Ciao Gio anche a me interessa il tuo punto di vista riguardo la divinizzazione di Cristo da parte del NT e mi piacerebbe che lo facessi qui:
viewtopic.php?t=28404
Dove troverai i diversi punti di vista di:
1} Vieri che abbracciando Hurtado vede questo accostamento poco dopo la presunta (presunta per me ovviamente) resurrezione di Cristo,
2) mio, dove vedo una evoluzione molto lenta della figura di Gesù che parte dall'essere considerato un rabbi, poi il messia promesso, poi un essere preesistente demiurgo con lo pseudo Paolo in Colossesi e con l'anonimo scrittore di Ebrei verso fine primo secolo, ed infine di natura divina verso inizio II secolo con "Giovanni" e i proto ortodossi (o se vogliamo con quella che sarà chiamata la scuola Giovannea).
3) Valentino dove a differenza mia sposta la divinizzazione di Gesù dai proto ortodossi in poi, diciamo metà secondo secolo e vede anche negli scritti di "Giovanni" una semplice ipostatizzazione della "parola di Dio" (impersonale), personificata nell'uomo Gesù (te lo spiegherà meglio lui se vorrà).
Mario70 mi ha linkato il topic per poter dire la mia sul processo di divinizzazione di Cristo nelle prime generazioni dei Cristiani, perché avevo accennato a Vieri di volerne parlare, e questo è il luogo più opportuno in cui farlo.
Naturalmente Cristo non è stato divinizzato, ma scoperto essere Dio, un concetto diverso. Ciò per rendere un po' più relativo il dibattito sulla sua preesistenza. Non è stato inteso, da un certo punto in poi, divino, alla maniera ad esempio di Dioniso, un dio che ad un certo punto è nato, ma è stato inteso essere Dio, nella persona della sua verità unigenita. E la verità di Dio non è generata nel tempo, ma precede, in senso ontologico e come fondamento di ogni cosa, ogni tempo. Perché ogni cosa esista, deve avere come fondamento la verità del suo esistere rispetto a Uno, Dio. [In maniera simile lo Spirito, che è Dio nella persona della sua vita onniprocedente: perchè ogni cosa che vive sia viva, deve procedere dalla vita di Uno, Dio. Il Dio della Bibbia infatti è proposto come il Dio Vero, ovvero il Dio che fonda la verità dell'esistenza delle cose (che altrimenti sarebbero solo immaginate da Dio) e il Dio Vivente, il Dio da cui procede ogni vita (che altrimenti sarebbe a sua volta soltanto immaginata da Dio). Occorre perciò che la sua verità e la sua vita non siano soltanto immaginate, ma persone, generata prima di ogni tempo da lui l'una, e procedente inarrestabilmente da lui in ogni tempo l'altra, distinte. Assieme alla sua verità e alla sua vita, Dio è tutta la deità che c'è, in tre persone.]
Ora, facciamo la prova a domandarci il contrario: che cosa avrebbe potuto trattenere i primissimi Cristiani dal mettere per iscritto una cosa del genere, ostacolo poi a mano a mano scemato?
Soffermiamoci sui primi martiri: Stefano, ucciso nel 36, Giacomo di Zebedeo, fratello di Giovanni, ucciso nel 44, Giacomo, fratello del Signore, ucciso nel 62 (come sappiamo da Giuseppe Flavio). Tutti e tre costoro furono uccisi in un interregno fra due procuratori romani, nelle more cioè di un avvicendamento, poiché i Romani riservavano soltanto alla propria giurisdizione le pene capitali.
Conosciamo da At l'accusa a Stefano, e non abbiamo motivo di credere che per gli altri fosse diversa: blasfemia, in relazione a due aspetti, a) la Legge di Mosè (che Stefano predicava non sufficiente alla salvezza) e b) il Tempio (Stefano aveva detto del Maestro che se avessero distrutto il tempio, egli lo avrebbe ricostruito in tre giorni). Mentre il primo ramo dell'accusa causava irritazione (diceva Stefano: "quale profeta voi non avete ucciso?") e avrebbe comportato pene pesanti ma non certo la morte, stante l'argomento offensivo ma arguto di Stefano (la Legge è fatta per essere realizzata, non per non esserlo, e siccome non lo è, questo serve a farvi capire che da soli non ce la fate e richiede ravvedimento), il secondo ramo era inteso dagli Ellenisti accusatori di Stefano come un accenno al fatto che la risurrezione di Gesù non era stata come quella di Lazzaro, e che lui adesso stesse in qualche modo al posto del tempio. Avevano ragione, infatti quando Stefano disse di vedere i Cieli aperti ed il Figlio dell'Uomo alla destra della Potenza, lo lapidarono senza nemmeno bisogno di aspettare una sentenza. Come avrebbe chiarito più tardi Maometto, l'unico peccato che è eterno e irredimibile, e che conduce con certezza alla morte senza bisogno di nessuna sentenza è dire che Dio ha dei partner (persone al suo fianco) invece che dei sudditi (persone ritte di fronte, come gli arcangeli) nel reggere l'universo. Ma ora, qui con Stefano siamo nel 36, e non abbiamo dubbi che la faccenda sia andata proprio così, perché invece agli occhi dei Romani nessuna di queste cose aveva alcuna consistenza giuridica (a differenza che per Cristo, che si era fatto chiamare Messia, nel senso del re atteso, e anche questo con i dubbi, circa la consistenza, di Pilato, come si sa). Dalle parole di Stefano perciò sembra dedursi il fatto che egli, nel 36, credesse che la risurrezione di Gesù non fosse stata come la risurrezione di Lazzaro. D'altronde, se il racconto fosse di composizione tardiva, perché non mettergli in bocca parole di professione di fede proto-ortodosse? In effetti tutto, nel NT, sembra procedere e progredire gradualmente, e non per strategia o per coltivare la nostra suspense. Ma questo progredire è un progredire in ciò che si testimonia, o al contrario un dismettere ciò che si evita di testimoniare, per il problema delle autorità giudaiche?
Vediamo, agli occhi di in Cristiano del 36, in cosa la risurrezione di Gesù potrebbe essere diversa dalla risurrezione di Lazzaro. Marco non dice nulla, nel senso che il finale sembra addirittura amputato. Egli, che scrisse il vangelo di Pietro, si ferma esattamente quando avrebbe dovuto tirare in ballo Pietro. Segno che quando lui scrisse, Pietro era vivo. Non si espone il correligionario alla accusa di blasfemia, e cioè al martirio, per iscritto. Per la prosecuzione del racconto basta ciò che si dice a voce, e che tutti i battezzati sanno, in privato.
Il redattore del vangelo di Matteo [forse Barnaba; si tramanda che fu assassinato dai Giudei nel 61 a Cipro, mentre teneva stretto fra le braccia un manoscritto del vangelo di Matteo; probabilmente solo lui, levita, aveva l'autorevolezza di quello "scriba, che dalle scritture trae cose vecchie e cose nuove", passo del solo Matteo, l'autorevolezza di completare a) il vangelo aramaico di Matteo (lista o insieme di liste di detti del Signore) con b) il primo canovaccio del vangelo di Pietro scritto proprio dal proprio nipote, Marco, con c) la testimonianza di Giacomo, fratello del Signore, circa gli episodi della natività, e con d) il proprio ricordo, in Galilea, fra i più di 500, del Signore risorto (solo in Matteo infatti si rammenta: "alcuni però dubitarono")] aggiunge a Marco solo tre particolari, abbastanza allusivi: a) il masso viene rotolato quando il corpo già non c'era; b) le guardie e non solo le donne videro il masso rotolare quando il corpo già non c'era; c) in Galilea alcuni dei presenti dubitarono. Naturalmente non si capisce l'interesse proto-ortodosso a dire che, di fronte all'apparizione del Risorto, alcuni dubitarono. Di nuovo Matteo non tira in ballo Pietro, segno che Pietro era vivo. Ma dicendo che alcuni dubitarono, dice senza dire, cioè fa una cosa molto intelligente: se se lo vedono davanti risorto, di che cos'altro si poteva dubitare? Beh, è logico: che fosse Dio. Senza dire sta dicendo che i molti, a parte i pochi che dubitarono, videro Dio. A quelli che dubitarono allora sarà andata pressappoco come a Tommaso, che poi si ricrede e lo chiama "mio Dio".
Paolo non parla mai di sepolcro vuoto, ovvero non mette mai per iscritto, nella propria corrispondenza, ciò che ogni battezzato sa. Luca, il diligente, quello che collaziona documenti, finalmente tira in ballo Pietro, ma solo per dire che egli, in sostanza, non vide niente, "tranne le bende". Quindi dice tutto ma senza dire, senza dire ciò che ogni battezzato sa. Non sappiamo perciò se Pietro fosse ancora vivo, ma di certo lo era Giovanni, l'alta colonna di questa vicenda [due delle "tre colonne", come li chiama Paolo, Pietro e Giovanni, sono la base di questa verità, la terza, Giacomo, come visto, la base della testimonianza della concezione virginale del Signore].
Infine Giovanni. Distrutto il tempio, scomparso il Sinedrio, da lontano dalla Palestina, in piena vecchiaia, egli non espone più nessuno di vivo, se non se stesso. Così può scrivere ciò che le colonne, Pietro e lui stesso, hanno da sempre raccontato, in privato, ad ogni battezzato. Se avessero cambiato versione nel tempo, come se non se ne fossero ricordati prima, sarebbero stati presi per menzogneri e pazzi, altro che colonne. Se invece fosse un'invenzione della proto-ortodossia, non si capisce perché la proto-ortodossia, che era di lingua greca, non utilizzasse questo argomento. In verità questo argomento è tale, che lo si capisce solo se lo si pensa vero. Se invece non lo si pensa vero, ma ortodosso (cioè "correttamente creduto") allora nemmeno lo si capisce. Non parliamo poi dell'ortodossia latina, che non capiva il greco. In effetti nè la Vetus Latina nè Girolamo lo capirono. Quelli che leggevano direttamente il testo lungo (bizantino) o le versioni in altre lingue, non lo capirono nemmeno. La non ortodossia dell'origine di questa cosa è perciò evidente, e sta dietro a tutto il non detto, anzi il non scritto, ma appartenuto alla tradizione orale fin dagli albori, e, per chi lo sapeva, fin da prima della apparizione in Galilea: Gesù è uscito da solo dalla morte, che non l'ha potuto fisicamente contenere. Non l'ha tirato fuori nessuno. Come uno che ha la vita in sé. Lui l'ha dismessa e lui la riprende. E chi ha la vita in sé, se non uno solo, se non Dio soltanto? Non commenterò perciò, ma vi invito a provare a pensare a quale possibile proto-ortodossia possa esser venuto in mente di inventare queste parole. La traduzione è assolutamente letterale, ed è proprio nella sua letteralità che sembra non significare niente. Per questo, ogni volta, è stata tradotta ad occhio. Tant'è vero che Agostino, alla domanda: "ma cosa vide e credette Giovanni in questo passo", rispose: "vide e credette che era stato portato via, come avevano detto le donne". Come certamente saprete, sono morti quasi diciannove secoli di ortodossia prima che a qualcuno sia venuto il dubbio circa il significato effettivo di queste parole.
"Pietro e l'altro discepolo uscirono dunque e si avviarono al sepolcro. I due correvano assieme, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse primo al sepolcro; e, chinatosi, vide le bende giacenti, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro, e vide le bende giacenti, e il sudario, che era stato sul capo di Gesù, non giacente con le bende, ma a sé stante infasciato al suo posto. Allora entrò anche l'altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, e vide, e credette".