“Scusate ancora il ritardo ma sono molto impegnato a casa. Sto facendo il “cappotto”, alla casa naturalmente. Mi viene subito una battuta: chissà se riesco a fare cappotto anche qui”
Se tu riuscissi a far cappotto, vorrebbe dire che la quasi totalità degli accademici del pianeta, i quali ritengono il Testimonium Flavianum interpolato solo parzialmente, sono scemi, e non in grado di fare le deduzioni che tu ritieni invece così ovvie. La cosa è alquanto improbabile, e dovrebbe farti riflettere. Non è forse assai più probabile che questi accademici sappiano tutto quello che tu credi di sapere, e proprio per lo sanno, la pensano diversamente da te?
“Dunque Polymetis scrive che la versione araba del Testimonium Flavianum è quella giusta perché contiene meno accenti cristiani ecc.ecc”
Veramente non ho mai detto nulla di simile. Ho scritto: “la recensione araba è la più prossima all'originale”. Cogli la differenza tra il tuo riassunto delle mie affermazioni e quello che invece io ho scritto?
“Ma Pines dice un’altra cosa più importante: quel Testimonium viene dalla Traduzione Siriaca della “Historia Ecclesiastica” di Eusebio!!!!”
Veramente Pines non dice così, e devo premettere oltretutto che sia la ricostruzione di Pines sia quella di Alice Whealey sono ipotetiche perché Agapio non dice se tratta il Testimonium direttamente da Flavio o da fonti intermedie, quindi il resoconto che segue delle ipotesi dei due studiosi è frutto di una loro ricostruzione ipotetica.
Quanto a Pines, egli fa notare che esiste anche una versione siriaca del Testimonium, simile per contenuti alla versione greca trasmessaci dai manoscritti, testimoniata da Michele il Siro. Sebbene la versione di Michele il Siro abbia le frasi celebrative su Cristo che nella versione greca fanno sospettare l’autenticità del passo, mentre la versione araba di Agapio non le abbia, Pines arrivò a dire che le comunanze terminologiche presenti in alcuni punti potevano testimoniare una comune fonte tra Agapio e Michele.
Pines ritenne in particolare che Agapio si basasse su una fonte
indipendente dalla versione siriaca della Historia Ecclesiastica di Eusebio, mentre Michele si baserebbe sia sulla fonte di Agapio (cioè quella priva delle glosse cristiane), sia su una versione siriaca della Historia Ecclesiastica (con glosse). Ciò spiegherebbe sia le somiglianze tra Agapio e Michele il Siro (che deriverebbero dalla fonte di Agapio), sia le loro differenze, cioè il fatto che Michele ha le glosse mentre Agapio no (Michele infatti si basa anche sulla versione siriaca della Historia Ecclesiastica che contiene le frasi celebrative su Cristo presenti anche in greco). Il testo di Michele sarebbe dunque frutto di un misto.
“L’opera è la “Storia Universale”, una cronaca del mondo fin dalle origini afferma chiaramente che il suo lavoro è basato su una più antica cronaca in siriaco di Teofilo di Edessa andata persa….”
Lo dice, ma non nella sezione sul Testimonium, è un’indicazione generale. E non v’è pr0va che AGapio ricavi i fatti del I secolo da Teofilo.
“n questa particolare nicchia di sapere l’autorità è in Alice Whealey che ha scritto un corposo libro sulla Traduzione Siriaca e di Agapio del Testimonium . (The Testimonium Flavianum in Syriac and Arabic) ‘On line’ ha scritto presso la “Cambridge University Press” e queste sono le sue testuali parole:
“Agapius of Hierapolis and Michael the Syrian’s version of the testimonium Flavianum, a passage about Jesus from Josephus ‘Jewish Antiquities”, both derive from the Syriac Translation of Eusebius’s HISTORIA ECCLESIASTICA.” La scrittrice però nella sua trattazione non entra nel merito del Testimonium nel senso se sia falso o meno ; in una nota si limita a dire :”
Che strana costruzione la frase “l’autorità è in Alice Whealey”… In italiano non si dice così quando si vuole affermare che la maggior autorità in uno specifico campo è qualcuno.
La frase che precede la citazione ha una punteggiatura sconclusionata, quindi, per chi non l’avesse capito, traduco dicendo che la citazione è presa dall’abstact di un paper pubblicato da Alice Whealey pubblicato sulla rivista New Testament Studies, Volume 54, Ottobre 2008, pp. 573-590.
La tesi della Whealey è differente da quella di Pines perché, a suo avviso, le somiglianze tra Michele il Siro e Agapio si spiegano col fatto che entrambi attingono da una versione siriaca della Historia Ecclesiastica di Eusebio, con le glosse cristiane presenti. Questa teoria ha problemi diversi dalla ricostruzione di Pines, perché deve spiegare come mai, se derivano dalla stessa fonte, il testo di Agapio sia accorciato e non abbia quella glosse. La tesi dell’autrice è che Agapio più che citando stesse riassumendo, e questo è il motivo della brevità. Ipotesi sul perché proprio quelle omissioni, qualora ipotizziamo un testo di partenza con le glosse cristiane, se ne fanno molte. Un’idea è che, scrivendo in un contesto islamizzato, Agapio non voglia insistere sulla divinità di Gesù, per non turbare i suoi eventuali ipotetici lettori musulmani.
Questa tesi, esattamente come lo era quella di Pines, è speculariva, già rigettata da altri studiosi, e non può portare ovviamente delle prove se non indiziarie, visto che Agapio non dice da chi stia citando, ed è possibile che traduca pure direttamente da Flavio.
“Ho letto molto in Rete circa quel testo che Polymetis chiama la ‘versione araba’, una versione che arriva dopo essere passata dal Greco al Syriaco poi all’arabo e poi indietro ancora nelle nostre lingue per dire che non c’è assolutamente da fidarsi da quel testo che ora ci propinano.
QUELLO CHE CI INTERESSA SAPERE E’ CHE C’E’ SEMPRE DI MEZZO LUI, EUSEBIO IL FALSARIO E che quel viaggio che abbiamo fatto in Siria, Arabia e ritorno non ci dà niente di nuovo. Siamo sempre lì: quel Testimonium è di Eusebio o di Giuseppe?”
Veramente, è una mera ipotesi che la versione araba derivi dal siriaco, così come è un’ipotesi che derivi da una versione siriaca di Eusebio, Agapio non dice alcunché. Basta leggere l’articolo di Alice Whealey per sapere che si tratta di ipotesi, visto che l’autrice, come tutti gli storici, non pretende di più.
“Noterete, nel trattare il Testimonium la sua onestà nel ammettere, per esempio che lo stile letterario del Testimonium è di Eusebio e non di Giuseppe e questo anche per i vocaboli; “
L’idea che lo stile del Testimonium sia più eusebiano che flaviano dipende da alcuni presupposti. In primis se stiamo difendendo la tesi dell’interpolazione parziale, ovviamente non ci interessa che le glosse cristiane al Testimonium abbiano una stile poco flaviano: il testo che occorre confrontare col resto dell’opera dello storiografo ebreo sono le parti di cui si difende l’autenticità. Alcuni, come H. St. J. Thackeray trovarono al contrario lo stile così flaviano da cambiare opinione sull’autenticità del passo, e da detrattori dell’autenticità ne divennero propugnatori.
“L’opera di Giuseppe Flavio: “Antichità Giudaiche”, ove è contenuto il Testimonium Flavianum, appare verso il 93 D.C. Vediamo ora quindi chi conosceva , dopo quella data, quell’inserimento.”
Segue una lista noiosa ed inutile di scrittori ecclesiastici ed apologeti del cristianesimo che non citano il Testimonium Flavianum. Se l’argumentum ex silentio è in generale penoso, perché nessuno può indagare nelle menti di scrittori di 18 secoli fa i reconditi motivi che li spingono a citare dei testi anziché degli altri, in questo caso il tutto assume poi una nota farsesca sublime.
Faccio una piccola considerazione preliminare, che qui sembra fuori contesto ma si vedrà subito perché io la introduca: nessuno degli avversari del cristianesimo dei primi secoli, che fossero i giudei combattuti da Giustino a inizio II secolo o i pagani Celso e Giuliano contro cui si scagliano Origine e Gregorio Nazianzeno s’è mai sognato di disconoscere la storicità di Gesù. I cristiani erano accusati semmai di imbecillità perché adoravano un uomo che era stato crocifisso (e che loro, i pagani che li criticavano, sapevano bene avesse fatto effettivamente quella fine), ma nessuno di loro si mise ad accusarli di falsificazioni circa l’invenzione del personaggio da loro tramutato in un Dio. Celso ad esempio non nega che Gesù avesse operato cose magnifiche, ma credeva che il nazareno fosse simile ad un ciarlatano che operava giochi di prestigio per ingannare la folla anziché un vero guaritore con poteri sovrannaturali. Né Porfirio, né Celso, né Giuliano, né altre fonti pagane od ebraiche contestano ai cristiani l’esistenza di Gesù, semmai li sbeffeggiano proprio perché si rifanno ad un personaggio storico, del tutto umano, che fece una fine miseranda in croce. I primi a dubitare dell’esistenza storica di Gesù furono dei moderni, nel XVI secolo.
Se ho fatto questo discorso è per due motivi assai semplici, il primo che c’entra indirettamente con la nostra discussione, ed il secondo più pertinente:
1)i miticisti contemporanei dovrebbero riflettere sul fatto che nessun polemista antico, pur avendo accesso ad una quantità di documenti infinitamente maggiore della nostra, s’è mai sognato di dire ai cristiani che il loro capostipite non era mai esistito. Questo perché sapevano benissimo che visse e morì.
2) Ai cristiani dei primi 4 secoli non importava nulla di dimostrare a qualcuno che Gesù fosse esistito perché banalmente nessuno li aveva mai contestati su questo punto. Il problema di dimostrare l’esistenza del nazareno è un problema solo per noi contemporanei che abbiamo a che fare con gli squilibrati miticisti che scrivono in rete e chiedono prove delle cose più ovvie, mentre non era un problema degli apologeti dei primi secoli.
Tutto questo discorso l’ho fatto perché se, come abbiamo sostenuto, il testo più prossimo all’originale flaviano è la versione araba di Agapio, cioè senza le interpolazioni celebrati che cristiane, allora esso è del tutto inutile per qualsiasi controversia apologetica. Cosa dice infatti questo testo? Non parla di miracoli, e, quanto alla resurrezione, Flavio non dice che Cristo risorse, ma che i suoi discepoli sostenevano che fosse risorto: “
coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono al suo discepolato e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie.”
Sicché citare questo testo sarebbe stato del tutto inutile: se le glosse cristiane sono del IV secolo, il testo precedente non poteva essere utilizzato per dire che persino l’ebreo fariseo Flavio avesse riconosciuto la messianicità o la resurrezione di Cristo, in quanto Flavio in questa versione si limita a dire che sono i discepoli di Gesù a credere queste cose. Ebbene, a che serviva in una polemica con un pagano riportare un testo di Flavio in cui si dice che i discepoli di Cristo lo credono risorto? A nulla. Il pagano critico del cristianesimo questo lo sa già.
Dopo il IV secolo, il testo gira anche interpolato, e dunque diventa interessante citarlo per gli ignari apologeti del cristianesimo, che lo ritengono autentico, in quanto attribuisce al quasi contemporaneo Flavio una fede nei miracoli di Gesù.
“Prima di chiudere questa puntata è doveroso sempre citare FILONE D’ALESSANDRIA E GIUSTO DI TIBERIADE, scrittori ebrei ai tempi di Gesù che però non lo conoscevano. Non avevano mai sentito parlare di lui.”
Un ragionamento del tutto illogico. In primis il fatto che non lo citino non vuol dire che non lo conoscono, ma solo che non gli interessa citarlo. Di Giusto di Tiberiade non c’è rimasto quasi nulla se non qualche frammento, dunque è inutile chiedersi se abbia mai citato Gesù visto che la sua opera è andata persa. Quanto a Filone, morì nel 45 d.C., e non si vede alcun motivo per cui negli ultimi 15 anni della sua vita dovesse proprio interessarsi di storia e mettersi a scrivere, dalla sua lontana Alessandria, della nascente setta cristiana. Non so se li conoscesse, forse l’eco di quello che accadde neppure gli arrivò, visto che come ci ricorda Meier Gesù era solo “un ebreo marginale”, un predicatore fra i tanti, e certamente nei suoi primi 15 anni di vita la comunità cristiana gerosolimitana non era ancora un fenomeno così macroscopico da dover per forza esser nominato. Del resto, perché mai aspettarci che Filone nomini Gesù se non nomina un mucchio di altre persone palestinesi dell’epoca di cui ci parlano Gesù o il Talmud? Semplicemente i suoi interessi filosofico-religiosi e non storici hanno reso improbabile che nei suoi ultimi 15 anni di vita avesse l’occasione di scrivere della storia della Palestina.
Ad maiora