ortodossia vs primato della chiesa romana

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Trianello
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ortodossia vs primato della chiesa romana

Messaggio da Trianello »

Di carne al fuoco ce ne è tantissima ed ora non ho tempo da dedicare alla stesura di un trattato sull'argomento. Ci sono delle cose però a cui vorrei dare delle brevi risposte.

Teodoro ha scritto:
- l'ecclesiologia del primato e della giurisdizione è definita dai concili (Nicea 6, CostantinopoliI 3, canoni apostolici 1, senza citare l'odiato Calcedonia 28)
Peccato che il Canone 28 di Calcedonia, quello su cui si basano tutte o quasi le pretese ortodosse, non fu mai ratificato da Roma e, pertanto, manca di quella conciliarità che, secondo la stessa ecclesiologia ortodossa, lo renderebbe un qualcosa di valido. Fu il tentativo di Costantinopoli di appropriarsi di prerogative che mai questa cattedra aveva avuto e che non aveva nessuna ragione di avere.
Per tornare alle tue parole, per la Chiesa ortodossa la questione del primato non ha a che fare con la fede, ma solo con il potere, ma quella papista ne fa una questione di fede. Di fronte a questo non possiamo far finta di niente.
Tu confondi “primato” del papa con “infallibilità” del papa. Si tratta di due cose ben distinte, invece, anche se legate. Lo stabilire, poi, chi e quando possa impartire insegnamenti vincolanti per la fede dei credenti è per necessità logica una questione di fede.

Mario ha scritto:
L'unità tra i cristiani fu spezzata proprio mille anni fa quando il papa voleva imporre l'autorità del vescovo di Roma sulla pentarchia e vi furono le reciproche scomuniche.
Peccato che le cose non stiano affatto così. L'ecclesiologia post-costantiniana non era quella che gli orientali hanno poi costruito inventandosi di sana pianta una struttura ecclesiale che tutto era tranne che quella della Chiesa dei primi secoli ed in cui se c'è una cosa sicura è proprio il prestigio indiscusso della Chiesa di Roma su tutte le altre Chiese locali. Non è un caso che nel 380, quando Teodosio rese la religione cristiana la religione di stato, lo fece sostenendo che la fede vincolante per tutti avrebbe dovuto essere quella insegnata da Roma e da Alessandria.
Io ritengo che la struttura della Chiesa dovrebbe ricalcare quella che viene definita in caratteri chiari nell'immagine idealizzata della suddetta che ci forniscono i primi capitoli degli Atti degli Apostoli ed in cui al vertice della medesima troviamo Pietro. Tutto il resto sono chicchiere.
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polymetis
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Messaggio da polymetis »

Per Teo

“- i vescovi non esistono, esiste solo il papa. Questo dice nella sostanza (non nella forma!) il diritto canonico: ciò che tutti i vescovi del pianeta riuniti insieme non possono fare lo può fare il papa da solo (per tutti e tre i munera, docendi, regendi, sanctificandi)”

L’episcopato è unico, e il papa è al servizio dell’episcopato. Quanto al problema se sia superiore il Concilio ecumenico o il papa, com’è noto è argomento dibattuto da secoli, per il banale fatto che un Concilio non può dirsi ecumenico se un papa non vi partecipa, e la cosa è abbastanza ovvia anche per il mondo antico.


“- l'ecclesiologia del primato e della giurisdizione è definita dai concili (Nicea 6, CostantinopoliI 3, canoni apostolici 1, senza citare l'odiato Calcedonia 28)”

Nicea 6 dice solo: “In Egitto, nella Libia e nella Pentapoli siano mantenute le antiche consuetudini per cui il vescovo di Alessandria abbia autorità su tutte queste province; anche al vescovo di Roma infatti è riconosciuta una simile autorità. Ugualmente ad Antiochia e nelle altre province siano conservati alle chiese gli antichi privilegi. Inoltre sia chiaro che, se qualcuno è fatto vescovo senza il consenso del metropolita, questo grande sinodo stabilisce che costui non debba esser vescovo. Qualora poi due o tre, per questioni loro personali, dissentano dal voto ben meditato e conforme alle norme ecclesiastiche degli altri, prevalga l'opinione della maggioranza.”

Non si specifica quale sia l’autorità del vescovo di Roma, si dice solo che il vescovo d’Alessandria ha potestà sulle province vicine, così come ce l’ha quello di Roma. Se poi Roma abbia anche altro, non è né detto né negato. Comunque, l’ecclesiologia cambia con la geografia, ad esempio in questi canoni non si fa alcuna menzione a Costantinopoli, che a quest’epoca non contava alcunché. Altri Concili la pongono alla ribalta, ma non per questo, solo perché s’è cambiato organizzazione, il cambiamento è per forza negativo. Il fatto cioè che anche l’organizzazione odierna sia diversa da quella del I millennio, così come l’organizzazione Pentarchica fu diversa da quella di Nicea, non dice nulla sul fatto che l’evoluzione per il solo fatto di essere evoluzione sia negativa. Ad esempio oggi Costantinopoli non ha più alcun prestigio in seno alla Chiesa, nel senso che a Costantinopoli oggi ci stanno i turchi e ben pochi cristiani, e non è più la capitale di alcunché. Col criterio di Calcedonia 28 dovrebbe cedere il suo prestigio al vescovo greco ortodosso di Washington....


- l'ecclesiologia ratzingeriana da papa bavarese del XVII secolo non è interessata al primato d'onore, ma al potere di svegliarsi la mattina e poter cambiare la fede al primo colpo di tosse (o di Alzheimer”

Dubito gli interessi cambiare, semmai gli interessa avere il, potere di preservare….

“l'unità nella Chiesa Cattolica esiste solo sulla carta, avendo dentro dagli stregoni esorcisti africani ai lefebriani pentiti, i carismatici "che parlano in lingue" , gli uniati travestiti da ortodossi, i medjugoristi e gli anglicani convertiti(che facciano pure ciò che vogliono, basta che il capo sia il papa).”

Ma nelle categorie che citi non c’è diversità di dottrine.

“La Chiesa Cattolica Ortodossa che esiste da duemila anni senza altra garanzia di unità che la fede dei santi padri e dei concili”

Guarda, considerato che mille anni di Padri li abbiamo in comune, credo che tu stia volutamente obliando tutta la sezione occidentale del cristianesimo.


Prima dello scisma il papa non avete un primato d’onore, ma un primato universale, che non ha nulla a che vedere con un primato giurisdizionale, ma semplicemente, in una realtà fluida che ha avuto degli altri e dei bassi, è stato considerato il primo vescovo dell’ecumene per autorità dottrinale. Non esiste un primato così come inteso “nel primo millennio”, perché nel primo millennio questo primato ha avuto esercizi diversi e forme diverse a seconda di quanto fosse necessaria tenere unita la Chiesa o correggere questa o quella eresia. Così si esprime la Congregazione per la dottrina della fede: “Anche per questo, l'immutabile natura del Primato del Successore di Pietro si è espressa storicamente attraverso modalità di esercizio adeguate alle circostanze di una Chiesa pellegrinante in questo mondo mutevole.I contenuti concreti del suo esercizio caratterizzano il ministero petrino nella misura in cui esprimono fedelmente l'applicazione alle circostanze di luogo e di tempo delle esigenze della finalità ultima che gli è propria (l'unità della Chiesa). La maggiore o minore estensione di tali contenuti concreti dipenderà in ogni epoca storica dalla necessitas Ecclesiae. Lo Spirito Santo aiuta la Chiesa a conoscere questa necessitas ed il Romano Pontefice, ascoltando la voce dello Spirito nelle Chiese, cerca la risposta e la offre quando e come lo ritiene opportuno.
Di conseguenza, non è cercando il minimo di attribuzioni esercitate nella storia che si può determinare il nucleo della dottrina di fede sulle competenze del Primato. Perciò, il fatto che un determinato compito sia stato svolto dal Primato in una certa epoca non significa da solo che tale compito debba necessariamente essere sempre riservato al Romano Pontefice; e, viceversa, il solo fatto che una determinata funzione non sia stata esercitata in precedenza dal Papa non autorizza a concludere che tale funzione non possa in alcun modo esercitarsi in futuro come competenza del Primato”

“Siamo d'accordo che parlarne in questo forum non servirà di certo a risanare tale frattura, ma secondo me è una cosa che fa riflettere, la lotta non è sterile perchè l'unica via d'uscita affinchè le due grandi chiese si riconcilino è proprio l'abbandono da parte del papato di questa assurda supremazia.”

Stai presentando la disputa tra ortodossi e cattolici come se i cattolici dovessero abbandonar e il surplus per tornare alla fede ortodossa. Hai mai pensato che il problema non sia che i cattolici abbiano aggiunto qualcosa, bensì che gli ortodossi abbiano tolto? E che dunque il problema non è la volontà di dominio del papato, ma la volontà di disobbedienza ed anarchismo dell’ortodossia?
Naturalmente si può dire che la dottrina del primato nei secoli s’è modificata, ma il fatto che in Occidente sia cresciuta, nel senso che ha assunto forme di esercizio diverse, non implica che in Oriente non sia invece diminuita rispetto a quello che era nel I millennio. Sono i Concili Ecumenici stessi a stabilire la supremazia di Roma, Nicea in primis. Semmai l’insofferenza di Costantinopoli verso Roma, tutta bizantina, dipende dal fatto che i cosiddetti “romaioi” di Bisanzio si credevano la Nuova Roma, con l’impero che è il Nuovo Israele e Santa Sofia il nuovo tempio di Salomone. Essendo privi di pedigree apostolica, poiché Costantinopoli non è una comunità fondata da un apostolo, i bizantini cercarono di contrabbandare l’idea che Roma avesse una preminenza in quanto era la capitale dell’impero romano, e che dunque Costantinopoli, in quanto capitale dell’impero d’Oriente, dovesse ereditare i privilegi di Roma. Ovviamente l’idea era folle, perché mai i cristiani si sarebbero sognati di dare dei privilegi alla sede romana perché capitale dell’impero pagano che li perseguitava, se Roma aveva una preminenza era per la morte di Pietro e Paolo e la loro predicazione.

“Immaginiamoci se mille anni fa il patriarca di costantinopoli si fosse autoreferenziato come il patriarca supremo della chiesa cattolica, oggi staremmo quì a discutere sulla fondatezza di una cosa del genere”

Non poteva farlo, proprio perché Costantinopoli è venuta fuori dal nulla, e anzi, se non fosse stata la capitale dell’impero, avrebbe dovuto essere sotto Gerusalemme Antiochia ed Alessandria, non potendo vantare alcun pedigree apostolico.

“ontinuo a credere che la chiesa debba avere come capo Gesù Cristo e che ci debba essere parità assoluta tra i principali vescovi della terra e che ogni decisione dottrinale continui ad essere sancita dai concili veramente universali, esattamente come è stato per un millennio.”

Come è stato nel primo millennio nella propaganda ortodossa…Basti pensare ad esempio che nel caso del cosiddetto brigantaggio di Efeso, la scusa che usò il partito che oggi considereremmo ortodosso per invalidare quelle decisioni fu che esse erano state prese contro la cattedra di Roma ed in assenza dei romani….


Per Luciano

“o controllato le occorrenze di Pietro e Paolo.
Se vogliamo sapere chi fu il primo papa dal numero di volte in cui è stato citato nel NT, scopriremo che il primo papa fu Paolo
Paolo batte Pietro 189 a 183
criterio di ricerca:
conteggio dei versetti contenenti o Pietro o Simone o(Pietro e Simone) riferiti alla persona di Pietro apostolo:”

1)CI interessava stabilire un primato nel collegio apostolico. Paolo non era in gara. Il fatto che abbia un mucchio di ricorrenze dipende dal fatto che sono a lui “attribuite” ben 14 lettere contro le sole due di Pietro, ma se stiamo alla vita di Cristo, per vedere chi fosse in primo piano durante la predicazione di Gesù, Pietro surclassa qualsiasi altro apostolo, infatti dicevo di fare un confronto con Giacomo.
2)Il tuo calcolo è errato. Se hai fatto come hai scritto, hai cercato solo Pietro o Simone e non Cefa….

Per Vincy

“Rispondo.
Il fatto che una comunità accademica prenda per pazzo qualcuno non è una novità. Come pure una chiesa.”

No guarda, le sue teorie sono state demolite e s’è visto che stava sognando vedendo cose che neppure erano scritte, e si sa da anni. Puoi leggere qualche recensione accademica dei suoi libri:
http://www.christianismus.it/modules.ph ... d=9&page=5" target="_blank
http://www.christianismus.it/modules.ph ... le&sid=121" target="_blank

“o. Non capisco cosa c'entri affermare che se non si riconosce il primato di Pietro allora cade il canone delle scritture.
Perché? Una chiesa può divenire corrotta allontanarsi dal cristianesimo fondersi con altre religioni e teorie estranee al cristianesimo eppure mantenere l'autorità di rappresentare la Chiesa originale e imporre col suo potere (o meglio i suoi vari poteri) questa autorità serbando per essa la facoltà di emettere sentenze definitive su varie questioni.”

Perché se non sono infallibili, e tu li dici corrotti con varie dottrine, allora non c’è alcun motivo di pensare che il canone non sia una dottrina corrotta tra le tante altre. Se non sono sempre infallibili, nulla garantisce che lo fossero quando è stato fissato il canone nel IV secolo. In tale data facevano già parte della Chiesa un mucchio di dottrine che il protestantesimo rigetta in toto. Viene dunque da chiedersi come sia possibile che questo branco di apostati abbia avuto la possibilità di fissare un canone corretto. Ma in realtà il problema non è se la Chiesa abbia sancito un canone divinamente ispirato, ma come dovremmo fare noi a sapere che, tra le mille apostasie di costoro, quella decisione tra le altre chiamata canone sarebbe corretta.

“Se in una comunità i capi originali diventano corrotti o vengono sostituiti da altri capi che prendono il potere e lo mantengono per secoli, è chiaro che l'autorità decisionale è mantenuta e nella comunità essi rappresentano l'autorità definiva, e chiaramente questi nuovi capi sono in possesso di tutte le documentazioni precedenti e ne detengono la proprietà.
Questo non vuol dire che io debba per forza riconoscere che quei capi siano legittimi”

Il problema di questo ragionamento è che se hanno potuto diventare illegittimi, è perché ovviamente non sono infallibili, ma se non sono infallibili, che garanzia c’è che lo fossero nel IV secolo quando s’è fissato il canone? Inoltre, tu da quando faresti iniziare questa apostasia ed illegittimità?

Ad maiora
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Alla base delle scelte fondamentali del Nolano - a Londra come a Roma -, c'era il convincimento di appartenere alla "casa" dei filosofi, e che ad essa bisogna essere sempre fedeli, anche nei rapporti con i potenti della Chiesa e dello Stato, perché la casa della filosofia è la casa della verità: in un modo intelligente e anche astuto, certo, ma sempre fedeli. (Michele Ciliberto)
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teodoro studita
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Messaggio da teodoro studita »

Trianello ha scritto:Di carne al fuoco ce ne è tantissima ed ora non ho tempo da dedicare alla stesura di un trattato sull'argomento. Ci sono delle cose però a cui vorrei dare delle brevi risposte.
Menomale, tra tre mesi avrò anche un baccalaureato in teologia papista alla disgustosa Gregoriana, e di trattati di ecclesiologia ne ho piene le tasche (notare l'eufemismo)
Peccato che il Canone 28 di Calcedonia, quello su cui si basano tutte o quasi le pretese ortodosse, non fu mai ratificato da Roma e, pertanto, manca di quella conciliarità che, secondo la stessa ecclesiologia ortodossa, lo renderebbe un qualcosa di valido. Fu il tentativo di Costantinopoli di appropriarsi di prerogative che mai questa cattedra aveva avuto e che non aveva nessuna ragione di avere.
Bene, allora chiediti perché in giro non ci sono storici senza scritto davanti S.J. che ritengono che l'ecclesiologia del primato-infallibilità-giurisdizione intergalattica-superiorità ai concili sia quella del primo millennio. Puoi tranquillamente depennare il canone 28, c'è sempre tutto il resto, non solo il poco che ho citato, ma soprattutto tutta la vita della chiesa specialmente nei primi 5 secoli, ampiamente testimoniata da un'infinità di sinodi locali, in cui di che cosa fa il patriarca di Roma non si interessa nessuno. Basta aprire il Mansi (possibilmente stando attenti ad evitare le numerosissime falsificazioni pseudo-isidoriane) per rendersene conto.
Tu confondi “primato” del papa con “infallibilità” del papa. Si tratta di due cose ben distinte, invece, anche se legate. Lo stabilire, poi, chi e quando possa impartire insegnamenti vincolanti per la fede dei credenti è per necessità logica una questione di fede.
Io non confondo proprio nulla, il primato e l'infallibilità sono puntualmente insieme nelle "verità del primo grado" in qualsiasi immondo manuale di teologia fondamentale. Che siano distinte non me ne frega niente perché questa roba nella tradizione semplicemente non esiste, e metterle nel novero del deposito della fede insieme alla Trinità e ai dogmi cristologici è quanto di più blasfemo io riesca a pensare.
Peccato che le cose non stiano affatto così. L'ecclesiologia post-costantiniana non era quella che gli orientali hanno poi costruito inventandosi di sana pianta una struttura ecclesiale che tutto era tranne che quella della Chiesa dei primi secoli
Questa affermazione è vera solo se non capisci la differenza tra forma e sostanza. Nel 50 d.C. con 20 cristiani a Corinto, 50 a Filippi, 25 a Roma, etc non hai bisogno neanche dei vescovi. Quando la Chiesa è su scala planetaria servono vescovi ausiliari, diaconi, metropoliti, in una parola una struttura che tenga insieme tutta la baracca. Grazie tante che la struttura della chiesa è diversa, ma vedrai che la differenza è solo formale, perché come nessuna delle chiese del NT si sogna di dire "sentiamo un attimo cosa dice l'infallibile vescovo di Roma" così anche nella chiesa pentarchica. La cattolicità è espressa dal fatto che in ogni chiesa particolare vi è la chiesa di Cristo e ogni chiesa è unita dal vincolo di comunione (orizzontale) e dalla successione episcopale (verticale). L'unico "papa" che esiste in questa Chiesa è il vescovo di Alessandria, nessuno è infallibile, nessuno è superiore ai concili, perché questi esprimono il consenso di tutta la Chiesa. Gli stessi concetti ecclesiologici del 50 d.C. ci sono, mutatis mutandis, nel 2010 nella Chiesa Ortodossa. Non siamo certo noi ad aver cambiato le carte in tavola.
ed in cui se c'è una cosa sicura è proprio il prestigio indiscusso della Chiesa di Roma su tutte le altre Chiese locali.
Un prestigio tale che la vicina chiesa di Cartagine protesta continuamente per l'invadenza di Roma, reclamando la sua autonomia. Almeno fino a quando non viene annientata dai Vandali. Finiamola, nessuno mette in discussione che Roma sia una sede importante, ma tra questo e il vostro imperatore-dio vestito da babbo natale c'è un abisso.
Non è un caso che nel 380, quando Teodosio rese la religione cristiana la religione di stato, lo fece sostenendo che la fede vincolante per tutti avrebbe dovuto essere quella insegnata da Roma e da Alessandria.
Certo che non è un caso, il pensiero personale di Teodosio (che era in Italia sotto lo scacco costante di Ambrogio) non ha nulla a che fare con quello della Chiesa.
Io ritengo che la struttura della Chiesa dovrebbe ricalcare quella che viene definita in caratteri chiari nell'immagine idealizzata della suddetta che ci forniscono i primi capitoli degli Atti degli Apostoli ed in cui al vertice della medesima troviamo Pietro. Tutto il resto sono chicchiere.
Sono d'accordo. Facciamo governare la Chiesa a Pietro, di certo farà meno danni un sant'uomo morto duemila anni fa che un pazzo che pensa di essere infallibile e superiore alla somma di tutti i vescovi del pianeta. E poi ve la prendete col Corpo Direttivo... mah.
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predestinato74

Messaggio da predestinato74 »

teodoro studita ha scritto: il vostro imperatore-dio vestito da babbo natale c'è un abisso.


Facciamo governare la Chiesa a Pietro, di certo farà meno danni un sant'uomo morto duemila anni fa che un pazzo che pensa di essere infallibile e superiore alla somma di tutti i vescovi del pianeta. E poi ve la prendete col Corpo Direttivo... mah.
mamma sembra di sentir parlare un tdg, questa amarezza ed irrispetto verso una figura amata dai cattolici praticanti, non ti fa molto onore.
ma capisco che le discussioni tirino fuori il peggio di ciascuno :piange:
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teodoro studita
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Messaggio da teodoro studita »

Pensa un po' che io sono considerato un progressista dal Patriarcato (e non è un complimento)... giusto per darti un'idea di come si può pensare di fare ecumenismo con le basi ecclesiologiche ratzingeriane. A me quella roba dà ai nervi, figurati un po' ai Vecchi Credenti o alla Santa Montagna, non c'è proprio discussione. Tutta questa gente si farà scannare senza problemi piuttosto che concedere un millimetro alle pretese assolutistiche del papato medioevale risuscitato da Benedetto XVI, altri che anglicani. Il punto è che noi stiamo benissimo così, quando si recita il Simbolo, si vede la gente che quando sente "credo nella Chiesa, una santa, cattolica e apostolica" si fa il segno di croce, perché questa gente crede veramente nella Chiesa, tutti gli ortodossi sono in una comunione di fede talmente profonda che difficilmente si può immaginare dall'esterno, senza avvertire il bisogno del super vescovo intergalattico che crede di essere l'infallibile capo della Chiesa, usurpando il posto a Gesù Cristo. Tenetevi pure Medjugorie, i neocatecumenali, i carismatici, i lefebriani facendo finta che tutta questa gente sia in comunione di fede, noi stiamo benissimo così.
Ciao ciao,
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Trianello
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Messaggio da Trianello »

Caro Teodoro, mi scuso ancora se non posso rispondere al tuo post con la dovizia di particolari che meriterebbe, ma in questi giorni sono troppo preso da altre faccende per poter seguire il Forum così come vorrei e dovrei fare... comunque, accontentiamoci.

Scrivi:
Menomale, tra tre mesi avrò anche un baccalaureato in teologia papista alla disgustosa Gregoriana, e di trattati di ecclesiologia ne ho piene le tasche (notare l'eufemismo)
Uhm... non mi è chiaro se l'eufemismo sia “papista” o “disgustosa Gregoriana”. Chiedo lumi a tal proposito.
Altra cosa, certo con la stima profonda che provi per i gesuiti il fatto che hai deciso di studiare alla Gregoriana può essere sintomo di due cose: o c'è in te una vena nascosta di masochismo che cerchi di sublimare in questo modo, oppure hai deciso di “formarti” in un ateneo dove “per statuto” praticamente tutti gli autori dei testi che avresti studiato avrebbero avuto una S.J. vicino al nome proprio al fine di cavartela con un comodo argumentum ad hominem quando si trattava di scartare delle nozioni che avrebbero potuto mettere in crisi le tue consolidate certezze.
Bene, allora chiediti perché in giro non ci sono storici senza scritto davanti S.J. che ritengono che l'ecclesiologia del primato-infallibilità-giurisdizione intergalattica-superiorità ai concili sia quella del primo millennio.
Veramente lo credono tutti coloro che analizzino i dati in modo obbiettivo, ovviamente nella misura in cui una dottrina la cui definizione e recezione è stata in fieri per quasi due millenni può consentirlo.
Puoi tranquillamente depennare il canone 28,
No, non lo scarto, perché proprio questo tentativo di furto da parte dei “santissimi” padri orientali ci testimonia quanto il “primato” (nota le virgolette) della cattedra di Roma fosse un fatto assodato a cui bisognava porre rimedio accostando al successore di Pietro il “cappellano” dell'imperatore.
Io non confondo proprio nulla, il primato e l'infallibilità sono puntualmente insieme nelle "verità del primo grado" in qualsiasi immondo manuale di teologia fondamentale. Che siano distinte non me ne frega niente perché questa roba nella tradizione semplicemente non esiste, e metterle nel novero del deposito della fede insieme alla Trinità e ai dogmi cristologici è quanto di più blasfemo io riesca a pensare.
Caro amico, la distinzione è invece essenziale. Il primato, infatti, concerne una questione giurisdizionale e quindi ha una valenza pastorale, mentre l'infallibilità concerne la dottrina e ha quindi una valenza d'ordine dogmatico (questo a prescindere dal fatto che si tratta di due dottrine definite e che quindi godono della medesima nota teologica). La storia della recezione ecclesiale di queste due prerogative del vescovo di Roma non è sempre andata di pari passo, ergo bisogna distinguere necessariamente le cose. In fondo, se ci pensi bene, il primato del vescovo di Roma così come è concepito dall'ecclesiologia cattolica non è molto dissimile (attenzione, non sto dicendo che sia la stessa cosa, sto dicendo che non è poi così dissimile) dal “primato” (prego di notare di nuovo le virgolette) che il patriarca di Mosca esercita su tutte le Russie ed aspirerebbe ad esercitare su tutto il mondo ortodosso. Le cose, invece, sono molto diverse per ciò che concerne l'infallibilità (tanto è vero che la recezione della stessa ha avuto una storia assai più tortuosa che non quella del primato).
Questa affermazione è vera solo se non capisci la differenza tra forma e sostanza. Nel 50 d.C. con 20 cristiani a Corinto, 50 a Filippi, 25 a Roma, etc non hai bisogno neanche dei vescovi. Quando la Chiesa è su scala planetaria servono vescovi ausiliari, diaconi, metropoliti, in una parola una struttura che tenga insieme tutta la baracca.
Il problema, infatti, sta tutto nel modo in cui (cambiando le proporzioni numeriche e geografiche della Chiesa) le ecclesiologie d'Occidente e d'Oriente si sono attenute al modello ideale che, in piccolo, emerge chiaramente dal NT, sia nelle dichiarazioni pre-pasquali di Gesù riportate nei Vangeli (che a prescindere dall'ambiente storico-geografico in cui sono state redatte nel modo in cui sono giunte fino a noi, sono da considerarsi come Parola di Dio e, pertanto, aventi valore “dogmatico”), che nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli: immagine in cui spicca chiaramente la figura di quel Pietro a cui Gesù, per fare della sua Chiesa un solo gregge sotto un solo pastore, aveva affidato il compito di pascere le sue pecore.

Un prestigio tale che la vicina chiesa di Cartagine protesta continuamente per l'invadenza di Roma, reclamando la sua autonomia. Almeno fino a quando non viene annientata dai Vandali. Finiamola, nessuno mette in discussione che Roma sia una sede importante, ma tra questo e il vostro imperatore-dio vestito da babbo natale c'è un abisso.
Il prestigio di Roma su tutte le altre Chiese è un dato innegabile. Il fatto che molte Chiese abbiano faticato parecchio ad accettare la “supremazia” di Roma, specie in Oriente (dove, in effetti, si ebbe per tutto il I millennio un andamento altalenante su questo punto), non è che rende l'ecclesiologia “romana” meno coerente con quella fondata da Cristo, così come il fatto che molti vescovi e chiese faticarono non poco ad accettare la dottrina trinitaria così come stabilita da Niece-Costantinopoli non è che rende la medesima meno vera da un punto di vista dottrinale.
Certo che non è un caso, il pensiero personale di Teodosio (che era in Italia sotto lo scacco costante di Ambrogio) non ha nulla a che fare con quello della Chiesa.
Sì, è sempre la solita storia. Tutte le attestazioni del superiore prestigio di Roma sulle altre cattedre ecclesiali sono frutto di contingenza e non ci dicono nulla sul ruolo e sul prestigio senza eguali che questa specifica chiesa ricopriva nei primi secoli del Cristianesimo. A me questo metodo di interpretare il dati storici ricorda tanto quello con cui i TdG operano le proprie scelte traduttive in ambito biblico e che tu sei stato così bravo a stigmatizzare nel tuo volume dedicato all'argomento.
Vabbè, ma magari questo dipende dal fatto che sui miei manuali di ecclesiologia gli autori hanno OP che segue il nome invece di SJ.
Sono d'accordo. Facciamo governare la Chiesa a Pietro, di certo farà meno danni un sant'uomo morto duemila anni fa che un pazzo che pensa di essere infallibile e superiore alla somma di tutti i vescovi del pianeta. E poi ve la prendete col Corpo Direttivo... mah.
Quanto dici, oltre a testimoniare un livore ed un'acredine che non ti fa molto onore (visto che, per inciso, sei qui con la pretesa di darci lezioni di cristianesimo) e dimostra che, nonostante i manuali che hai macinato alla Gregoriana non hai ancora le idee chiarissime sul ruolo ed i limiti che la dottrina del primato prevede e che, appunto, concede al papa tutt'altro che un potere assoluto, ma appunto un ruolo di tipo arbitrale (il che è in perfetta continuità con quanto accadeva fin dai primi secoli in cui nei momenti di difficoltà ci si appellava al vescovo di Roma perché questo si pronunciasse sull'ortodossia o meno di dottrine discusse). Da che il concetto di infallibilità è stato definito i pontefici se ne sono avvalsi solo due volte ed in entrambe queste occasioni hanno definito delle dottrine pacificamente accettate dalle Chiese in comunione con la cattedra di Pietro, ratificando semplicemente quelle che il sensus fidelium già de facto considerava come delle dottrine di fede divina rivelata, senza che ci fosse bisogno di convocare un Concilio per discuterle.
Tenetevi pure Medjugorie, i neocatecumenali, i carismatici, i lefebriani facendo finta che tutta questa gente sia in comunione di fede, noi stiamo benissimo così.
Me li tengo volentieri, così come mi tengo Francesco d'Assisi e Madre Teresa di Calcutta... basta che voi vi teniate “san” Nicola II Zar di tutte le Russie.
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Messaggio da teodoro studita »

Uhm... non mi è chiaro se l'eufemismo sia “papista” o “disgustosa Gregoriana”. Chiedo lumi a tal proposito.
Altra cosa, certo con la stima profonda che provi per i gesuiti il fatto che hai deciso di studiare alla Gregoriana può essere sintomo di due cose: o c'è in te una vena nascosta di masochismo che cerchi di sublimare in questo modo, oppure hai deciso di “formarti” in un ateneo dove “per statuto” praticamente tutti gli autori dei testi che avresti studiato avrebbero avuto una S.J. vicino al nome proprio al fine di cavartela con un comodo argumentum ad hominem quando si trattava di scartare delle nozioni che avrebbero potuto mettere in crisi le tue consolidate certezze.
Non ho certezze consolidate, e non sono masochista. Devo avere l'equiparazione al baccalaureato e alla licenza per poter andare avanti nel dottorato, quindi lo faccio perché devo farlo, stop. Per fortuna invece di 6 anni ne farò solo 2 (ora 1 e 1/2) in virtù del curriculum precedente.
Caro amico, la distinzione è invece essenziale. Il primato, infatti, concerne una questione giurisdizionale e quindi ha una valenza pastorale, mentre l'infallibilità concerne la dottrina e ha quindi una valenza d'ordine dogmatico (questo a prescindere dal fatto che si tratta di due dottrine definite e che quindi godono della medesima nota teologica).
"Appunto, "valenza" non vuol dire un accidente in teologia. Dal punto di vista del tipo di "verità" e del vincolo che impongono sono esattamente sullo stesso piano, che è quello della fede in un dato divinamente rivelato. Che abbia una valenza pastorale o no non c'entra nulla, né interessa nulla all'economia di questo discorso. Ciò che io trovo assurdo è che questa roba venga fatta rientrare sul piano della fede, e che il dissenso causi la forma più alta di condanna, cioè l'anatema. La stessa che uno si becca se dice che Cristo non è Dio, questo per me è del tutto inaccettabile.
La storia della recezione ecclesiale di queste due prerogative del vescovo di Roma non è sempre andata di pari passo, ergo bisogna distinguere necessariamente le cose.
Non ai fini del nostro discorso, perché noi oggi siamo nel 2010 e ci basiamo sulla teologia e sul diritto canonico del 2010. Se una cosa è diventata irreformabile non ce ne importa nulla se mille anni fa non lo era.
In fondo, se ci pensi bene, il primato del vescovo di Roma così come è concepito dall'ecclesiologia cattolica non è molto dissimile (attenzione, non sto dicendo che sia la stessa cosa, sto dicendo che non è poi così dissimile) dal “primato” (prego di notare di nuovo le virgolette) che il patriarca di Mosca esercita su tutte le Russie ed aspirerebbe ad esercitare su tutto il mondo ortodosso.
Delle tue illazioni su cosa vorrebbe fare il patriarca non so che farmene. Di certo non pretende niente di diverso da ciò che pretendono tutti gli altri patriarchi, cioè la presidenza del santo sinodo della sua chiesa. Nessuno pretende giurisdizione intergalattica, infallibilità e superiorità ai concili.
Le cose, invece, sono molto diverse per ciò che concerne l'infallibilità (tanto è vero che la recezione della stessa ha avuto una storia assai più tortuosa che non quella del primato).
Perché tortuosa? Pio IX ha indetto un concilio fantoccio a cui ha graziosamente letto le sue decisioni e sebbene la maggioranza fosse ampiamente recalcitrante nessuno ha voluto rischiare le proprie chiappe. Hai mai letto Döllinger?
Il problema, infatti, sta tutto nel modo in cui (cambiando le proporzioni numeriche e geografiche della Chiesa) le ecclesiologie d'Occidente e d'Oriente si sono attenute al modello ideale che, in piccolo, emerge chiaramente dal NT, sia nelle dichiarazioni pre-pasquali di Gesù riportate nei Vangeli (che a prescindere dall'ambiente storico-geografico in cui sono state redatte nel modo in cui sono giunte fino a noi, sono da considerarsi come Parola di Dio e, pertanto, aventi valore “dogmatico”), che nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli: immagine in cui spicca chiaramente la figura di quel Pietro a cui Gesù, per fare della sua Chiesa un solo gregge sotto un solo pastore, aveva affidato il compito di pascere le sue pecore.
Talmente chiaramente che in 4 patriarcati su 5 (Antiochia compresa, che avrebbe avuto più diritto di tutti a intenderla così) a nessuno è mai balzata in mente l'idea del primato come esercitato nel II millennio. E poi, anche se provassimo che Pietro esercitava tale primato sugli apostoli (cosa che non ho mai sentito dire a nessuno studioso del pianeta che non ricevesse uno stipendio dal Vaticano), cosa a che fare questo col papa di Roma? Perché dovrebbe essere trasmissibile? E perché mai al vescovo di Roma e non a quello di Antiochia?
Il prestigio di Roma su tutte le altre Chiese è un dato innegabile. Il fatto che molte Chiese abbiano faticato parecchio ad accettare la “supremazia” di Roma, specie in Oriente (dove, in effetti, si ebbe per tutto il I millennio un andamento altalenante su questo punto), non è che rende l'ecclesiologia “romana” meno coerente con quella fondata da Cristo
L'ecclesiologia fondata da Cristo era una perla che ancora mi mancava. Penso che siano almeno 100 anni che nessuno si esprime in questi termini. Per me è già tanto che abbia fondato una Chiesa, oggi moltissimi autori contestano anche questo, e con ottimi motivi.
, così come il fatto che molti vescovi e chiese faticarono non poco ad accettare la dottrina trinitaria così come stabilita da Niece-Costantinopoli non è che rende la medesima meno vera da un punto di vista dottrinale.
Con la non piccola differenza che la dottrina trinitaria l'ha stabilita tutta la Chiesa, l'ecclesiologia da Ildebrando in poi l'ha stabilita il papato referenziato da se stesso, e ti meravigli che gli altri non l'abbiano mai accettata?
Sì, è sempre la solita storia. Tutte le attestazioni del superiore prestigio di Roma sulle altre cattedre ecclesiali sono frutto di contingenza e non ci dicono nulla sul ruolo e sul prestigio senza eguali che questa specifica chiesa ricopriva nei primi secoli del Cristianesimo.
Un prestigio enorme... la somma dei vescovi romani che partecipa ai sette concili ecumenici è inferiore a quella dei vescovi orientali che partecipano al concilio meno affollato. È già tanto che gli si faccia la cortesia di notificare ciò che si decide (nella speranza che i barbari latini capiscano, speranza spesso mal riposta, si veda ad es. il famoso caso di Francoforte che sconfessa i canoni di Nicea II) Certamente il patriarca di Roma partecipa di diritto (più o meno direttamente) e la sua sede è importante (almeno a livello teorico), ma tra questo e il primato del II millennio c'è un abisso incolmabile. È chiaro che con la storia scritta dai vincitori non si va molto più in là del proprio naso ma se si guardano un po' le fonti (evitando la forgery isidoriana, possibilmente) lo scenario è molto chiaro.
A me questo metodo di interpretare il dati storici ricorda tanto quello con cui i TdG operano le proprie scelte traduttive in ambito biblico
Questo probabilmente perché non sei uno storico?
Quanto dici, oltre a testimoniare un livore ed un'acredine che non ti fa molto onore (visto che, per inciso, sei qui con la pretesa di darci lezioni di cristianesimo)
Lezioni di cosa ?!? Io rispondo con il giusto sdegno dell'intera cristianità orientale alle assurde pretese di un uomo che si ritiene infallibile di riscrivere i libri di storia a suo uso e consumo. Non sono in grado di dare "lezioni di cristianesimo", ma forse lezioni di storia si, mi limito a questo e a fare notare che la posizione cattolica è piuttosto isolata.
e dimostra che, nonostante i manuali che hai macinato alla Gregoriana non hai ancora le idee chiarissime sul ruolo ed i limiti che la dottrina del primato prevede e che, appunto, concede al papa tutt'altro che un potere assoluto
È proprio la mole di manuali (ma soprattutto di documenti magisteriali) macinati che so benissimo che il potere del papa è completamente assoluto. Anche l'assurdità di dire che se per assurdo il papa insegnasse una cosa palesemente contraria alla Chiesa intera allora ipso facto non sarebbe più il papa cade a pezzi alla semplice applicazione delle norme del diritto canonico. Questo infatti prevede che il papa non può essere giudicato da nessuno, norma inventata di sana pianta da un episodio altrettanto di fantasia ambientato al Concilio di Nicea e inserito nelle decretali pseudo-isidoriane, poi in Graziano, Bonifacio VIII, Costanza, Vaticano I e così via fino ad oggi, quando chiunque sa benissimo che è una forgery. Quindi anche in questo caso nessuno potrebbe notificare al papa che in realtà non è più il papa. Più ab-solutum (proprio in senso etimologico) di così non vedo proprio cosa possiamo immaginarci. Ma hai studiato il diritto canonico?
, ma appunto un ruolo di tipo arbitrale (il che è in perfetta continuità con quanto accadeva fin dai primi secoli in cui nei momenti di difficoltà ci si appellava al vescovo di Roma perché questo si pronunciasse sull'ortodossia o meno di dottrine discusse).
Sconsiglio di appellarsi a papa Onorio nel caso del monotelismo, visto che un concilio ecumenico (riconosciuto come tale anche da Roma) lo condanna per eresia.
Me li tengo volentieri, così come mi tengo Francesco d'Assisi e Madre Teresa di Calcutta... basta che voi vi teniate “san” Nicola II Zar di tutte le Russie.
Anche identificando Nicola II con i suoi cattivi consiglieri (ma hai studiato storia sui libri sovietici?) dieci Nicola non fanno uno Stepinac.
In ogni modo non hai minimamente afferrato il senso della frase. Io non criticavo nessun santo, ma facevo notare che l'unità della Chiesa Cattolica esiste solo sulla carta. Prova a mettere un Medjugorista vicino a un Lefebriano e vedrai.
Ciao,
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Chi non conosce la storia non conosce nulla (R.Taft)
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Mario70
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come ha detto Achille

Messaggio da Mario70 »

Si continua qui...
Non mi farò scappare questa occasione!
Chiedo però di smorzare i toni un pò troppo caldi...
Ciao
"La cosa più triste è che molto spesso chi viene ingannato, o illuso, tende a rimanere strettamente ancorato a quello in cui crede nonostante le evidenze indichino chiaramente che la realtà è diversa. Forse è talmente affezionato alle sue credenze che preferisce chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie di fronte a qualunque cosa possa farle vacillare."
(Torre di Guardia 1/9/2010 p 10)
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Messaggio da polymetis »

Ma non è giusto, vado a Parigi fino a domenica e non posso partecipare come vorrei... :risata:
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Alla base delle scelte fondamentali del Nolano - a Londra come a Roma -, c'era il convincimento di appartenere alla "casa" dei filosofi, e che ad essa bisogna essere sempre fedeli, anche nei rapporti con i potenti della Chiesa e dello Stato, perché la casa della filosofia è la casa della verità: in un modo intelligente e anche astuto, certo, ma sempre fedeli. (Michele Ciliberto)
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Messaggio da Mario70 »

polymetis ha scritto:Ma non è giusto, vado a Parigi fino a domenica e non posso partecipare come vorrei... :risata:
Ti aspetteremo fino a lunedì allora...
Tu goditi Parigi, penso che troverai la neve, deve esere belissima!
ciao
"La cosa più triste è che molto spesso chi viene ingannato, o illuso, tende a rimanere strettamente ancorato a quello in cui crede nonostante le evidenze indichino chiaramente che la realtà è diversa. Forse è talmente affezionato alle sue credenze che preferisce chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie di fronte a qualunque cosa possa farle vacillare."
(Torre di Guardia 1/9/2010 p 10)
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Messaggio da Vincy »

polymetis ha scritto: Per Vincy

“Rispondo.
Il fatto che una comunità accademica prenda per pazzo qualcuno non è una novità. Come pure una chiesa.”

No guarda, le sue teorie sono state demolite e s’è visto che stava sognando vedendo cose che neppure erano scritte, e si sa da anni. Puoi leggere qualche recensione accademica dei suoi libri:
http://www.christianismus.it/modules.ph ... d=9&page=5" target="_blank" target="_blank" target="_blank" target="_blank" target="_blank
http://www.christianismus.it/modules.ph ... le&sid=121" target="_blank" target="_blank" target="_blank" target="_blank" target="_blank

“o. Non capisco cosa c'entri affermare che se non si riconosce il primato di Pietro allora cade il canone delle scritture.
Perché? Una chiesa può divenire corrotta allontanarsi dal cristianesimo fondersi con altre religioni e teorie estranee al cristianesimo eppure mantenere l'autorità di rappresentare la Chiesa originale e imporre col suo potere (o meglio i suoi vari poteri) questa autorità serbando per essa la facoltà di emettere sentenze definitive su varie questioni.”

Perché se non sono infallibili, e tu li dici corrotti con varie dottrine, allora non c’è alcun motivo di pensare che il canone non sia una dottrina corrotta tra le tante altre. Se non sono sempre infallibili, nulla garantisce che lo fossero quando è stato fissato il canone nel IV secolo. In tale data facevano già parte della Chiesa un mucchio di dottrine che il protestantesimo rigetta in toto. Viene dunque da chiedersi come sia possibile che questo branco di apostati abbia avuto la possibilità di fissare un canone corretto. Ma in realtà il problema non è se la Chiesa abbia sancito un canone divinamente ispirato, ma come dovremmo fare noi a sapere che, tra le mille apostasie di costoro, quella decisione tra le altre chiamata canone sarebbe corretta.

“Se in una comunità i capi originali diventano corrotti o vengono sostituiti da altri capi che prendono il potere e lo mantengono per secoli, è chiaro che l'autorità decisionale è mantenuta e nella comunità essi rappresentano l'autorità definiva, e chiaramente questi nuovi capi sono in possesso di tutte le documentazioni precedenti e ne detengono la proprietà.
Questo non vuol dire che io debba per forza riconoscere che quei capi siano legittimi”

Il problema di questo ragionamento è che se hanno potuto diventare illegittimi, è perché ovviamente non sono infallibili, ma se non sono infallibili, che garanzia c’è che lo fossero nel IV secolo quando s’è fissato il canone? Inoltre, tu da quando faresti iniziare questa apostasia ed illegittimità?
Innanzitutto ti ringrazio per i riferimenti indicati. Appena riuscirò li leggerò con cura.
Tuttavia ribadisco che la mia convinzione che Pietro non fosse il "primo" apostolo si basa soprattutto sulle Scritture e sinceramente non trovo nessun racconto esplicito al riguardo. Né ha valore secondo me contare il numero di volte in cui ricorre "Pietro" per notare se è maggiore o inferiore ad altri, perché questo non sarebbe né conclusivo né logico. Infatti si può benissimo narrare più riguardo all'operato di uno rispetto a un altro per i più svariati motivi e non significherebbe per forza ammetterne la superiorità. Spesso succede che si parli di più degli eroi, per via delle loro imprese eroiche, che del re stesso che li ha inviati in missione. E che vuol dire?
E' normale che se devo raccontare di coloro che hanno girato per il mondo portando il cristianesimo dappertutto, questo è il mio scopo e non mi soffermo più di tanto a descrivere il Consiglio degli Apostoli e Anziani che risiedeva a Gerusalemme e da cui partivano gli ordini, dato che lo scopo del mio racconto è di descrivere ciò che succedeva con le missioni e con l'espansione del cristianesimo.
Sicuramente però quando qualcuno dovette fare da autorità arbitrale in materia di dottrina, questo non fu certo Pietro. Troviamo invece un Consiglio degli Apostoli e Anziani o vogliamo chiamarlo un Concilio Apostolico. Quindi un Ordine collegiale nel quale sicuramente non troviamo Pietro a dirigere. Giacomo parla a nome di tutti e la sua idea (magari già considerata e discussa coi singoli apostoli e anziani non in Concilio Plenario) è legge.
E questo racconto è chiaramente parte del racconto relativo a Pietro e alle sue missioni. E' chiaro che non si parli più spesso di chi è fermo in sede di "comando" rispetto a chi è in missione per espandere il cristianesimo.
E' come se dovessimo narrare dell'espansione della Chiesa Cattolica nel mondo attraverso i suoi vari inviati. Ci troveremo un libro in cui si parlerà magari tantissimo di particolari santi o missionari, vescovi, e magari si fa riferimento al Papa e alla Santa Sede solo sporadicamente. Questo non significherebbe che un dato vescovo che magari è stato uno dei maggiori estensori del cattolicesimo, forse il maggiore, sia il Capo solo per questo. Conta chi è a Roma in veste arbitrale e basterebbe anche un solo racconto che dica che in fase di Concilio il Papa prese la parola e ciò che decretò fu legge, per non lasciare dubbi sui ruoli.
A parte tutto questo, riguardo al canone, infatti io non ho la certezza di infallibilità in chi lo stabilì e con che criteri.
E tuttavia ammetto che proprio su questo argomento sto cercando di approfondire. Anzi, se potessi darmi delle indicazioni su dove posso trovare informazioni storiche certe al riguardo, te ne sarò grato. Ma non solo indicazioni a favore della Chiesa. Qualcosa super partes se fosse possibile.
Grazie.
"La mente che rinuncia, una volta per tutte, ad una speranza inutile, riceve come ricompensa una serenità crescente." - Raymond Victor FRANZ.
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ClintEastwood
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Messaggio da ClintEastwood »

Sono solo di passaggio oggi e non voglio intromettermi in questa diatriba che riguarda personalmente cattolici ed ortodossi, anche se viste le solite forzature storiche di poly e trianello la voglia sarebbe tanta, volevo solo replicare a quest'affermazione di Polymetis:
"Essendo privi di pedigree apostolica, poiché Costantinopoli non è una comunità fondata da un apostolo, i bizantini cercarono di contrabbandare l’idea che Roma avesse una preminenza in quanto era la capitale dell’impero romano, e che dunque Costantinopoli, in quanto capitale dell’impero d’Oriente, dovesse ereditare i privilegi di Roma. "
In realtà, oltre al motivo da te citato Costantinopoli vantò la successione dall'apostolo Andrea, quindi questo "pedigree" venne fuori; se poi si ritiene questa prova fasulla, posso tranquillamente dire come già detto in altra sede che molte liste episcopali che avvallerebbero la successione dei vescovi di Roma da Pietro non sono ritenute meno false ed alterate da diversi storici.
A questo proprio tu mi replicai che non importava se fossero false o meno ma che le chiese antiche avevano questo modo di trasmissione dei poteri clericali, beh, allora la stessa cosa posso rigirarla a Costantinopoli, aveva questo metodo di trasmissione e dall'apostolo Andrea potè benissimo dirsi una nuova Roma. Una rivendicazione del genere ma con meno clamore la fece la chiesa armena riguardo le sue origini da Bartolomeo, la chiesa romana non era quindi l'unica ad avere un presunto "pedigree".

Troppo divertente poi questa frase di Teodoro:
"Un prestigio enorme... la somma dei vescovi romani che partecipa ai sette concili ecumenici è inferiore a quella dei vescovi orientali che partecipano al concilio meno affollato. È già tanto che gli si faccia la cortesia di notificare ciò che si decide "
Mi fà venire in mente la fretta di Cirillo nell'aprire il concilio di Efeso senza nemmeno aspettare i poveri legati papali (ed un viaggio da Roma a quei tempi non si faceva in aereo..).


Stay tuned on the future.
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Trianello
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Messaggio da Trianello »

Ancora una volta mi scuso se non potrò dilungarmi su questo argomento come vorrei, ma impegni molto più pressanti mi spingono ad economizzare il tempo che posso spendere qui nel Forum. Onestamente, oggi sono piuttosto stanco e non ho né le forza né la voglia di mettermi qui a copiare citazioni ed elaborare forbite argomentazioni. Se ce le farò, approfondirò la questione nei prossimi giorni.

Teodoro ha scritto:
"Appunto, "valenza" non vuol dire un accidente in teologia. Dal punto di vista del tipo di "verità" e del vincolo che impongono sono esattamente sullo stesso piano, che è quello della fede in un dato divinamente rivelato. Che abbia una valenza pastorale o no non c'entra nulla, né interessa nulla all'economia di questo discorso.
Si tratta di due questioni diverse e la loro distinzione è funzionale al discorso che qui si va facendo perché, per quanto queste siano giunte ad ottenere una definizione dogmatica nella stessa circostanza storica, la storia del loro sviluppo e della loro recezione non ha sempre corrisposto, il che va tenuto in conto quando si citano le fonti. per verificare a quale di queste delle due prerogative della Chiesa di Roma e del suo Vescovo ci si stia riferendo nello specifico. Comunque, procediamo.
Non ai fini del nostro discorso, perché noi oggi siamo nel 2010 e ci basiamo sulla teologia e sul diritto canonico del 2010. Se una cosa è diventata irreformabile non ce ne importa nulla se mille anni fa non lo era.
Certo, le definizioni dogmatiche rimangono, ma quale interpretazione dare alle medesime? Se la Scrittura può essere interpretata con l'ausilio del metodo storico-critico, questo vale anche per le definizioni dogmatiche e per i canoni dei concili, i quali, come la scrittura, sono sottoposti a dei “limiti” dettati dal contesto storico-culturale in cui furono formulati.
Ora, le definizioni dogmatiche del Vatinano I (ma soprattutto le loro immediate interpretazioni in seno alla Chiesa) furono influenzate dalla temperie anti-gallicana in cui il Concilio si svolse. Le interpretazioni successive delle stesse, specie la loro recezione da parte del Vaticano II, hanno di gran lunga smorzato i toni “assolutistici” con cui queste furono accolte da principio, snaturandone in parte il senso ed irrigidendone la posizione in un modo che le stesse non autorizzavano a fare. Il tutto viene chiarito con estrema competenza da Tillard nel suo “Il vescovo di Roma”, volume già citato da Polymetis.
Delle tue illazioni su cosa vorrebbe fare il patriarca non so che farmene. Di certo non pretende niente di diverso da ciò che pretendono tutti gli altri patriarchi, cioè la presidenza del santo sinodo della sua chiesa. Nessuno pretende giurisdizione intergalattica, infallibilità e superiorità ai concili.
Quello a cui ha mirato storicamente il Patriarcato di Mosca è dimostrato ampiamente dai conflitti da questo avuti nel corso dei secoli con le altre realtà del mondo ortodosso e la costante opposizione da questo dimostrata contro le aspirazioni all'autocefalia di tante Chiese dell'area slava. Ovviamente, a me, da cattolico, va benissimo che un Patriarca punti a voler fare della Chiesa di Cristo un solo gregge, per cui, ritengo (entro certi limiti) le aspirazioni moscovite in questo senso lecite. Il problema sta tutto nel vedere a quale cattedra episcopale spetti il compito di pascere il gregge di Cristo nel suo complesso.
Da un punto di vista cattolico, non ha molto senso quello che dici poi a riguardo del rapporto tra papa e concilio, questo perché non si dà concilio senza papa, in quanto le decisioni di qualsiasi concilio non sono valide se queste non sono recepite dal papa. E questo è dimostrato ampiamente anche da quanto scrissero gli orientali a papa Leone cercando di fargli sottoscrivere il famigerato canone 28 di Calcedonia, rivolgendosi a lui come “il fedele interprete di Pietro” e come colui che faceva condividere alla Chiesa la fede di Pietro (Mansi 6, 972).
Perché tortuosa? Pio IX ha indetto un concilio fantoccio a cui ha graziosamente letto le sue decisioni e sebbene la maggioranza fosse ampiamente recalcitrante nessuno ha voluto rischiare le proprie chiappe. Hai mai letto Döllinger?
Ho letto Dollinger così come ho letto Tillard e Schatz e le giuste critiche che questi fanno ad uno storico che era esplicitamente contrario a quanto si andava definendo durante il Vaticano I.
Talmente chiaramente che in 4 patriarcati su 5 (Antiochia compresa, che avrebbe avuto più diritto di tutti a intenderla così) a nessuno è mai balzata in mente l'idea del primato come esercitato nel II millennio
La Chiesa di Roma è sempre stata considerata in tutta la cristianità come la pietra di paragone della fede. Già Ireneo scriveva:

“Ma poiché sarebbe troppo lungo in quest'opera enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosi apostoli Pietro e Paolo. Mostrando la tradizione ricevuta dagli apostoli e la fede (cf. Rm 1,8) annunciata agli uomini che giunge fino a noi attraverso le successioni dei vescovi… Infatti con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte — essa nella quale per tutti gli uomini è sempre stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli.”

La Chiesa di Roma era considerata la Chiesa in cui avevano insegnato i due apostoli Pietro e Paolo ed in cui questi, con il martirio, avevano dato la massima testimonianza di fede. A me sembra che le parole di Ireneo non lascino molto spazio al dubbio. Certo, tu mi dirai che Ireneo scriveva dalle Gallie e per questo prendeva in considerazione Roma e che se avesse scritto dalla Siria avrebbe parlato di Antiochia, magari. Ma se così fosse stato, Ireneo, a mio modestissimo avviso, si sarebbe astenuto dall'usare espressioni tanto forti parlando della chiesa di Roma come quella dall'origine “più eccellente” con la quale “deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte” e come la Chiesa per tramite della quale “per tutti gli uomini” viene conservata la tradizione che viene dagli apostoli.
Ovviamente Ireneo è solo uno dei Padri che ci testimoniano la preminenza di Roma su tutte le altre Chiese della cristianità, comprese quelle di sicura origine apostolica.
L'ecclesiologia fondata da Cristo era una perla che ancora mi mancava. Penso che siano almeno 100 anni che nessuno si esprime in questi termini. Per me è già tanto che abbia fondato una Chiesa, oggi moltissimi autori contestano anche questo, e con ottimi motivi.
E' ovvio che i detti gesuani di carattere più spiccatamente ecclesiologico che appaiono nei Vangeli non sono probabilmente letteralmente di Gesù (come probabilmente tutti o quasi i detti di Gesù che appaiono nella Scrittura non sono gli “ipsissima verba Christi”), ma, come dicevo, il NT è parola di Dio (o vuoi contestare pure questo) e, pertanto, va considerato come vincolante a prescindere dall'origine storico-geografica dei suoi singoli brani o versetti. Ora, è un dato lampante a chiunque legga gli Atti degli Apostoli senza avere gli occhi foderati dal prosciutto del pregiudizio anti-papista che in questo testo, che ci descrive una visione idealizzata di quella che avrebbe dovuto essere la comunità dei credenti (la Chiesa), Pietro ha un ruolo preminente tra gli apostoli (per confermartelo, se vuoi, posso citare alcuni passi di Padri greci del I millennio che definiscono Pietro come “il principe degli apostoli” o cose di questo genere, e che quindi questa preminenza di Pietro nel gruppo apostolico l'avevano scorta nella Scrittura).
Un prestigio enorme... la somma dei vescovi romani che partecipa ai sette concili ecumenici è inferiore a quella dei vescovi orientali che partecipano al concilio meno affollato.
Questo perché i Concili venivano celebrati in Oriente e in un'epoca in cui l'Occidente non era propriamente un posticino tranquillo in cui vivere e viaggiare. Si tratta di fattori assolutamente contingenti. Sta di fatto che la conditio sine qua non della validità di un Concilio e dei suoi canoni era l'accettazione da parte di Roma (come ci testimoniano i succitati tentativi da parte degli Orientali di far accettare a papa Leone il sempre succitato canone 28 di Calcedonia che voleva equiparare Costantinopoli a Roma).
Questo probabilmente perché non sei uno storico?
Uhm... il mio curriculum accademico direbbe il contrario, comunque, in effetti, non sono uno storico di professione. I miei studi epistemologici, però, mi mettono in grado di riconoscere un “pregiudizio” in azione.
Quindi anche in questo caso nessuno potrebbe notificare al papa che in realtà non è più il papa. Più ab-solutum (proprio in senso etimologico) di così non vedo proprio cosa possiamo immaginarci. Ma hai studiato il diritto canonico?
Certo che ho studiato diritto canonico (si tratta di un esame costitutivo in ogni corso di teologia cattolica e, pur non avendo ancora conseguito il titolo per mancanza di tempo da dedicare ai corsi, ho frequentato per un certo periodo una facoltà teologica). Il succitato Tillard prende in esame questo problema e fa notare come qui ci sia una sorta “falla” nel diritto canonico (anche se lui parla del diritto canonico secondo il codice del '17). Il Codice di Diritto Canonico attualmente vigente non è stato in grado, a detta di molti canonisti, di recepire compiutamente la lettura che il Vaticano II ha dato all'idea del primato del Vescovo di Roma come di un primato di tipo arbitrale ed all'infallibilità del medesimo in materia di fede come espressione della collegialità dei vescovi e, in ultima analisi, del “sensus fidelium”, rendendo de facto "giuridicamente" ingestibile una situazione straordinaria in cui un papa impazzisse e si mettesse a contraddire quanto definito da un concilio ecumenico. Personalmente, confido in molto nello Spirito Santo (che fino ad oggi è stato in grado di evitare una situazione del genere e credo che lo farà anche per il futuro) e nella perfettibilità del Codice di Diritto Canonico, anche se ritengo che nessun codice potrà mai essere perfetto e che, in talune circostanze estreme, divenga necessario per i cristiani esercitare la virtù dell'epicheia.
Sconsiglio di appellarsi a papa Onorio nel caso del monotelismo, visto che un concilio ecumenico (riconosciuto come tale anche da Roma) lo condanna per eresia.
Le famose proposizioni eretiche di papa Onorio (ammesso che lo fossero davvero) non furono espresse dal suddetto nell'esercizio delle proprie funzioni di vescovo e, pertanto, non ex cathedra, ma in forma privata. Onorio, quindi, se fu eretico, lo fu in quanto “privato cittadino” e non in quanto rappresentante ufficiale della Chiesa di Roma. Nel suo magistero, Onorio, infatti, non espresse mai nulla di eretico. Del resto, di queste cose si discusse ampiamente prima e durante il Vaticano I.
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Mi si permetta di postare questo recente articolo apparso sull'Osservatore Romano:
Per cattolici e ortodossi l'appuntamento è a Vienna

lunedì 18 gennaio 2010
di Eleuterio F. Fortino

Il dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme ha imboccato lo studio del problema
cruciale del contenzioso storico e dottrinale fra Oriente e Occidente, il ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa di Cristo. Il
dialogo teologico è condotto dalla Commissione mista internazionale fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel
suo insieme, ma avviene nell'ambito delle relazioni fra la Chiesa cattolica e le varie Chiese ortodosse (Patriarcato
ecumenico, Patriarcato di Mosca, Patriarcato di Serbia, Patriarcato di Romania, Chiesa di Grecia, Chiesa d'Albania e così
via). Inoltre, conversazioni anche di carattere teologico hanno luogo a diversi livelli e in particolare nelle facoltà teologiche
e negli istituti di ricerca ecumenica. Questi rapporti nell'anno trascorso hanno registrato vari momenti positivi. Le stesse
difficoltà che naturalmente s'incontrano contribuiscono a precisare il metodo del dialogo.
Benedetto XVI nel messaggio indirizzato al Patriarca ecumenico per la festa di sant'Andrea del 30 novembre scorso ha
affermato che lo Spirito Santo "che guida la Chiesa ed è capace di trasformare tutte le debolezze umane in opportunità di
bene, ha guidato il lavoro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico che ha tenuto la sua
undicesima sessione plenaria a Cipro" (Paphos, 16-23 ottobre 2009). Il Papa ha aggiunto un commento sul clima
eccellente che ha sorretto i lavori: "L'incontro è stato caratterizzato da un senso di solenne impegno e da un affettuoso
sentimento di vicinanza". Riferendosi al tema che si è cominciato a studiare Benedetto XVI ha espresso la seguente
considerazione: "Il tema della sessione plenaria - il ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo
millennio - è di certo complesso e richiederà uno studio ampio e un dialogo paziente se vogliamo aspirare a una
integrazione condivisa delle tradizioni dell'Oriente e dell'Occidente".
Va rilevato che a Cipro s'è ricomposta la pienezza morale della rappresentanza ortodossa con la presenza della
delegazione russa che aveva abbandonato la precedente sessione di Ravenna (2007) a causa di una vertenza interna
fra il Patriarcato di Mosca e il Patriarcato ecumenico. Dopo la caduta del comunismo e la dichiarazione d'indipendenza
dei Paesi baltici, il Patriarcato ecumenico aveva riconfermato l'autonomia alla Chiesa ortodossa d'Estonia e a Ravenna
l'aveva invitata come Chiesa membro del dialogo. Non riconoscendo il Patriarcato di Mosca quella autonomia, i suoi
delegati constatando la presenza di due rappresentanti estoni a Ravenna, si sono creduti in dovere, con il consenso
delle proprie autorità ecclesiastiche, di non partecipare all'incontro per non dare credito di alcun riconoscimento neanche
implicito. Era una questione interna all'ortodossia, ma causava una ferita al dialogo cattolico-ortodosso. I contatti fra i due
patriarcati e le relazioni con le altre Chiese ortodosse hanno favorito una decisone che ha risolto il problema, pur
permanendo aperta la vertenza sull'autonomia della Chiesa d'Estonia. In un incontro dei Primati delle Chiese ortodosse
(Istanbul, ottobre 2008) convocato dal Patriarcato ecumenico s'è deciso che la Chiesa ortodossa è rappresentata da
tutte e le sole Chiese autocefale. Le Chiese autonome sono rappresentate dalle rispettive Chiese-madri tanto nelle
commissioni preconciliari che preparano il Grande Concilio pan-ortodosso quanto nei dialoghi ecumenici. La questione
quindi della presenza di Chiese autonome nel dialogo non aveva più consistenza. Le Chiese autocefale (patriarcati e
arcivescovadi) sono ora quindici con l'ingresso della Chiesa autocefala d'Albania dopo la sua ristrutturazione a seguito
della caduta del comunismo.
La Commissione mista di dialogo fra cattolici e ortodossi s'è incontrata a Cipro per trattare il primato del vescovo di
Roma sulla base del documento concordato a Ravenna (2007) e su suo mandato. Quel documento afferma con una
certa solennità: "Entrambi le parti - cattolici e ortodossi - concordano sul fatto che Roma, in quanto Chiesa che "presiede
nella carità", secondo l'espressione di sant'Ignazio di Antiochia occupava il primo posto nella tàxis (nell'ordine tra le Chiese)
e che il vescovo di Roma è pertanto il pròtos (cioè il primo) tra i patriarchi
". È una affermazione importante anche perché
fatta insieme da cattolici e ortodossi. Ma qual è la sua portata nella vita della Chiesa? Quali le implicazioni conseguono
nell'esercizio di una tale funzione primaziale? Il documento di Ravenna precisa: "Essi - cattolici e ortodossi - non sono
d'accordo sull'interpretazione delle testimonianze storiche di quest'epoca per ciò che riguarda le prerogative del vescovo
di Roma in quanto pròtos, questione compresa in modo diverso già nel primo millennio" (n. 41). Il documento di Ravenna,
circa il primato ai diversi livelli ecclesiali mette in luce due punti. In primo luogo che "il primato a tutti i livelli, è una pratica
fermamente fondata nella tradizione canonica della Chiesa
". E successivamente che "mentre il fatto del primato a livello
universale è accettato dall'Oriente e dall'Occidente
, esistono delle differenze nel comprendere sia il modo secondo il
quale esso dovrebbe essere esercitato sia i suoi fondamenti scritturistici e teologici" (n. 43). La Commissione quindi
dichiara che vi è un accordo sul fatto dell'esistenza nella prassi della Chiesa di un pròtos anche a livello universale.
In pari
tempo segnala tre zone di differenze. Tra Oriente e Occidente vi sono divergente d'interpretazioni circa le testimonianze
storiche, circa i fondamenti scritturistici e teologici, nonché circa il modo dell'esercizio del primato.
Nella conclusione il documento di Ravenna indica la problematica che si dovrà affrontare nel dialogo. Si afferma: "Resta
da studiare in modo più approfondito la questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunione di tutte le Chiese
". Il
documento segnala due questioni: "Qual è la funzione specifica del vescovo della "prima sede" in una ecclesiologia di
koinonìa, in vista di quanto abbiamo affermato circa la conciliarità e l'autorità? In che modo l'insegnamento sul primato
universale dei concili Vaticano i e Vaticano ii può essere compreso e vissuto alla luce della pratica ecclesiale del primo
millennio?
". E commenta: "Si tratta d'interrogativi cruciali per il nostro dialogo e per le nostre speranze di ristabilire la
piena comunione tra noi" (n. 45). Questo studio complessivo implica un'indagine sul primo millennio, cioè sul periodo in
cui Oriente e Occidente hanno vissuto nella piena comunione; per passare poi al secondo millennio, tempo in cui
l'esercizio del primato del vescovo di Roma ha conosciuto un significativo rafforzamento includendo la dichiarazione
dogmatica del Vaticano i e l'esplicazione del suo esercizio confermato dal Vaticano ii. L'insieme implica almeno due zone
di indagine comune: l'identificazione dei fatti storici nella loro oggettività e il tentativo d'una ermeneutica condivisa che
possa portare a un consenso concorde. Si tratta quindi d'un processo ragionevolmente lungo. Nella sessione di Cipro s'è
cominciato lo studio del ruolo del vescovo di Roma sulla base di una bozza preparata dal Comitato misto di
coordinamento incontratosi a Creta (Elounda, 27 settembre - 4 ottobre 2008). S'è dato inizio allo studio delle
testimonianze storiche sul ruolo particolare della Chiesa di Roma e del suo vescovo nei primi secoli. Si è constatato che
gli scritti apostolici testimoniano con chiarezza che la Chiesa di Roma ha occupato un posto distinto tra le Chiese e ha
esercitato una particolare influsso in materia dottrinale, disciplinare e liturgica. In quanto capitale dell'impero, Roma
aveva una rilevanza unica. La venuta a Roma di Pietro e Paolo e il loro martirio, i pellegrinaggi alle loro tombe, hanno
dato una grande risonanza religiosa nell'intera comunità cristiana. In un momento di crisi nella vita della Chiesa di Corinto
la Chiesa di Roma interviene scrivendo una lettera per la riconciliazione, per ristabilire l'unità e l'armonia. Quella lettera
viene attribuita al vescovo di Roma che sant'Ireneo identifica con il Papa Clemente. Segue la Lettera ai romani di
sant'Ignazio d'Antiochia che riferendosi alla Chiesa di Roma dice che essa "presiede nella carità". Sant'Ireneo elogiando
le caratteristiche d'apostolicità e d'ortodossia della Chiesa di Roma afferma che è necessario che ogni Chiesa deve
concordare con essa a causa della sua origine e della sua autorità (propter potentiorem principalitatem). L'analisi nel
duplice binario - identificazione dei dati e tentativo d'interpretazione - continuerà su altri elementi manifestatisi nel primo
millennio, come le decisioni dei concili ecumenici relative alla tàxis delle Chiese, il ruolo determinante di Roma in momenti
particolari di crisi: arianesimo, monofisitismo, monoteismo, iconoclasmo. L'intero panorama di questioni d'affrontare
abbracciano le tematiche del ruolo della Chiesa di Roma nella comunione delle Chiese, il vescovo di Roma e la sua
successione all'apostolo Pietro, il ricorso al vescovo di Roma in tempi di tensioni nella comunione ecclesiale, e l'influsso
di fattori non teologici che hanno contribuito allo sviluppo del ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa e nella società.
Benedetto XVI, riferendosi al lavoro della Commissione mista, nel citato messaggio indirizzato al Patriarca ecumenico,
ha dato un prezioso orientamento sul ruolo del vescovo di Roma: "Questo ministero non deve essere interpretato in una
prospettiva di potere, bensì nell'ambito di una ecclesiologia di comunione, come servizio all'unità nella verità e nella carità". E
ha aggiunto: "Il vescovo della Chiesa di Roma, la quale presiede alla carità (sant'Ignazio di Antiochia) è inteso come
servus servorum Dei (san Gregorio Magno)". Quindi, ha rafforzato l'idea ricordando la proposta sulla necessità di un
dialogo fraterno per trovare insieme le forme d'esercizio del ministero del vescovo di Roma. Egli ha scritto: "Come
scrisse il mio venerato predecessore, il servo di Dio Giovanni Paolo II, e come ho ripetuto in occasione della mia vista al
Fanar nel novembre del 2006, si tratta di cercare insieme, lasciandoci ispirare dal modello del primo millennio, le forme
nelle quali il ministero del vescovo di Roma possa realizzare un servizio riconosciuto da tutti".
La Commissione mista internazionale continuerà lo studio del tema del ruolo del vescovo di Roma nel primo millennio
nella seguente sessione plenaria convocata a Vienna nei giorni 20-27 settembre 2010. Benedetto XVI per questo dialogo
su questo tema cruciale ha chiesto la preghiera. "Preghiamo dunque Dio - ha esortato - che ci benedica: possa lo Spirito
Santo guidarci lungo questo cammino difficile e tuttavia promettente".
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Aggiungo a quanto ha scritto Trianello, questo breve stralcio della relazione che il Card. Kasper ha letto in presenza dei cardinali il 23 novembre 2007 (cito il passo che riguarda l’argomento di cui si sta parlando in questo 3D):
Il documento di Ravenna, intitolato “Conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa”, ha segnato una svolta importante. Per la prima volta, gli interlocutori ortodossi hanno riconosciuto un livello universale della Chiesa ed hanno ammesso che anche a questo livello esiste un protos, un primate, che può essere soltanto il vescovo di Roma secondo la taxis della Chiesa antica. Tutti i partecipanti sono consapevoli che questo è soltanto un primo passo e che il cammino verso la piena comunione ecclesiale sarà ancora lungo e difficile; tuttavia, con questo documento abbiamo posto una base per il dialogo futuro. Il tema che verrà affrontato nella prossima sessione plenaria sarà: “Il ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio”.
:grazie: :ciao:
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1
Le rôle de l’évêque de Rome dans la communion de
l’Eglise pendant le premier millénaire



Le comité mixte de coordination pour le dialogue théologique entre l’Eglise
catholique romaine et l’Eglise orthodoxe


Agios Nikolaos, Crète, Grèce, du 27 septembre au 4 octobre, 2008



Introduction

1. Dans le document rédigé à Ravenne, « Les conséquences ecclésiologiques
et théologiques de la nature sacramentelle de l’Eglise – Communion
ecclésiale, conciliarité et autorité », les délégués catholiques romains et
orthodoxes reconnaissent le lien inséparable entre la conciliarité et la
primauté à tous les niveaux de la vie de l’Eglise : « La primauté et la
conciliarité sont mutuellement interdépendantes. C’est pour cette raison
que la primauté aux différents niveaux de la vie de l’Eglise, local, régional
et universel, doit être toujours considérée dans le contexte de la
conciliarité et de même, la conciliarité dans le contexte de la primauté »
(document de Ravenne, n. 43). Les catholiques romains et les orthodoxes
étaient également d’accord pour affirmer que « selon l’ordre canonique
(la taxis) dont témoigne l’Eglise ancienne », ordre « reconnu par tous à
l’époque de l’Eglise indivise », « Rome, en tant que l’Eglise qui « préside
dans l’amour » selon la phrase de saint Ignace d’Antioche, occupa la
première place dans la taxis et que l’évêque de Rome était par conséquent
le protos parmi les patriarches » (nn. 40, 41). Le document mentionne le
rôle actif et les prérogatives de l’évêque de Rome en tant que « protos
parmi les patriarches », « protos des évêques des sièges principaux » (nn.
41, 42, 44) et le document en tire la conclusion que « l’étude du rôle de
l’évêque de Rome dans la communion de toutes les Eglises doit être
approfondie ». « Quelle est la fonction spécifique de l’évêque du premier
siège dans une ecclésiologie de koinonia ? » (n. 45).

2. Le thème de la prochaine étape du dialogue théologique est donc : « Le
rôle de l’évêque de Rome dans la communion de l’Eglise au premier
millénaire ». Le but est une compréhension approfondie du rôle de
l’évêque de Rome pendant la période où les Eglises d’Occident et
2
d’Orient étaient en communion, malgré certaines divergences entre elles.
Cet approfondissement doit permettre de répondre à la question posée ci-
dessus.

3. Le présent texte traitera de ce thème sous les quatre chefs suivants :

- L’Eglise de Rome, premier siège ;
- L’évêque de Rome comme successeur de Pierre ;
- Le rôle de l’évêque de Rome à des moments de crise dans la
communion ecclésiale ;
- L’influence de facteurs non théologiques.


L’Eglise de Rome, « premier siège »

4. Les catholiques romains et les orthodoxes sont en accord pour reconnaître
que, dès les temps apostolique, l’Eglise de Rome fut reconnue comme la
première parmi les Eglises locales, tant en Orient qu’en Occident. Les écrits des
Pères apostoliques témoignent clairement de ce fait. Rome, capitale de l’Empire,
a rapidement joui dans l’Eglise primitive d’une grande renommée comme lieu
de martyre des saints Pierre et Paul (cf. Rév 11 :3-12). Elle occupa une place
unique parmi les Eglises locales et exerça une influence unique. Vers la fin du
premier siècle, en invoquant l’exemple des martyrs Pierre et Paul, l’Eglise de
Rome écrivit une longue lettre à l’Eglise de Corinthe, qui venait de chasser ses
anciens (1 Clém. 1, 44) où elle encouragea le rétablissement de l’unité et de
l’harmonie (homonoia). La lettre fut rédigée par Clément, identifié par la suite
comme évêque de Rome (cf. Irénée, Adv. Haer., 3, 3, 2), bien que la forme
précise assumée à l’époque par la présidence à Rome reste à préciser.


5. Peu après, sur le chemin de son martyre à Rome, Ignace d’Antioche
s’adressa à l’Eglise de Rome en des termes qui indique l’estime qu’il avait pour
elle : « digne de Dieu, digne d’honneur, digne d’être appelée bienheureuse,
digne de succès, digne de pureté ». Il en parle comme celle qui « préside dans la
région des Romains » et aussi comme celle qui « préside dans la charité »
(« prokathemene tes agapes », Lettre aux Romains, « salutation »). On interprète
cette phrase de manières diverses mais elle semble indiquer que Rome jouait au
niveau régional un rôle d’ancienneté et de présidence et qu’elle se distinguait
dans les fondamentaux du christianisme, à savoir la foi et la charité. Ignace parle
également de Pierre et de Paul, qui avaient prêché aux romains (Romains, 4).

6. Irinée a souligné que l’Eglise de Rome était une référence sûre en matière
de doctrine apostolique. Il était nécessaire que toute Eglise soit en accord
3
(convenire) avec elle, « propter potentiorem principalitatem », phrase qui
pourrait signifier « à cause de son origine plus imposante » ou encore « à cause
de sa plus grande autorité » (Adv. Haer., 3, 3, 2). Tertullien aussi a loué l’Eglise
de Rome « sur laquelle les apôtres [Pierre et Paul] ont versé tout leur
enseignement avec leur sang ». Rome était la plus grande des Eglises
apostoliques et aucun des hérétiques qui y était allé en quête d’approbation
n’avait été reçu (cf. De Praescrip. 36). L’Eglise de Rome était ainsi une
référence tant pour la « règle de foi » que dans la recherche d’une résolution
pacifique de difficultés soit à l’intérieur de certaines Eglises, soit entre elles.

7. L’évêque de Rome était parfois en désaccord avec d’autres évêques.
Quant à la question de la date de Pâques, Anicet de Rome et Polycarpe de
Smyrne n’ont pu se mettre d’accord en l’an 154, mais ils ont maintenu les liens
de la communion eucharistique. Quarante ans plus tard, l’évêque Victor de
Rome fit convoquer des synodes pour régler le problème – un exemple
intéressant et ancien de synodalité, voire d’un pape qui encouragea la réunion de
synodes- et excommunia Polycrate d’Ephèse et les évêques d’Asie après que
leur synode eut refusé d’adopter l’usage romain. Irinée réprimanda Victor pour
sa sévérité et il semble que celui-ci révoqua sa sentence et que la communion fut
préservée. Vers le milieu du 3ième siècle, un important conflit surgit autour de la
question de savoir s’il fallait re-baptiser ceux baptisés par des hérétiques, lors de
leur réception dans l’Eglise. Invoquant la tradition locale, Cyprien de Carthage
et les évêques de l’Afrique du nord, appuyés par des synodes réunis autour de
l’évêque Firmilien de Césarée, dans l’est de la Méditerranée, ont soutenu que de
telles personnes devaient être baptisées à nouveau, tandis que l’évêque Etienne
de Rome, se référant à la tradition romaine et même à Pierre et à Paul (Cyprien,
Ep. 75, 6, 2), soutenait qu’ils ne devaient pas l’être. La communion entre
Etienne et Cyprien fut sérieusement compromise, mais non pas formellement
interrompue. Les premiers siècles montrent ainsi que les décisions et les points
de vue des évêques de Rome étaient parfois contestés par des frères dans
l’épiscopat. Ces siècles témoignent également de la vigueur de la vie synodale
de l’Eglise primitive. Les nombreux synodes africains de l’époque et la
correspondance soutenue entre Cyprien et Etienne et, surtout, avec son
prédécesseur, Corneille, indiquent un esprit intense de collégialité (cf. Cyprien,
Ep. 55, 6, 1-2).

8. Toutes les Eglises de l’Orient et de l’Occident croyaient que l’Eglise de
Rome occupait la première place (c.-à-d. la primauté) parmi les Eglises Cette
primauté résultait de plusieurs facteurs : de la fondation de cette Eglise par
Pierre et Paul et du sentiment de leur présence vivace en cette ville ; du martyre
à Rome de ces deux, les plus importants des apôtres (coryphées), du fait que
leurs tombes (tropaia) était dans la ville et du fait que Rome était la capitale et le
centre de communication de l’Empire.
4

9. Les premiers siècles montrent le lien fondamental et inséparable entre la
primauté du siège de Rome et la primauté de son évêque : chaque évêque
représente, personnifie et exprime son diocèse (cf. Ignace d’Antioche, aux
Smyrniotes 8 ; Cyprien, Ep. 66, 8). De fait, il serait impossible de parler de la
primauté d’un évêque sans parler de son siège. A partir de la seconde moitié du
deuxième siècle, on enseignait que la continuité de la tradition apostolique était
signifiée et exprimée par la succession des évêques des sièges fondés par les
Apôtres. L’Orient comme l’Occident ont continué à soutenir que la primauté du
siège précède la primauté de l’évêque et que celle-là est la source de celle-ci.

10. Cyprien croyait que l’unité de l’épiscopat et de l’Eglise étaient symbolisée
en la personne de Pierre, à qui la primauté avait été donnée, et en son siège et
que tous les évêques détenaient cette charge en commun (« in solidum » ; De
unit. ecc., 4-5). Le siège de Pierre se trouvait donc dans chaque diocèse, mais
particulièrement à Rome. Ceux qui se déplaçaient à Rome venaient « au siège de
Pierre, à l’Eglise primordiale, à la source même de l’unité épiscopale » (Ep. 59,
14, 1).

11. La primauté du siège de Rome en est venue à s’exprimer en différents
concepts : cathedra petri, sedes apostolica, prima sedes. Cependant,
l’affirmation du pape Gélase : « Le premier siège n’est jugé par personne »
(« prima sedes a nemine iudicatur » ; cf. Ep. 4, PL 58, 28B ; Ep. 13, PL 59,
64A), utilisée par la suite dans un contexte ecclésial et qui devint une source de
contentieux entre l’Orient et l’Occident, signifiait à l’origine tout simplement
que l’empereur ne pouvait pas juger le pape.

12. Les traditions orientale et occidentale reconnaissaient au premier parmi
les sièges patriarcaux un certain « honneur » (timi) qui n’était pas purement
honorifique (concile de Nicée, can. 6 ; concile de Constantinople, can. 3 ;
concile de Chalcédoine, can. 28). Cet honneur impliqua une « autorité »
(exousia ; cf. document de Ravenne, n. 12), qui était néanmoins « sans
domination, sans coercition physique ni morale » (doc. De Ravenne, n. 14). Bien
que les conciles œcuméniques fussent convoqués pendant le premier millénaire
par l’empereur, aucun concile ne pouvait être considéré comme œcuménique
sans le consentement du pape, accordé soit préalablement soit à posteriori. On
peut y voir une application au niveau universel de la vie de l’Eglise du principe
énoncé par le canon apostolique 34 : « Les évêques de chaque province (ethnos)
doivent reconnaître celui qui est le premier (protos) entre eux et le considérer
comme le chef (kephale) et ne rien faire d’important sans son consentement
(gnome) ; chaque évêque ne doit gérer que ce qui concerne son propre diocèse
(paroikia) et les territoires qui en dépendent. Mais le premier (protos) ne peut
rien faire sans le consentement de tous. Car de la sorte, la concorde (homonoia)
5
prévaudra et Dieu sera loué par le seigneur dans l’Esprit saint » (cf. Doc. De
Ravenne, n. 24). A tous les niveaux de la vie de l’Eglise, primauté et conciliarité
sont interdépendantes.

13. L’empereur Justinien (527-65) fixa dans le droit impérial l’ordre des cinq
sièges principaux, Rome, Constantinople, Alexandrie, Antioche et Jérusalem
(Novellae 131, 2 ; cf. 109, praef ; 123, 3). Il constitua ainsi le système connu
par la suite sous le vocable de la Pentarchie. L’évêque de Rome fut perçu
comme le premier dans l’ordre (taxis), sans néanmoins que la tradition
pétrinienne soit mentionnée.

14. L’époque du pape Grégoire 1er (590-604) a vu la continuation d’une
dispute qui avait déjà commencé sous le pape Pélage II (579-590) relative au
titre de « patriarche œcuménique » pour le patriarche de Constantinople. Des
compréhensions différentes en Orient et en Occident avaient donné lieu à cette
dispute. Grégoire a vu en ce titre une présomption intolérable et une violation
des droits canoniques des autres sièges orientaux, tandis qu’en Orient, le titre
était entendu comme une expression de droits majeurs à l’intérieur du patriarcat.
Par la suite, Rome accepta le titre. Grégoire dit que personnellement, il refusait
le titre de « pape universel » ; il se considérait honoré plutôt quand chaque
évêque recevait l’honneur qui lui était dû (« mon honneur est l’honneur de mes
frères », Ep. 8, 29). Il s’est donné pour titre « le serviteur des serviteurs de
Dieu » (servus servorum dei).

15. Le couronnement en l’an 800 de Charlemagne par le pape Léon III
marqua le début d’une nouvelle ère dans l’histoire des revendications papales.
Un facteur supplémentaire qui a abouti à des différends entre l’Est et l’Ouest fut
l’apparition des fausses Décrétales (c. 850), dont la visée était le renforcement
de l’autorité romaine afin de protéger les évêques. Les Décrétales jouèrent un
rôle immense pendant les siècles suivants, au fur et à mesure que les papes ont
progressivement commencé à agir dans l’esprit des Décrétales, qui déclarèrent,
par exemple, que toutes les causes majeures (causae maiores), en particulier la
déposition d’évêques et de métropolitains, étaient, en dernier ressort, la
responsabilité de l’évêque de Rome et que tout concile et tout synode recevait
son autorité légale de sa confirmation par le siège romain. Les patriarches de
Constantinople n’acceptèrent pas un tel point de vue, qui était contraire au
principe de synodalité. Bien que les Décrétales ne visent pas en fait l’Orient, des
Occidentaux les y appliquèrent, plus tard, pendant le deuxième millénaire.
Malgré de telles aggravations des tensions, en l’an 1000 les chrétiens et en
Occident et en Orient étaient encore conscients de leur appartenance à une
Eglise une et indivise.


6
L’évêque de Rome, successeur de Pierre

16. L’accent tôt mis sur le lien du siège de Rome et avec Pierre et avec Paul
est devenu avec le temps un lien plus spécifique entre l’évêque de Rome et
l’apôtre Pierre. Le pape Etienne (milieu du IIIe siècle) appliqua le premier à son
propre office Mt 16 :18 (« Tu es Pierre et sur ce roc je bâtirai mon Eglise »). Le
concile de Constantinople en 381 précisa que la ville de Constantinople devait
occuper la deuxième place après Rome : « Parce qu’elle est la nouvelle Rome,
l’évêque de Constantinople doit jouir d’une primauté d’honneur après l’évêque
de Rome » (canon 3). Le critère invoqué par le concile pour l’établissement de
l’ordre des sièges n’était donc pas leur fondation apostolique, mais le place
occupée par la ville dans l’organisation civile de l’Empire romain. Le synode
convoqué en 382 à Rome sous la présidence du pape Damase (cf. Decretum
Gelasianum 3) invoqua un critère différent pour l’établissement de l’ordre des
sièges majeurs. Dans ce cas, trois sièges principaux furent mentionnés : Rome,
Alexandrie et Antioche, sans aucune mention de Constantinople. Il y est dit que
la première place fut attribuée à l’Eglise de Rome à cause des paroles du Christ
à Pierre (Mt 16 :18) et à cause de sa fondation par Pierre et Paul. La deuxième
place fut assignée à Alexandrie, fondé par Marc, le disciple de Pierre et la
troisième à Antioche, où Pierre avait vécu avant de se déplacer à Rome. Cette
idée des trois sièges pétriniens fut répétée par des papes du cinquième siècle, tels
que Boniface, Léon et Gélase. Dès 381-2, donc, s’étaient précisés deux critères
distincts pour l’établissement du rang ecclésial d’une Eglise : le premier
supposait que le statut ecclésial devait correspondre au rang civil de la ville en
question, le second faisait appel à l’origine apostolique et plus spécifiquement
pétrinienne.

17. Le pape Léon (440-461) approfondit et développa de manière significative
l’idée pétrinienne. Il établit une distinction nette entre le ministère pétrinien lui-
même et la personne qui l’exerçait, personne qu’il voyait comme un héritier
indigne (haeres) de saint Pierre (Serm. 3, 4). En tant que héritier, le pape devient
« apostolicus » et il hérite également le « consortium » de l’unité indivisible
entre le Christ et Pierre (Serm. 5, 4 ; 4, 2). En conséquence, il est de son devoir
de prendre soin de toutes les Eglises (cf. 2 Cor 11 : 28 ; Ep. 120, 4). La priorité
accordée à Pierre se fonde sur le fait que le Christ lui confia ses brebis et à lui
seul (Jn 21 : 17 ; cf. Ep 9, Serm. 96, 3). Léon se considérait « le gardien de la foi
catholique et des constitutions des Pères » (Ep. 114), obligé de promouvoir le
respect et l’observance des conciles.

18. Lors du quatrième concile œcuménique (451), la lecture du Tome de Léon
fut suivie de l’acclamation : « Pierre a parlé à travers Léon ». Cela ne constitue
cependant pas une définition formelle de succession pétrinienne. C’était
reconnaître que Léon, l’évêque de Rome, avait articulé la foi de Pierre, qui se
7
trouvait particulièrement dans l’Eglise de Rome. Après ce même concile, les
évêques dirent que Léon était « le porte-parole envers tous du bienheureux
Pierre … transmettant à tous la béatitude de sa foi » (Epistola concilii
Chalcedoniensis ad Leonem papam = Ep. 98 de Léon). Augustin, également, mit
l’accent sur la foi plutôt que simplement sur la personne de Pierre, lorsqu’il dit
que Pierre était « figura ecclesiae » (In Jn. 7, 14 ; Sermo 149, 6) and « typus
ecclesiae » (Sermo 149, 6) dans sa confession de foi en le Christ. Il serait donc
simplifier à l’excès que de dire que l’Occident interprète le « roc » de Mt 16 :18
comme la personne de Pierre tandis que l’Orient l’interprète comme la foi de
Pierre. Dans l’Eglise des premiers siècles, tant à l’Est qu’à l’Ouest, c’était la
succession de la foi de Pierre qui était de la première importance.

19. Il est important de garder présent à l’esprit que toute succession
apostolique est une succession dans la foi apostolique, dans le contexte d’une
Eglise locale particulière. D’un point de vue ecclésiologique, il n’est pas
possible de concevoir une succession entre personnes indépendamment ou en
dehors de la foi apostolique et d’une Eglise locale. Dire, donc, que Pierre parle à
travers l’évêque de Rome signifie en premier lieu que celui-ci exprime la foi
apostolique que son Eglise a reçue de l’apôtre Pierre. C’est surtout en ce sens
que l’on peut comprendre l’évêque de Rome comme le successeur de Pierre.

20. En Occident, l’accent placé sur le lien entre l’évêque de Rome et l’apôtre
Pierre, s’accompagna, surtout à partir du quatrième siècle, d’une référence
progressivement plus spécifique au rôle de Pierre à l’intérieur du collège des
Apôtres. La primauté de l’évêque de Rome entre les évêques s’interprétait peu à
peu comme une prérogative qui lui revenait parce qu’il était le successeur de
Pierre, le premier des apôtres (cf. Jérôme, In Isaiam 14, 53 ; Léon, Sermo 94, 2 ;
95, 3). La position de l’évêque de Rome parmi les évêques était comprise en
fonction de celle de Pierre parmi les Apôtres. En Orient, cette évolution de
l’interprétation du ministère de l’évêque de Rome n’a pas eu lieu. Une telle
interprétation n’y fut jamais explicitement rejetée pendant le premier millénaire
mais l’Orient avait plutôt tendance de voir chaque évêque comme le successeur
de tous les Apôtres, dont Pierre (cf. Cyprien, De unit. ecc., 4-5 ; Origène, Comm
in Matt.).

21. D’une manière quelque peu semblable, l’Occident ne rejetait pas l’idée
de la Pentarchie (cf. supra, n. 13). En fait, l’Occident observait scrupuleusement
la taxis des cinq sièges principaux, Rome, Constantinople, Alexandrie, Antioche
et Jérusalem, autour desquels se développèrent les cinq patriarcats de l’Eglise
ancienne (cf. Document de Ravenne, n. 28). L’Occident n’a cependant jamais
attribué à la Pentarchie la même signification comme mode de gouvernance de
l’Eglise comme l’a fait l’Orient.

8
22. Il est à remarquer que ces manières assez différentes de comprendre la
position de l’évêque de Rome et les rapports entre les sièges majeurs,
respectivement en Occident et en Orient et basées sur des interprétations
bibliques, théologiques et canoniques nettement différentes, ont coexisté
pendant plusieurs siècles jusqu’à la fin du premier millénaire, sans provoquer
une rupture de communion.


Le rôle de l’évêque de Rome pendant des moments de crise dans la
communion ecclésiale

23. L’Eglise a vécu pendant le premier millénaire beaucoup de moments où la
communion ecclésiale était en péril, par exemple chaque fois que les définitions
de Nicée furent contestées en Orient par la condamnation d’évêques orthodoxes
par certains conciles du quatrième siècle et lorsque la formule christologique de
Chalcédoine fut contestée au cinquième siècle par le monophysisme et le
« Hénotikon » (qui provoqua le schisme acacien), et ensuite par le
monoénergisme et le monothélisme au septième et également à l’époque de la
crise iconoclaste aux huitième et neuvième siècles. Les catholiques romains et
les orthodoxes reconnaissent tous les deux l’importance du rôle joué à ces
moments par l’évêque de Rome.

24. En fait, à partir du quatrième siècle, il y a eu une reconnaissance
croissante de Rome comme centre vers lequel le monde chrétien tout entier
pouvait en différentes circonstances adresser des appels en justice ou des
demandes d’aide. En 339-40, Athanase, évêque d’Alexandrie, interjeta appel
auprès du pape Jules. Selon les paroles du pape, citées par Athanase, « Il
[Athanase] est venu, non pas de son propre chef, mais convoqué par lettre de
notre part » (Athanase, Apologia contra Arianos 29 ; cf. 20,33 et 35). Il paraît
donc que Jules n’a pas simplement répondu à un appel de la part d’Athanase,
mais a lui-même pris l’initiative de ‘convoquer’ l’évêque d’Alexandrie. Dans ce
cas, donc, le rôle de l’évêque de Rome semble avoir été plus qu’une simple
instance d’appel.

25. Des demandes d’aide adressées à Rome en des moments de crise étaient
parfois accompagnées de requêtes similaires envoyées à d’autres sièges
ecclésiastiques majeurs. Jean Chrysostome (404), par exemple, en appela non
seulement à Rome mais aussi aux évêques de Milan et d’Aquilée. L’intention
était donc que l’action entreprise par l’évêque de Rome soit coordonnée, dans un
esprit conciliaire, avec celle d’autres sièges majeurs. Qui plus est, les initiatives
de l’évêque de Rome furent généralement entreprises dans le cadre du synode
romain et lui faisaient généralement référence. De ce point de vue aussi, ils
avaient donc un caractère conciliaire ou synodal. Par exemple, dans des
9
correspondances lors de la dispute photienne, les évêques de Rome soulignaient
qu’ils avaient pris leurs décisions en conformité avec les règles ou canons et de
manière synodale (« regulariter et synodaliter » ou « canonice et synodaliter »).

26. La procédure à suivre en matière d’appels à Rome fut élaborée par le
concile de Sardique (342-3, canons 3-5). Ces canons disposent qu’un évêque,
après sa condamnation, pouvait interjeter appel auprès du pape et que celui-ci
pouvait, s’il le jugeait approprié, ordonner un nouveau procès, qui devait être
instruit par les évêques des diocèses voisins de celui de l’évêque condamné. Si
l’évêque appelant en formulait la demande, le pape pouvait également envoyer
des représentants pour assister les évêques des diocèses voisins. Sardique, bien
que prévu à l’origine comme un concile œcuménique, était, en fait, un concile
local de l’Occident, dont les canons furent acceptés en Orient lors du concile in
Trullo (692).

27. La description la plus claire des conditions nécessaires pour qu’un concile
puisse être considéré comme œcuménique fut fournie par le septième concile
œcuménique (Nicée II, 787), le dernier à être reconnu comme tel, à la fois en
Orient et en Occident :

-il fallait qu’il soit accepté par les chefs (proedroi) des Eglises et que ceux-ci
soient en accord (symphonia) avec lui ;
-le pape de Rome doit être un « coopérateur » ou « collaborateur » (synergos)
avec le concile ;
-les patriarches de l’Orient doivent être « en accord » (symphronountes) ;
- la doctrine du concile doit être en accord avec celle des conciles œcuméniques
précédents ;
- le concile doit recevoir sa numérotation spécifique, afin d’être rangé dans la
séquence des conciles acceptés par l’Eglise en son ensemble.
Bien que le rôle du pape reçoive ici une mention spécifique, il y a des
différences d’interprétation quant aux termes de symphonia, de synergos et de
symphronountes. L’étude de cette matière doit être approfondie.

28. On peut affirmer que pendant le premier millénaire, l’évêque de Rome, en
tant que premier (protos) parmi les patriarches, exerçait un rôle de coordination
et de stabilité dans des questions relatives à la foi et à la communion, en fidélité
à la tradition et en respectant la conciliarité.


L’influence de facteurs non théologiques

29. Pendant le premier millénaire, un nombre de facteurs qui n’étaient pas
directement théologiques a joué un rôle assez important dans les relations entre
10
les Eglises de l’Orient et de l’Occident et a eu une influence sur la
compréhension et l’exercice de la primauté de l’évêque de Rome. Ces facteurs
étaient de divers ordres, par exemple politiques, historiques, socio-économiques
et culturels.

30. Comme indicateurs de facteurs pertinents, on peut retenir les suivants :
- la terminologie, la mentalité et l’idéologie de l’Empire romain ;
- les fluctuations de la politique impériale en ce qui concerne la vie de l’Eglise ;
- le transfert à l’Orient de la capitale de l’Empire ;
- le déclin et la chute de l’Empire romain d’Occident et ses conséquences
en ce qui concerne l’équilibre politique et culturel entre l’Orient et l’Occident ;
- la séparation culturelle progressive entre l’Orient et l’Occident, qui a
débouché sur une méconnaissance, un éloignement et une incompréhension
réciproques ;
- l’expansion de l’islam sur les territoires des patriarcats d’Alexandrie,
d’Antioche et de Jérusalem, de même que dans les régions de l’Afrique du nord
et l’Espagne ;
- l’essor de l’Empire d’Occident de Charlemagne ;
- l’influence personnelle de certaines figures historiques.
Une reconnaissance des facteurs non théologiques à l’œuvre dans les relations
entre l’Orient et l’Occident chrétiens et une appréciation de la nature de leurs
interactions avec différents facteurs théologiques permettent une compréhension
approfondie de la vie et de la foi de l’Eglise et, en particulier, des diversités qui
se développèrent entre l’Orient et l’Occident.


Conclusion

31. Pendant tout le premier millénaire, l’Orient et l’Occident étaient unis sur
certains principes théologiques fondamentaux, par exemple, l’importance de la
continuité de la foi apostolique, l’interdépendance de la primauté et de la
conciliarité/synodalité à tous les niveaux de la vie de l’Eglise et une
compréhension de l’autorité comme « un service (diakonia) d’amour », avec,
comme but, « l’incorporation de l’humanité toute entière dans le Christ » (cf.
Document de Ravenne, nn. 13-14). Bien que l’unité de l’Est et de l’Ouest fût
parfois troublée, les évêques de l’Orient et de l’Occident étaient toujours
conscients de leur appartenance à la même Eglise et du fait d’être successeurs
des apôtres dans un unique épiscopat. La nature collégiale des évêques
s’exprimait dans la vigueur de la vie synodale de l’Eglise à tous les niveaux,
local, régional et universel. Au niveau universel, l’évêque de Rome agissait en
tant que protos parmi les chefs des sièges majeurs. Il y a beaucoup d’instances
d’appels de différentes natures adressés à l’évêque de Rome afin de promouvoir
la paix et de maintenir la communion de l’Eglise dans la foi apostolique.
11

32. L’expérience du premier millénaire a eu une influence profonde sur le
développement des relations entre les Eglises de l’Orient et de l’Occident.
Malgré les divergences croissantes et les schismes temporaires pendant cette
période, la communion fut maintenue entre l’Occident et l’Orient. Le principe
de la diversité en l’unité, accepté explicitement par le concile réuni en 879-80 à
Constantinople, a une signification particulière pour le thème de l’étape actuelle
de notre dialogue. Des divergences très nettes de compréhension et
d’interprétation n’ont pas empêché le maintien de la communion entre l’Orient
et l’Occident. Il y avait une conscience très forte de constituer une seule Eglise
et une volonté de rester dans l’unité, comme un troupeau sous un berger (cf. Jn
10 :16). Le premier millénaire, que nous avons étudié pendant cette étape de
notre dialogue, est la tradition commune à nos deux Eglises. Dans ses principes
théologiques et ecclésiologiques fondamentaux, que nous avons étudiés ici, cette
tradition commune devrait servir de modèle pour la restauration de notre pleine
communion.


Le 3 octobre, 2008
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Tiziano
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E che cos'è.... la lettera coi saluti che ha scritto Polymetis da Parigi?
Signore dammi la pazienza...perchè se mi dai la forza...faccio una strage

Voglio ancora una carezza dalla mia mamma .............. Roma 1°dicembre 2010

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Trianello
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Il documento postato da Teodoro merita di essere analizzato in maniera dettagliata. Questo evidenzia molto bene su quali punti l'interpretazione del ruolo che il Vescovo di Roma occupa o dovrebbe occupare nella Chiesa converga e diverga tra cattolici ed ortodossi. Ci sono un'infinità di cose da dire a riguardo del ruolo del Vescovo di Roma rispetto al collegialità dei vescovi della Chiesa in base alla recezione che il Concilio Vaticano II ha dato a quanto stabilito nel Vaticano I e di come, in effetti, la teologia cattolica riservi al romano pontefice un potere non certo privo di limiti (a differenza di quanto una grossolana interpretazione della Pastor Aeternus, anche incoraggiata dalla lettura ultramontana che se ne fece all'indomani del Vaticano I, potrebbe far supporre). Un capitolo a parte andrebbe dedicato alla discussione delle famigerate decretali Pseudo-Isidoriane, al contesto in cui furono realizzate ed allo scopo che si proponevano, onde mostrare come una lettura contestuale delle stesse possa gettare nuova luce su tutta la questione di cui qui si discute (così come ha fatto egregiamente da Schatz nel suo volume “Il primato del papa”).
Spero di avere un po' di tempo da dedicare alla cosa entro i prossimi giorni, magari anche solo per scandire ed inserire nel Forum alcuni illuminanti passaggi del bel volume di Tillard e di quello del succitato Schatz.
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Messaggio da Mario70 »

Trianello ha scritto:Il documento postato da Teodoro merita di essere analizzato in maniera dettagliata. Questo evidenzia molto bene su quali punti l'interpretazione del ruolo che il Vescovo di Roma occupa o dovrebbe occupare nella Chiesa converga e diverga tra cattolici ed ortodossi. Ci sono un'infinità di cose da dire a riguardo del ruolo del Vescovo di Roma rispetto al collegialità dei vescovi della Chiesa in base alla recezione che il Concilio Vaticano II ha dato a quanto stabilito nel Vaticano I e di come, in effetti, la teologia cattolica riservi al romano pontefice un potere non certo privo di limiti (a differenza di quanto una grossolana interpretazione della Pastor Aeternus, anche incoraggiata dalla lettura ultramontana che se ne fece all'indomani del Vaticano I, potrebbe far supporre). Un capitolo a parte andrebbe dedicato alla discussione delle famigerate decretali Pseudo-Isidoriane, al contesto in cui furono realizzate ed allo scopo che si proponevano, onde mostrare come una lettura contestuale delle stesse possa gettare nuova luce su tutta la questione di cui qui si discute (così come ha fatto egregiamente da Schatz nel suo volume “Il primato del papa”).
Spero di avere un po' di tempo da dedicare alla cosa entro i prossimi giorni, magari anche solo per scandire ed inserire nel Forum alcuni illuminanti passaggi del bel volume di Tillard e di quello del succitato Schatz.
Per teo: lo so che hai poco tempo, ma che pretendi che mi iscriva ad un corso di Francese?
Almeno sintetizza in italiano alcuni aspetti... :ciuccio: :test:

Per trianello: magari quando confuterai la lettera postata da teo, se lo farai in italiano ci farai un piacere...
ciao
"La cosa più triste è che molto spesso chi viene ingannato, o illuso, tende a rimanere strettamente ancorato a quello in cui crede nonostante le evidenze indichino chiaramente che la realtà è diversa. Forse è talmente affezionato alle sue credenze che preferisce chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie di fronte a qualunque cosa possa farle vacillare."
(Torre di Guardia 1/9/2010 p 10)
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È un documento di una commissione mista, non dovrebbe esserci nulla da "confutare"... :blu:
Purtroppo inglese e francese (almeno) sono indispensabili tra le lingue moderne per poter avere accesso a un minimo di letteratura decente, dunque il consiglio è: si, impara il francese :sorriso:
Ciao,
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Notare che in questo documento la delegazione cattolica non falsifica (come fa di solito) la citazione di Ignazio. È infatti costume dei documenti magisteriali di apologia del primato, citare Ignazio traducendo quelle tre parole: " presiede alla comunione universale della carità " (in riferimento alla chiesa di Roma, naturalmente). Vedasi ad esempio la Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ignazio invece dice semplicemente "che presiede nella carità", espressione così vaga (e anche difficilmente traducibile) che può voler dire tutto e il suo contrario. Il testo della commissione mista lo cita autenticamente: « préside dans la charité » .
Una cosetta per palati fini che però qualsiasi patrologo nota all'istante. Non è molto lontano dal metodo WT
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Tornando sul testo, trovo molto buona la fine del quinto capitolo. Al punto 13 ad esempio si ammette che Giustiniano fissa la Taxis patriarcale con Roma al primo posto senza fare alcuna menzione alla "tradizione petrina". Tra le righe questo vuol dire che tale ordine era fissato su base politica, infatti le sedi sono indicate in ordine di importanza (politica o amministrativa) delle città nel VI secolo, non religiosa, tanto che Gerusalemme finisce bellamente in ultima posizione.
Al paragrafo 14 si racconta di papa Gregorio Magno che rifiuta come inaccettabile che un vescovo (qualunque vescovo) pretenda il titolo di "ecumenico". Rifiuta quindi il titolo di "papa universale", questo anche ci dice qualcosa sulla sensibilità della Chiesa del primo millennio.
Infine il paragrafo 15 descrive chiaramente la svolta filo-franca della Chiesa Romana ("una nuova era nella storia delle rivendicazioni papali") e il ruolo delle false decretali pseudo-isidoriane soprattutto nelle questioni giurisdizionali: "Le Decretali giocheranno un ruolo immenso nei secoli seguenti". Una apprezzabile ammissione da parte cattolica, non c'è che dire.
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Messaggio da Trianello »

Per chi se la cava meglio con l'inglese, qui trovate il medesimo testo in questa lingua:

http://chiesa.espresso.repubblica.it/ar ... 1814?eng=y" target="_blank

Come ha specificato una nota del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, comunque:
"Il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani ha constatato con rammarico che è stato pubblicato, da un mezzo di comunicazione, un testo che è all’esame della Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme.

"Il documento pubblicato è un testo previo, che consiste in un elenco di temi da studiare e da approfondire, finora discusso solo in minima parte dalla suddetta Commissione.

"Nell’ultima riunione della Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, tenutasi a Paphos nell’ottobre scorso, si era stabilito esplicitamente che il testo non sarebbe stato pubblicato finché non fosse stato esaminato nella sua totalità dalla Commissione.

"Ad oggi non esiste nessun documento concordato e pertanto il testo pubblicato non ha nessuna autorità, né ufficialità".
Ergo, c'è molto su cui discutere. Ad esempio, c'è da discutere sul vero ruolo che le decretali Pseudo-Isidoriane hanno avuto in tutta la questione e su che cosa una lettura contestuale delle medesime ci può dire a riguardo del ruolo del Vescovo di Roma così come questo era inteso nel IX secolo. Altra cosa su cui discutere è se il primato del Vescovo di Roma nella Taxis ecclesiale dipendesse dalla tradizione petrino-paolina che questa chiesa custodiva o dal semplice fatto che un tempo Roma era stata capitale dell'impero (cosa che al tempo di Giustiniano non era più da secoli, per cui non si spiega molto il perché a questa fosse comunque lasciato il primo posto, quando invece altre chiese di antichissima tradizione, vedi Alessandria, erano state bellamente "declassate" a favore di Costantinopoli, nuova capitale dell'impero). Una cosa, invece, a mio avviso emerge chiarissimamente dal documento in oggetto, vale a dire il ruolo preminente di Roma nel I millennio, ruolo che il nostro caro Teodoro, invece, non ha fatto che tentare di sminuire, se non azzerare, nel corso dei suoi interventi.
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Non sapevo che il testo fosse non-ufficiale, anche se na avevo avuto il sospetto per la sua assenza dai soliti canali in cui vengono pubblicati questi documenti. Sarà però così molto interessante vedere il testo approvato, quali modifiche avrà e da queste capire (o farsi dire da qualcuno dei delegati) perché.
La questione della presenza di Roma al primo posto va letta nella politica di Giustiniano, nell'idea che non si danno Ρωμαιοι(Roméi, come i bizantini si chiamavano) senza Roma, che non ha senso l'impero romano senza il suo fulcro ideale. Era l'utopia di Giustiniano, nota attraverso le tante fonti che abbiamo di quel periodo (Procopio di Cesarea, Giovanni Malala, Agazia Scolastico, etc.) ed è chiaro che non si può leggere una Novella secondo la teologia di Gregorio VII e avulsa dal contesto che l'ha creata e dalle idee del suo autore. O meglio, lo si può fare, ma senza poi avere la pretesa di essere presi sul serio.
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Perdonami, ma, al limite, l'ideale giustinianeo, che tutti conosciamo, implicherebbe l'inserzione della Chiesa di Roma tra le principali Chiese dell'Impero e, pertanto, come membro della Pentarchia, ma non implica, di per sé, il primo posto della medesima nella Taxis ecclesiale (anche in ragione del fatto che già a Calcedonia si era tentato di scalsarla dal primo posto ed equipararla a Costantinopoli con il famoso 28 canone, giustamente non recepito da Roma). La ragione per cui Roma aveva (da sempre) il primo posto nell'ordine ecclesiale va ricercata, infatti, in una tradizione che si fonda non tanto sul fatto che Roma era stata la capitale dell'Impero, quanto sul fatto che, anche in ragione del suo status di capitale dell'impero, Pietro e Paolo vi si erano recati ed ivi avevano insegnato e dato l'estrema prova della loro fede attraverso il martirio (non a caso le fonti storiche ci confermano il fatto che Roma era una meta di pellegrinaggio, anche per gente che veniva dall'Est, desiderose di pregare sulle tombe dei due apostoli più venerati, fin dal principio del III secolo, seconda, come meta di pellegrinaggio, solo a Gerusalemme).
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Trianello ha scritto:Perdonami, ma, al limite, l'ideale giustinianeo, che tutti conosciamo, implicherebbe l'inserzione della Chiesa di Roma tra le principali Chiese dell'Impero e, pertanto, come membro della Pentarchia, ma non implica, di per sé, il primo posto della medesima nella Taxis ecclesiale (anche in ragione del fatto che già a Calcedonia si era tentato di scalsarla dal primo posto ed equipararla a Costantinopoli con il famoso 28 canone, giustamente non recepito da Roma). La ragione per cui Roma aveva (da sempre) il primo posto nell'ordine ecclesiale va ricercata, infatti, in una tradizione che si fonda non tanto sul fatto che Roma era stata la capitale dell'Impero, quanto sul fatto che, anche in ragione del suo status di capitale dell'impero, Pietro e Paolo vi si erano recati ed ivi avevano insegnato e dato l'estrema prova della loro fede attraverso il martirio (non a caso le fonti storiche ci confermano il fatto che Roma era una meta di pellegrinaggio, anche per gente che veniva dall'Est, desiderose di pregare sulle tombe dei due apostoli più venerati, fin dal principio del III secolo, seconda, come meta di pellegrinaggio, solo a Gerusalemme).
Questo è blabla.
L'unico documento che ha un qualche crisma di ufficialità che abbiamo parla di Costantinopoli al 2° posto non già perché sede apostolica fondata da s.Andrea, ma perché "città imperiale". Questo non è strano, anzi è confermato dalla perfetta sovrapposizione delle giurisdizioni ecclesiastiche della prima metà del IV secolo con la geografia delle diocesi imperiali post-dioclezianea. Questo mostra che la Chiesa concepiva se stessa come la religione dell'impero romano, una parte integrante di questo, e guarda caso i concili ecumenici non li convoca un patriarca (o il papa di Roma) ma l'imperatore, tanto che nella riflessione seriore la convocazione imperiale secondo alcuni diventa uno dei criteri per stabilire se un concilio è definibile come ecumenico oppure no. Se non si ha presente la fisionomia dell'organizzazione ecclesiastica della tarda antichità in relazione al potere imperiale si rischia di leggere gli avvenimenti del IV secolo con gli occhiali della teologia papista dell'XI secolo facendo nella migliore delle ipotesi ciò che con un fine termine tecnico definirei un gran casino.

Un po' di sana ermeneutica ed esegesi delle fonti fa facilmente distinguere la letteratura encomiastica o panegiristica da fonti più neutre; è chiaro che se san Pincopallino vuole, per un motivo X, fare l'elogio della chiesa di Y, tirerà fuori fatti che hanno una rilevanza ecclesiastica, come i trofei di Pietro e Paolo per Roma. Questo vale per Roma e vale anche per tutte le altre città patriarcali, e anche per le sedi metropolitane. Ma pensi che la gente non faceva pellegrinaggi al martyrion di san Filippo a Ierapoli o a quello di san Giovanni a Efeso? E non c'è letteratura con gli stessi toni esaltativi per queste città? Certo che se uno guarda solo allo stesso (sempre quello) testo di Ireneo per fondare la teologia del primato interstellare di Ildebrando di Soana stiamo freschi, rendiamoci conto che questo testo non ci dice niente di particolare.

Ciò detto, i testi encomiastici dei santi sono una cosa, la realpolitik della Chiesa un'altra, e nessuno sano di mente afferma che siano i primi testi a stabilire la taxis patriarcale, pace di chi mischia teologia e storia senza alcun criterio. Ora, l'oggettività dei fatti mostra una netta sovrapposizione delle geografie ecclesiastiche a quelle politiche (come del resto accade anche oggi con le conferenze episcopali), con le sedi metropolitane che guarda caso sono nelle metropoli dell'impero e non nelle città più... "spirituali", i testi conciliari parlano nettamente di un privilegio assegnato "perché città imperiale, perché ha un senato" (sic!), per quale ragione dovremmo mettere in discussione un dato storico così evidente sull'unica base di fonti panegiristiche, isolate, e di nessuna rappresentatività dell'autopercezione della Chiesa imperiale?
Quella che proponi è una lettura partigiana delle fonti, storicamente inaccettabile.
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Teodoro Studita ha scritto:
Quella che proponi è una lettura partigiana delle fonti, storicamente inaccettabile.
L'accusa è facilmente reversibile.

Il diritto romano non concepiva la distinzione tra una sfera civica ed una religiosa (sul tema, rimando ai fondamentali studi di D. Sabbatucci, in particolare “Lo stato come conquista culturale” e “Il mito, il rito e la storia”). Era pertanto ovvio che, a norma del diritto romano, fossero gli imperatori a convocare i concili (il Concilio di Nicea fu convocato da Costantino in quanto Pontefice Massimo), i quali erano intesi sì come eventi religiosi, ma anche come eventi di valenza politica non secondaria (in uno Stato che non poteva né avrebbe potuto definirsi “laico”). La teologia orientale, cresciuta all'ombra dell'Impero ha elaborato, nei secoli, un'ecclesiologia che ha fatto di uno stato di fatto dipendente dal sostrato “pagano” (nota le virgolette) della cultura in cui venne ad svilupparsi lo sfondo su cui edificarsi e su cui giustificarsi. L'Occidente cristiano, invece, si è liberato relativamente presto del fardello “imperiale” (anche grazie al fatto che qui, fatta eccezione per coloro che risiedevano proprio per Roma ed alcuni frammenti dell'Italia, pochi erano i cristiani effettivamente cittadini dell'impero), per cui elaborò un'ecclesiologia differente (relativamente svincolata dalla geografia statuale), in cui più chiaramente emerse la centralità delle Chiesa di Roma come garante e custode della fede apostolica (anche perché, in Occidente, Roma era, in fin dei conti, l'unica chiesa dall'origine apostolica chiaramente riconosciuta).
Il fatto stesso però che, al momento di stabilire la priorità tra le chiese, a Costantinopoli fosse concesso il secondo posto e non il primo (salvo poi il maldestro tentativo di Calcedonia di equiparare la sede apostolica di Roma con la Chiesa imperiale di Costantinopoli), in un tempo in cui ormai Roma era ai margini dell'Impero evidenzia una situazione di fatto in cui il primo posto tra le chiese era pacificamente assegnato a Roma. Dire che questo posto fosse assegnato a Roma per ragioni “politiche” o “nostalgiche” non ha a mio avviso grande senso (anche perché non risulta da alcuna fonte che non sia “tarda” ed orientale che la preminenza di Roma, in ambito ecclesiale, fosse dovuta al fatto di aver ospitato il trono di Cesare, mentre siamo pieni di riferimenti e "lodi" a Roma in quanto sede ospitante le tombe dei due più importanti apostoli). Questo emerge chiaramente anche dalle testimonianze scritte in cui, se è vero che da un lato non mancano elogi ad altre chiese di origine apostolica, è anche vero che Roma viene sempre elogiata lì dove ad altre chiese vengono invece riservati commenti non sempre elogiativi a tutto tondo (penso all'epistola ai Romani di Ignazio o alla Storia Ecclesiastica di Eusebio). Ora, fu al momento di dover trovare una giustificazione per poter anteporre nella Taxis ecclesiale Costantinopoli ad altre chiese di solida ed antichissima tradizione (come Alessandria, per esempio) che non si trovò di meglio che giustificare tale scavallamento tramite il fatto che questa era la seconda Roma in quanto nuova capitale dell'Impero.
Questo non significa che nei primi quattro secoli si concepisse un qualcosa come un primato da assegnarsi al vescovo di Roma, ma, appunto, sarebbe ermeneuticamente errato attenderselo in un'epoca in cui l'ecclesiologia (sia d'Occidente che d'Oriente) era in fieri. A questo punto è comunque da stabilire se sia più “evangelica” una struttura ecclesiale svincolata da ogni riferimento al potere politico e fondata (anche se in scala enormemente più grande) sull'ideale di Chiesa che emerge dal NT (in cui la leadership di un apostolo rispetto agli altri è un dato innegabile), oppure un'ecclesiologia de facto “acefala” (visto che ormai di imperatori non ce ne sono più) e costretta ad adeguarsi alle mutevoli situazioni politiche contingenti (vedi, in questo senso, le rivendicazioni di Mosca in quanto presunta terza Roma) anche per ciò che non riguarda strettamente questioni di ordine meramente logistico-amministrativo. Non c'è dubbio che anche quanto Leone Magno rivendicava esplicitamente la preminenza della sua sede episcopale come pietra di paragone della fede apostolica, questi non lo faceva in nome di un “primato” del papa che era ancora di là da essere concepito (quale frutto più maturo di un'ecclesiologia svincolata da ogni subordinazione alla Stato), ma è altresì indubbio che un tale ruolo per la Chiesa di Roma (quello di pietra di paragone, appunto, per la fede) fosse ampiamente riconosciuto sia in Occidente che in Oriente (e qui soprattutto dai teologi che dato il declino istituzionale e territoriale dell'impero, non erano più sudditi del medesimo). Purtroppo, al momento, non ho i miei libri a portata di mano e non posso avallare quanto vado asserendo con opportune citazioni di fonti e di studi sull'argomento (ai quali preferisco affidarmi in quanto non specialista della materia), ma mi riservo di farlo appena mi sarà possibile... spero presto.
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L'Occidente cristiano, invece, si è liberato relativamente presto del fardello “imperiale” (anche grazie al fatto che qui, fatta eccezione per coloro che risiedevano proprio per Roma ed alcuni frammenti dell'Italia, pochi erano i cristiani effettivamente cittadini dell'impero), per cui elaborò un'ecclesiologia differente (relativamente svincolata dalla geografia statuale), in cui più chiaramente emerse la centralità delle Chiesa di Roma come garante e custode della fede apostolica (anche perché, in Occidente, Roma era, in fin dei conti, l'unica chiesa dall'origine apostolica chiaramente riconosciuta)
Non vedo alcuna evidenza storica di questa ricostruzione. Ad esempio :
- Dove vedresti i segni di una ecclesiologia "relativamente svincolata dalla geografia statuale" nel IV secolo occidentale?
- Dove vedresti il ruolo della Chiesa di Roma come "garante e custode della fede apostolica" nei primi 5 secoli?
Solo per restringere il campo alla prima parte del tuo post. Ragioniamo con le fonti e poi vediamo.
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Aggiungo. Continui a ripetere che l'ecclesiologia dovrebbe essere fondata su
l'ideale di Chiesa che emerge dal NT (in cui la leadership di un apostolo rispetto agli altri è un dato innegabile)
Ora, prescindendo dal problema della trasmissibilità e di quale sede dovrebbe rappresentare la persona di Pietro (questioni tutt'altro che scontate), perché mai se la leadership di Pietro è così innegabile i Padri non ne parlano mai? Ad esempio, come dicevo non mi risulta che abbiamo un solo Padre della Chiesa che legga Mt 16,18 sulla base di una presunta leadership di Pietro. Se fosse così pacifica, dovremmo aspettarci il contrario. Ancora, tutta l'ecclesiologia dei Padri,e più in generale quella che trapela dalle fonti del I millennio, mi sembra piuttosto fondata sulla centralità del vescovo, non di un vescovo particolare sopra gli altri, che dovrebbe fare le veci di Cristo o (meno che mai) essere infallibile. Tutta questa roba nella Tradizione dove mai la vedresti? Non ti sembra che prima di dire "innegabile" bisognerebbe presentare almeno dieci pagine di fonti? O almeno, se non ne hai dieci, qualcosa che sia diverso da zero?
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Caro Teodoro, quando parlo di un'ecclesiologia relativamente svincolata dal contesto statuale, ovviamente, non mi riferisco ai primi quattro secoli, anche se è possibile leggere già a partire dal V secolo i germi di quella concezione di Chiesa che in Occidente ha condotto i cattolici a sentirsi un solo gregge con un solo pastore, vale a dire, in senso stretto, parte di una famiglia che travalica i confini nazionali, lì dove in Oriente, invece, abbiamo, se non ricordo male, qualcosa come cinque Patriarcati (con il Patriarcato di Mosca , la terza Roma, che si è piazzato al posto di quello di Roma, per così dire) e dieci chiese nazionali autocefale (per tacere delle varie chiese autonome), entità in perenne conflitto "giurisdizionale".
Come ho poi scritto alla fine del mio precedente post:
Purtroppo, al momento, non ho i miei libri a portata di mano e non posso avallare quanto vado asserendo con opportune citazioni di fonti e di studi sull'argomento (ai quali preferisco affidarmi in quanto non specialista della materia), ma mi riservo di farlo appena mi sarà possibile... spero presto.
Quindi, mi sembra di essere stato chiaro sul fatto che se non ho citato fonti e studi su cui fondare le mie argomentazioni, questo non dipende dal fatto che questi non esistono, ma dal fatto che, al momento, visto che sono assorto in altre faccende che non mi danno il tempo di mettermi a scandire o a copiare pagine e pagine di libri (anche per l'oggettiva lontananza fisica dai suddetti), non ho la possibilità di citarli in modo adeguato.
Come ho già detto, spero di poter riprendere l'argomento, in modo ordinato (appoggiandomi soprattutto agli studi di Schatz e Tillard), quando mi sarà possibile farlo.

Un caro saluto.
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