Giulioplasma ha scritto:A mio avviso pensare alla Bibbia come un libro totalmente autoreferenziale che trova sempre in se stessa la spiegazione a se stessa è un madornale errore che nasconde la volontà di sviluppare un senso elitario di separazione dal resto del mondo che è il contrario di quell'atto di riconnessione che è la religione. Inoltre è evidente che un linguaggio simbolico abbia numerose interpretazioni altrimenti perché usarlo? In particolare il linguaggio ermetco/alchemico è presente in tutta la bibbia e posso dirvi che i religiosi cattolici di alta cultura lo hanno sempre saputo, vorrei fosse possibile visitare l'enorme laboratorio alchemico che c'è sotto la cattedrale di San Marco dei Frati Predicatori Domenicani a Firenze, si estende quasi per l'intera grandezza della cattedrale. Purtroppo c'è stato un mio amico in circostanze particolarissime e adesso i frati negano persino l'esistenza di quel luogo.....
Ti sfugge un piccolo particolare. Tu puoi bene interpretare la Bibbia in senso iniziatico, gnostico, alchemico; così come puoi farlo in senso antropologico e sociologico, o viceversa psicologico e addirittura psicoanalitico;
et cetera. Ma
non è il messaggio della Bibbia. Non è quello che ci hanno trasmesso gli Ebrei. Ti sfugge cioè che queste interpretazioni sono
posteriori alla redazione del NT, e sono dovute, particolarmente per il NT, all’incontro scontro del genuino messaggio giudaico-cristiano col pensiero ellenistico, e al fondersi di varie tradizioni, nutrite anche di filosofie orientali. Ergo, se vuoi interpretare la Bibbia a modo tuo, liberissimo, ma se veramente vuoi capire quello che vi è riposto non puoi prescindere da quello che era l’originale messaggio cristiano quale viene prospettato dalle Scritture e dai primi padri apostolici. In questo senso già Ireneo, nell’
Adversus haereses avrà dei grossi distinguo con le teorie gnostiche che si andavano allora diffondendo,
non come substrato al Cristianesimo nascente, ma come superstrato che aveva forse radici nei misteri orfici e nelle religioni orientali, ma che non aveva nulla a che fare coi
Vangeli e con la
Rivelazione stessa. Nei primi padri anche il simbolismo numerico presente nel VT viene messo decisamente da parte; viceversa sarà proprio Ireneo a stabilire una connessione fra
Daniele e
Rivelazione, seguito poi dal suo discepolo Ippolito, offrendo una base teorica al messaggio apocalittico, nel senso di avvento del Regno dei Cieli,
marana tha.
Tutto ciò era già implicito nel primo diffondersi delle comunità cristiane, anteriormente alla messa per iscritto dei
Vangeli stessi, e tanto più alla tarda
Rivelazione. Già Paolo, infatti, nella seconda ai Tessalonicesi metteva in guardia da un attesa prematura del ritorno di Cristo, che verrà come un ladro di notte. Che è proprio il senso profondo di questo ritorno: il cristiano, in maniera rivoluzionaria, vede il tempo in modo diverso dai Romani e dai Greci. E questo giudizio finale, questa “fine del mondo”, o comunque la si voglia denominare, ha il singolare privilegio di espandersi, e di camminare al passo con la storia, e di modificarsi col passare dei secoli. A ciò valevano le stesse persecuzioni, ogni volta interpretate come fine dei tempi; non ancora quella di Claudio del 48, in cui Aquila fu costretto a fuggire da Roma, ma ove le autorità romane non distinguevano ancora fra cristiani e giudei (tanto da ritenere Christo/Chresto un caporione dei tumulti romani). Ma certo già la persecuzione di Nerone fu una dura prova, e, al tempo di Domiziano (
Nero redivivus secondo alcuni), con la sua politica ostile ai Cristiani, il motivo apocalittico comincia a rivelarsi in tutta la sua eversiva potenzialità millenaristica: non a caso è a quest’epoca che gli storici e i filologi fanno risalire l’
Apocalisse stessa. Perché è in quest’epoca che si delinea l’ostilità di fondo fra Cristianesimo e mondo antico, fra Cristiani e Impero romano, sicché è facile e quasi banale vedere nei simbolismi dell’
Apocalisse Roma, i suoi sette colli e i suoi imperatori. Tale ostilità si andrà in seguito acuendo: in Ippolito è molto più marcata che non in Ireneo, tanto da fargli profetizzare un termine cronologico all’Impero: il 500 (non lontano invero dalla realtà, se consideriamo la caduta del solo Impero d’Occidente). Ma questa prospettiva ha poi la proprietà di mutare e precisarsi col mondo che va avanti; ed ecco che nel medioevo Dante vede nella donna-meretrice la stessa Chiesa, ormai corrotta e simoniaca. Intere generazioni hanno creduto di vivere nel tempo della fine: gruppi di eretici dei primi secoli e del Medioevo (si pensi anche al tempo dello spirito in Gioacchino da Fiore ecc.), fino ai giorni nostri e agli stessi TdG. Volta a volta nell’Anticristo hanno identificato Attila, Lutero, Hitler, o il papa di turno. I TdG in questo non han mostrato nulla di nuovo, se non, spesso, una maggior insipienza rispetto a chi li ha preceduti.
Quindi anche la domanda di
Amalia è mal posta: la Chiesa non può dare un’interpretazione puntuale della
Rivelazione; se Dio avesse voluto che l’uomo la conoscesse avrebbe parlato più chiaro. Ma se l’uomo conoscesse le cose ultime, verrebbe a mancare la ragione stessa del suo vivere, che è l’in-certezza. Ovvero possederebbe già l’onniscienza di Dio, quella cioè che i gruppi settari pretendono di avere — col bel risultato di diffondere una falsa profezia dietro l’altra — ma che non pertiene all’uomo. Quello che l’uomo può invece fare, quello che deve fare il lettore della
Rivelazione, è innanzitutto abbandonare tutte le teorie che si sono sovrapposte nei secoli al messaggio originario del testo, che va
prima di tutto inquadrato nei suoi fondamenti storici e filolofici. Quindi bisogna rifarsi anzitutto alla chiesa primitiva e ai primi padri apostolici, cercando poi di vederne l’evoluzione, specie nei suoi riflessi e nelle sue implicazioni millenariste, escatologiche, e nel suo orizzonte cristologico. Denotazioni mariane non sono da escludere a priori, ma mi sembrano secondarie, e comunque più tarde. Comunque
Citocromo ha ragione: un testo simbolico non può avere una sola chiave di lettura, specie all’interno di una Bibbia dove ogni cosa può essere intesa come prefigurazione di un’altra. E ha ragione
Polymetis nel lasciare le interpretazioni troppo rigide e dettagliate al fondamentalismo delle sette: di per sé il messaggio generale della
Rivelazione è relativamente chiaro. Ma sui singoli particolari, è solo la storia, la vita dell’uomo che va avanti, che ne precisa il senso, inteso non nel qui e ora, non nella definizione di questo male, di questo particolare Satana, ma in un senso più profondo e quasi direi metafisico, che vieta di introdurre paragoni di per sé appariscenti, ma nella realtà aleatori e transeunti, legati come sono a una troppo precisa e concreta realtà storica, che la visione, di per sé, non contempla, non può contemplare.