D’altronde basterebbe il senso, e i personaggi messi in gioco (fra cui la madre e lo stesso Dio) per rendere improbabili anche lontane allusioni a un rapporto eterodosso. Io ho poi fatto osservazione analoghe, proprio parlando con Dall’Orto, sulla presunta omosessualità di Leopardi (e non era l’unico caso che riscontravo nelle sue analisi a tappeto). Spingendomi anche a dire, forse in maniera sgarbata, che i gay, per me, non necessitano crearsi “santi” che li autorizzino.
Ma lasciamo perdere, potrei dire “polemizzando” con te, che non mi pare del tutto accettabile quanto scrivi su Catullo, d’accordo su certe liriche, ma non su altre. Qui poi sono influenzato da un valente studioso come Traina, che amava quel retorico alla ennesima potenza che era Marchesi, quando viceversa apprezzo il tuo approccio irriverente, ma anche se avessi tempo per meditarlo, non è questa la sede per farlo, varrebbe solo per il mio io, cui poco importa che qui giocherebbe in casa (ho letto integralmente le Confessioni, molti passi in originale, e di Catullo l’intero lepido libello, esclusi i carmina colti). Certo che Ille mi par esse deo videtur (lascio perdere titoli da te allusi che stuzzicherebbero istinti non nobili) è splendida traduzione, che perviene anche alla poesia, ma farci sopra un discorso serio su spontaneità vs sincerità, esula dal forum, mentre su qualche altra lirica, la 73 o 75 (non ho sottomano il libro), qualche dubbio me lo pongo.
Piuttosto, e qui rispondo trasversalmente anche a Virtesto, sono, e non credo di essere il solo, assai convinto che non esista un confine netto fra eterosessualità e omosessualità, cosa che in realtà ho già suggerito, parlando anche altrove, non solo qui, di sessualità in genere, omo o etero che sia. Troppo lungo rifarsi all’amor cortese, ove l’equivoco è già presente nel primo poeta (provenzale, Guglielmo IX di Potiers, padre di Eleonora di Aquitania, e quindi madre nientemeno che Riccardo Cuor di leone, e qui registriamo anche presunte valenze gay) che abbia scritto in lingua volgare (Guglielmo scriveva indifferentemente liriche all’amor cortese, alla Vergine, o a squallide e multiple “scopate”). Ci sfugge invero quel che la sociologia ha definito la fin amor, un rapporto represso fra la castellana e i vassalli (ovv. Tristano e Isotta, Lancillotto e Ginevra, o in ambito dantesco Francesca da Rimini). Poi il dibattito cinquecentesco sull’amore, e sul parallelo con Genesi dell’androgino aristofaneo platonico (che Poly ha viceversa ben chiosato nel discorso di Pausania, ma confermato anche da Trianello in un vecchio post, alludendo a visioni gnostiche e/o valentiniane); che lascerebbe il tempo che trova se lo considerassimo in un appiattimento e tentativo improbabile di accordo fra Cristianesimo e cultura pagana, ma che per ricchezza di apporti, che non si sono esauriti in ambito letterario, ma anche in quello teologico medico e giuridico, suggerisce che le epoche successive ne siano state profondamente influenzate, al punto che io anticipo, e di non poco, le riflessioni sulla sessualità a quest’epoca, ferma restando la loro consapevolezza a secoli posteriori.
Parlando poi per esperienza, e considerando gli amici della mia vita, non ho mai avuto difficoltà a riconoscere in queste amicizie valenze omosessuali. Magari sublimate, perché non riesco a trovare ora altro vocabolo, ma indubbie. Certo è un fatto che io abbia scoperto il mio orientamento sessuale a circa 15 anni, lo ricordo come un flash, in autobus, attirato da figure femminili (ma dovrei specificare da una loro parte anatomica). Qui però torniamo anche ad atteggiamenti retorici: con un mio amico letterato, e gay, che ha più o meno l’età di Poly, e che conosco di persona, abbiamo anche condiviso la foresteria del Centro Nazionale di Studi Leopardiani a Recanati, ci appelliamo comunemente (oltre 1000 mail) “Mio diletto”, con un linguaggio retorico che puntualmente ripete quello di primo Ottocento, ove una persona inesperta che leggesse persone insospettabili, dovrebbe concludere che erano tutti una massa di “debosciati”… Niente di più falso, e al riguardo mi piace concludere con le parole di un grande parabiografo leopardiano, adottando anch’io, in questo caso e non solo, l’ennesimo espediente retorico:
L’enigma è proprio nell’incastro dei due destini che danno luogo al sodalizio. Perché Giacomo aveva proprio bisogno di Ranieri? Perché il caso (o quella minima progettualità con cui è possibile guidarlo) gli mise al momento giusto accanto quel giovane bello e fatuo. Tutto qui? Sì, proprio tutto qui. E qui fermiamo le nostre fantasie. Non è che mettendo a letto Giacomo e il suo Tonino (e davvero non ci sono prove) capiremmo di più. Aggiungeremmo una inutile e pruriginosa fantasia, a qualcosa che resta terribilmente enigmatico e refrattario rispetto a spiegazioni “superficiali”. [Renato Minore]