Una domanda per Quixote

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Valentino
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Una domanda per Quixote

Messaggio da Valentino »

Posto in "Pensieri & Parole", ritenendola la sezione più idonea.
Caro Quixote mi rivolgo direttamente a te, essendomi nota la tua passione per Leopardi.
Di recente mi sono imbattuto in un vecchio video di un seminario universitario di Carmelo Bene.
Ad un certo punto in questo video (ovvero al minuto 21:55) Carmelo Bene fa un riferimento alla poesia leopardiana parlandoci delle "note" o "scalette" che Leopardi usava per comporre le sue poesie. Vorrei chiederti caro Quixote dei riferimenti bibliografici per poter leggere queste note.
Ti ringrazio in anticipo per qualsiasi aiuto puoi darmi in merito.
Un caro saluto!

[youtube][/youtube]
illustri autori quali E.P. Sanders, Geza Vermes, Dale Allison, Paula Fredriksen e tanti altri [...] su un punto concordano tutti:
Gesù non trascorse il suo ministero a proclamarsi divino.
B. Ehrman

Gesù non fu cristiano fu ebreo. J. Wellhausen

I soli uomini a vivere, lungo tutto il medioevo, a imitazione di Gesù furono gli ebrei. K. Jaspers

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Quixote
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Messaggio da Quixote »

Non è un discorso facilissimo. Gli argomenti e abbozzi di poesie e prose di Leopardi sono ben noti, e si trovano nelle raccolte di tutte le opere di Leopardi (Flora, Binni Ghidetti, Damiani-Rigoni, Felici-Trevi). La difficoltà non sta nel reperirle, i testi si trovano anche in rete (ti passo sotto il link) ma nell’inquadrarle nel discorso di Carmelo Bene, che a parte la phoné, filologicamente parlando, si pone un problema che anche noi ci poniamo quando parliamo, per es., della Bibbia (e il discorso vale per qualsiasi opera): dove sta l’originale, nel concetto o nella sua realizzazione? E fra concetto e realizzazione (nel discorso di Bene ulteriormente complicata dalla recitazione dell’attore) corrono vari gradi, che Bene esemplifica con l’esempio di Leopardi, i cui autografi permettono di conoscere a fondo il metodo da lui seguíto (in realtà ne usa diversi, non sono facilmente generalizzabili, ma questa è roba per gli specialisti). Per capire meglio è bene partire da una lettera del 1824 che Giacomo scrisse al cugino Giuseppe Melchiorri di Roma, che gli aveva chiesto di scrivere una poesia d’occasione per la morte di un suo conoscente;
Caro Peppino. Non avete avuto il torto promettendo per me, perchè avete dovuto credere che io fossi
come sono tutti gli altri che fanno versi. Ma sappiate che in questa e in ogni altra cosa io sono molto
dissimile e molto inferiore a tutti. E quanto ai versi, l'intendere la mia natura vi potrà servire da ora
innanzi per qualunque simile occasione. Io non ho scritto in mia vita se non pochissime e brevi poesie.
Nello scriverle non ho mai seguìto altro che un'ispirazione (o frenesia), sopraggiungendo la quale, in due
minuti io formava il disegno e la distribuzione di tutto il componimento.
Fatto questo, soglio sempre
aspettare che mi torni un altro momento, e tornandomi (che ordinariamente non succede se non di là a
qualche mese), mi pongo allora a comporre, ma con tanta lentezza, che non mi è possibile di terminare
una poesia, benchè brevissima, in meno di due o tre settimane. Questo è il mio metodo, e se l'ispirazione
non mi nasce da sè, più facilmente uscirebbe acqua da un tronco, che un solo verso dal mio cervello. Gli
altri possono poetare sempre che vogliono, ma io non ho questa facoltà in nessun modo, e per quanto mi
pregaste, sarebbe inutile, non perch'io non volessi compiacervi, ma perchè non potrei. Molte altre volte
sono stato pregato, e mi sono trovato in occasioni simili a questa, ma non ho mai fatto un mezzo verso a
richiesta di chi che sia, nè per qualunque circostanza si fosse […]
La frase che ho messo in neretto equivale appunto a quel “notava e scalettava" Di Camelo Bene, ed è ben attestata da alcuni abbozzi, che trovi anche sul sito della Sapienza, alla pag.:

http://www.bibliotecaitaliana.it/catalo ... &undefined" onclick="window.open(this.href);return false;

Senza stare a scorrere tutti i risultati (approssimativamente 150), già nella prima pagina trovi tre Argomenti giovanili (di Elegie, di Idilli, di una Canzone ecc. che poi in realtà diverrano due – All’Italia e Sul monumento di Dante – non a caso è diviso in due paragrafi). Ti interesserà anche la terza voce, Ad Arimane, che è del 1833, i cui primi quattro versi sono già compiuti, ma il resto è per l’appunto una sorta di scaletta, da mettere in versi. Non so come ma Bene ha saputo darne un’affascinante lettura, perché meglio d’altri sa cogliere quanto di magmatico esista in questi abbozzi, alcuni dei quali, come appunto è il caso di Ad Arimane, non verranno mai portati a compimento; un altro caso affascinante è quello di un romanzo autobiografico che non vide mai la luce, ove nella stesura piú lunga (la prima, del 1819) ti sembra quasi di leggere l’ultimo capitolo dell’Ulisse di Joice, i segni di punteggiatura (altro tema toccato da Bene) quasi non esistono, lo scritto quasi equivale al parlato. Questo lo trovi anche sul mio sito, anche in PDF (con commento):

http://www.fregnani.it/leopardi/studi/A ... omanzo.pdf" onclick="window.open(this.href);return false;

Spero essere stato chiaro, l’argomento non è dei piú semplici, e qui non ho detto che l’essenziale, in maniera sintetica e non sempre precisa. Sono a tua e vostra disposizione se desiderate qualche ulteriore chiarimento.
Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς.
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
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Messaggio da Quixote »

Mi è venuto a mente che su Leo e Carmelo Bene avevo già scritto sul forum, nel seg. thread:

https://forum.infotdgeova.it/viewtopic.p ... 67#p184267" onclick="window.open(this.href);return false;

Noto che vi sono molte consonanze col suo seminario, che confesso, ho visto e ascoltato solo dopo che Valentino me lo ha segnalato; fra le altre il richiamo al divino e all’infinito, che nella mia lettura di non credente equivale a quella di Bene; nonché il rimando a Nietzsche, grande lettore di Leopardi, e al sistema copernicano, quando parlo di Cusano, Copernico appunto, e Galileo.

Per inciso noto ora che il mio file PDF è protetto contro la copia e la stampa. Per chi non sapesse toglierne la protezione, caso mai interessasse a qualcuno, la password è scartoff.
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Messaggio da Valentino »

Carissimo Quixote, innanzitutto grazie mille per l'interesse e per la celere risposta.
Non per piaggeria ma devo dirti che è stato un piacere leggerti (e ancor di più sarà un piacere leggere i links che mi hai suggerito), anche perché mi hai riportato al punto di partenza chiudendo letteralmente il "cerchio"!
Certo non pensavo che fosse difficile reperire i testi in oggetto ma ho pensato di rivolgermi direttamente a te per qualche riferimento bibliografico anche perché, a mia vergogna, devo dire che nella mia biblioteca personale nella "sezione letteratura" puoi trovarci, giusto per fare un esempio, tutte le opere di E. A. Poe in lingua originale, ma nemmeno una striminzita antologia delle opere di Leopardi.
A dirla tutta troveresti pochissime opere di letteratura italiana (giusto la Commedia di Dante!) in quanto ho sempre prediletto la letteratura antica e la letteratura straniera.
Come sono arrivato a chiederti di Leopardi passando per Carmelo Bene?
Di recente (per brevità non mi dilungo sulle circostanze) mi sono occupato di quella tecnica narrativa definita nel mondo anglosassone "stream of consciousness" (flusso di coscienza), tecnica narrativa che ritroviamo appunto in Joyce.
Ora io non mi sono mai interessato a Carmelo Bene né alla sua opera e men che mai mi è capitato di vederlo recitare in qualche spettacolo teatrale registrato.
L'unico ricordo che conservavo di lui è una vecchia puntata del "Maurizio Costanzo Show" che vidi da adolescente molti anni fa: all'epoca mi fece simpatia questo attore (per me del tutto sconosciuto!) che mi apparve essere alquanto eccentrico.
A distanza di anni ho cercato Carmelo Bene su youtube proprio perché occupandomi di Joyce e della sua tecnica narrativa ho letto che Carmelo Bene era tra coloro che erano stati influenzati dalla lettura del suo Ulisse.
Il tuo PDF "Abbozzi per un romanzo autobiografico" con i suoi riferimenti a Joyce cade a fagiolo perché sono arrivato ad interessarmi a Leopardi proprio partendo da Joyce!
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Messaggio da Quixote »

Non solo Joyce, ma anche Edgar Poe è inquietante, per la sua estrema razionalità, che stride terribilmente con l’abisso psichico che indaga. Per molti versi mi ricorda proprio Leopardi: pochi lo sanno, ma ha scritto pagine molto intelligenti e preveggenti sul valore della quantità vocalica nel latino, era tutt’altro che uno scrittore di soli gialli e horror, aveva una solida cultura classica. Ma confesso che in lingua originale ho letto di lui solo qualche lirica, o poco altro.

Venendo ai miei “Abbozzi" puoi affidarti a loro con relativa fiducia. È un lavoro grezzo, ma discretamente aggiornato. D’Intino, citato in bibliografia, è il piú autorevole studioso degli ultimi decenni, ma ci sono altri che non ho citato, forse lo farò in una prossima versione piú aggiornata e precisa.

Io poi non sono, propriamente, nemmeno un filologo leopardiano. Per studi sono piuttosto un filologo romanzo, quindi comprendo a volo quel che Carmelo Bene dice dei trovatori provenzali o di Dante (quello dello Stll novo però, piú che della Commedia, comunque ineludibile). Può sembrare che siamo lontani dalla modernità, comunque intesa, ma ti assicuro che Bene ha perfettamente ragione quando dice che in Dante c’è scritto caveva e non c’aveva. Non so se questa espressione si ritrovi mai in Dante, ma di certo, se leggete i codici antichi, prima della stampa, vi troverete, al primo verso dell’Inferno:

Nel mezzo del cammino di nostra vita

Vale a dire dodecasillabo invece che endecasillabo (cioè Nel mezzo del cammin di nostra vita). Lo scritto tradisce, non rispetta la lettura orale: se in Petrarca trovate tecto in rima con detto, è ovvio che Petrarca (il codice è parzialmente autografo) scrivesse tecto, alla latina, ma pronunciasse tetto. E cosí via, Bene ha tutte le ragioni per stigmatizzare questa «idiosincrasia», com’egli la chiama, questa divergenza fra parola pronunciata e parola scritta, nel suo discorso sulla phoné.

Può sembrare roba di poco conto, da filologi formali, qual io sono, ma in realtà mette in gioco dimensioni inconsce di noi che per l’appunto giungono alla Stein o a Joyce. E per restare ai fini critici del forum, ove sta la Bibbia, di cui non conosciamo l’originale (sc. Dio)? Nella lettera, nel suo trascorso filologico (vale a dire nei suoi passaggi fra copisti e copisti) o nel suo concetto, che Carmelo Bene denuncia tradíto già nella scaturigine? Non è che io abbia venerazione particolare per lui, anzi me ne discosto, in quanto materialista, e restio a una critica estetica di tipo francese, alla Roland Barthes. Ma le loro suggestioni non mi passano sopra senza ferirmi (altro termine usato da Bene), mi rendo conto che ci devo fare i conti, e che a volte le mie risposte divergenti non sono del tutto adeguate.

Se poi da quanto sopra passo alle elucubrazioni geoviste sulla sacralità e letteralità della Bibbia, un testo che davvero non esiste, o non si capisce dove esista, in quanto frutto di elaborazioni e complicazioni scaglionate nei secoli, da parte di autori che nemmeno conosciamo, e comunque lontane dal Concetto originario, non scritto, per privilegiare la sua gretta materialità, mi si perdoni l’ironia, mi sembra di passare dalle stelle alle stalle.
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