Solite pappardelle ripiene delle solite egotiche apologie, che non meriterebbero replica: non ci frega nulla di preconcetti, idiosincrasie personali, di ripetitivi vittimismi, di confusioni fra «categorico» con quel che ti dà torto, di «crociate», del «giudicare», di «pessimismi striscianti» ecc. ecc. L’unica cosa che merita risposta, perché unica attinente al quesito posto, e in topic perché condivisa dai Neocatecumenali, è la conclusione:
Vieri ha scritto:In conclusione libertà assoluta di pensiero, nessun giudizio specie rivolto al personale ma considerare anche obiettivamente che l'attuale concetto di società che si basa meno sulla famiglia in senso tradizionale e più su altri valori detti "libertari" e "moderni" non stia dando dei bei risultati fra TRAGICA riduzione delle nascite e fenomeni sempre più allarmanti di educazione dei figli con i recenti fenomeni di bullismo, di intolleranza politica e civile verso anche chi è più svantaggiato.
A questo si era già risposto in un intervento precedente, rimarcando da parte cattolica la confusione fra effetto e causa: la famiglia “irregolare” non è causa di alcun sfascio, al contrario è il
portato logico dello sfascio, dovuto proprio, ove si volesse trovare una causa, al fallimento della famiglia tradizionale, evidentemente inadeguata e incapace di corrispondere alle sfide sociali che una società non piú patriarcale, ma libertaria, educata su valori laici, obbligata a corrispondere in modo appropriato a un mondo globale e altamente tecnologizzato, propone, e dovrei meglio dire impone. E poiché anche Kiko gode di tutti i vantaggi utilitari che questa società offre, elicottero compreso, è contraddittorio che proponga “riforme” conigliesche che detta società respinge. Infatti la riduzione delle nascite rientra perfettamente nello schema: lungi dall’essere «tragica» essa è necessaria, obbligatoria: Dio aveva dato indicazione all’uomo di fiorire, aumentar di numero, e riempire la terra; l’uomo al solito ha esagerato, e oltre ad aver arrecato danni incalcolabili all’ecosistema, ha anche pensato bene di sovrappopolarla, col bel risultato che, se tutti obbedissimo alle direttive di un irresponsabile, nel giro di due generazioni ci sbraneremmo a vicenda.
Ciò premesso, il quesito posto, eluso da Vieri, era:
è la convivenza una forma di famiglia di dignità inferiore al matrimonio? Se sí per quali ragioni oggettive? La sua precedente conclusione era che
non sia proprio la stessa cosa visto che il risultato e scopo di una famiglia vera sia quello di avere dei figli e di amarsi e rispettarsi fin che morte non ci separi
Conclusione errata per piú motivi: innanzitutto quel ‘vera’ rimane da dimostrare: si dà per scontato che vera sia la famiglia tradizionale (con corollario che le altre sarebbero “false”), ma questo è proprio il punto in discussione, sicché tale aggettivo,
vera, altro fin qui non resta che un cortocircuito del pensiero. In secondo luogo, proprio non si capisce lo strano sillogismo per cui «risultato e scopo» (arbitrariamente confusi, perché pertinenti in maniera diversa) debba essere far figli e amarsi e rispettarsi ecc.: ’amarsi’ non è affatto necessario al matrimonio, se non nella nostra relativa società figlia del Romanticismo; e comunque ci si può sposare, usando l’idioletto di Vieri, sia per philia, che per eros, che per agape (non necessariamente compresenti e non necessari tout court), ma anche per convenienza, utilità, tornaconto e quant’altro. Quanto al rispettarsi questo è comune e auspicabile in ogni forma di contratto o rapporto umano in genere, non una prerogativa propria del matrimonio sicché non se ne coglie la peculiarità nel contesto.
Riguardo poi ai figli ci si può sposare anche se impossibilitati ad averne, vuoi per età, sterilità o altro, quindi i figli non rappresentano un elemento fondamentale e portante del matrimonio. Lo Stato infatti non richiede particolari prerogative, a parte ovviamente quella del’età, per altro fluttauabile in casi particolari. Richiede solo l’osservanza del noto art. 133 C.C., ergo quanto sopra sono ancora chiacchiere: del «risultato» si è già implicitamente detto: il risultato è quello che si verifica in concreto, e in concreto si è verificato e si sta tuttora verificando: ovvero l’inadeguatezza della vecchia istituzione matrimoniale, in crisi perché non è piú una risposta condivisa alle sfide che la società impone, che richiede risposte diversificate. Quanto allo «scopo», invece, di per sé il matrimonio non ha alcun scopo, è l’individuo e la comunità che glie lo danno, in maniera a volte divergente: di fatto, come si è mostrato sopra gli scopi dei singoli sono diversificati ed eterogenei. Per altro, finché leciti, vengono e/o vanno, se non condivisi, accettati.
L’errore di fondo della frase è che si doveva parlare non di scopo o risultato, ma di
essenza del matrimonio. Purtroppo però anche qui dobbiamo constatare che né l’amore né i figli, la costituiscono, per le ragioni già esposte; senza contare che l’esemplificazione di forme di matrimonio, riconosciuto dalla comunità, assai diverse dalla Sacra Famiglia l’abbiamo portata tante altre volte, e non voglio ancora tediare ripetendo l’ovvio nel dettaglio: nel tempo e nello spazio il matrimonio è connotato e impostato diversamente, cosí come il tipo di educazione e le modalità della custodia e crescita dei figli. Di fatto, oltre a rivelarne la natura di nucleo sociale, diversamente connotata dalle diverse società e da esse riconosciuta, l’unica vera essenza che possiamo rilevare, nel matrimonio “tradizionale”, è quella di essere l’unione di un uomo e una donna, e mettiamo pure a fini, per altro elastici, di convivenza e partecipazione alla vita. Stop. Posto questo dato, unito a quelli precedenti, non si capisce dove il matrimonio si differenzi dalla convivenza, se non per la diversa regolamentazione giuridica. I figli costituiscono materia a parte, la cui tutela è socialmente prioritaria, ma questo non c’entra nulla col matrimonio in sé, non essendone attributo fondamentale. Attendiamo quindi una risposta pertinente sulla dignità dei due tipi di unione, matrimonio e convivenza, perché quella di sostenere che «non ci sono coppie di serie A e di serie B se in queste esiste la parola "agape"» si è dimostrata inconsistente: le coppie senza agape esistono sia nella forma A (matrimonio tradizionale) che nella forma B (convivenza) quindi ciò non costituisce obiezione.