Devo dire che è molto interessante questa interpretazione, sarebbe utile vedere l'uso di pleroma nella LXX, non ho trovato granché... Ricordo la famosa luce divina shekina nel tempio, ma "L"eco del salmo 67:17 in colossesi 1:19" di cui parla Beetham non l'ho visto...Valentino ha scritto: ↑14/10/2023, 19:39 Caro Mario!
Mario70 ha scritto: ↑14/10/2023, 12:34Vieri hai letto tu stesso che la maggior parte degli studiosi odierni nega l'attribuzione a Paolo, quindi cerca di andare oltre questo aspetto, Paolo nelle sue lettere autentiche non pensa a Cristo come a Dio e non fa cenno alla sua natura divina.
L'autore del l'inno messo in Filippesi secondo le recenti interpretazioni pensava al contrasto tra primo e ultimo Adamo e non alla preesistenza di Cristo
Tornando seri:
Caro Achille,
diciamo che l'ignoto autore di Colossesi usa dei termini che hanno comportato (e comportano) non poche discussioni tra studiosi riguardo alla corretta comprensione del testo in oggetto.
In particolare uno specifico termine apre tutta una serie di problematiche.
Senza, per ora, entrare in troppi dettagli leggiamo cosa c'è scritto in Colossesi 2:9:
ὅτι ἐν αὐτῷ κατοικεῖ πᾶν τὸ πλήρωμα τῆς Θεότητος σωματικῶς
Alla lettera: perché in lui abita (o risiede) tutto il pleroma della deità, corporalmente.
https://it.wikipedia.org/wiki/Pleroma
Ora uno dei problemi è comprendere esattamente cosa si intende con "pleroma della deità" che, secondo il redattore di Colossesi, abita/risiede "in" Cristo.
Premettendo che sono alquanto scettico riguardo alle ipotesi che farebbero della lettera ai Colossesi addirittura un testo gnostico (ma sei hai letto l'articolo di wikipedia c'è chi lo sostiene!) c'è da dire che pure in un'altra lettera pseudoepigrafa (attribuita a Paolo ma appunto non sua) e dipendente letterariamente proprio da Colossesi (ovvero Efesini) ricorre il termine pleroma.
Intanto Colossesi 2:9 andrebbe letto alla luce di Colossesi 1:19 laddove leggiamo che: "al Padre piacque di far abitare in lui tutto il pleroma".
Qualunque cosa sia il "pleroma" per il redattore di Colossesi il "pleroma" è qualcosa che a Dio "piacque di fare abitare" "in" Gesù.
Ma, come detto, pleroma ricorre anche in un'altra pseudoepigrafa, ovvero in Efesini: in Efesini 3:19 ricorre un'espressione analoga a quella che ritroviamo in Colossesi 2:9, ovvero "πᾶν τὸ πλήρωμα τοῦ Θεοῦ" alla lettera "tutto il pleroma di Dio", ma il soggetto, in questo caso, non è Gesù ma "i credenti" dei quali si auspica siano "ripieni" o "ricolmi" (il verbo usato è pléroó) del "pleroma di Dio".
Leggiamo Efesini 3: "19 e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutto il pleroma di Dio".
Ma torniamo al termine “pleroma” (pienezza) ed al suo significato nel contesto di Colossesi.
Se trascuriamo l' “ipotesi gnostica”, possiamo chiederci citando Christopher A. Beetham:
“Da dove viene il linguaggio della "pienezza"? Sebbene alcuni abbiano indicato un'origine prevalentemente ellenistica, un retroterra "veterotestamentario" è a portata di mano e chiarisce anche il linguaggio della "pienezza" del v. 19”.
Qui di seguito riporto quelli che considero i "punti salienti" dell'argomentazione di Beetham:
“il termine πλήρωμα[...]appartiene a una famiglia di parole - i verbi πληρόω, πίμπλημι e ἐμπίμπλημι ("riempire") e l'aggettivo πλήρης ("pieno") - che sono utilizzati nella LXX in riferimento alla presenza divina, alla sua localizzazione o alla sua attività. Le parole trasmettono l'idea che la presenza di Dio sia venuta a dimorare o stia dimorando in luoghi specifici, tra cui il tabernacolo o il tempio, l'intera terra o persino degli individui per mezzo dello Spirito".
“Alla luce di queste evidenze, "pienezza" sembra essere una circonlocuzione per la presenza divina”.
“Questa interpretazione è ulteriormente confermata quando si rileva l'eco di Sal 67,17 nella LXX, dove ὁ θεός è il soggetto esplicito e che in Col 1,19 è stato parafrasato come πᾶν τὸ πλήρωμα, forse per un'accentuazione poetica. Come abbiamo osservato, il riferimento è alla presenza divina che si era compiaciuta di prendere dimora sul monte Sion nel tempio (e che era stata sul monte Sinai) per abitare in mezzo al popolo d'Israele. Con questo linguaggio in Col 1,19, l'implicazione sembra essere che la presenza templare di Dio ha preso dimora in Gesù Cristo.
Il testo non ci aiuta molto a capire quando è avvenuta questa inabitazione. Cristo è qui raffigurato come un "tempio": è il luogo della presenza divina tra il popolo di Dio nella creazione rinnovata. Cristo occupa l'ineguagliabile posizione di preminenza che occupa perché la pienezza della presenza divina si è compiaciuta di abitare in lui.
L'eco del Sal 67,17 della lxx in Col 1,19 illumina anche l'interpretazione di Col 2,9-10a.
Questo perché Paolo riprende esplicitamente il linguaggio dell'inno di 1,19 anche in 2,9 e ne fa un punto di riferimento in 2,10a nei confronti dei Colossesi. Paolo aggiunge qui che i Colossesi "sono ripieni in lui", una frase che è una costruzione participiale perifrastica che sottolinea l'azione compiuta. La Chiesa colossese, il Corpo, attraverso la sua unione organica con il suo Capo, Cristo, è anche piena della presenza divina (1:18, 24, 2:19). L'implicazione è che essi, in modo derivato, sono diventati un luogo della presenza di Dio, un tempio”. (FONTE: Christopher A Beetham, Echoes of Scripture in the Letter of Paul to the Colossians, Society of Biblical Literature (2010)
Insomma in Colossesi 2:9 non sembra che a Gesù "si attribuisca la deità", ma si parla del Cristo "raffigurato come un tempio", ovvero "il luogo della presenza divina tra il popolo di Dio nella creazione rinnovata".
Per ora mi sono soffermato solo sul versetto indicato da Achille ma non sull'inno di Colossesi: anche per quanto riguarda l'inno di Colossesi infatti esiste tutta una problematica relativa al suo "setting": in sostanza si dovrebbe capire se i riferimenti siano protologici o escatologici.
Quindi il fatto che in Cristo abiti tutta "la pienezza della Deità corporalmente" vorrebbe dire semplicemente che la presenza di Dio Padre era in Gesù? (attenzione che la parola "padre" in colossesi non c'è) Una specie di attestazione che Dio era in lui? E fin dove possiamo spingerci nel dire che questa presenza deifica il figlio? Se anche i suoi discepoli avranno il pleroma di Dio saranno anche essi deificati? Ritorna il concetto della deificazione dell'uomo tanto cara agli ortodossi? È vero che tutto questo ricorda lo gnosticismo e sono sempre più convinto che entrambi gli inni fossero stati composti proprio da loro, ma questo per ora è irrilevante.