanno una funzione e poi passano a un'altra. E scarta l'alternativa di un percorso darwiniano diretto, in cui il darwinismo costruisce una struttura irriducibilmente complessa mentre seleziona per la stessa funzione biologica. Ma i biologi hanno dimostrato che sono possibili anche vie dirette alla complessità irriducibile. Supponiamo che una parte sia aggiunta a un sistema semplicemente perché ne migliora le prestazioni; in questa fase non è essenziale per il suo funzionamento. Ma, poiché la parte aggiunta sarà presente durante le successive evoluzioni, da vantaggiosa potrebbe diventare essenziale.
Con il ripetersi del processo sempre più parti, un tempo solo utili, diventano necessarie. Il primo a sostenere questa ipotesi è stato, nel 1939, il genetista H.J. Muller, ma è un processo familiare nello sviluppo delle tecnologie. Quando installiamo nell'auto optional come il Global Positioning System (GPS) non lo facciamo perché sono necessari, ma perché sono carini. Nessuno però si sorprenderebbe se tra cinquant'anni i computer dotati di GPS guideranno le nostre macchine. A quel punto, il GPS non sarebbe più un gadget, ma un componente essenziale della tecnologia di un automezzo. È importante notare che questo è un processo profondamente darwiniano: ogni cambiamento può essere piccolo, e ognuno rappresenta un miglioramento.
Queste obiezioni hanno costretto i teorici dell'intelligent design a fare qualche passo indietro. Behe ha confessato di essersi fatto prendere la mano e ha detto che non intendeva affermare che i sistemi irriducibilmente complessi non possano «per definizione» evolversi gradualmente. «Sono d'accordo sul fatto che la mia tesi contro il darwinismo non rappresenta una prova logica», ha dichiarato, ma continua a credere che le vie darwiniane alla complessità irriducibile siano molto improbabili. Adesso Behe e i suoi seguaci sottolineano che, benché in teoria i sistemi irriducibilmente complessi possano evolversi, i biologi non riescono a ricostruire in modo dettagliato e convincente come si sono evoluti.
Stabilire cosa sia una ricostruzione dettagliata e convincente, però, è molto soggettivo: i biologi sanno una gran quantità di cose sull'evoluzione dei sistemi biochimici, irriducibilmente complessi e non. È indicativo, per esempio, che le proteine alla base delle parti che compongono questi sistemi sono spesso simili tra loro. E i biologi hanno capito il perché di questa somiglianza. Ogni gene del genoma di un organismo codifica una particolare proteina. Di tanto in tanto, il segmento di DNA che costituisce un particolare gene viene copiato casualmente, producendo un genoma che include due versioni del gene. Dopo varie generazioni, spesso una versione del genoma mantiene la sua funzione originale mentre l'altra cambierà lentamente, attraverso le mutazioni e la selezione naturale, acquisendo una funzione che, seppur collegata con la precedente, sarà nuova. Questo processo di «duplicazione dei geni» ha dato vita a intere famiglie di proteine con funzioni simili; spesso agiscono nella stessa via biochimica o si trovano nella stessa struttura cellulare. Non c'è dubbio che la duplicazione dei geni abbia un ruolo estremamente importante nell'evoluzione della complessità biologica.
È vero che, di fronte a una particolare struttura complessa come il flagello, in alcuni casi un biologo avrà difficoltà a stabilire quale parte è comparsa prima. Ma ricostruire l'ordine esatto in cui si sono succeduti gli eventi è difficile per qualsiasi processo storico complesso, specialmente quando, come nel caso dell'evoluzione, l'aggiungersi di nuove parti incoraggia il cambiamento di quelle preesistenti. Guardando una strada cittadina, per esempio, probabilmente non sarete in grado di dire quale negozio ha aperto per primo.
Questo perché oggi molte attività dipendono le une dalle altre e i nuovi servizi hanno messo in moto dei cambiamenti nei vecchi (il nuovo ristorante fa lo sconto a chi usa il collegamento Internet del bar accanto). Ma sarebbe precipitoso concludere che tutti i negozi devono aver iniziato l'attività nello stesso giorno o che un urbanista occulto ha attentamente programmato il luogo in cui si sarebbe aperto ogni negozio.”
Le Scienze, n. 446, ottobre 2005, pagg. 39-40
Per dirla altrimenti:
“Come può un’innovazione complessa farsi strada se dipende da molte parti che funzionano insieme? Assumendo che la selezione naturale possa giocare con una sola struttura alla volta, sembra difficile immaginare che sia in grado di costruire innovazioni multifunzionali. A che serve la retina di un occhio senza cristallino e viceversa? Sembra un argomento decisivo contro l’evoluzione incrementale darwiniana, ma non è così. Se così fosse, l’esistenza della Microsoft ci costringerebbe a diventare creazionisti. La Microsoft è composta da migliaia di impiegati che devono tutti lavorare assieme perché l’impresa funzioni: direzione, ragioneria, addetti al personale, al settore commerciale, al settore finanziario,alla programmazione, e così via. La Microsoft è forse crescita incrementando il numero degli impiegati uno alla volta? Sembra logicamente impossibile Se l’impiegato numero uno era un programmatore, l’azienda non avrebbe potuto sopravvivere, perché non ci sarebbe stato nessun ad occuparsi del settore commerciale per vedere il prodotto, nessun addetto al personale per pagarlo e nell’uso nell’ufficio legale che si sarebbe battuto per difendere il prodotto dalla pirateria informatica. Ma se l’impiegato numero uno fosse stato specializzato nel settore commerciale, la Microsoft non avrebbe avuto prodotti da vendere. E così via. Come è possibile che un’azienda che include dozzine di tipi differenti di impiegati possa essere cresciuta in appena vent’anni attraverso l’assunzione incrementale? La risposta è che i primi impiegati erano meno specializzati e ciascuno ricopriva molti ruoli contemporaneamente. Quando la Microsoft consisteva di due adolescenti, Bill Gates e Paul Allen si dividevano tutte le responsabilità tra loro. Non appena vennero assunti nuovi impiegati, le responsabilità furono delegate e divennero più specializzate. Se si accetta la possibilità che le aziende possano crescere grandi e parcellizzate assumendo una persona alla volta, forse non vale la pena di preoccuparsi dell’abilità dell’evoluzione di produrre innovazioni infilando una mutazione dietro l’altra.” (Geoffrey Miller, Uomini, donne e code di pavone. La selezione sessuale e l’evoluzione della natura umana, Torino, 2002, Einaudi, p. 173)
Si veda la batteria di argomentazioni contro la cosiddetta complessità irriducibile sul solito sito:
http://www.talkorigins.org/indexcc/CB/CB200.html" onclick="window.open(this.href);return false;
“Inoltre molte delle proteine del DNA sono prodotte “solo” dal DNA stesso perché il loro codice genetico è trasportato proprio dagli acidi nucleici: se uno ha bisogno dell’altro come poteva esistere uno senza l’altro? “
http://www.talkorigins.org/indexcc/CB/CB015.html" onclick="window.open(this.href);return false;
“La risposta si che è degna dei TdG: non lo sappiamo ma questo non significa che non sia possibile.
E’ la stessa risposta che viene data nel sito che hai consigliato:
obiezione: Butterfly metamorphosis is too complex to have evolved.
Risposta: This is an argument from incredulity. Because one does not understand how butterfly metamorphosis evolved does not mean it is too complex to have evolved.
e quello che segue non dice niente di più, perché spiega come sia possibile la metamorfosi ed è ovvio che sia possibile visto che già avviene. Magari se ci dicesse come avviene, secondo i meccanismi di selezione e caso… “
Guarda che, come ho già spiegato, questo è un sito di sintesi che serve a dare risposte per poi correlarle con bibliografia di approfondimento. In questo caso la risposta del sito è:
“
Growth patterns intermediate to full metamorphosis already exist, ranging from growth with no metamorphosis (such as with silverfish) to partial metamorphosis (as with true bugs and mayflies) complete metamorphosis with relatively little change in form (as with rove beetles), and the metamorphosis seen in butterflies. It is surely possible that similar intermediate stages could have developed over time to produce butterfly metamorphosis from an ancestor without metamorphosis. In fact, an explanation exists for the evolution of metamorphosis based largely on changes in the endocrinology of development (Truman and Riddiford 1999).”
La referenza è, come si vede in nota, a Truman, J. W. and L. M. Riddiford, 1999. The origins of insect metamorphosis. Nature 401: 447-452
Allego a questo post l’articolo in questione, in alternativa, c’è sempre l’inossidabile: Di Stagira Aristotele, Fisica II, Atene, 347 a.C., edizioni del Liceo. L’autore fornisce massive evidenze di un finalismo in natura basate su fatti incontestabili quali il ciclo delle piogge.
“Argomentazioni datate e largamente superate. Scrive Shapiro (che non è antievoluzionista)”
Ebbene, qui non si tratta di argomenti superati o meno, del fatto che la nostra misera mente sia in grado o meno di ammettere che le mutazioni, che sono esistenti e vediamo scorrere accanto a noi anche in esemplari della razza umana con mutazioni genetiche, siano o meno abbastanza frequenti per garantire la variabilità genetica su cui l’evoluzione opera. Ovviamente stare qui a magnificare i meccanismi di autoriparazione del DNA non può confutare l’esistenza degli errori nella ricopiatura nel DNA, ogni ragazzo con una malattia genetica sta lì a ricordarci il contrario. I problemi dunque sono quanto le mutazioni siano frequenti, e quanto frequentemente siano positive (cioè raramente). Qui una recensione critica fatta da Adam S. Wilkins delle tesi di Shapiro:
http://gbe.oxfordjournals.org/content/e ... l.pdf+html" onclick="window.open(this.href);return false;
Ad maiora