domingo7 ha scritto:Il problema del pisano non era quello che diceva, ma come lo diceva... Alla Chiesa andava benissimo che si speculasse sull'eliocentrismo, purché si dicesse che era una teoria ipotetica, e non una certezza. Galileo invece pretese, senza prove per altro, di aver detto il vero, e arrivò ad offendere il papa allora regnante nella sua opera. Come tirarsi la zappa sui piedi da soli...
Copernico visse prima di Galilei, fu sacerdote e scienziato, si mostrò prudente e si diede un sacco di arie di umiltà ....
Al Papa ed al Bellarmino si rimprovera proprio quello che tu vorresti utilizzare come attenuante:
nella Chiesa del '600 (come oggi in tutte le comunità bigotte ed autoritarie)
non vale quello che si dice ma ...come lo si dice ......
Ritengo che limitarsi ad un’analisi superficiale basandosi sul “ non era quello che diceva, ma come lo diceva” non renda onore ad ambedue le parti. Nello scontro con la Chiesa, Galileo espone il suo pensiero in merito al rapporto tra la scienza e la libertà d’espressione, confrontati con il tradizionalismo del potere religioso.
Lo scienziato riteneva che il potere assoluto del sovrano fosse il garante più corretto della scienza, senza considerare che dopo la Controriforma i rapporti di forza sono mutati in favore della Chiesa.
E’ necessario quindi trovare nella religione un alleato, così da proteggersi da eventuali rivalse dei propri avversari.
Galileo è convinto della conciliabilità tra innovazione e Chiesa e riconosce l’autorità della religione nell’utilizzo mondano della ricerca, ma allo stesso tempo cerca di approfondire unicamente gli aspetti scientifici delle scoperte effettuate.
Sono i presupposti di Galileo sulla Natura e le Sacre Scritture che favoriscono ben presto gli scontri con la Chiesa.
Infatti lo scienziato stabilisce che le Sacre Scritture e la Natura, in quanto create entrambe da Dio, non possono contraddirsi tra loro.
Attribuisce alla scrittura un carattere soprannaturale, però chiarisce che la rivelazione di Dio non intende divulgare verità scientifiche, ma solo principi morali e religiosi, con un linguaggio semplice.
Il linguaggio deve per forza corrispondere alle credenze popolari e quindi per la gente semplice.
Vi è quindi un innegabile vantaggio tra Natura e Sacre Scritture: la prima si fonda sull’immutabile ripetitività dei fenomeni di cui la natura stessa è portatrice, mentre le Scritture presentano un linguaggio metaforico che lascia spazio a più interpretazioni dello stesso passo.
Per Galileo la scienza, per essere davvero tale, deve essere uguale alla ricerca libera, autonoma, spontanea.
In questo modo rigetta anche gli ammonimenti che talvolta facevano gli ecclesiastici nei confronti dei ricercatori.
Imporre agli scienziati di utilizzare la loro volontà per credere tutto il contrario di quello che il loro intelletto gli suggerisce, solo per conservare i termini tradizionali del sapere, è nettamente sbagliato.
Galileo afferma che i diritti dell’intelletto sono superiori a quelli delle facoltà interiori dello spirito.
L’espressione più alta della libertà della scienza si ritrova nel suo intento di affermare il diritto di tutti gli uomini alla conoscenza universale.
In conclusione, lo scienziato si distacca anche dal misticismo medievale, che cerca nelle cose, l’impronta di
Dio e dalla concezione animistica del Rinascimento che osservava la natura, per trovare l’immagine dell’uomo.
Per questo elabora una definizione particolare della natura, come “Grande Libro”.
Inoltre lo scontro verte anche sulla comparazione dell’intelletto umano con quello divino,posto sullo stesso
piano da Galileo.
Questa equiparazione è in primo luogo la condizione iniziale della validità della scienza e giustificazione della sua autonomia.