Buongiorno a tutti, mi scuso per il ritardo nella risposta al post di virtesto ma la verità è che l’ho visto solo 10 giorni fa, tra l’altro scorrendo in basso le discussioni per puro caso, e fino ad ora sono stato in vacanza nelle Marche quindi ero impossibilitato a rispondere. Mi duole vedere che vengano riprodotte delle argomentazioni che avevo già affrontato, ma siccome
rapetita iuvant…
“Riprendiamo dalla parte finale del mio post nel quale cito Polymetis che afferma , a proposito di Giacomo: “ Per me Giacomo era fratello di Gesù in senso semitico” Ci riferiamo al versetto di Galati 1/19 che dice:
“ …degli apostoli non vidi nessun altro, se non il fratello del Signore”
Sulla vertenza ‘fratelli e sorelle di Gesù’ Poly si basa completamente sul significato semitico della parola’ fratello’ che ha una valenza ampia: il vocabolo ebraico ‘ah’ ha il significato di fratello carnale o cugino o parente od altro ma, secondo Polymetis, non solo se si scrive in ebraico ma anche quando lo si traduce in greco. La confusione perdura nei secoli…..
Ed è proprio sul ‘semitismo/semitico’ che casca l’asino…..
Paolo era di Tarso in Cilicia, cioè Turchia, di fronte all’isola di Cipro. Lì si parla greco. Senza dubbio nella sua fanciullezza giocava a rimpiattino coi suoi coetanei del posto, di lingua greca ovviamente. Sulla sua famiglia, o perché abitava lì, ci sono solamente supposizioni, niente di storico, solamente agiografia. Di certo c’è quello che segue qui sotto.
“”E Paolo dimostra di avere ricevuto poi una solida formazione greco-ellenista. Tarso,secondo il geografo greco Strabone, in quel periodo , come centro culturale ,superava perfino Atene ed Alessandria. Infatti Paolo, parlando della sua città Natale ad un comandante militare disse che era “Una non oscura città” Atti 21/37-39. Nelle sue Lettere traspare, fra l’altro, il metodo retorico della diatriba (Rom 2/27-3,8),poi alcune citazioni implicite di concetti e pensatori ellenisti: i temi stoici dell’autosufficenza in 2/Cor 9/8 e Fil. 4/11-12, dell’immanenza di Dio in Rom 11/36, Col1/16, della teologia naturale in Rom 19/20, la moderazione cinica in 1/Tess1-8;
Epimenide in Atti 17.28, citando ‘fenomeni’ del poeta cilicio Arato e ‘Inno a Zeus’ del filosofo stoico greco Cleante; Menandro in 1/Cor.15.33; la conoscenza della ‘cose invisibili’, le ide di Platone, in 2/Cor 4.18; 5,7;Col 1.5.; l’uso dell’allegoria com’è usata da Filone in Gal 4/24-26. A volte, consultare Wikipedia, aiuta.
Ma ho trovato un’altra fonte ,che spero possiate rintracciarla Googlando: “ Paul- and his- use- of- greek- philosophy” ; qui il ricercatore ci mostra tanti versetti di Atti e Lettere di Paolo e ci accosta la fonte dalla quale Paolo ha attinto; ovviamente qui vi scrivo la sintesi, poi, per chi vuole, sarebbe molto interessante rintracciare quel Link per valutare gli accostamenti.
1/Cor.15.33 deriva da un’opera di Menandro che, a sua volta, riprende da Euripide
Tito 1/12 riprende da Epimenide == Atti 17/24-29 si collega a Seneca == Atti 17/28b con Phaenomena di Aratus === Gal.5/23b e Rom. 2/14b con Aristotele === 1/Cor. 9/24a da Platone === Rom 7/22,23 ancora da Platone == Fil. 3/19 dalla ‘Repubblica’ di Platone == Rom 8/5 e Gal. 6/8 da Platone = 1/Cor. 4/4 Platone === 2/Tim 4/6 Platone == 1/Cor 13.12 Platone === 1/Tess 5/15 Platone === e altri ancora che riprende da Platone; poi altri tre versetti si riferiscono a Socrate.
Ho citato un po’ di versetti per incuriosire e andare a verificare se quel ricercatore ha barato o meno, da parte mia , per altre ricerche già effettuate e scritte, ma sulle quali qui non è il caso di dilungarsi, molti studiosi accostano Paolo al pensiero di Filone Alessandrino, altri ritengono Paolo un proto-gnostico ( “The gnostic Paul” di Elaine Pagel ) per cui, in ogni caso, si va ad Alessandria d’Egitto e non a Gerusalemme.”
Tutta questa disamina è inutile. Io non ho mai negato che Paolo sapesse scrivere perfettamente in greco, ma qui si tralascia un fatto già esplicitato: “Fratello del Signore” nella Chiesa antica era un titolo onorifico per i membri maschi della famiglia di Gesù, e dunque andava lasciato così. Si tratta dunque di una traduzione: non di un testo preesistente, giacché non è che la lettera ai Galati sia stata scritta in ebraico, ma di un titolo onorifico pre-esistente. Questo è il motivo per cui quanto Paolo NON sta traducendo dall’ebraico può usare anepsios, mentre se sta traducendo dall’ebraico usa adelphos, in questo adeguandosi alla LXX che non traduce mai adelphos con anepsios o con altre parole che in greco esistono.
Su questo avevo già citato Blinzler:
“
Occorre prendere le mosse dal fatto indiscutibile, e indiscusso, che nella chiesa primitiva i parenti maschi di Gesù costituivano un gruppo a sé accanto agli apostoli (At 1,14, 1Cor 9,5) e godevano di altissima stima. Ora si può tenere per certo che questi uomini, anche se erano soltanto cugini di Gesù, nella chiesa di lingua aramaica erano chiamati “i fratelli del Signore”. Non esiste infatti in quella lingua alcuna espressione concisa per definire questo rapporto di parentela, inoltre proprio questo titolo esprimeva il particolare riguardo riservato a quel gruppo di persone. Del resto già Giovanni Crisostomo , indicando nel nome di fratelli del Signore un σεμνολόγημα (hom. In Gal 1,19), aveva compreso che si trattava di una specie di titolo onorifico. Ma una volta che questo titolo onorifico fosse stato adottato dalla Chiesa primitiva, è storicamente pressoché impensabile che nell’ambito greco della chiesa ci si fosse rifiutati di darlo ai parenti del Signore. Dato che il passaggio della tradizione dalla forma aramaica a quella greca verosimilmente avvenne nelle comunità bilingui (come quella di Antiochia, ad esempio), talvolta si è obiettato che si sarebbe usata la parola ἀνεψιός, se i fratelli del Signore non fossero stati veramente tali. Ma questo argomento non regge. Perché quegli ambienti dovrebbero essere stati assolutamente più pedanti dei LXX, che pure certamente parlavano le due lingue e ciononostante hanno tradotto alla lettera in greco la parola ebraica che significa fratello, anche là dove era evidente che non si trattava di autentici fratelli? Ma soprattutto, chi sostiene questa argomentazione, ha trascurato il fatto che il nome di fratelli del Signore doveva essere tradotto alla lettera se si trattava di un predicato saldamente radicato, anzi di un titolo onorifico” (J. Blinzler, I fratelli e le sorelle di Gesù, Brescia, Paideia, p. 54-55)
Quindi come ripeto:
Paolo può usare anepsios quando vuole e parla di suo cugino, o del cugino della sua portinaia, ma non quando parla dei “fratelli del Signore”, perché per quel gruppo di parenti maschi di Gesù fa un calco del titolo onorifico aramaico in uso presso la Chiesa antica. Ovviamente non avrebbe avuto senso tradurre “i cugini del Signore”. Infatti l’espressione “fratelli del Signore” ha una pregnanza maggiore nelle lingue semitiche proprio perché indica qualsiasi parente prossimo, e anche una fratellanza spirituale, e tutto ciò insieme. Mentre il termine cugino non ha questa pregnanza.
Questo è il motivo per cui la doppia presenza di “anepsios” e di “adelphos” in Paolo non dimostra che se usa il primo per indicare dei cugini, allora non possa usare il secondo per indicare dei cugini, perché nel II caso è la traduzione di un titolo.
“A questo punto mi domando se Paolo era veramente un ebreo! Perché la “immersion” di Paolo nel mondo greco è veramente ‘full’ cioè totale. E c’è dell’altro: Paolo, quando nelle sue Lettere cita l’Antico Testamento, diverse fonti mi dicono che lui usa la famosa traduzione in greco dei LXX ; qui si parla del testo sacro degli ebrei il “Tanakh”.E’ strano che un bilingue usi la traduzione invece della lingua originale, perché l’uomo di fede e di cultura, come era Paolo, in genere si compiace di usare la lingua originale e snobba le traduzioni. Forse sapeva parlare in ebraico ma non scriverlo…”
Quello che dici non ha senso. Innanzitutto l’intero Nuovo Testamento cita dalla LXX, sebbene non in maniera sistematica. Se scriveva in greco, avrebbe comunque dovuto tradurre la citazione biblica dall'ebraico al greco, visto che i suoi lettori non conoscevano questa lingua. Quindi perché perdere tempo a fare una nuova traduzione dall'ebraico in greco quando ce n’era una giù disponibile? Ha semplicemente usato la via più comoda. Ma non sistematicamente.
“In ogni caso è evidente che Paolo “pensava” in greco e non in aramaico e quando scrive che Giacomo era fratello del Signore lui non sta traducendo un testo ma invece mette per iscritto un suo pensiero.”
Non sta traducendo un testo, ma un titolo.
“
E non poteva nemmeno essere un cugino perché Paolo avrebbe usato, come in Col 4/10 la parola appropriata “Anepsios”, che vuol dire appunto “cugino”. In greco, a differanza dell’ebraico c’è il vocabolo giusto per ‘fratello’ un altro per ‘cugino’ ed un altro ancora per ‘parenti’ in generale. Inoltre è nella Lettera ai Galati che Paolo chiama Giacomo come fratello di Gesù e in Galazia si parlava greco”
Come già spiegato l’uso dei due termini non prova niente. Non lo proverebbe neppure se NON si trattasse della traduzione di un titolo onorifico. Infatti anche in italiano, pur essendoci un termine specifico, cioè “cugino”, possiamo usare un termine più generico, cioè “parente”. Orbene, non è che se chiamo qualcuno “mio cugino”, questo mi vieti di chiamarlo altrove “un mio parente”. Similmente se adelphos può significare parente, il fatto che da qualche parte usi termini di parentela più specifichi, non impedisce di usare i generici. Ma il nostro caso come ripeto è un altro: Paolo parla di “fratelli del Signore” perché quello era un titolo onorifico per i parenti maschi di Gesù, magari pure parenti di vario grado, all’interno della Chiesa antica,
“
Poi ripresentiamo 1/Cor. 9/5 dove è scritto: “ Non abbiamo l’autorità di condurre con noi una sorella come moglie, come anche il resto degli apostoli e di fratelli del Signore e Cefa?
Questo versetto è commentato nel Grande Lessico del N.T. dal grande biblista Hermann Von Soden, i suoi studi sulla Bibbia vengono definiti ‘monumentali’ , il quale sottolinea l’importanza di questo versetto e lo definisce come: “Il più antico testo neotestamentario il cui contesto e la cui struttura escludono che si possa interpretare l’espressione “fratelli del Signore” in senso traslato”. Perché lì nel versetto sono tutti fratelli in fede ma sul come quei fratelli vengono descritti in modo spezzettato vuol dire che Paolo voleva far intendere altro.”
L’hai già detto, e ti ho pure già risposto. Questo testo esclude solo che “fratelli” vada interpretato in senso di “fratelli in fede”. Ma siccome non è questa la tesi che difendo, mi chiedo che senso abbia citarla. Per me “fratelli del signore” è il gruppo dei parenti maschi di Gesù nella Chiesa antica.
“Occorre ora riandare a considerare l’Antico Testamento e l’uso della parola aramaica ‘ah’ che vuol dire fratello ma anche cugino o parente. Nel mio precedente post , citando sempre il libro di Jean Gilles, si indicavano alcuni versetti nei quali appariva la parola ‘fratello’ e si indicavano anche altri versetti , nello stesso contesto, che dimostravano l’esatto grado di parentela cioè se veri fratelli o cugini. Anche nei tempi antichi quindi non c’era confusione sul grado di parentela.
Polymetis rispondendo qui, andate a vedere, esprime il massimo della contorsione, ma perlomeno esce fuori che ,dice lui, anche se quei versetti appioppano il giusto grado di parentela poi: “..ciò non implica che non esistano altri passi in cui fratello significa cugino”
Il piccolo dettaglio qui, si fa per dire, è che Poly non cita nessuno degli “altri passi” quindi il suo ragionamento, contorto, non vale una mazza.”
Allora lo rispiego, perché è evidente che il concetto non è immediato. Se qualcuno vuole dimostrare che un termine ha un significato, non può che citare i casi in cui possiamo provare che ha quel significato. Vale a dire che se ti devo dimostrare che “’ah” significa anche cugino o parente, per forza di cose devo citarti versetti in cui, in altri punti, veniamo a sapere che quei fratelli sono cugini. Mi spieghi come sarebbe mai possibile citarti un versetto in cui “’ah” significhi cugini, e tuttavia non posso provarti che significhi cugini? La tua richiesta non ha senso. Sarebbe come se tu mi chiedessi un testo in cui ‘ah significhi cugini, e tuttavia non siamo sicuri che significhi cugini. Quando si fa un’indagine lessicale, per provare che un termine ha un significato, non si possono ovviamente citare i casi ambigui, dei quali non sappiamo quale sia il significato, ma solo i casi in cui, per qualche motivo, riusciamo a estrapolare che il significato è quello che a noi interessa. Ma ciò non significa che il termine abbia quel significato solo in quei luoghi, significa solo che quei luoghi sono i soli in cui siamo certi che esista. Possono esserci altri luoghi dove ha quel significato, ma ovviamente, come potremmo citarli? La tua richiesta non ha senso, perché mi stai chiedendo un luogo in cui ‘ah significhi sicuramente cugino, e al contempo però non dovremmo poter capire che significa cugino. Capisci che la richiesta è contraddittoria.
“Naturalmente, sempre secondo Poly, nella traduzione in greco dell’A.T. , cioè la LXX, perdura lo stato confusionale sull’uso di ‘adelphos’ cioè ‘fratello’ in greco.
Qui cito un famoso esegeta che Poly conosce bene perché lo ha citato in precedenti discussioni a sostegno di sue tesi; parlo di John P. Meier, un esegeta cattolico americano; nel suo libro :”A marginal Jew” Ed. 1991, p.325:
“Non è affatto vero che ‘adelphos’ è usato regolarmente nella LXX per designare il cugino , è usato solamente in 1/Cron. 23/22”
E’ interessante, molto, che nel suo post Poly mostra questa scrittura citata sopra, ma lo fa per dimostrare, ancora una volta, lo stato confusionale; cioè quel versetto è la NORMA di comportamento di traduzione nella LXX, mentre invece , secondo John P. Meier quel versetto rappresenta l’ECCEZIONE.”
No, non è l’eccezione, è la norma. E possiamo vederlo in due modi. Il primo dimostrare che la LXX, in presenza di ‘ah, traduce SEMPRE così, quale che sia il grado di parentela, e anche se esistono termini differenti in greco. Se insomma allarghiamo lo sguardo da dove ‘ah significhi cugino a dove ‘ah significa altri gradi di parentela, possiamo stilare una lista davvero abbondante e renderci conto che, quale che sia la parentela, i LXX rispettano il semitismo:
1)Gn 13,8: Abramo a Lor, figlio di suo fratello: “noi siamo fratellI” (. ὅτι ἄνθρωποι
ἀδελφοὶ ἡμεῖς ἐσμεν)
2)Gn 14,14: Abramo udì che “suo fratello” (intende dire suo nipote Lot) era stato fatto prigioniero: “ἀκούσας δὲ Αβραμ ὅτι ᾐχμαλώτευται Λωτ ὁ
ἀδελφὸς αὐτοῦ..”
3)Gen 14,16: Abramo liberò “Lot, suo fratello” (καὶ Λωτ τὸν
ἀδελφὸν αὐτοῦ ἀπέστρεψεν)
4)Gen. 24,48: Batuel, nipote di Abramo, è detto suo fratello. “λαβεῖν τὴν θυγατέρα τοῦ
ἀδελφοῦ τοῦ κυρίου μου τῷ υἱῷ αὐτοῦ”
5)Gen. 29,12: Giacobbe dice di sé che è «fratello» di Labano, perché è figlio di sua sorella Rebecca, cioè suo nipote. καὶ ἀνήγγειλεν τῇ Ραχηλ ὅτι
ἀδελφὸς τοῦ πατρὸς αὐτῆς
6)Gn 29:15 Labano a Giacobbe, figlio di sua sorella: “tu sei mio fratello” Εἶπεν δὲ Λαβαν τῷ Ιακωβ Ὅτι γὰρ
ἀδελφός μου εἶ
7)Gen 31:23 Labano inseguì “con i suoi fratelli”, vale a dire con i suoi parenti maschi, il fuggiasco Giacobbe. παραλαβὼν πάντας τοὺς
ἀδελφοὺς αὐτοῦ μεθ' ἑαυτοῦ ἐδίωξεν ὀπίσω αὐτοῦ
8)Gn 31,32 Giacobbe, riconciliatosi con Labano, parla a proposito dei loro comuni parenti di “nostri fratelli” (οὐ ζήσεται ἐναντίον τῶν
ἀδελφῶν ἡμῶν) e in 31,37 dei “miei e tuoi fratelli” (ἐναντίον τῶν ἀδελφῶν μου καὶ τῶν ἀδελφῶν σου).
9)Gs. 17,4: Le figlie di Zelofcad dichiarano: "Jahvé ha ordinato a Mosè di darci l'eredità in mezzo ai nostri fratelli" (λέγουσαι Ὁ θεὸς ἐνετείλατο διὰ χειρὸς Μωυσῆ δοῦναι ἡμῖν κληρονομίαν ἐν μέσῳ τῶν
ἀδελφῶν ἡμῶν.): non si può trattare di loro veri fratelli, perché il loro padre, secondo 17,3, non aveva nessun figlio, ma soltanto parenti stretti di sesso maschile (“Ma Zelofcad […] non ebbe figli maschi”); come mostra la continuazione al v. 17,4b, si tratta di "fratelli del loro padre" κλῆρος ἐν τοῖς
ἀδελφοῖς τοῦ πατρὸς αὐτῶν.
10) 2 Cr. 36,10: Ioiachim fece re di Giuda "suo fratello" Sedecia (ἐβασίλευσεν Σεδεκιαν
ἀδελφὸν τοῦ πατρὸς αὐτοῦ), che in realtà era suo zio (“Il re di Babilonia nominò re, al posto di Ioiachìn, Mattania suo zio, cambiandogli il nome in Sedecìa “4 Reg. 24,17 LXX).
11) Lv. 10,4: I figli di Aronne, Nadab e Abiu, sono detti "i fratelli" di Misaele ed Elisafan, il cui padre Uzziel era zio di Aronne ; essi perciò in realtà sono cugini in secondo grado di Misaele ed Elisafan. “καὶ ἐκάλεσεν Μωϋσῆς τὸν Μισαδαι καὶ τὸν Ελισαφαν υἱοὺς Οζιηλ υἱοὺς τοῦ
ἀδελφοῦ τοῦ πατρὸς Ααρων καὶ εἶπεν αὐτοῖς Προσέλθατε καὶ ἄρατε τοὺς
ἀδελφοὺς ὑμῶν ἐκ προσώπου τῶν ἁγίων ἔξω τῆς παρεμβολῆς”
12)1 Cr. 23,21: Le figlie di Eleazaro sposarono “i loro fratelli”, cioè i figli di Chis, fratello del loro padre, dunque i loro cugini. (καὶ ἀπέθανεν Ελεαζαρ, καὶ οὐκ ἦσαν αὐτῷ υἱοὶ ἀλλ' ἢ θυγατέρες, καὶ ἔλαβον αὐτὰς υἱοὶ Κις
ἀδελφοὶ αὐτῶν)
13)2 Re 10,13 I “fratelli di Ocozia” devono essere cugini del Re di Giuda, perché i fratelli di quest’ultimo a quel tempo, secondo 2 Cr 22,21) erano già morti. (καὶ Ιου εὗρεν
τοὺς ἀδελφοὺς Οχοζιου βασιλέως Ιουδα καὶ εἶπεν Τίνες ὑμεῖς; καὶ εἶπον Οἱ
ἀδελφοὶ Οχοζιου ἡμεῖς)
14)1 Cr. 15,5: Davide radunò, dei figli di Cheat, Uriel e “i suoi 120 fratelli” (οἱ
ἀδελφοὶ αὐτοῦ, ἑκατὸν εἴκοσι) . Il numero starebbe ad indicare che non si trattava solo di veri fratelli, ma di parenti più lontani; lo stesso si dica per i vv. 6.7.8.8.10.12.16.17.18; altrettanto vale per 9,6 dove si dice che della discendenza di Zera a quel tempo a Gerusalemme sarebbero vissuti “Ieruel e i suoi 690 fratelli” (τῶν υἱῶν Ζαρα: Ιιηλ καὶ
ἀδελφοὶ αὐτῶν, ἑξακόσιοι καὶ ἐνενήκοντα).
15)Gdc. 9,3: il figlio di Gedeone, Abimelec, è chiamato nostro fratello dai Sichemiti, i fratelli di sua madre. (καὶ ἐλάλησαν περὶ αὐτοῦ οἱ
ἀδελφοὶ τῆς μητρὸς αὐτοῦ ἐν τοῖς ὠσὶν πάντων τῶν ἀνδρῶν Συχεμ πάντας τοὺς λόγους τούτους, καὶ ἔκλινεν ἡ καρδία αὐτῶν ὀπίσω Αβιμελεχ, ὅτι εἶπαν
Ἀδελφὸς ἡμῶν ἐστιν. ) Secondo 9,1 l’espressione vale per “nostro parente” (πρὸς πᾶσαν
συγγένειαν οἴκου πατρὸς μητρὸς αὐτοῦ λέγων); lo stesso si dica per 9,18.
16)1 Sam. 20,29: i Betlemiti, che Davide chiama i miei fratelli (καὶ ὄψομαι τοὺς
ἀδελφούς μου), non sono altro che suoi parenti (mishpaha/ ὅλῃ τῇ
φυλῇ), cfr. 20,6.
17)Ger. 22,18: per il primo gruppo, che piange la morte del re come di suo “fratello”, si deve pensare ai parenti del re (: οὐ μὴ κόψωνται αὐτόν Ὦ
ἀδελφέ). Per il secondo, che lamenta la morte del Signore, ai suoi sudditi. “Mio fratello” sta dunque per “mio parente”.
18)Gb. 42,11: “i fratelli e le sorelle” (ἤκουσαν δὲ πάντες οἱ
ἀδελφοὶ αὐτοῦ καὶ αἱ
ἀδελφαὶ αὐτοῦ) di Giobbe evidentemente non sono tali, bensì (secondo 19,14, dove “i miei parenti” è espressione parallela a “i miei fratelli” del v. 13) parenti più lontani.
(La lista la traggo da J. Blinzler, I fratelli e le sorelle di Gesù, Brescia, Paideia, p. 51-52)
Ecco dunque 18 occorrenze, ma in realtà sono di più perché alcuni punti hanno all'interno più citazioni, in cui adelphos non significa "fratello uterino" ma viene usato per altri gradi di parentela. La cosa interessante però è un'altra: 'ah non viene mai tradotto in altro modo, quale che sia la parentela, ma sempre utilizzando espressioni con dentro adelphos, pur esistendo in greco altri termini per indicare quei gradi di parentela. Si direbbe dunque che la traduzione con "anepsios", che tu ti aspetti dal Nuovo Testamento se fossero stati cugini, non sarebbe stata normale, ma una pericolosa stranezza.
Possiamo tratte due conclusioni:
1) Quale che sia il tipo di parentela, la LXX traduce sempre ‘ah con adelphos, anche se in greco esistono altri termini.
2) Possiamo fare un ragionamento inverso a quello di Meier: quando mai, e in che occasione, un
‘ah è stato tradotto con anepsios? Mai.
“Ma poi, ancora una volta, dal contesto di quel versetto si comprende, aggiungendo altri versetti ,che erano cugini; ancora una volta, niente confusione.”
Ripeto, questo ragionamento non ha senso. Io ti posso citare i casi dove non c’è confusione proprio perché sono gli unici dove sono sicuro che significhi qualche altro grado di parentela. Ma non avrebbe senso chiedere un brano dove ‘ah significhi qualcosa di diverso da fratello, e però poi noi non possiamo saperlo. Come cavolo dovremmo fare a sapere che lì significa qualcosa di diverso da fratello uterino? Il fatto che però noi citiamo solo i casi dove fratello significa sicuramente “parente” non implica che esistano solo quei casi. Semplicemente per gli altri casi non potremo mai sapere quale sia il vero significato.
“Ora c’è un altro punto interessante (sempre dal libro di Jean Gilles) che non ho trattato precedentemente e che dovrebbe essere risolutivo nella questione’ fratelli o cugini’. Nei Vangeli ci sono altri casi di fratelli oltre a quelli della famiglia di Gesù; ci sono i figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni; poi Simon Pietro ed Andrea; ed ancora il ‘trio’ di Betania: Lazzaro, Marta e Maria.
Per i due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni si legge che erano fratelli in Matteo 4/21; poi, per convincervi che erano fratelli carnali dovreste leggere Marco 1/19 – Matteo 10/2- Marco 3/17 – Marco 5/37 –Matteo 17/1 – Matteo 20/24 – Matteo 4/21-22 – Marco 1/20 – Luca 5/10 – Marco 10/35 – Matteo 26/37 – Giov.21/2 – Matteo 20/20.21 –
Dopo aver confrontato tutti i versetti menzionati arriverete anche voi alla conclusione che i due ‘adelphoi’ erano figli della stessa madre e stesso padre. Inoltre si nota che l’ebraizzante Matteo è quello che si serve di più del termine ‘adelphos’ nel pieno significato del termine di fratello carnale (Poly prendi nota)
Un secondo gruppo di fratelli è quello di Simon Pietro e Andrea dei quali si legge che erano fratelli in Matteo 4/18; poi, considerando cosa dicono altri versetti e cioè:
Marco 1.16 – Giovanni 1.40/41 – Matteo 10.2 – Luca 6.14 – Giovanni 6.8 – Matteo 16.17 – Giovanni 21/15-17 – Matteo 4.18/21 – si arriva alla conclusione che Simon Pietro ed Andrea erano fratelli carnali.
Altro gruppo di fratelli era il ‘trio’ di Betania, Marta , Maria e Lazzaro. Per la considerazione di parte da Giovanni 11.1 e segg. E poi da Luca 10.38 e segg. Ed anche loro risultano fratelli e sorelle carnali e scusate se tiro via veloce per non annoiare e vorrei invece darvi la conclusione che trae quel meticoloso di Jean Gilles che cito sempre:
“Da qui deriva spontaneamente una seria considerazione riguardo ai parenti prossimi di Gesù. Dato che qualsiasi precisazione di parentela collaterale nei suoi riguardi è rigorosamente assente dai Vangeli, cos’è che distingue nel loro senso o significato attraverso i Vangeli gli ‘adelphoi’ e ‘adelphai’ attribuiti a Gesù, da quelli, discepoli e amici, che abbiamo appena visto?
In altre parole, a che titolo, in nome ed in virtù di quale principio o di quale regola lessicologica e logica di ragionamento e di pensiero, queste stesse parole, in una stessa opera, in uno stesso testo, usate dai medesimi autori, hanno, nei tre casi osservati, valore e significato di ‘fratelli carnali’ e, usate in un altro caso assolutamente analogo, non lo hanno più e vorrebbero invece significare un’altra cosa, cioè ‘cugini’???? Nei testi non
troviamo UN SOLO indizio che possa anche solo suggerire una qualsiasi distinzione o differenziazione d’uso fra gli uni e gli altri”
Mi sembra un discorso meravigliosamente inutile. Infatti in queste righe si dimostra solo che ci sono gruppi di persone chiamate fratelli, e che sono figli degli stessi genitori. Ma io non ho mai negato questo. Non vedo proprio a che cosa serva dimostrare che ci sono molti casi in cui adelphos significa fratello uterino. L’argomentazione di Gilles sembra essere che se uso un termine in un senso nel 90% delle volte, non posso usarlo nel 10% delle altre volte, cioè quando parlo di fratelli di altro tipo. E non si capisce perché una simile argomentazione dovrebbe stare in piedi, specie se, come ripeto, c’è un motivo per cui viene mantenuta la dicitura adelphoi, ossia che si tratta di un titolo onorifico che comprende tutti i parente maschi di Gesù, e non è traducibile in greco con “cugini”.
E poi l’ho già spiegato: per la mentalità semitica usare ‘ah per un fratello uterino o per un cugino NON è un utilizzare due significati diversi. Non sono due significati diversi perché non è che ‘ah significhi cugino, semplicemente i cugini non esistono, e dunque fratelli. Per farti capire utilizziamo un caso simile, sebbene non uguale, ossia l’italiano “parente”. L’italiano parente puoi utilizzarlo per parlare di zii, cugini, nonni, ma ha sempre lo stesso significato, anche se si riferisce a persone con una parentela diversa. In ebraico la cosa è ancora più radicale, perché noi abbiamo un termine generico e uno specifico (parente e cugino), mentre in ebraico c’è solo quello generico (fratello), che vale per qualsiasi parente. Questo perché i cugini vengono percepiti come fratelli, non nel senso di fratelli uterini, ma nel senso di quel contenitore, l’unico esistente. Che è il fratello-parente, e dunque anche fratello uterino.
“Forse che gli evangelisti facevano un po’ di confusione in testa fra aramaico e greco? Avevano una mentalità semitica?
Il Vangelo di Marco, il primo scritto ,dal quale gli altri evangelisti copiarono, per esempio, fu scritto da uno sconosciuto sicuramente dopo il 70 d.C. probabilmente a Roma. Il “Nuovo Grande Commentario Biblico” ,cattolico, fa notare le carenze dello scrittore sulla geografia della Palestina ed aggiunge che senza dubbio non fu un testimone oculare né che visse in Palestina. Non la conosceva.”
Gli evangelisti NON traducono dall ‘aramaico, scrivono opere originali in greco da diffondere in nazioni che parlano in greco. Anzi sono personaggi antisemiti e questo per due motivi;”
L’argomentazione è confusa e priva di peso. In primis dici che Matteo non era un semita perché scrive probabilmente a Roma dopo il 70 e conosce poco la geografia palestinese. Ma ciò non può in alcun modo provare che qualcuno non sia un semita. Adottiamo quest’ipotesi, che, per inciso, non è la mia né quella che va per la maggiore nel mondo accademico, ma come dicevo, assumiamo questi dati per veri. Che cosa mai dovrebbe provare il fatto che uno scriva a Roma e non conosca la geografia Palestinese? Poteva benissimo essere un ebreo di Roma, nato nell’ebraismo della diaspora, e non aver mai messo piede in Palestina. Inoltre il punto non è se gli autori dei Vangeli siano dei semiti, ma se le storie che scrivono lo siano. Ad esempio la frase di Gesù “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”, se pronunciata da Gesù, è stata pronunciata in ebraico o in aramaico, ed è quindi da quella lingua che è stata tradotta. Non sto dicendo che il Vangelo di Matteo sia stato scritto in ebraico, sto dicendo che le storie che contiene, i detti di Gesù che contiene, sono stati inizialmente raccontati in ebraico, e solo poi tradotti in greco.
Infatti il Vangelo di Matteo è pieno di semitismi. Questo vale non solo per la sintassi e il lessico, ma anche per giochi di parole che in greco non hanno senso, ma ce l’hanno se proviamo a ritradurre nell’originale semitico, es. Mt 3,9: “Dio può far sorgere figli (benim) di Abramo da queste pietre ('abanim)”; Il gioco di parole, che non esiste in greco, è palese in ebraico, e di questi casi ve ne sono a decine.
"Anzi sono personaggi antisemiti e questo per due motivi; anzitutto perché inventano il Gesù, figlio di Dio in terra, una bestemmia per gli ebrei; poi nei Vangeli addossano agli ebrei, invece che ai romani, la colpa della crocefissione di Gesù ."
Mi pare che la colpa dai vangeli sia attribuita ad entrambi. I romani non fanno una bella figura: Gesù viene flagellato dai romani, schernito dai romani, crocifisso dai Romani, al punto che noi ancora oggi nel Credo diciamo "patì sotto Ponzio Pilato", non diciamo "Patì sotto Caifa".
Inoltre non è vero che i Vangeli danno la colpa agli ebrei, la colpa del gruppo che ha consegnato Gesù, ossia di Caifa e dei suoi seguaci. E' vero che la folla nel pretorio dice a Pilato: "il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli", ma ciò non implica che gli evangelisti si auspicassero che una tale maledizione si avverasse. I Vangeli possono limitarsi a riportare quello che la folla ha detto, ma non per questo sposare la tesi. Se io scrivo un libro sul nazismo, e riporto i discorsi di Hitler, significa forse che sono nazista? Se i discorsi di Hitler sono odiosi, così come fu odiosa quell'invocazione della folla, non è colpa di chi racconta, ma di chi ha fatto questo affermazioni. Inoltre il fatto che, per ipotesi, una folla di ebrei maledica i propri figli, non implica che l'autore del Vangelo, che riporta quella frase, sia d'accordo con essa.
“Il notissimo filologo Carmignac, cattolico, ci dice che quel Marco scrive:”… in greco con uno stile semplice, naturale, molto vicino allo stile orale. Scrive come parla”. Non era senza dubbio un semita. Né tantomeno lo era Luca , un pagano di lingua madre e cultura .greca”
Sono un po’ esterrefatto da questa citazione perché è evidente che non sai chi era Carmignac e cosa sosteneva. In primis non si capisce cosa c’entri il fatto che uno parli in modo “semplice, naturale, vicino allo stile orale” col problema se sia o meno pieno di semitismi. Uno può scrivere come parla, e, proprio perché è un semita, scrive in maniera piena di semitismi. In secondo luogo sono un po’ basito della tua citazione perché Carmignac è notariamente il più grande difensore della tesi opposta alla tua. Secondo Carmignac addirittura i primi due Vangeli sinottici furono scritti in ebraico e poi tradotti in greco (che è una tesi anche più radicale della mia). Ecco cosa scrive J. Carmignac:
“Ecco dunque i risultati provvisori di vent’anni di ricerca sulla fondazione dei Vangeli sinottici:
1)È certo che Marco, Matteo e i documenti utilizzati da Luca sono stati redatti in una lingua semitica.
2)È probabile che questa lingua semitica sia l’ebraico e non l’aramaico”
(J. Carmignac, Nascita dei Vangeli Sinottici, San Paolo, 1986, Milano, p. 103)
Come si vede è una tesi che dice l’esatto opposto di quello che tu vorresti argomentare.
CArmignac nella sua dissertazione riporta più di venti pagine di semitismi riscontrabili nei sinottici, da pagina 28 a p. 52. Quindi l’idea che nei Vangeli sinottici non ci siano semitismi è semplicemente destituita di fondamento.
Io comunque non concordo con la tesi di Carmignac secondo cui questo prova che i Vangeli di Marco e Matteo siano stati scritti in greco. Mi pare evidente che basti ipotizzare che essi traducano da materiali precedenti, scritti o orali che fossero, in lingua semitica, senza che ciò implichi che l’intero loro Vangelo fosse stato originariamente scritto in quella lingua.
“Quindi , quando Luca usa la parola ‘Adelphos’ lui sa che etimologicamente il termine greco alla lettera significa:” Nato dallo stesso grembo”. A quanto leggo è formato da ‘alfa’ copulativo e dalla radice ‘delphys’, matrice (nel senso di utero). Nella sua formazione etimologica e nella sua simonimia è strettamente imparentato con ‘agastor,-oros (ho): nato nello stesso grembo, fratello, e composto da ‘alfa’ copulativo e da ‘gaster’ ventre.”
Questa argomentazione è priva di senso. Il significato delle parole non sempre rispetta la loro etimologia, altrimenti anziché dizionari non utilizzeremmo dizionari etimologici. Ad esempio in italiano il termine “salario” indica lo stipendio, e si chiama così perché una volta il sale era così prezioso che si poteva pagare qualcuno con del sale. Ma questo non significa che oggi il salario venga versato in sale. Inoltre come già detto pare che i LXX dell’etimologia non si curino affatto.
“Ecco ora ben spiegato il valore profondo dell’uso di ‘adelphos’ quando Gesù dice che i veri fratelli sono quelli che fanno la volontà del Padre. “Appartenente – nel compimento della volontà e della parola di Dio – ALLO STESSO GREMBO DEL PADRE” Il valore profondo del contesto non permette esitazioni al riguardo. E’ l’asse o il perno su cui oscilla il pensiero di Gesù, dall’umano al divino.
”
Questa esegesi è priva di senso. Gesù non ha tenuto quel discorso in greco, ma in ebraico o in aramaico, quindi se c’è un gioco di parole etimologico per trasmettere un significato spirituale questo non può essere cercato nelle parole greche che nei leggiamo, perché Gesù non le ha mai pronunciate.
“Impensabile che gli evangelisti abbiano scritto per ingannare i lettori di lingua greca usando la parola ‘fratelli’ invece di ‘cugini’ solo riguardo alla famiglia di Gesù. E sfugge sempre quel dettaglio del quale non si accenna mai: ai tempi di Gesù i neonati maschi si portavano al Tempio o in sinagoga per la circoncisione e lì venivano registrati; quindi la composizione “sanguigna” della Sacra Famiglia era nota a tutti, anche ai vicini di casa”
Questa frase si risponde da sola. Gli evangelisti non hanno ingannato nessuno perché tutti nella comunità primitiva sapevano che i fratelli erano cugini, e dunque per gli ascoltatori era ovvio.
L’errore che fai, come già spiegato, è credere, come fanno i protestanti in generale, che il Nuovo testamento fosse il veicolo per la trasmissione primaria della fede, cioè che gli autori sacri pensassero davvero che avrebbero composto qualcosa che sarebbe finito nel Nuovo Testamento, e che poi qualche matto avrebbe guardato a quei testi come unica fonte di informazione su Gesù. Ma questo è l’errore di Lutero, il quale si inventò che tutto quello che Dio voleva insegnarci stava solo nel testo scritto, e la Tradizione orale della Chiesa non contava nulla. La verità invece è che nessuno di questi testi nasce per una comunità da evangelizzare da zero. Tutti i testi del Nuovo testamento sono rivolti a comunità già cristiane e che sono già state ammaestrate oralmente. Paolo lo dice esplicitamente che non bisogna basarsi sui soli scritti: “Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera.” (2Ts 2,15) E si noti che la parola viene prima della lettera. Insomma, tutti i discorsi del tipo: “l’evangelista x doveva specificare altrimenti gli ascoltatori non avrebbero capito, si sarebbero ingannati, ecc.” sono del tutto privi di senso. Questi sono nostri problemi, non problemi dei destinatari originali dei Vangeli, i quali sapevano già tutto, e non potevano fraintendere nulla.
“Il già citato J.P. Meier ricorda che nel N.T. ‘adelphos’ compare bel 343 volte, usato in senso proprio o figurato (indicante cioè i fratelli in senso spirituale, ideologico), ma solo nel caso di Gesù , secondo i fautori della ‘cuginanza’ avrebbe il significato di ‘cugini’. Di nuovo va detto che gli evangelisti e gli altri agiografi avrebbero dovuto rendersi conto che una situazione del genere avrebbe potuto creare qualche problema ai futuri lettori, inducendoli in un deplorevole equivoco.”
Gli evangelisti non pensavano ad alcun futuro lettore, ma ai lettori che avevano davanti, i quali non avevano possibilità di confondersi. Come già detto la peculiarità che rende unico questo caso è che “fratelli del Signore” era un titolo onorifico all’interno della Chiesa antica, e dunque si tratta di un caso quasi unico.
Comunque, non sono d’accordo col Meier nel dire che “nel N.T. ‘adelphos’ compare bel 343 volte, usato in senso proprio o figurato (indicante cioè i fratelli in senso spirituale)”, in primis perché non capisco come mai metta insieme il senso figurato con quello carnale, come se si trattasse della stessa cosa e il significato figurato confermasse quello carnale. Il significato figurato infatti funziona benissimo anche intendendo “fratello” nel senso semitico, cioè un consanguineo qualsiasi. Proprio perché tutti i consanguinei sono considerati fratelli, allora la fratellanza spirituale può essere simboleggiata anche con un termine che designi il far parte di una stessa stirpe.
Inoltre il conto è truccato perché Meier banalmente dà per scontato che in tutti i casi in cui si nomina un adelphos, e non abbiamo indizi per sapere se sia un cugino, allora debba essere un fratello uterino. Il che è probabile, ma non sicuro. Come già detto gli autori non scrivevano pensando a noi e ai nostri dubbi, ma pensando al loro pubblico già informato, quindi ci sono molti che sono chiamati fratelli, e dei quali non abbiamo prove che avessero gli stessi genitori, e magari invece sono cugini. Ciò come ripeto è improbabile ma possibile. L’eccezionalità nel caso di Gesù e dei suoi fratelli si deve al fatto che siamo in presenza di una titolatura, e di discorsi tradotti dall’ebraico, che dunque seguono lo stile dei LXX.
“Lo scolaretto che traduce ‘abbiamo avuto bel tempo’ con ‘we had a nice time’ non può addurre a scusante il fatto che nelle lingue romanze vi è un unico termine per indicare il tempo cronologico ed il tempo atmosferico. Verrà bocciato poiché traducendo in una lingua in cui tale distinzione esiste doveva disambiguare la frase di partenza e usare ‘weather’ anziché ‘time’. Invocare l’attenuante è puerile. Qui lo scolaretto sarebbe nientemeno che lo Spirito Santo!”” Poly , prendi buona nota e non continuare nel tuo ‘mantra’ e dire continuamente che ai tempi di Gesù fratelli e cugini erano la stessa cosa e che, addirittura, i cugini non esistono.”
Peccato che questo bel discorso venga sistematicamente smentito dalla LXX che in tutti i casi traduce sempre ‘ah con “fratello” anche quando in greco esistono altri termini. Quindi il discorso teorico che citi va a picco. Inoltre l’esempio fa pena. Weather e time sono cose diverse che non c’entrano nulla l’una con l’altra, e non è che in italiano il “tempo” atmosferico e il “tempo” cronologico siano la stessa cosa. Qui invece il caso è proprio diverso. L’ebraico ‘ah che significa fratello uterino e l’ebraico ‘ah che significa cugino non sono due omografi, come l’italiano “cane” che significa il cane della pistola e insieme l’anima, si tratta invece di una sola parola che significa parente in senso largo. L’esempio dunque è poco pertinente.
“Per quanto riguarda il pensiero dei Padri della Chiesa, prima di Nicea, come scrive ancora J.P. Meier, per esempio Egesippo, mentre chiama Giacomo ‘fratello del Signore, ricorda pure uno ‘zio’ ed un ‘cugino’ (Anepsiòn) di Gesù. Egli si mostra perciò in grado di distinguere accuratamente tra fratello, lo zio ed il cugino di Gesù. Quindi quando chiama Giacomo fratello di Gesù, non c’è alcuna ragione valida per non prenderlo alla lettera. (Meier 321)”
Ascoltami, io ho già parlato di questa cosa. Perché prima di fare i tuoi copia e incolla non leggi quello che ho scritto? Ho già spiegato che il passo di Egesippo dimostra il contrario di quello che vorrebbero fargli dire, perché quello che lui chiama “anepsios”, in un altro passo lo chiama invece “fratello”. Motivo per cui Egesippo è la prova della tesi opposta. Infatti prima dice: “Giacomo, il fratello del Signore, che tutti chiamavano il giusto” (Egesippo in “Eus. Hist. Eccl. 2,34,4), poi questo Giacomo lo chiama cugino: “Dopo che Giacomo il Giusto aveva subito il martirio per lo stesso motivo del Signore, fu insediato vescovo (di Gerusalemme) ancora il figlio di uno zio dello stesso, Simeone, figlio di Cleofa, gli diedero tutti la preferenza, perché era un secondo cugino del Signore” (Egesippo cit. in Eus, Hist. Eccl. 4,22,4)
I tuoi messaggi solitamente consistono nel non rispondere analiticamente a niente di quello che ti scrivo e continuare imperterrito a ripetere cose cui io ho già risposto. È tipico di tuoi post non riuscire a capire che quelle che per te sono delle prove per altri studiosi possono essere solo pareri discutibili o addirittura pareri infondati. Quando due studiosi dicono cose diverse non ha molto senso mettersi a fare dei copia e incolla per vedere chi dice cosa, bensì bisogna analizzare le loro argomentazioni.
“ In un altro passo viene definito ‘fratello del Signore secondo la carne’ (Meier 131).
Giuda era considerato fratello di Gesù “secondo la carne” (Katà sàrka) (Eusebio di Cesarea 3/19 e 3/20-1)”
Si tratta di Giuda, il passo di Egesippo citato da Eusebio è il seguente:
“
Della famiglia del Signore rimanevano ancora i nipoti di Giuda, detto fratello suo secondo la carne, i quali furono denunciati come appartenenti alla stirpe di Davide" (Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica 3, 20, 1)
Fratello secondo la carne vuol forse dire “figlio della stressa madre e dello stesso Padre”? No, come commentava già l’Holzmeister “
etiam consobrinus alteri carne coniungitur”. Una volta accertato che fratello voglia dire qualsiasi parente, qualsiasi parente è secondo la carne. O forse pensate che io non abbia legami di sangue con mio cugino? Certo che ne ho. Fratello carnale vuol dunque solo dire che c'è una parentela di sangue e non una spirituale. Non è possibile ritenere che il passo di Egesippo citato da Eusebio voglia dire che quei fratelli erano figli di Maria, Eusebio infatti segue la tesi del proto-Vangelo di Giacomo secondo cui i fratelli di Gesù sarebbero dei fratellastri, cioè figli che Giuseppe avrebbe avuto da un precedente matrimonio prima di sposare Maria (Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica 2, 1, 2). Non è dunque plausibile che Eusebio citi un passo di Egesippo che gli dà contro, sarebbe un autogol.
“Più concorde il giudizio degli studiosi su Tertulliano: per questo padre latino i fratelli di Gesù erano veri fratelli. Tale tesi gli serviva anche per combattere l’eresia del “docetismo”, secondo la quale Gesù non aveva un vero corpo, bensì un corpo solamente apparente.(cfr. Adversus Marcionem 4/19; De Carne Christi 7; De Monogamia 7; De virginibus velandis 6/6).”
Nei testi in questione non si dice che si tratti di figli di Maria, si usa il latino frater e basta. Non vedo proprio come questo possa essere una prova che Tertulliano credesse che questi erano fratelli uterini. E’ vero che Tertulliano insiste sulla carnalità di questi fratelli, ma come già detto qualsiasi parente è legato dalla carne, e Terulliano non fa che riprendere l’espressione che trova nei Vangeli, cioè adelphos. E se insiste sulla carnalità di questi fratelli non è per dire che fossero figli di Maria, ma per dire, contro i doceti, che Gesù non era un fantasma disincarnato. Se infatti il Vangelo dice che Gesù aveva dei fratelli, allora significa che Gesù è un essere in carne e ossa, e non un’immagine illusoria come pensavano i doceti. Ma come si vede questa argomentazione funziona anche intendendo “frater” come io intendo adelphos. Infatti avevo già citato opinioni opposte: “In nessuna delle opere a noi pervenute Tertulliano si è espresso in modo chiaro e preciso sulla questione se nei fratelli e le sorelle del Signore siano da vedere veri fratelli e sorelle più giovani di Gesù” (Josef Blinzler, I fratelli e le sorelle di Gesù, Brescia, Paideia, p. 165).
Tutte queste cose, io le avevo già dette e ridette. Ma pare che tu ricopi a caso ignorando quello che ti viene risposto.
Ad maiora