Appurato che il termine ‘geovista’ ricorre almeno cinque volte, prima dei verbali di polizia del 1940-41,
ipso facto è acclarato che non risponda a verità la tesi che venisse introdotto in periodo bellico. Che poi esso sia termine dispregiativo, è dichiarato in maniera apodittica, senza che venga dimostrato da alcuna testimonianza, perché ovviamente le varie sigle: ACS, TS, G1, CPC, dicono tutto e nulla, a meno che non venga riportato il testo relativo. Cosa che dubito possa fare l’anonimo geovista internettiano, perché, beninteso, io so sciogliere gli acronimi (uno per tutti: ACS sta per Archivio Centrale di Stato), mi resta da sapere se lui sia in grado di farlo, o sia solo capace di fare un copia-incolla pro domo sua, senza capire un bischero di quello che legge e scrive, o, peggio, mescolando la sua voce con quella della sua fonte: perché sia chiaro a tutti, quell’assurdo finale: «Consapevolmente o no chi usa il termine "geovista" adotta lo stesso spirito fascista di allora»
non appartiene al citato, ma a chi lo cita, e che, anche se di parte e passionario, sapeva scrivere con decenza e con spirito critico, e non sono gli errori linguistici che commette che scalfiscono il suo bel lavoro, direi tutt’ora utile a chi si occupi delle persecuzioni nel periodo fascista. Si chiamava Paolo Piccioli, e ha tutto il mio rispetto, fermo restando che la linguistica non fosse cibo per lui.
Quel che Piccioli ignorava, lasciando perdere altro, è che il term. geovista, prima di assumere connotazioni legate ai TdG, significava e significa genericamente di religione ebraica, e, in senso tecnico, allude alle redazioni plurime del Pentateuco, in partic. già nella critica storica di fine Ottocento, si distingue dalla tradizione elohistica per l’uso del tetragramma invece che per la sostituzione con Elohim. Altro ci sarebbe da dire, quanto meno che il Deuteronomio rappresenta una terza tradizione collaterale, ma è argomento che richiederebbe pagine e pagine, e, d’altronde, negare un unico redattore al Pentateuco già di per sé confliggerebbe col geovismo, che vive di
sola scriptura, ove poi la scelta geovista del tetragramma va proprio nella loro direzione, fin anche nel NT, per cui il nome, affatto storico e neutro, sarebbe perfettamente giustificato, se riferito a loro, tanto amanti di YHWH da metterlo anche dove proprio
nun ce sta. Di fatto nel saggio di Piccioli l’unico esempio concreto che porta non significa nulla, perché nulla suggeriscono le frasi «munita di grammofono e tre dischi di propaganda
geovista, la Martino era solita riunire, nella propria abitazione, i neofiti ed i simpatizzanti»; oppure «un’assidua vigilanza da parte delle Autorità locali sui
geovisti». L’unico periodo pertinente sarebbe un’arringa di un avvocato difensore, fratello di Silvio D’Amico (celebre critico di teatro):
«Questi dicono la verità, e volete condannarli; questa brava gente invece dovrebbe essere approvata per la sua fede». Il presidente replicò con sarcasmo:
«Avvocato, vuol divenire anche lei geovista?»
Ma non è chi non veda che se a geovista qui sostituissimo ‘testimone di Geova’ il presunto sarcasmo rimarrebbe inalterato, perché si riferisce alle persone, e non è implicito nel vocabolo: Gramsci stava sulle scatole al regime non solo perché era comunista, ma perché era Gramsci.
Lo scritto di Piccioli si intitola
I testimoni di Geova durante il regime fascista, pp. 191-229, credo tratto, ma non ho agio di controllare, dal suo P. Piccioli,
Il prezzo della diversità, una minoranza a confronto con la storia religiosa in Italia negli scorsi cento anni, Napoli, Jovene, 2010.
Ciò andava detto, a suo merito, perché ripeto, al di là di queste imperfezioni linguistiche, che non tengono nessun conto dell’uso del term. geovista o geovismo nelle altre lingue (ove nel francese è precoce, nello spagnolo e nel portoghese data già agli anni ’60, come pure negli US, ma nel contesto della guerra fredda, ove i Russi definivano senz’altro
geovisti i testimoni di Geova: tutte cose indipendenti dall’uso fascista) il suo saggio non è privo di interesse storico.
La prima seria attestazione che ho trovato di ‘geovista’, in italiano, riferito ai TdG, è del 1972 (In «Uomo e cultura», vol 5. n° 9, p. 112, ove si parla della polemica fra un pastore pentecostale e un responsabile «geovista», sc. testimone di Geova). Spesso coeve, ma anche precedenti, quelle nelle pubblicazioni della WTS, quasi sempre citazioni, ma alcune non affatto negative, come la seguente (w74 1/12 pp. 721-727):
nel libro Even Under the Sky There Is Hell (1971, pagina 117) un giornalista cecoslovacco descrisse il crudele trattamento inflitto nel 1951 ai testimoni di Geova in un campo di lavoro comunista: “Ricorderò sempre con ammirazione e approvazione i geovisti [testimoni di Geova], soprattutto giovani, che rifiutarono di prestare servizio militare e furono per questo condannati.
Sfido chiunque a leggervi ironia, per cui, verrebbe da dire, loro possono utilizzare il vocabolo, e io no?