Perché Alfano non può cantare vittoria
Una cosa giusta, probabilmente, Angelino Alfano l’ha detta. E cioè che alla fine sulle unioni civili “ha vinto il buon senso”. Quello che porterà ad approvare per la prima volta nella storia di questo Paese una legge che riconosce le unioni civili e alcuni diritti a esse collegati. Non tutti quelli che avrebbe voluto il Pd, certamente molti meno di quelli rivendicati da parte della comunità lgbt. Ma i diritti, tra qualche settimana ci saranno, e prima non c’erano.
Sull’impronta che porta questa legge ci possono essere pochi dubbi. Il Pd l’ha proposta e con i suoi dirigenti, parlamentari e ministri l’ha promossa, ha mediato (con tutti, dentro il partito e nel Parlamento) e alla fine ha scelto la strada più sicura per portarla fino all’approvazione. Quando Alfano dice – come ha fatto ieri – che “sembra che in questi due anni e mezzo abbia governato il Pdl” tralascia quindi non pochi passaggi, come certamente quest’ultimo.
Inutile dire, infatti, che nel programma del Pdl le unioni civili non erano nemmeno menzionate e, anzi, si scriveva: “La difesa e il sostegno alla famiglia, comunità naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna […] saranno i punti di riferimento della nostra azione legislativa”. D’altra parte, che il ddl Cirinnà non fosse proprio tra le priorità del ministro dell’Interno e quali fossero le sue reali intenzioni in proposito si evincono dal tweet pubblicato subito dopo il primo voltafaccia del M5S, quello sulla libertà di coscienza concessa da Grillo sulla stepchild adoption.
Da lì partì poi l’offerta al Pd di stralciare il comma sulla stepchild adoption (e non solo, ma questo emergerà pian piano) e votare insieme il resto della legge. Offerta alla quale i Democratici hanno risposto inizialmente picche, finché non è arrivato il secondo stop imposto dai grillini, stavolta all’emendamento canguro che avrebbe messo in sicurezza le parti più avanzate (e controverse) del ddl Cirinnà.
A quel punto, Renzi all’Assemblea nazionale del Pd avanzò la proposta di cambiare strada, abbandonando quella perigliosa con i Cinquestelle e impegnando direttamente il governo con un maxi-emendamento sul quale porre la fiducia. Si molla sulla stepchild adoption, ma su nient’altro: questa la linea indicata. E così sarà, dopo alcuni giorni di una trattativa in realtà più di facciata che reale. Al termine degli incontri, infatti, Ncd ha portato a casa in più soltanto l’eliminazione dell’obbligo di fedeltà e procedure più rapide per ‘sciogliere’ le unioni civili.
Elementi poco più che simbolici, a fronte di tentativi di rilancio portati avanti fino all’ultimo minuto utile anche da un esponente di primissimo piano del partito centrista, come Beatrice Lorenzin. “Lo stralcio della stepchild è sicuramente un fatto importantissimo ma non è sufficiente”, aveva detto il ministro della Salute prima di essere costretta a ritrattare.
I due punti fermi sui quali il Nuovo centrodestra ha sempre detto di non voler transigere sono il no alle adozioni, provando a fermare anche i magistrati, che finora – nel vuoto legislativo – si sono mossi in un’altra direzione, e il no all’equiparazione con il matrimonio, normando semmai diritti individuali, ma non di coppia (era la linea sulla quale si basavano i Dico).
Il 24 gennaio, intervistato da Huffington Post, Alfano parla infatti di “diritti patrimoniali di due conviventi” e precisa che “se si paragonano le unioni civili con i matrimoni, e si pensa a un insieme analogo di diritti e di doveri, si smonta la famiglia così come è prevista dalla nostra Costituzione. E inoltre qualunque giudice potrebbe a quel punto consentire l’adozione”. E sul riconoscimento di “diritti patrimoniali individuali” il leader ncd torna anche il 2 febbraio, nell’intervista a Repubblica che avrebbe dovuto segnare la mano tesa ai dem.
Il fatto che la legge, così come vedrà con ogni probabilità la luce, riconosca diritti alla coppia e non agli individui che la formano è un passaggio che può apparire formale ma che invece ne rappresenta la vera sostanza e che apre a riconoscimenti importanti, come la reversibilità della pensione, la comunione dei beni, l’uso del cognome del partner.
Riguardo alla possibilità di adottare il figlio del partner, poi, il nuovo testo non la prevede, ma nemmeno la vieta. Anzi, precisando che “
resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”, consente ai giudici di continuare a dire sì alle richieste di adozione che vengono loro presentate. Il contrario di quanto Alfano ha detto anche stamattina.
La risposta di Anna Finocchiaro non potrebbe essere più chiara: “
Il ministro Alfano dice una cosa che non è assolutamente vera e ciascuno può capire quando si mente per ragioni politiche e di posizionamento, ma comunque si mente. Perché grazie a questo testo la magistratura potrà continuare a consentire, e io ovviamente mi auguro che lo faccia, nell’interesse preminente di un bambino figlio di un omosessuale di avere una continuità affettiva, mediante l’adozione da parte dell’altro componente dell’unione civile”.
Ma le parole di Alfano sulla “rivoluzione contro natura”, oltre che fallaci, sono anche “gravissime – sottolinea Gianni Cuperlo – soprattutto perché pronunciate da chi ricopre un ruolo di rilievo di governo”, tanto che l’ex candidato segretario chiede a Renzi di prenderne le distanze.. E il vicesegretario dem Lorenzo Guerini invita il leader del Ncd a non “alimentare polemiche con dichiarazioni infelici che risultano inutili ed esagerate”.
Al di là della polemica sulle parole del ministro, la dimostrazione che questo risultato era esattamente il contrario di quanto chiesto dai centristi è venuta stamattina in conferenza stampa da Costa, Buttiglione, Schifani e Lupi. Mentre si sforzavano di esprimere la loro soddisfazione per “una vittoria netta, chiara ed evidente”, gli esponenti centristi contemporaneamente sulle adozioni ammettevano che “
non esistono leggi blindate da questo punto di vista. Noi abbiamo fatto la battaglia in Parlamento ma chi vuole condurre la battaglia per la famiglia deve ora continuarla nei tribunali, davanti alla Corte costituzionale e davanti alla Corte di giustizia europea”.
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