Ecclesiaste 9:5,6

Sezione dove porre domande sulla Bibbia e sulla sua interpretazione

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Ecclesiaste 9:5,6

Messaggio da Achille »

Ho chiesto a Gemini:

Queste parole di Ecclesiaste escludono che ci sia un'anima immortale?

5 I vivi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla; non c'è più salario per loro, perché il loro ricordo svanisce. 6 Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto è ormai finito, non avranno più alcuna parte in tutto ciò che accade sotto il sole.

Risposta:

Le parole che citi dall'Ecclesiaste, specificamente Ecclesiaste 9:5-6, sembrano a prima vista escludere l'esistenza di un'anima immortale o di qualsiasi forma di coscienza dopo la morte. Tuttavia, l'interpretazione di questi versetti e del libro dell'Ecclesiaste in generale è complessa e ha generato diverse letture nel corso dei secoli.

Il Contesto dell'Ecclesiaste: "Sotto il Sole"
Per comprendere appieno questi versi, è fondamentale considerare il tema centrale dell'Ecclesiaste: la vanità (o futilità) di tutto ciò che accade "sotto il sole". L'autore, Qohelet (il Predicatore), esplora la condizione umana da una prospettiva puramente terrena e materialista. Egli osserva che, da questa prospettiva limitata, la morte sembra porre fine a ogni cosa: conoscenza, ricompensa, emozioni e partecipazione alla vita.

Quando Qohelet afferma che "i morti non sanno nulla" e "non avranno più alcuna parte in tutto ciò che accade sotto il sole", si riferisce alla cessazione delle attività terrene e delle relazioni umane. Non stanno più vivendo, agendo o interagendo nel mondo fisico. Da un punto di vista umano e terreno, la morte è la fine di tutto ciò che conosciamo.

Altri Passaggi dell'Ecclesiaste e la Visione dello Spirito
Tuttavia, l'Ecclesiaste non si ferma a questa visione pessimistica. Il libro culmina con un'affermazione cruciale che viene spesso citata per controbilanciare i versetti sulla mortalità:

Ecclesiaste 12:7: "allora la polvere tornerà alla terra com'era prima, e lo spirito tornerà a Dio che l'ha dato."

Questo versetto suggerisce una distinzione chiara tra il corpo ("la polvere") che ritorna alla terra e lo spirito (in ebraico ruach, che può significare respiro vitale, spirito o anima) che ritorna a Dio. Molti interpreti vedono in questo passaggio l'indicazione di una sopravvivenza dello spirito, anche se la natura esatta di questa sopravvivenza non viene elaborata in dettaglio. Non parla di coscienza continua, ma di un ritorno a Dio di ciò che Egli ha dato.

Inoltre, il libro si conclude con l'idea di un giudizio divino:

Ecclesiaste 12:13-14: "Ascoltiamo la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell'uomo. Poiché Dio condurrà ogni opera in giudizio, insieme a ogni cosa nascosta, sia buona sia malvagia."

La prospettiva di un giudizio divino implica che le azioni umane hanno conseguenze eterne e che esiste una sorta di contabilità divina, il che sarebbe difficile da conciliare con un'annientamento totale dopo la morte.

Conclusione
Le parole di Ecclesiaste 9:5-6, prese isolatamente e nel contesto della visione "sotto il sole", suggeriscono la fine di ogni attività e conoscenza terrena per i morti. Tuttavia, se lette nel contesto più ampio del libro, in particolare con Ecclesiaste 12:7 e 12:13-14, non escludono necessariamente l'esistenza di un'anima o spirito che torna a Dio dopo la morte, né la prospettiva di un giudizio divino.

L'Ecclesiaste è meno interessato a definire la natura dell'aldilà e più focalizzato sulla riflessione sul significato della vita terrena in presenza della morte. La sua conclusione è che, nonostante la vanità di molte cose "sotto il sole", il vero scopo dell'uomo è temere Dio e obbedire ai suoi comandamenti, riconoscendo che c'è una dimensione che va oltre l'esistenza puramente materiale.

Quindi, anziché escludere un'anima immortale, l'Ecclesiaste presenta una visione della vita e della morte che enfatizza la mortalità terrena, ma lascia spazio a una dimensione spirituale che sfugge alla "vanità sotto il sole".

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Senza avere la "guida di Geova", senza alcun aiuto da parte del "canale di Dio", l'intelligenza artificiale sa dare una spiegazione molto più chiara, corretta e completa di quella data dai TdG. :risata:
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Re: Ecclesiaste 9:5,6

Messaggio da Achille »

Pensavo anche ad un'altra cosa.

I TdG citano Ecclesiaste 9:5 per dire che "la Bibbia" insegna che alla morte finisce tutto.

Tuttavia, leggendo il contesto, si comprende che queste parole sono un'amara riflessione sulla vanità di una vita dove tutto sembra finire con la morte.
Le conclusioni finali dell'autore però non sono così assolutamente prive di speranza.
In sintesi i TdG fanno dire a questo passo quello che l'autore NON voleva dire. Citano un suo discorso, od alcune sue parole, senza tener conto del contesto e del messaggio finale o generale del Qoelet.

Citando in questo modo si può far dire "alla Bibbia" anche che non ci sarà nessuna resurrezione sulla Terra.

Il versetto 6, infatti, dice:

6 Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto è ormai finito, non avranno più alcuna parte in tutto ciò che accade sotto il sole. (Versione della CEI)

La TNM dice: Non hanno più alcuna parte in quello che si fa sotto il sole.

Usa il presente, come dire che "ora" non hanno più nulla.

Questa differenza è molto significativa: nella traduzione "non avranno" la prospettiva va oltre il presente: queste persone morte non avranno mai più la possibilità di fare alcuna cosa "sotto il sole", cioè qui sulla terra.
Letta in questo modo, "la Bibbia" sembrerebbe dire che costoro non saranno mai risuscitati qui sulla terra, in carne ed ossa, come insegnano i TdG.

Qual è la traduzione corretta? "hanno" o "avranno"?

Ho chiesto anche qui a Gemini:

Nel passo di Ecclesiaste 9:6, la traduzione più comune e fedele al senso originale è quella che utilizza il futuro ("non avranno").

Diverse traduzioni bibliche italiane, come la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e la Nuova Riveduta, confermano questa scelta:

CEI: "Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto è ormai finito, non avranno più alcuna parte in tutto ciò che accade sotto il sole."
Nuova Riveduta: "Il loro amore come il loro odio e la loro invidia sono da lungo tempo periti, ed essi non hanno più né avranno mai alcuna parte in tutto quello che si fa sotto il sole." (Qui la Nuova Riveduta usa sia il presente "non hanno più" per sottolineare la condizione attuale dei morti, sia il futuro "né avranno mai" per indicare una condizione permanente).
Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente (ICL00D): "L'amore, l'odio e le passioni umane finiscono con la morte. I morti non parteciperanno più a quello che si fa in questo mondo." (Anche qui, un futuro).
Il motivo per cui il futuro è più appropriato è che il versetto descrive la condizione definitiva dei morti. Una volta che l'amore, l'odio e l'invidia sono finiti (al momento della morte), essi non avranno più alcuna parte in ciò che accade "sotto il sole", indicando una cessazione permanente e futura di ogni coinvolgimento con la vita terrena.

L'originale ebraico di Qohelet (Ecclesiaste) supporta l'idea di una cessazione definitiva e non di una condizione temporanea. Il testo sta parlando della fine di ogni coinvolgimento umano con le vicende terrene dopo la morte.
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Quindi, leggendo queste parole in una Bibbia "normale" (e non "adattata") si potrebbe concludere anche che NON ci sarà nessuna resurrezione terrena.
Così, come secondo i TdG il versetto 5 direbbe che alla morte cessa ogni consapevolezza, il versetto 6 direbbe che non ci sarà mai più un ritorno alla vita sulla terra ("sotto il sole").
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Re: Ecclesiaste 9:5,6

Messaggio da Achille »

Sempre Gemini:

Domanda: La TNM usa il presente "non hanno" anziché il futuro "non avranno". Qual è la traduzione più corretta?

Risposta:

La scelta tra il presente "non hanno" e il futuro "non avranno" nella traduzione di Ecclesiaste 9:6 dipende molto dalla sfumatura che il traduttore intende dare al testo originale ebraico, e da come interpreta la natura del "non avere più parte" dei morti.

Analisi delle opzioni:

"Non hanno" (presente): Questa traduzione, usata dalla Traduzione del Nuovo Mondo (TNM), enfatizza lo stato attuale e immediato dei morti. Significa che, in questo momento, essi non posseggono alcuna parte nelle attività sotto il sole. Questo può suggerire una realtà immediata e conclusiva: una volta morti, la loro partecipazione è semplicemente cessata. È una traduzione che rende il concetto di "fine" molto netto e definitivo nel presente.

"Non avranno" (futuro): Questa traduzione, adottata da molte altre versioni (come la CEI, la Nuova Riveduta, la KJV, la NIV, ecc.), sottolinea la permanenza di questa condizione. Non solo non hanno parte ora, ma non l'avranno mai più in futuro. Questo rafforza l'idea di una condizione irreversibile e duratura. Spesso, l'ebraico biblico può esprimere concetti di atemporalità o di "per sempre" che possono essere resi sia con un presente continuo che con un futuro.

Considerazioni sull'originale ebraico:

Per capire quale sia più "corretto", bisognerebbe fare riferimento all'ebraico originale. Il termine ebraico chiave in questo contesto è spesso un participio o una forma che può indicare uno stato presente continuo o una condizione che si protrae nel futuro.
In Ecclesiaste 9:6, la frase "לא־עוד חלק להם לעולם" (lo-ʿod ḥeleq lahem leʿolam) si traduce letteralmente come:

"לא" (lo) = "non"
"עוד" (ʿod) = "ancora" / "più"
"חלק" (ḥeleq) = "parte" / "porzione"
"להם" (lahem) = "a loro"
"לְעוֹלָם" (leʿolam) = "per sempre" / "eternamente"
Quindi, una traduzione molto letterale sarebbe "non più parte a loro per sempre".

Il termine "לְעוֹלָם" (leʿolam - per sempre) è cruciale qui. Implica una permanenza. Sebbene la forma verbale in ebraico possa non essere strettamente un futuro come in italiano, la presenza di "לְעוֹלָם" (per sempre) porta con sé la connotazione di una condizione che si estende nel tempo indefinitamente.

Conclusione:

Entrambe le traduzioni sono valide e catturano aspetti diversi del significato.

La TNM ("non hanno") pone l'accento sulla realtà immediata e presente dell'assenza di parte. È una traduzione che vuole essere molto diretta e semplice.

Le versioni che usano il futuro ("non avranno") o espressioni come "non avranno mai più" (come la Nuova Riveduta o la CEI che aggiunge "tutto è ormai finito, non avranno più alcuna parte") tendono a enfatizzare la permanenza e l'irrevocabilità di questa condizione, in linea con il "per sempre" dell'ebraico originale.

Non c'è una risposta definitiva su quale sia "più corretta" in assoluto, in quanto la resa del "per sempre" ebraico può essere interpretata in modi leggermente diversi nelle lingue occidentali. Tuttavia, la maggior parte delle traduzioni tende a includere un'idea di futuro o di perpetuità per rendere pienamente il senso di "לְעוֹלָם". La scelta della TNM di usare il presente è una scelta stilistica che mira a una maggiore immediatezza, ma non per questo è necessariamente "meno corretta" se l'intento è comunicare una verità immutabile che vale anche al momento presente e per sempre.
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Re: Ecclesiaste 9:5,6

Messaggio da Achille »

Domanda: Dato che tradurre "non avranno mai" contraddice la credenza dei TdG che un giorno i morti risorgeranno in carne ed ossa sulla terra, questo potrebbe avere influenzato la loro scelta traduttiva di rendere il passo al presente?

Risposta:

Assolutamente sì, è molto probabile che la dottrina dei Testimoni di Geova (TdG) sulla risurrezione abbia influenzato la loro scelta traduttiva di rendere Ecclesiaste 9:6 al presente ("non hanno") anziché al futuro ("non avranno").

Ecco perché:

Dottrina dei TdG sulla morte: I Testimoni di Geova credono che alla morte l'anima cessi di esistere e che i morti siano in uno stato di completa incoscienza, paragonabile a un sonno profondo. Non credono nell'immortalità dell'anima nel senso tradizionale (un'anima che continua a vivere dopo la morte del corpo). Per loro, Ecclesiaste 9:5 ("i morti non sono consci di nulla") e 9:10 ("non c'è lavoro né disegno né conoscenza né sapienza nello Sceol [la comune tomba del genere umano]") sono passi chiave a sostegno di questa visione.

La risurrezione come speranza futura: Tuttavia, i TdG credono fermamente nella risurrezione futura dei morti. Sostengono che Dio, attraverso Gesù, richiamerà in vita i morti, riportandoli a un'esistenza consapevole, principalmente sulla terra paradisiaca (per la stragrande maggioranza), o in cielo (per un numero limitato di 144.000). Questa risurrezione è la loro principale speranza per il futuro.

Come si collega a Ecclesiaste 9:6:

Se Ecclesiaste 9:6 fosse tradotto con "non avranno mai più alcuna parte", questo potrebbe essere interpretato da alcuni come una negazione definitiva e assoluta di qualsiasi futura partecipazione o esistenza dei morti. Questo andrebbe in palese contraddizione con la loro dottrina della risurrezione.
Traducendo con "non hanno più alcuna parte", la TNM enfatizza lo stato attuale dei morti (sono incoscienti e inattivi, non hanno parte ora). Questo non preclude la possibilità di una futura risurrezione, quando i morti saranno richiamati alla vita e potranno nuovamente avere una "parte" nelle attività sotto il sole. La frase "per sempre" (leʿolam) viene quindi intesa nel contesto della condizione di morte, non come una negazione dell'intervento divino futuro.

In sintesi:

La scelta della Traduzione del Nuovo Mondo di usare il presente in Ecclesiaste 9:6 sembra essere un modo per allineare il testo con la loro teologia, in particolare con la dottrina che i morti sono in uno stato di incoscienza (non hanno parte ora) ma che in futuro ci sarà una risurrezione che permetterà loro di avere di nuovo una parte. È una scelta interpretativa che permette di mantenere la coerenza dottrinale interna.

È importante notare che tutte le traduzioni bibliche, in una certa misura, riflettono le interpretazioni teologiche dei traduttori, e la Traduzione del Nuovo Mondo è nota per essere particolarmente fedele alla teologia dei Testimoni di Geova.
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Re: Ecclesiaste 9:5,6

Messaggio da Achille »

Domanda: la TNM non traduce l'espressione "per sempre", presente nell'ebraico e nel greco.

Risposta:

Hai perfettamente ragione nel sottolineare che la Traduzione del Nuovo Mondo (TNM) non include esplicitamente la locuzione "per sempre" (o "mai più") nella sua traduzione di Ecclesiaste 9:6, anche se essa è presente sia nell'ebraico originale (לְעוֹלָם - leʿolam) che nella Settanta greca (εἰς αἰῶνα - eis aiōna).

Questo è un punto cruciale di differenza traduttiva e solleva la domanda sulla fedeltà del testo.

Analisi della Scelta della TNM
La TNM traduce Ecclesiaste 9:6 come: "Il loro amore, il loro odio e la loro gelosia sono ormai scomparsi. Non hanno più alcuna parte in quello che si fa sotto il sole."

Come hai notato, la frase "per sempre" o "mai più" che indica la permanenza di quella condizione è assente.

Perché questa omissione?

Coerenza Dottrinale: Come abbiamo discusso, questa è la ragione più probabile. La dottrina dei Testimoni di Geova prevede una futura risurrezione dei morti sulla terra. Se il versetto affermasse che i morti "non avranno mai più alcuna parte per sempre" (come suggerirebbero gli originali), ciò potrebbe essere visto come una contraddizione diretta con la speranza di una futura riattivazione e partecipazione alla vita terrena. Omettendo "per sempre", la TNM permette al versetto di descrivere lo stato attuale dei morti (incoscienti e senza parte nelle attività terrene) senza precludere un futuro intervento divino che cambierebbe tale condizione.
Enfasi sul Presente: Mantenendo solo il "non hanno più alcuna parte", la traduzione si concentra sullo stato di fatto presente e conclusivo della morte, lasciando aperta la possibilità di un cambiamento futuro attraverso la risurrezione.

La Fedeltà Traduttiva
Dal punto di vista della fedeltà linguistica all'originale, l'omissione di "per sempre" è significativa.

Sia l'ebraico che il greco usano termini che indicano una permanenza o durata indefinita della condizione. Sebbene il "per sempre" biblico non sempre significhi "senza eccezioni in ogni circostanza immaginabile", esso implica comunque una condizione che persiste a lungo termine o finché non c'è un intervento che la modifica esplicitamente.
Molte altre traduzioni, sia quelle che usano il futuro ("non avranno mai più") sia quelle che usano un presente continuo con un rafforzativo ("non hanno più alcuna parte per sempre"), cercano di rendere questa sfumatura di permanenza. La TNM, scegliendo di ometterla, si discosta dalla piena espressione del termine originale.

Conclusione
La decisione della Traduzione del Nuovo Mondo di omettere il "per sempre" in Ecclesiaste 9:6 è una scelta traduttiva chiara e deliberata. Non è un errore di comprensione del significato letterale dei termini originali, ma piuttosto una decisione editoriale che sembra mirare a garantire la coerenza con la specifica teologia dei Testimoni di Geova sullo stato dei morti e sulla risurrezione.

Questo evidenzia come le precomprensioni teologiche possano influenzare le scelte in una traduzione biblica. Per un lettore, è importante essere consapevoli di queste differenze e, quando possibile, confrontare diverse traduzioni per ottenere una visione più completa del testo originale.
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Re: Ecclesiaste 9:5,6

Messaggio da Vieri »

Caro Achille, se volevi farmi fumare il cervello, a parte il caldo ci sei riuscito ma alla fine come ben sai i cattolici fanno fede principalmente al Vangelo:
Giovanni 14:2-6
2 Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; 3 quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. 4 E del luogo dove io vado, voi conoscete la via».
5 Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». 6 Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
e poi ho trovato questo interessante articolo su Famiglia Cristiana:
https://www.famigliacristiana.it/artico ... morte.aspx

Cosa succede a corpo e anima subito dopo la morte?
Subito dopo la morte, cosa succede al corpo e all’anima? L’anima sopravvive nell’attesa del Giudizio Universale finale? - GIUSEPPE SCHILLACI

La dottrina cattolica tradizionale, anche per il bisogno di trovare parole adatte rispetto un tema così complesso, ha da sempre affermato che, nel momento della morte individuale, l’anima si separa dal corpo continuando a sopravvivere nella visione beatifica, per poi ricongiungersi al corpo nella risurrezione finale. Tuttavia, posta in questi termini la questione non è priva di problemi, come rilevato dalla teologia degli ultimi secoli. La lettura antropologica di fondo, infatti, sembra essere quella platonica (il dualismo corpo-anima), che non corrisponde all’antropologia biblica, la quale vede l’uomo come un tutt’uno di corpo, anima e spirito senza separazione alcuna. Perciò, è tutto l’uomo che risorge in quanto con la morte, la sua vita, la sua libertà, la sua storia, cessano di vivere qui per essere “con Cristo” nella risurrezione. Come afferma la Lettera della Congregazione della dottrina della fede del 1979, la risurrezione si riferisce «all’uomo tutt’intero» e, pertanto, col termine “anima” deve intendersi l’io umano della persona, «dotato di coscienza e volontà». Per cercare di semplificare (con l’avvertenza di approfondirle) possiamo dire tre cose:

1. La fede cristiana crede nell’immortalità dell’anima dopo la morte, ma ciò non va inteso nel significato della visione filosofica greca, bensì nella visione offerta dalla Scrittura: l’anima è intrinsecamente unita al corpo nell’unica persona. Il corpo, nella Bibbia, non è mai una prigione dell’anima o un “rivestimento esterno” ma nell’unità col corpo e con lo spirito, dice la totalità della persona, l’io individuale di ciascuno.

2. Di conseguenza, chi muore “in Cristo”, e perciò nella sua grazia, vive il momento della morte come compimento della sua esistenza ed entra da subito in una nuova condizione qualitativa della vita, cioè risorge “con Cristo”. La risurrezione interessa, quindi, il suo “io umano” (che per l’appunto corrisponde a ciò che chiamiamo “anima”). Nelle parole del teologo Ancona: la risurrezione «non rimanda semplicemente all’idea di un’immortalità dell’anima di marca greco-romana, ma ad una verità teologica che richiama […] il dono dello Spirito della vita di Dio, che crea e conserva nell’essere la sua creatura. In questo senso, ciò che vive o sopravvive non è una parte dell’uomo, ma l’intera identità umana nella sua nuova condizione di esistenza, libera da ogni forma di limitazione spazio-temporale» (G. Ancona, Escatologia cristiana, Queriniana, 2013, p. 324).

3. Dunque, la totalità umana della persona, in una condizione nuova rimane tale davanti a Dio e risorge, essendo più grande dei singoli organi del corpo, che si decompongono. Al contempo, trovandosi in una nuova condizione temporale, non si tratta di “risurrezione momentanea” in attesa della fine, quanto piuttosto dell’inizio di un processo di trasformazione che troverà il suo compimento nella venuta finale del Signore: siamo già con Cristo subito dopo la morte, ma lo saremo pienamente alla fine, insieme ai fratelli e alle sorelle del suo Corpo. La risurrezione, infatti, non è solo un fatto individuale, ma un processo che coinvolge, come nella vita terrena, la relazione con gli altri e con il creato.
Una ulteriore spiegazione da:
https://opusdei.org/it-it/article/tema- ... ei%20tempi.

Tema 19. La risurrezione della carne
Alla fine del Simbolo degli Apostoli la Chiesa proclama: «Credo nella risurrezione della carne e nella vita eterna». In questa formula sono contenuti e brevemente enunciati gli elementi fondamentali della speranza escatologica della Chiesa, vale a dire, di ciò che l’uomo spera al termine della propria vita. La base della speranza cristiana è la promessa divina.

1. La fede nella risurrezione della carne

Molte volte la Chiesa ha proclamato la sua fede nella risurrezione di tutti i morti alla fine dei tempi. Si tratta in qualche modo della “estensione” della Risurrezione di Gesù Cristo, «il primogenito tra molti fratelli»[1], a tutti gli uomini, giusti e peccatori, che avrà luogo quando Egli verrà alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti. Con la morte, come sappiamo, l’anima si separa dal corpo, ma con la risurrezione, corpo e anima si uniscono nuovamente tra loro nella gloria, per sempre[2]. Il dogma della risurrezione dei morti, se da un lato parla della pienezza della vita immortale alla quale l’uomo è destinato, dall’altro ricorda con vivezza la sua dignità, specialmente nel suo aspetto corporale. Parla della bontà del mondo, del corpo, del valore della storia vissuta giorno per giorno, della vocazione eterna della materia. È per questo che i Padri della Chiesa, rispondendo agli gnostici del II secolo, hanno insistito sulla risurrezione della carne, vale a dire, della vita dell’uomo nella sua materialità corporea.

San Tommaso d’Aquino ritiene che la risurrezione dei morti sia naturale in relazione al destino dell’uomo (perché l’anima immortale è fatta per rimanere unita al corpo, e viceversa), ma è soprannaturale in relazione a Dio che è colui lo porta a compimento[3], vale a dire, naturale in quanto alla “causa finale”, soprannaturale in ciò che si riferisce alla “causa efficiente”.

Il corpo risuscitato sarà reale e materiale, ma non terreno né mortale. San Paolo si oppone all’idea di una risurrezione come trasformazione umana all’interno della storia, e per questo parla del corpo risuscitato come “glorioso”[4] e “spirituale”[5]. La risurrezione dell’uomo, come quella di Cristo, avverrà per tutti, dopo la morte, alla fine dei tempi.

La Chiesa non promette ai cristiani una vita di sicuro successo su questa terra, quella che si chiama utopia, dato che la nostra vita terrena è sempre segnata dalla Croce. Nello stesso tempo, il processo della risurrezione ha avuto inizio in qualche modo già qui sulla terra, grazie ai doni del Battesimo e dell’Eucaristia[6]. Secondo san Tommaso, dopo la risurrezione, l’anima informerà il corpo in modo così intenso che in esso saranno riflesse tutte le sue qualità morali e spirituali[7]. In questo senso la risurrezione finale, che avverrà con la venuta di Gesù Cristo nella gloria, renderà possibile il giudizio definitivo dei vivi e dei morti.

Su ciò che riguarda la dottrina della risurrezione, si possono fare quattro osservazioni pratiche:

1) La dottrina della risurrezione finale esclude le teorie della reincarnazione, secondo le quali l’anima umana, dopo la morte, emigra verso un altro corpo, ripetute volte se occorre, fintantoché non si compie definitivamente la sua purificazione. La vita umana è unica, non si ripete, e questo dà spessore a tutto quello che facciamo giorno per giorno. Al riguardo, il Concilio Vaticano II ha parlato di «unico corso della nostra vita»[8].

2) Una manifestazione chiara della fede della Chiesa nella risurrezione del proprio corpo è la venerazione delle reliquie dei santi, così viva nella pietà dei credenti.

3) Sebbene la cremazione non sia illecita, sempre che non venga scelta per motivi contrari alla fede[9], la Chiesa consiglia vivamente di mantenere la pia consuetudine di seppellire i corpi[10]; il corpo, nella sua materialità, è parte integrante della persona, risuscita alla fine dei tempi, ha avuto contatti con i sacramenti istituiti da Cristo ed è stato tempio dello Spirito Santo; si capisce allora che al momento della sepoltura deve essere rispettato nella sua materialità nel miglior modo possibile; l’odierno disprezzo della corporeità umana come creatura di Dio destinata alla risurrezione suggerisce di evitare la cremazione, oggi in modo particolare.

4) La risurrezione dei morti coincide con quello che la Sacra Scrittura chiama la venuta di «nuovi cieli e di una terra nuova»[11]. Non soltanto l’uomo arriverà alla gloria, ma l’intero universo, nel quale egli vive e opera, sarà trasformato. «La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo Gesù e nella quale per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità, non avrà il suo compimento se non nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose (cfr. At 3, 21), e quando col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, sarà perfettamente ricapitolato in Cristo (cfr. Ef 1, 10; Col 1, 20; 2 Pt 3, 10-13)»[12]. Vi sarà sicuramente una continuità tra questo mondo e il mondo nuovo, ma anche una importante discontinuità segnata dalla perfezione, dalla permanenza e dalla più completa felicità.
........continua.....
Dal libro di Isaia: 65:17-25 NR94
Poiché, ecco, io creo nuovi cieli e una nuova terra; non ci si ricorderà piú delle cose di prima; esse non torneranno piú in memoria. Gioite, sí, esultate in eterno per quanto io sto per creare; poiché, ecco, io creo *Gerusalemme per il gaudio, e il suo popolo per la gioia. Io esulterò a motivo di Gerusalemme e gioirò del mio popolo; là non si udranno piú voci di pianto né grida d'angoscia; non ci sarà piú, in avvenire, bimbo nato per pochi giorni, né vecchio che non compia il numero dei suoi anni; chi morirà a cent'anni morirà giovane e il peccatore sarà colpito dalla maledizione a cent'anni. Essi costruiranno case e le abiteranno; pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. Non costruiranno piú perché un altro abiti, non pianteranno piú perché un altro mangi; poiché i giorni del mio popolo saranno come i giorni degli alberi; i miei eletti godranno a lungo l'opera delle loro mani. Non si affaticheranno invano, non avranno piú figli per vederli morire all'improvviso; poiché saranno la discendenza dei benedetti del Signore e i loro rampolli staranno con essi. Avverrà che, prima che m'invochino, io risponderò; parleranno ancora, che già li avrò esauditi. Il lupo e l'agnello pascoleranno assieme, il leone mangerà il foraggio come il bue, e il serpente si nutrirà di polvere. Non si farà né male né danno su tutto il mio monte santo», dice il Signore.
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Re: Ecclesiaste 9:5,6

Messaggio da Mario70 »

Achille ha scritto: 17/06/2025, 21:12 Ho chiesto a Gemini:

Queste parole di Ecclesiaste escludono che ci sia un'anima immortale?

5 I vivi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla; non c'è più salario per loro, perché il loro ricordo svanisce. 6 Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto è ormai finito, non avranno più alcuna parte in tutto ciò che accade sotto il sole.

Risposta:

Le parole che citi dall'Ecclesiaste, specificamente Ecclesiaste 9:5-6, sembrano a prima vista escludere l'esistenza di un'anima immortale o di qualsiasi forma di coscienza dopo la morte. Tuttavia, l'interpretazione di questi versetti e del libro dell'Ecclesiaste in generale è complessa e ha generato diverse letture nel corso dei secoli.

Il Contesto dell'Ecclesiaste: "Sotto il Sole"
Per comprendere appieno questi versi, è fondamentale considerare il tema centrale dell'Ecclesiaste: la vanità (o futilità) di tutto ciò che accade "sotto il sole". L'autore, Qohelet (il Predicatore), esplora la condizione umana da una prospettiva puramente terrena e materialista. Egli osserva che, da questa prospettiva limitata, la morte sembra porre fine a ogni cosa: conoscenza, ricompensa, emozioni e partecipazione alla vita.

Quando Qohelet afferma che "i morti non sanno nulla" e "non avranno più alcuna parte in tutto ciò che accade sotto il sole", si riferisce alla cessazione delle attività terrene e delle relazioni umane. Non stanno più vivendo, agendo o interagendo nel mondo fisico. Da un punto di vista umano e terreno, la morte è la fine di tutto ciò che conosciamo.

Altri Passaggi dell'Ecclesiaste e la Visione dello Spirito
Tuttavia, l'Ecclesiaste non si ferma a questa visione pessimistica. Il libro culmina con un'affermazione cruciale che viene spesso citata per controbilanciare i versetti sulla mortalità:

Ecclesiaste 12:7: "allora la polvere tornerà alla terra com'era prima, e lo spirito tornerà a Dio che l'ha dato."

Questo versetto suggerisce una distinzione chiara tra il corpo ("la polvere") che ritorna alla terra e lo spirito (in ebraico ruach, che può significare respiro vitale, spirito o anima) che ritorna a Dio. Molti interpreti vedono in questo passaggio l'indicazione di una sopravvivenza dello spirito, anche se la natura esatta di questa sopravvivenza non viene elaborata in dettaglio. Non parla di coscienza continua, ma di un ritorno a Dio di ciò che Egli ha dato.

Inoltre, il libro si conclude con l'idea di un giudizio divino:

Ecclesiaste 12:13-14: "Ascoltiamo la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell'uomo. Poiché Dio condurrà ogni opera in giudizio, insieme a ogni cosa nascosta, sia buona sia malvagia."

La prospettiva di un giudizio divino implica che le azioni umane hanno conseguenze eterne e che esiste una sorta di contabilità divina, il che sarebbe difficile da conciliare con un'annientamento totale dopo la morte.

Conclusione
Le parole di Ecclesiaste 9:5-6, prese isolatamente e nel contesto della visione "sotto il sole", suggeriscono la fine di ogni attività e conoscenza terrena per i morti. Tuttavia, se lette nel contesto più ampio del libro, in particolare con Ecclesiaste 12:7 e 12:13-14, non escludono necessariamente l'esistenza di un'anima o spirito che torna a Dio dopo la morte, né la prospettiva di un giudizio divino.

L'Ecclesiaste è meno interessato a definire la natura dell'aldilà e più focalizzato sulla riflessione sul significato della vita terrena in presenza della morte. La sua conclusione è che, nonostante la vanità di molte cose "sotto il sole", il vero scopo dell'uomo è temere Dio e obbedire ai suoi comandamenti, riconoscendo che c'è una dimensione che va oltre l'esistenza puramente materiale.

Quindi, anziché escludere un'anima immortale, l'Ecclesiaste presenta una visione della vita e della morte che enfatizza la mortalità terrena, ma lascia spazio a una dimensione spirituale che sfugge alla "vanità sotto il sole".

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Senza avere la "guida di Geova", senza alcun aiuto da parte del "canale di Dio", l'intelligenza artificiale sa dare una spiegazione molto più chiara, corretta e completa di quella data dai TdG. :risata:
Il problema dello spirito che torna a Dio paragonandolo all'anima è complicato da cosa pensava l'autore dello spirito:

Cap 3:19"Infatti tutto ciò che succede ai figli degli uomini succede alle bestie; ad entrambi succede la stessa cosa. Come muore l'uno, così muore l'altra. Sì, hanno tutti uno stesso soffio; e l'uomo non ha alcuna superiorità sulla bestia, perché tutto è vanità. 20 Tutti vanno nello stesso luogo: tutti vengono dalla polvere e tutti ritornano alla polvere. 21 Chi sa se lo spirito dei figli degli uomini, sale in alto, e se lo spirito della bestia scende in basso nella terra?"
Quindi o anche gli animali hanno un'anima o questo spirito é qualcosa di impersonale.
La risposta più semplice è che l'autore non credesse ad una vita dopo la morte a differenza di altri autori che ne parlarono.
La teologia ebraica non è stata univoca ma è stata influenzata dai popoli che li hanno conquistati.
Dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme verso i primi secoli avanti Cristo la concezione dell'anima e la resurrezione dei corpi era cosa assodata.
"La cosa più triste è che molto spesso chi viene ingannato, o illuso, tende a rimanere strettamente ancorato a quello in cui crede nonostante le evidenze indichino chiaramente che la realtà è diversa. Forse è talmente affezionato alle sue credenze che preferisce chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie di fronte a qualunque cosa possa farle vacillare."
(Torre di Guardia 1/9/2010 p 10)
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Re: Ecclesiaste 9:5,6

Messaggio da Vieri »

Per chi vuole saperne di più. ho trovato:
Risurrezione.
https://it.wikipedia.org/wiki/Risurrezi ... spirituale.

Forum biblico
La resurrezione dei morti

https://www.biblistica.eu/phpbb/viewtop ... f=5&t=1503

Sul Vangelo:
Atti 24:15
avendo in Dio la speranza, condivisa anche da costoro, che ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti.
Matteo 25:46
Questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna».
Matteo 24:12-13
12 Poiché l'iniquità aumenterà, l'amore dei più si raffredderà. 13 Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato.
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Re: Ecclesiaste 9:5,6

Messaggio da Achille »

Mario70 ha scritto: 18/06/2025, 15:55Il problema dello spirito che torna a Dio paragonandolo all'anima è complicato da cosa pensava l'autore dello spirito:

Cap 3:19"Infatti tutto ciò che succede ai figli degli uomini succede alle bestie; ad entrambi succede la stessa cosa. Come muore l'uno, così muore l'altra. Sì, hanno tutti uno stesso soffio; e l'uomo non ha alcuna superiorità sulla bestia, perché tutto è vanità. 20 Tutti vanno nello stesso luogo: tutti vengono dalla polvere e tutti ritornano alla polvere. 21 Chi sa se lo spirito dei figli degli uomini, sale in alto, e se lo spirito della bestia scende in basso nella terra?"
Quindi o anche gli animali hanno un'anima o questo spirito é qualcosa di impersonale.
La risposta più semplice è che l'autore non credesse ad una vita dopo la morte a differenza di altri autori che ne parlarono.
La teologia ebraica non è stata univoca ma è stata influenzata dai popoli che li hanno conquistati.
Dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme verso i primi secoli avanti Cristo la concezione dell'anima e la resurrezione dei corpi era cosa assodata.
Era venuto in mente anche a me quel passo. Però penso che si debbano leggere quelle parole nel contesto generale del libro.
Il Qoelet, per gran parte del libro, è amaro, pessimista, negativo, vede tutto quanto inutile e vano.
A quanto pare anche gli uomini muoiono come le bestie, la loro forza vitale o spirito, sembra essere lo stesso.
Chi lo sa - si domanda - se lo spirito dell'uomo e quello delle bestie hanno sorti diverse.

Alla fine però conclude in maniera diversa, positiva: lo spirito (dell'uomo) torna a Dio.
Quindi riconosce che c'è una differenza fra l'uomo e le bestie.
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Re: Ecclesiaste 9:5,6

Messaggio da Achille »

Ho chiesto a Gemini (AI):

Come concili il passo del Qoelet che dice: Cap 3:19"Infatti tutto ciò che succede ai figli degli uomini succede alle bestie; ad entrambi succede la stessa cosa. Come muore l'uno, così muore l'altra. Sì, hanno tutti uno stesso soffio; e l'uomo non ha alcuna superiorità sulla bestia, perché tutto è vanità. 20 Tutti vanno nello stesso luogo: tutti vengono dalla polvere e tutti ritornano alla polvere. 21 Chi sa se lo spirito dei figli degli uomini, sale in alto, e se lo spirito della bestia scende in basso nella terra?"

Con il passo in cui lo stesso Qoelet dice che lo spirito dell'uomo torna a Dio che lo ha dato?

Mi sembra una contraddizione.

Risposta:

Sembra proprio una contraddizione, e hai colto uno dei punti più discussi e affascinanti del libro di Qoelet (o Ecclesiaste)!

Per conciliare questi passaggi, è importante considerare diversi aspetti:

La prospettiva di Qoelet: la "vanità" sotto il sole.
Qoelet è un libro che esplora la vita "sotto il sole", ovvero dal punto di vista umano e terreno, con tutte le sue limitazioni e la sua apparente assurdità. Gran parte del libro è dedicata a mostrare come tutto ciò che l'uomo persegue (saggezza, ricchezza, piacere, fatica) sia alla fine hevel (ebraico per "soffio", "vapore", "vanità", "effimero"). In questo contesto, la morte annulla ogni differenza terrena tra uomo e bestia: entrambi finiscono nella polvere, e nessuno può sapere con certezza cosa succeda dopo. Il passo che hai citato (Qoelet 3:19-21) riflette questa prospettiva di incertezza e uguaglianza davanti alla morte fisica.

L'incertezza sulla sorte post-mortem (dal punto di vista umano).
Quando Qoelet dice "Chi sa se lo spirito dei figli degli uomini, sale in alto, e se lo spirito della bestia scende in basso nella terra?", non sta negando la possibilità di una differenza, ma sta esprimendo l'incapacità umana di sapere con certezza la risposta. È una domanda retorica che sottolinea l'ignoranza umana riguardo al destino ultraterreno. Dal punto di vista della ragione umana e dell'osservazione empirica (la morte fisica è uguale per tutti), non c'è una chiara evidenza.

La conclusione di Qoelet: il timore di Dio.
Il libro di Qoelet non si ferma però alla disperazione della vanità. Arriva a una conclusione, che è riassunta nei versetti finali: "Di tutte le cose udite, ecco la conclusione: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell'uomo" (Qoelet 12:13). Poco prima di questa conclusione, in Qoelet 12:7, troviamo il versetto che hai menzionato: "e la polvere ritorni alla terra com'era prima, e lo spirito torni a Dio che l'ha dato."

Come si conciliano?

La conciliazione sta nel fatto che Qoelet presenta due livelli di riflessione:

Il livello fenomenologico/empirico (Capitolo 3): Qui, Qoelet osserva la realtà della morte così come appare agli occhi umani. La morte livella tutti, e dal punto di vista della "vanità sotto il sole", non c'è una superiorità evidente dell'uomo sulla bestia in termini di destino terreno. L'incertezza sul destino dello spirito è una constatazione della limitatezza della conoscenza umana.

Il livello teologico/metafisico (Capitolo 12): Questo è il punto d'arrivo della sua riflessione. Dopo aver esplorato tutte le vie della "vanità", Qoelet approda alla fede e alla saggezza divina. La dichiarazione che lo spirito torna a Dio non è una deduzione empirica, ma una verità rivelata o una conclusione teologica raggiunta dopo aver riconosciuto i limiti della sola ragione umana. È la risposta alla domanda "Chi sa?" che viene da un'altra dimensione, quella della fede e del rapporto con Dio.

In sintesi, Qoelet non è un filosofo sistematico che presenta una dottrina coerente dall'inizio alla fine. È piuttosto un "ricercatore" che esplora le domande fondamentali della vita, spesso esprimendo dubbi e contraddizioni apparenti che riflettono la complessità dell'esistenza umana. La "contraddizione" che hai notato è in realtà il percorso intellettuale e spirituale di Qoelet: dalla constatazione dell'uguaglianza nella morte e dell'incertezza del destino ultraterreno (dal punto di vista umano), si giunge alla fede e alla certezza che, al di là della vanità terrena, c'è un Dio che ha dato lo spirito e a cui lo spirito ritorna.

È come se Qoelet dicesse: "Se guardiamo solo la vita terrena, è tutto vanità e la morte è la fine comune. Ma se solleviamo lo sguardo a Dio, allora la prospettiva cambia: c'è un senso, c'è un ritorno a Colui che ci ha creati."
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Sono meravigliato. Penso che l'intelligenza artificiale abbia risposto in maniera assolutamente chiara e convincente.
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Re: Ecclesiaste 9:5,6

Messaggio da Tranqui »

Si puo riscrivere l intera bibbia con l ia :boh:
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Re: Ecclesiaste 9:5,6

Messaggio da Vieri »

Tranqui ha scritto: 20/06/2025, 14:49 Si puo riscrivere l intera bibbia con l ia :boh:
A parte la domanda "STRANA" direi che l'unica fonte dalla quale la IA prenderebbe spunto sarebbe la bibbia stessa e quindi sicuramente molto simile...
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