Ancora sull'inno ai filippesi 2

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Vieri
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Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Vieri »

Data l'importanza di questa lettera di Paolo mi permetto di segnalare questo commento che ritengo interessante
Inno cristologico esaminato da altra fonte
https://nicodemo.net/wp-content/uploads ... 2_1-11.pdf
Filippesi 2,1-11
1 se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se
c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, 2
rendete
piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e
concordi. 3Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà,
consideri gli altri superiori a se stesso. 4Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche
quello degli altri. 5Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:
6 egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
7ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
8umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
9Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
10perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
11e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.

Questo testo si situa in quella parte della lettera ai Filippesi, chiamata «lettera dalla
prigionia» (Fil 1,1–3,1a + 4,2–7.21-23) che sarebbe stata inviata da Paolo a Filippi per mezzo
di Epafrodito verso la fine della sua permanenza a Efeso. In esso Paolo, dopo aver esortato i
filippesi ad avere gli stessi sentimenti di Gesù (vv. 1-4), presenta loro come esempio la sua
vicenda umana mediante una composizione poetica chiamata «Inno cristologico» (vv. 5-11).
Per quanto riguarda l’inno, è comune
l’opinione secondo cui esso sarebbe una composizione preesistente, di carattere liturgico, che
Paolo avrebbe inserito in questo contesto per scopi esortativi. Esso ha come sfondo il tema
dell’abbassamento-esaltazione così come appare nei testi riguardanti il giusto (cfr. Pr 3,34;
Sap 2,23-24), il Figlio dell’uomo (cfr. Dn 7,13-14), Adamo (cfr. Gn 1,26-27) e soprattutto il
Servo di YHWH (cfr. Is 52,13-53,12). L’inno si divide in due parti: umiliazione (vv. 6-8) ed
esaltazione (vv. 9-11).
Nella premessa all’inno Paolo parla della gioia (chara) che si aspetta di ricevere dai
filippesi. Questa gioia si attua in quanto si verificano in essi questi quattro atteggiamenti
interiori: la consolazione (paraklêsis) in Cristo, il conforto derivante dalla carità (paramythion
tês agapês), la comunanza (koinônia) di spirito, (i sentimenti di) amore e compassione
(splanchna kai oiktirmoi) (v. 1).

Con vocaboli diversi Paolo descrive quello stato d’animo di profonda serenità interiore che ha come fonte l’amore e la compassione e sfocia nella comunione dei cuori. Esso ha come risultato la partecipazione a un medesimo sentire (to auto
fronein) e alla stessa carità (agapên), l’essere unanimi (synpsichoi) e concordi (to en fronountes). In questa serie di atteggiamenti interiori prevale il verbo fronein, che indica una percezione interiore che sta all’origine della comunione fraterna sulla quale si fonda la vita comunitaria.

Per raggiungere la profonda unità che si aspetta dai filippesi, Paolo suggerisce alcuni
comportamenti: non fare nulla per rivalità o vanagloria, avere quell’umiltà (tapeinofrosynê) in
forza della quale ciascuno considera gli altri superiori a se stesso; ricercare non l’interesse
proprio, ma anche quello degli altri (vv. 3-4). Tutti questi atteggiamenti interiori si
riassumono per l’Apostolo nell’avere in sé gli stessi sentimenti (fronein) di Cristo Gesù (vv. 3-5).

Quest’ultima frase introduce direttamente l’inno cristologico che, indicando quali sono
stati i sentimenti di Gesù, mostra chiaramente come devono comportarsi i cristiani.

L’inno si apre con il pronome relativo «il quale», che si riferisce al nome «Cristo Gesù», con
cui terminava la precedente esortazione: è questo il modo tipico con cui in casi simili una
nuova unità letteraria viene collegata al contesto che precede (cfr. per es. Col 1,15; 1Tm 3,16;
Eb 1,3).
La prima cosa che viene affermata di Gesù Cristo è che egli era «in forma di Dio» (en
morphêi Theou)
(v. 6a).

Il termine morphê è stato interpretato come equivalente di concetti greci a sfondo filosofico, quali «sostanza» (ousia), «natura» (physis), che indicano il carattere specifico di un essere, oppure biblici, quali «gloria» (doxa) e «immagine» (eikôn). Tuttavia il
vero significato del termine si ricava solo tenendo presente che l’espressione morphê Theou viene posta volutamente in parallelismo antitetico con morphê doulou del v. 7b.
In altre parole, l’uso di morphê per indicare il rapporto di Gesù Cristo con Dio è giustificato proprio
dall’intenzione di contrapporlo alla morphê dello schiavo da lui assunta liberamente.


Ora il termine morphê esprime bene il rapporto sia con Dio che con lo schiavo solo se indica
la «condizione», cioè il modo in cui un essere esiste e si manifesta concretamente. Sullo sfondo
si può intuire il racconto della creazione, nel quale si dice che il primo uomo fu creato a
immagine di Dio (Gn 1,26-27).

Siccome la «condizione di Dio», in contrapposizione a quella dello schiavo, comporta essenzialmente dominio, autorità e dignità, si può ritenere che Gesù Cristo fosse en morphêi Theou proprio in quanto queste prerogative divine gli appartenevano
pienamente come suo privilegio originario.
L’esistenza di Cristo nella condizione di Dio viene espressa con il participio presente yparchôn, che ha il valore di un proposizione concessiva(«pur essendo»), con la quale si sottolinea come il suo essere in condizione di Dio non sia stato
rimosso, ma è continuato anche dopo che egli «si svuotò».

L’inno continua con una frase in cui si spiega in che modo Gesù ha gestito il suo essere in
condizione di Dio: «non giudicò un privilegio (arpagmon) l’essere come Dio» (v 6b). Il termine
arpagmon, «rapina», è molto discusso, in quanto non appare altrove nel NT, non si trova nei
LXX, e ricorre raramente negli scrittori ecclesiastici al di fuori dei riferimenti a Fil 2,6b.
Esso può designare l’azione del rubare oppure la cosa rubata considerata come un tesoro da
conservarsi gelosamente. Alla luce del secondo significato sembra che l’espressione sia una
frase idiomatica, che significa «usare qualcosa per il proprio vantaggio» o «considerare
qualche cosa come un privilegio di cui approfittare».

L’oggetto di cui Cristo avrebbe potuto approfittarsi consiste nell’«essere come Dio» (isa
Theôi). Questa espressione è stata comunemente tradotta «l’essere uguale a Dio» o
«l’uguaglianza con Dio
», con riferimento alla natura o essenza divina di Cristo.
Dal punto di
vista filologico però essa indica semplicemente l’esercizio attivo dei poteri propri di Dio,
esigendo dagli altri un atteggiamento di obbedienza e di culto.

Ciò che Gesù Cristo non volle sfruttare a proprio vantaggio sono dunque le conseguenze esterne del suo rapporto
privilegiato con Dio. Anche qui sullo sfondo si intuisce l’esperienza di Adamo, il quale si è
ribellato proprio perché ha voluto essere «come Dio», acquistando la conoscenza del bene e
del male (Gn 3,5).

In contrasto con lui Cristo non ha voluto gestire in termini di potere il suo privilegio di essere «in condizione di Dio»: per questo ha iniziato un cammino che lo ha portato a immergersi negli strati più bassi dell’umanità, non come castigo ma per libera scelta.
L’autore dell’inno prosegue affermando che Cristo non solo non volle approfittare di ciò
che gli competeva, ma addirittura vi rinunciò, in quanto «svuotò (ekenôsen) se stesso» (v. 7a).
Questa concisa e singolare espressione non ha nessun parallelo in tutta la letteratura greca,
perciò la sua interpretazione è estremamente difficile.
Anch’essa è stata perciò occasione di numerose speculazioni, il cui scopo era quello di spiegare in che modo colui che era nella
«forma di Dio» avesse potuto «svuotarsi», «spogliarsi». È sorta così la “cristologia kenotica” o
“kenotismo”, che nella sua forma estrema giunge al paradosso di affermare che il Verbo
divino, diventando uomo, ha messo da parte alcuni o tutti gli attributi divini incompatibili con
la realtà dell’incarnazione.

Dal contesto risulta invece chiaramente che l’oggetto della kenosi è il diritto nativo di
essere alla pari di Dio. L’espressione «svuotò se stesso» significa quindi che Cristo ha
rinunciato in modo totale, e al tempo stesso libero e volontario, a tutto ciò che il suo status
comportava dal punto di vista della dignità e del trattamento.


Alcuni studiosi sostengono che la frase sia la traduzione di Is 53,12b, dove si dice che il Servo di YHWH «ha spogliato la sua
anima per la morte» (LXX: «la sua anima fu consegnata [paredothê] a morte»): in questo caso
l a kenosi indicherebbe il cammino che ha portato Gesù a far propria l’esperienza del
personaggio deutero-isaiano, il quale si è impegnato a fondo per la riconciliazione e la
conversione del suo popolo in esilio, prendendo su di sé le conseguenze della violenza di cui
esso era ancora impregnato.

L’autore stesso conferma questa interpretazione mediante l’inciso morphên doulou labôn,
«assumendo la condizione di schiavo» (v. 7b). La polarità dei termini Kyrios-doulos fa
comprendere che la kenosi di Cristo consiste nel fatto che egli durante la sua vita terrena non
volle comportarsi come Dio e Signore degli uomini, ma come servo, privo di ogni dignità,
autorità e potere, completamente dedito all’umile servizio degli altri. Il termine «servo»
(doulos), pur non essendo lo stesso utilizzato nel greco per indicare il Servo di YHWH (pais
Kyriou), si rifà ancora una volta al personaggio deutero-isaiano e alla sua esperienza: il
servizio consistere quindi essenzialmente nell’accettazione della sofferenza che comporta
l’impegno per la rinascita di un popolo sia in senso religioso che politico e sociale.

L’inquadratura storica in cui si è svolta la rinunzia volontaria di Gesù viene poi delineata
mediante una frase preceduta da due proposizioni participiali, che formano un parallelismo
progressivo: «[Una volta] divenuto simile agli uomini e trovato nell’aspetto esterno (schêmati)
come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (vv.
7cd-8).

Colui che era nella condizione di Dio è ora sullo stesso piano (en homoiômati, nella
somiglianza) degli uomini (cfr. Eb 4,15b «provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il
peccato»). Con il participio aoristo genomenos, «divenuto» (in contrasto con hyparchôn del v.

6) l’autore dell’inno intende sottolineare come la totale somiglianza di Gesù con gli uomini si
situi nel tempo e nello spazio, come conseguenza di un evento che si situa all’interno della
storia umana. Non si tratta però di una semplice somiglianza: durante la sua esistenza terrena
(Eb 5,7: «nei giorni della sua carne») egli «fu trovato», cioè percepito riconosciuto da quelli
che l’hanno incontrato, nel suo modo di essere e di agire, come veramente uomo, alla pari di
tutti gli altri. Viene così sottolineata a tutti gli effetti la sua piena solidarietà con il genere
umano.
Diventando simile agli uomini ed essendo riconosciuto come tale, Gesù «umiliò se stesso»
(etapeinôsen eauton) (v. 8a). Questa espressione viene usata nel NT in contrapposizione ai
sentimenti di vanità, ambizione ed autoesaltazione (cfr. Mt 18,4; 23,12; Lc 14,11; 18,14; 2Cor
11,7) propri dell’uomo.

L’umiliazione di Gesù consiste dunque nel radicale rifiuto dell’ambizione e dell’orgoglio, e di riflesso nell’adozione di quella ferma e risoluta mitezza,aliena da qualsiasi violenza, che è stata propria del Servo di YHWH (cfr. Is 42,2-3; 53,7.9b). Gesù
ha portato a termine la sua umiliazione «diventando obbediente (hypêkoos) fino alla morte»

(v. 8b). L’aggettivo «obbediente», unito al participio «diventato» (genomenos), indica un
atteggiamento abituale e costante, che si caratterizza come fedeltà totale alla volontà di Dio.
L’espressione «fino alla morte» non ha un senso temporale (obbedire fino all’ultimo respiro),
ma un senso qualitativo: un’obbedienza che non cede neppure davanti al sacrificio personale,
compreso anche quello supremo della propria vita. Anche qui si percepisce sullo sfondo la
sintonia piena con Dio che è attribuita al Servo di YHWH in diversi passi dei carmi a lui dedicati
(cfr. soprattutto Is 50,4-8).

L’autore infine commenta: «e alla morte di croce (staurou)» (v. 8c). Questa espressione, che
rappresenta il climax dell’inno, può considerarsi come un espediente retorico che mette in
rilievo l’estremo grado di umiliazione a cui Gesù è andato incontro. Il termine staurou è usato
senza articolo, al fine di evidenziare il carattere ignominioso della morte. Nel contesto
parenetico in cui l’inno è inserito l’espressione «morte di croce» assume un significato
speciale, in quanto la pena capitale della crocifissione richiamava alla mente dei filippesi, che
vivevano in una città romana, l’umiliazione più degradante e più ignominiosa, il colmo
dell’abiezione.

Il movimento della kenosi e dell’umiliazione di Cristo si arresta bruscamente per dare
spazio al movimento contrario. Cambia il soggetto dell’azione: mentre finora chi agiva era
Gesù, a partire dal v. 9 è Dio che interviene. Il nuovo brano inizia con la descrizione degli
effetti che ha avuto l’umiliazione di Cristo: «Per questo anche Dio lo sopra-esaltò (yperypsôsen)» (v. 9a). L’espressione «per questo» sottolinea come la radicalità della svolta che interessa la persona di Gesù ha uno stretto collegamento con ciò che è capitato
precedentemente. Proprio in forza della sua morte egli ha conseguito un modo di essere
immensamente superiore a quello dei semplici mortali.

L’esaltazione che gli è conferita appare come un esempio del modo di agire di Dio, enunciato da Gesù stesso nei vangeli (cfr. Lc
14,11; 18,14b //Mt 23,12). Il verbo ypsoô, «esaltare», è utilizzato nel quarto Vangelo per
indicare la morte di Cristo in croce, in quanto però essa implica già la sua risurrezione e
ascensione (cfr. Gv 3,14; 8,28; 12,32.34)
.

Tuttavia l’inno non menziona questi due eventi: è chiaro che per l’autore è sufficiente mettere in rilievo il contrasto tra l’abbassamento e l’esaltazione di Cristo. L’uso di ypsoô rappresenta un’ulteriore allusione al Servo di YHWH, il
quale dopo la sua morte ha sperimentato il successo e l’esaltazione (Is 52,13 nella traduzione
dei LXX). Con il composto yper-ypsoô (un termine che appare una sola volta nel NT) l’autore
vuole far comprendere il carattere pieno e definitivo dell’esaltazione di Cristo, la quale
rappresenta l’opera per eccellenza compiuta da Dio in suo favore.

L’intervento divino viene ulteriormente precisato con questa affermazione: Dio «lo
gratificò (echarisato) con il nome che è al di sopra di ogni nome» (v. 9b). Questo è l’unico
passo nel NT in cui si parla di un atto di grazia (charis) concesso a Cristo.
Dal contesto (cfr. v. 11b) si ricava che «il nome» attribuito a Gesù è il nome stesso di Dio, YHWH, che in greco è stato
tradotto Kyrios, Signore. Il nome significa, alla luce del linguaggio biblico, non un appellativo o
un attributo specifico (in questo caso la divinità), ma piuttosto un ufficio, status, o dignità.


Per iniziativa gratuita di Dio Gesù riceve quindi lo status di Kyrios, che comporta la suprema
dignità e la sovranità assoluta su tutto quello che esiste in cielo ed in terra (cfr. Mt 28,18).


Proprio quel Gesù, che durante la sua esistenza terrena non aveva voluto avvalersi a proprio
vantaggio del suo «essere alla pari di Dio», viene ora esaltato in sommo grado, ricevendo in
dono da Dio la dignità suprema propria di Dio stesso: ciò a cui aveva liberamente e
volontariamente rinunciato come diritto lo ottiene ora come dono gratuito.

Viene poi descritta la conseguenza dell’esaltazione di Cristo: «affinché nel nome di Gesù si
pieghi ogni ginocchio degli esseri celesti, terrestri e sotterranei, e ogni lingua confessi» (v. 10).
Il «nome di Gesù» è quello che gli appartiene perché gli è stato dato da Dio (genitivo
possessivo), e indica la sua signoria universale. Perciò in esso, cioè in segno di profonda
venerazione nei suoi confronti, «si piega ogni ginocchio... e ogni lingua confessa»: questa
espressione è ricavata da Is 45,23 (citato secondo la traduzione dei LXX), dove indica
l’adorazione che un giorno tutte le creature presteranno a YHWH.


L’autore dell’inno aggiunge «degli esseri celesti, terrestri e sotterranei» per esplicitare il carattere universale di tale
adorazione: ad essa prendono parte tutti gli esseri creati capaci di adorazione, e cioè gli spiriti
nel cielo, i viventi sulla terra ed i morti nello she<ol. Il riferimento a Is 45,23 porta ad escludere
l’opinione di coloro che, ricorrendo al modello del “redentore gnostico”, vedono in questi
esseri le potenze cosmiche sconfitte da Cristo, nuovo kosmokrator, e costrette a rendergli
omaggio e a riconoscere la sua autorità. Qui infatti viene ripreso il concetto
veterotestamentario della signoria universale di YHWH, con l’unica differenza che il loro
omaggio, nella sua estensione più ampia, è ormai prestato a Cristo.

L’inno cristologico raggiunge la sua conclusione quando rivela che tutto il cosmo confessa
che «Signore [è] Cristo Gesù» (v. 11b). Nel NT questa confessione si ritrova solo un’altra volta
(Col 2,6), mentre altrove essa ricorre nella sua forma più breve «Gesù è Signore» (cfr. 1Cor
12,3; Rm 10,9a)
. Con questa formula carica di profondo significato teologico l’autore vuole
affermare che Gesù Cristo non è un signore qualunque, ma il KYRIOS per antonomasia. Gesù,
che durante la sua esistenza terrena ha voluto toccare il fondo dello svuotamento e
dell’umiliazione, è stato innalzato alla suprema dignità.

Dal punto di vista formale il termine Kyrios riassume in modo stupendo l’idea di esaltazione contenuta nella seconda parte
dell’inno, in contrasto con il termine doulos con cui nella prima parte è descritto l’abbassamento di Gesù. Colui che si è profondamente abbassato prendendo la condizione di schiavo, viene ora esaltato alla suprema dignità di Signore. Non si tratta però di due momenti diversi: l’esaltazione rivela il vero significato dell’umiliazione e l’umiliazione è già in se stessa
una realtà gloriosa.

L’inno termina con l’espressione «a gloria di Dio Padre» (v. 11c). Con queste parole l’autore
vuole affermare che Gesù non è il sostituto né il concorrente di Dio, in quanto la confessione
della sua signoria torna in ultima analisi a gloria di Dio Padre
. A rigore di termini questa frase
si riferisce direttamente all’esaltazione di Gesù.

Tuttavia essa serve come conclusione di tutto l’inno, in quanto sottolinea come sia l’umiliazione che l’esaltazione interagiscano in vista non di un vantaggio umano ma dell’attuazione di un progetto divino il cui scopo è la salvezza
dell’umanità.

Nel corso dei secoli l’inno cristologico è stato interpretato in due modi sostanzialmente
diversi. Per combattere l’arianesimo Ambrogio, l’Abrosiaster (sec. IV) e i Padri Latini
posteriori hanno visto come protagonista dell’inno il Verbo preesistente nel sua esistenza
presso il Padre e nel processo che lo ha portato a scendere in questo mondo e a prendere la
natura umana.
Perciò in Fil 2,7 si è letta la dottrina dell’incarnazione del Verbo, in base alla
quale si è costruito un sistema dottrinale che, in linea con l’insegnamento dei Concili di Nicea
e di Calcedonia, pone l’accento sul Verbo preesistente, sull’incarnazione e sulle due nature di
Cristo.
Questa lettura del brano è diventata tradizionale, in quanto domina tutta l’esegesi
cattolica fino ai tempi moderni. Invece i Padri Greci e quelli Latini prima di Ambrogio e
dell’Abrosiaster hanno visto come soggetto del brano Gesù nella sua realtà umana concreta,
cioè nella sua vita terrena.

Paolo stesso si è ispirato a questa interpretazione dell’inno in
quanto l’ha utilizzato non per fare un discorso teologico sull’incarnazione ma per ricavarne un
insegnamento per i filippesi, i quali, di riflesso, non possono averlo interpretato che nello
stesso modo. È oggi convinzione abbastanza diffusa che sia questa l’interpretazione da
preferirsi.
Secondo questa interpretazione, nell’inno la vicenda di Gesù viene letta sulla falsariga
dell’esperienza di Adamo e del Servo di YHWH.

Adamo, creato ad immagine di Dio, ha preteso di essere come Dio, e così ha perso la dignità che gli era stata conferita. Gesù invece, pur essendo «nella condizione di Dio», cioè avendo con lui un rapporto specialissimo, non ha fatto valere il
suo privilegio in termini di prestigio e di potere, ma ha assunto la condizione propria del Servo sofferente.

La sua umiliazione non deve dunque essere vista come espressione di un
processo ascetico di mortificazione, ma come conseguenza della sua fedeltà a Dio, dalla quale
scaturisce un impegno personale e costante per la liberazione non solo, come per il Servo di
YHWH, di un popolo ancora lacerato da profonde divisioni e impregnato di violenza, ma di tutta
l’umanità.
Osservazioni relative:
In questo testo trovo:
L’oggetto di cui Cristo avrebbe potuto approfittarsi consiste nell’«essere come Dio» (isa Theôi). Questa espressione è stata comunemente tradotta «l’essere uguale a Dio» o «l’uguaglianza con Dio», con riferimento alla natura o essenza divina di Cristo.
Trovo precedentemente però :
"Anche la locuzione 'essere come Dio' (in greco: isa theo) non può essere tradotta semplicemente con 'uguaglianza con Dio', 'essere uguale a Dio', come spesso accade. Ciò esigerebbe, infatti, la forma isos theo; nel testo ricorre invece l'avverbio isa, e ciò significa soltanto 'come Dio', 'simile a Dio'. 

FONTE: Karl-Josef Kuschel - "Generato prima di tutti i secoli?" - Queriniana
Tra l'altro non si capisce bene questa ultima interpretazione tale dover inficiare completamente il significato comunemente adottato in special modo quando l'autore dell'articolo traduce : «essere come Dio» (isa Theôi) in maniera identica a quanto contestato:
nel testo ricorre invece l'avverbio isa, e ciò significa soltanto 'come Dio', 'simile a Dio'. 
Tra l'altro leggo :
Non siamo quindi in presenza di un'affermazione sull' 'essere uguale a Dio' di Cristo e ciò milita nuovamente in sfavore di un'interpretazione sotto il profilo della preesistenza".
Ma dove trovo altre considerazioni.
Perciò in Fil 2,7 si è letta la dottrina dell’incarnazione del Verbo, in base alla
quale si è costruito un sistema dottrinale che, in linea con l’insegnamento dei Concili di Nicea
e di Calcedonia, pone l’accento sul Verbo preesistente, sull’incarnazione e sulle due nature di
Cristo.
PS. Per favore non iniziamo la solita polemica dove sia tutto catechismo e non si conosca l'autore.
Mi pare che tale analisi sia fatta bene anche se orientata ad un pensiero diverso di altri "storici del cristianesimo".
Mi è sembrato doveroso pertanto segnalare per par condicio anche altri articoli.
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Valentino »

Vieri ma hai davvero letto attentamente cosa c'è scritto nell'articolo che riporti?!?!?!
No, perché se non te ne fossi accorto, l'articolo sostiene proprio quello che dico io!
Si parla di due interpretazioni: una "allineata" e resa "conforme" ai pronunciamenti conciliari...ed un'altra, ovvero quella più fedele al testo, che è esattamente quella di cui ti parlo io!
Leggiamo:

"[...]Ambrogio, l’Abrosiaster (sec. IV) e i Padri Latini posteriori hanno visto come protagonista dell’inno il Verbo preesistente nel sua esistenza presso il Padre e nel processo che lo ha portato a scendere in questo mondo e a prendere la natura umana. Perciò in Fil 2,7 si è letta la dottrina dell’incarnazione del Verbo, in base alla quale si è costruito un sistema dottrinale che, in linea con l’insegnamento dei Concili di Nicea e di Calcedonia, pone l’accento sul Verbo preesistente, sull’incarnazione e sulle due nature di Cristo. Questa lettura del brano è diventata tradizionale, in quanto domina tutta l’esegesi cattolica fino ai tempi moderni".

L'articolo identifica correttamente questa interpretazione come di una interpretazione "tradizionale" che fa capolino nella storia a partire dal quarto secolo!
Questa "interpretazione tradizionale", ovvero questo significato che si attribuì all'inno di Filippesi a partire dal quarto secolo, è effettivamente quello che voleva esprimere Paolo?!?!?

La risposta è: no!

Ed è scritto nello stesso articolo che tu stesso hai citato e che probabilmente non hai letto con attenzione!


Infatti nell'articolo, che tu stesso hai citato, leggiamo che Paolo nella sua lettera ai Filippesi ha utilizzato l'inno: "non per fare un discorso teologico sull’incarnazione ma per ricavarne un insegnamento per i filippesi, i quali, di riflesso, non possono averlo interpretato che nello stesso modo. È oggi convinzione abbastanza diffusa che sia questa l’interpretazione da preferirsi.
Secondo questa interpretazione, nell’inno la vicenda di Gesù viene letta sulla falsariga dell’esperienza di Adamo
".


Ed infatti si aggiunge:

"Adamo, creato ad immagine di Dio, ha preteso di essere come Dio, e così ha perso la dignità che gli era stata conferita. Gesù invece, pur essendo «nella condizione di Dio», cioè avendo con lui un rapporto specialissimo, non ha fatto valere il suo privilegio in termini di prestigio e di potere, ma ha assunto la condizione propria del Servo sofferente.

Insomma un esempio di "cristologia adamitica", come ti ho sempre spiegato.
Vieri ha scritto: 11/10/2023, 16:34PS. Per favore non iniziamo la solita polemica dove sia tutto catechismo e non si conosca l'autore.
Mi pare che tale analisi sia fatta bene anche se orientata ad un pensiero diverso di altri "storici del cristianesimo".
Mi è sembrato doveroso pertanto segnalare per par condicio anche altri articoli.
Nessuna polemica Vieri, fermo restando che stai citando un sito (nicodemo.net) concepito per fini "pastorali", un sito di omelie.
illustri autori quali E.P. Sanders, Geza Vermes, Dale Allison, Paula Fredriksen e tanti altri [...] su un punto concordano tutti:
Gesù non trascorse il suo ministero a proclamarsi divino.
B. Ehrman

Gesù non fu cristiano fu ebreo. J. Wellhausen

I soli uomini a vivere, lungo tutto il medioevo, a imitazione di Gesù furono gli ebrei. K. Jaspers

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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Vieri »

Valentino, senza polemica ma nel testo c'è scritto:
Perciò in Fil 2,7 si è letta la dottrina dell’incarnazione del Verbo, in base alla quale si è costruito un sistema dottrinale che, in linea con l’insegnamento dei Concili di Nicea e di Calcedonia, pone l’accento sul Verbo preesistente, sull’incarnazione e sulle due nature di Cristo.
mentre tu avevi scritto prima:
Non siamo quindi in presenza di un'affermazione sull' 'essere uguale a Dio' di Cristo e ciò milita nuovamente in sfavore di un'interpretazione sotto il profilo della preesistenza".
Quello che allora non capisco della tua risposta:
Vieri ma hai davvero letto attentamente cosa c'è scritto nell'articolo che riporti?!?!?!
No, perché se non te ne fossi accorto, l'articolo sostiene proprio quello che dico io!
Si parla di due interpretazioni: una "allineata" e resa "conforme" ai pronunciamenti conciliari...ed un'altra, ovvero quella più fedele al testo, che è esattamente quella di cui ti parlo io!
Mah ! ma che mi risulti nell'articolo si dice chiaramente:
in Fil 2,7 si è letta la dottrina dell’incarnazione del Verbo.....pone l’accento sul Verbo preesistente, sull’incarnazione e sulle due nature di Cristo
mentre tu prima avevi affermato :
Non siamo quindi in presenza di un'affermazione sull' 'essere uguale a Dio' di Cristo e ciò milita nuovamente in sfavore di un'interpretazione sotto il profilo della preesistenza"
Com'è questa storia? :boh:

Una ultima considerazione.
Cosa vorrebbe dire per te: rapporto specialissimo se per te era un umano ?
Gesù invece, pur essendo «nella condizione di Dio», cioè avendo con lui un rapporto specialissimo,
PS. Non vedo poi in questa prima parte della lettera di Paolo alcun riferimento al secondo Adamo....ma solo da altre parti
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

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Vieri ha scritto: 11/10/2023, 16:34 Data l'importanza di questa lettera di Paolo mi permetto di segnalare questo commento che ritengo interessante
Inno cristologico esaminato da altra fonte
https://nicodemo.net/wp-content/uploads ... 2_1-11.pdf
Come detto il sito "nicodemo.net" è certamente un sito "confessionale" che ospita delle "omelie".
Infatti:
Immagine

Ad ogni modo leggendo con attenzione noto che è gestito da un teologo cattolico che conosco e cha ha all'attivo diverse pubblicazioni.
Insomma parliamo di qualcuno che pur mantenendo un approccio "pastorale" si è misurato con l'esegesi storico-critica dei testi neotestamentari.
E lo prova, come abbiamo visto, la sua onestà intellettuale nel parlare dell'inno ai Filippesi.

Ricapitolando, nell'articolo che hai citato leggiamo diversi fatti interessanti, riguardanti l'inno di Filippesi:
1) E' a partire dal quarto secolo che certi autori proto-ortodossi (ovvero Ambrogio, l’Abrosiaster ed i Padri Latini posteriori) hanno cominciato a proiettare in Filippesi 2:7 la "dottrina dell'incarnazione"!
2) Prima di allora persino gli autori proto-ortodossi non ritenevano che in Filippesi 2:7 si alludesse ad una preesistenza di Gesù e non ritenevano che si alludesse alla sua incarnazione; infatti anche questo viene precisato nell'articolo che riporti quando si precisa che: "i Padri Greci e quelli Latini prima di Ambrogio e dell’Abrosiaster hanno visto come soggetto del brano Gesù nella sua realtà umana concreta, cioè nella sua vita terrena".
3) Anche l'autore dell'articolo prende atto del fatto che in realtà Paolo ha utilizzato l'inno "non per fare un discorso teologico sull’incarnazione".
4) Il fatto che nell'inno di Filippesi non c'è alcun riferimento ad una presunta natura divina di Gesù, nessun riferimento ad una sua preesistenza e nessun riferimento ad una dottrina dell'incarnazione è, come specifica l'autore dell'articolo che riporti, l' "interpretazione da preferirsi".

In definitiva, come ti ho sempre spiegato, si è cominciato a leggere l'inno di Filippesi come un riferimento alla preesistenza ed alla incarnazione di Gesù piuttosto tardi, ovvero a partire addirittura dal quarto secolo. Secondo l'articolista che mi hai citato, questa non era originariamente, nemmeno la lettura dei proto-ortodossi stessi prima di Ambrogio.
Noi dobbiamo infatti interrogarci su cosa volesse esprimere Paolo nel contesto vitale in cui scrisse la sua lettera e, come abbiamo visto, Paolo non attribuisce a Gesù una "natura divina", non allude né ad una sua preesistenza né ad una sua incarnazione.
Ma questo appunto non lo dico io, lo riconosce candidamente anche l'autore che hai citato tu.
illustri autori quali E.P. Sanders, Geza Vermes, Dale Allison, Paula Fredriksen e tanti altri [...] su un punto concordano tutti:
Gesù non trascorse il suo ministero a proclamarsi divino.
B. Ehrman

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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Vieri »

Vieri ha scritto: 12/10/2023, 10:17 Valentino, senza polemica ma nel testo c'è scritto:
Perciò in Fil 2,7 si è letta la dottrina dell’incarnazione del Verbo, in base alla quale si è costruito un sistema dottrinale che, in linea con l’insegnamento dei Concili di Nicea e di Calcedonia, pone l’accento sul Verbo preesistente, sull’incarnazione e sulle due nature di Cristo.
mentre tu avevi scritto prima:
Non siamo quindi in presenza di un'affermazione sull' 'essere uguale a Dio' di Cristo e ciò milita nuovamente in sfavore di un'interpretazione sotto il profilo della preesistenza".
Quello che allora non capisco della tua risposta:
Vieri ma hai davvero letto attentamente cosa c'è scritto nell'articolo che riporti?!?!?!
No, perché se non te ne fossi accorto, l'articolo sostiene proprio quello che dico io!
Si parla di due interpretazioni: una "allineata" e resa "conforme" ai pronunciamenti conciliari...ed un'altra, ovvero quella più fedele al testo, che è esattamente quella di cui ti parlo io!
Mah ! ma che mi risulti nell'articolo si dice chiaramente:
in Fil 2,7 si è letta la dottrina dell’incarnazione del Verbo.....pone l’accento sul Verbo preesistente, sull’incarnazione e sulle due nature di Cristo
mentre tu prima avevi affermato :
Non siamo quindi in presenza di un'affermazione sull' 'essere uguale a Dio' di Cristo e ciò milita nuovamente in sfavore di un'interpretazione sotto il profilo della preesistenza"
Com'è questa storia? :boh:

Una ultima considerazione.
Cosa vorrebbe dire per te: rapporto specialissimo se per te era un umano ?
Gesù invece, pur essendo «nella condizione di Dio», cioè avendo con lui un rapporto specialissimo,
PS. Non vedo poi in questa prima parte della lettera di Paolo alcun riferimento al secondo Adamo....ma solo da altre parti
Valentino, perchè non rispondi a quello che mi sembrava "strano" ?
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Valentino »

Vieri il problema è che devi leggere con attenzione tutto l'articolo non solo alcune parti.
Vieri ha scritto: 12/10/2023, 10:17 Valentino, senza polemica ma nel testo c'è scritto:
Perciò in Fil 2,7 si è letta la dottrina dell’incarnazione del Verbo, in base alla quale si è costruito un sistema dottrinale che, in linea con l’insegnamento dei Concili di Nicea e di Calcedonia, pone l’accento sul Verbo preesistente, sull’incarnazione e sulle due nature di Cristo.
Mah ! ma che mi risulti nell'articolo si dice chiaramente:
in Fil 2,7 si è letta la dottrina dell’incarnazione del Verbo.....pone l’accento sul Verbo preesistente, sull’incarnazione e sulle due nature di Cristo
L'articolista scrive:

Nel corso dei secoli l’inno cristologico è stato interpretato in due modi sostanzialmente diversi. Per combattere l’arianesimo Ambrogio, l’Abrosiaster (sec. IV) e i Padri Latini posteriori hanno visto come protagonista dell’inno il Verbo preesistente nel sua esistenza presso il Padre e nel processo che lo ha portato a scendere in questo mondo e a prendere la natura umana. Perciò in Fil 2,7 si è letta la dottrina dell’incarnazione del Verbo, in base alla quale si è costruito un sistema dottrinale che, in linea con l’insegnamento dei Concili di Nicea e di Calcedonia, pone l’accento sul Verbo preesistente, sull’incarnazione e sulle due nature di Cristo. Questa lettura del brano è diventata tradizionale, in quanto domina tutta l’esegesi cattolica fino ai tempi moderni. Invece i Padri Greci e quelli Latini prima di Ambrogio e dell’Abrosiaster hanno visto come soggetto del brano Gesù nella sua realtà umana concreta, cioè nella sua vita terrena. Paolo stesso si è ispirato a questa interpretazione dell’inno in quanto l’ha utilizzato non per fare un discorso teologico sull’incarnazione ma per ricavarne un insegnamento per i filippesi, i quali, di riflesso, non possono averlo interpretato che nello stesso modo. È oggi convinzione abbastanza diffusa che sia questa l’interpretazione da preferirsi.
Secondo questa interpretazione, nell’inno la vicenda di Gesù viene letta sulla falsariga dell’esperienza di Adamo
.


Ricapitolando l'articolista afferma:
1) Sono esistite due letture dell'inno di Filippesi.
2) Una, quella a cui ti riferisci, è quella "tardiva" risalente al quarto secolo in funzione antiariana, e non è ciò che Paolo intendeva esprimere nel contesto vitale in cui scrisse.
3) L'altra invece, che per l'articolista è quella corretta, conforme al testo ed è quello che Paolo intendeva dire: ovvero nell'inno non c'è alcun riferimento a concetti di preesistenza, incarnazione e presunta deicità di Gesù ma, come dice l'articolista, "nell’inno la vicenda di Gesù viene letta sulla falsariga dell’esperienza di Adamo".
Vieri ha scritto: 12/10/2023, 10:17Una ultima considerazione.
Cosa vorrebbe dire per te: rapporto specialissimo se per te era un umano ?
Vieri non è in discussione quello che "vorrebbe dire per me" questa frase, ma ciò che significa nel contesto dell'articolo che hai riportato è, più in generale nel contesto della comprensione dell'inno sulla "falsariga dell’esperienza di Adamo".
Si tratta dello stesso "rapporto specialissimo" che, secondo il racconto di Genesi, intercorreva tra Dio ed Adamo prima che Adamo peccasse.
Vieri ha scritto: 12/10/2023, 11:01Valentino, perchè non rispondi a quello che mi sembrava "strano" ?
Vieri in realtà ti avevo già risposto!
Evidentemente non solo non leggi gli articoli che tu stesso proponi, ma non leggi nemmeno le risposte!
Nel post precedente ti ho fatto notare essenzialmente la stessa cosa con queste parole:


Ricapitolando, nell'articolo che hai citato leggiamo diversi fatti interessanti, riguardanti l'inno di Filippesi:
1) E' a partire dal quarto secolo che certi autori proto-ortodossi (ovvero Ambrogio, l’Abrosiaster ed i Padri Latini posteriori) hanno cominciato a proiettare in Filippesi 2:7 la "dottrina dell'incarnazione"!
2) Prima di allora persino gli autori proto-ortodossi non ritenevano che in Filippesi 2:7 si alludesse ad una preesistenza di Gesù e non ritenevano che si alludesse alla sua incarnazione; infatti anche questo viene precisato nell'articolo che riporti quando si precisa che: "i Padri Greci e quelli Latini prima di Ambrogio e dell’Abrosiaster hanno visto come soggetto del brano Gesù nella sua realtà umana concreta, cioè nella sua vita terrena".
3) Anche l'autore dell'articolo prende atto del fatto che in realtà Paolo ha utilizzato l'inno "non per fare un discorso teologico sull’incarnazione".
4) Il fatto che nell'inno di Filippesi non c'è alcun riferimento ad una presunta natura divina di Gesù, nessun riferimento ad una sua preesistenza e nessun riferimento ad una dottrina dell'incarnazione è, come specifica l'autore dell'articolo che riporti, l' "interpretazione da preferirsi".

In definitiva, come ti ho sempre spiegato, si è cominciato a leggere l'inno di Filippesi come un riferimento alla preesistenza ed alla incarnazione di Gesù piuttosto tardi, ovvero a partire addirittura dal quarto secolo. Secondo l'articolista che mi hai citato, questa non era originariamente, nemmeno la lettura dei proto-ortodossi stessi prima di Ambrogio.
Noi dobbiamo infatti interrogarci su cosa volesse esprimere Paolo nel contesto vitale in cui scrisse la sua lettera e, come abbiamo visto, Paolo non attribuisce a Gesù una "natura divina", non allude né ad una sua preesistenza né ad una sua incarnazione.
Ma questo appunto non lo dico io, lo riconosce candidamente anche l'autore che hai citato tu.
illustri autori quali E.P. Sanders, Geza Vermes, Dale Allison, Paula Fredriksen e tanti altri [...] su un punto concordano tutti:
Gesù non trascorse il suo ministero a proclamarsi divino.
B. Ehrman

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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Mario70 »

Io non capisco il vero problema di Vieri... La fede la puoi tenere stretta anche pensando che solo a partire dalla fine del I secolo si fa di Gesù un Dio subordinato a YHWH
Basta metterci lo Spirito santo in mezzo:

1) lo Spirito Santo ha fatto in modo che in quattro secoli si è arrivati alla verità della trinità, attraverso i concili che questo Spirito ha guidato

2) tra i tanti cristianesimi ha fatto prevalere i proto ortodossi i quali sempre attraverso i concili hanno decretato quali libri erano ispirati e quali no ed hanno creato la grande chiesa cattolica (per i primi 1000 anni per "Chiesa cattolica" si intendeva la chiesa latina romana e greco ortodossa)

Insomma io da agnostico ci vedo una semplice costruzione umana dove i seguaci di un grande Rabbi carismatico hanno fatto diventare con gli anni un uomo alla pari di Dio, costruzione simile avvenuta con altri uomini nella storia mitizzati, e vedo la vittoria dei proto ortodossi avvenuta grazie a gerarchie sociali ben strutturate e inciuci politici ad hoc (non per forza cercati ma sicuramente trovati) ma tu puoi risolvere il problema mettendoci in mezzo la fede nello Spirito Santo, anzi hai più prove tu appoggiandoti alla storia che i protestanti o i diversi gruppi che si sono formati negli ultimi due secoli, almeno la CC ha una storia che si può far risalire quanto meno ai discepoli degli apostoli.
Insomma stai tranquillo che nessuno vuole toglierti o sminuire la tua fede e non è l'accettare una conoscenza progressiva a toglierti la fede in Dio.
"La cosa più triste è che molto spesso chi viene ingannato, o illuso, tende a rimanere strettamente ancorato a quello in cui crede nonostante le evidenze indichino chiaramente che la realtà è diversa. Forse è talmente affezionato alle sue credenze che preferisce chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie di fronte a qualunque cosa possa farle vacillare."
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Messaggio da VictorVonDoom »

Mario70 ha scritto: 12/10/2023, 14:24 Io non capisco il vero problema di Vieri... La fede la puoi tenere stretta anche pensando che solo a partire dalla fine del I secolo si fa di Gesù un Dio subordinato a YHWH
Basta metterci lo Spirito santo in mezzo:

1) lo Spirito Santo ha fatto in modo che in quattro secoli si è arrivati alla verità della trinità, attraverso i concili che questo Spirito ha guidato

2) tra i tanti cristianesimi ha fatto prevalere i proto ortodossi i quali sempre attraverso i concili hanno decretato quali libri erano ispirati e quali no ed hanno creato la grande chiesa cattolica (per i primi 1000 anni per "Chiesa cattolica" si intendeva la chiesa latina romana e greco ortodossa)
Beh, è lo stesso approccio/problema dei TdG. Per chi concepisce la fede in questo modo, non può essere SOLO una questione di fede, perchè se è solo una questione di fede, senza avere una qualche tipo di prova "concreta", allora non fa davvero alcuna differenza a quale religione si appartiene, l'una vale l'altra, la mia ha la stessa dignità della tua. E questo, per molti, è inconcepibile.
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Messaggio da Mario70 »

VictorVonDoom ha scritto: 12/10/2023, 14:35
Mario70 ha scritto: 12/10/2023, 14:24 Io non capisco il vero problema di Vieri... La fede la puoi tenere stretta anche pensando che solo a partire dalla fine del I secolo si fa di Gesù un Dio subordinato a YHWH
Basta metterci lo Spirito santo in mezzo:

1) lo Spirito Santo ha fatto in modo che in quattro secoli si è arrivati alla verità della trinità, attraverso i concili che questo Spirito ha guidato

2) tra i tanti cristianesimi ha fatto prevalere i proto ortodossi i quali sempre attraverso i concili hanno decretato quali libri erano ispirati e quali no ed hanno creato la grande chiesa cattolica (per i primi 1000 anni per "Chiesa cattolica" si intendeva la chiesa latina romana e greco ortodossa)
Beh, è lo stesso approccio/problema dei TdG. Per chi concepisce la fede in questo modo, non può essere SOLO una questione di fede, perchè se è solo una questione di fede, senza avere una qualche tipo di prova "concreta", allora non fa davvero alcuna differenza a quale religione si appartiene, l'una vale l'altra, la mia ha la stessa dignità della tua. E questo, per molti, è inconcepibile.
E che prova "concreta" potrà mai avere un tdg o qualunque altro fedele di qualsivoglia chiesa? Alla fine sempre di fede si tratta.
"La cosa più triste è che molto spesso chi viene ingannato, o illuso, tende a rimanere strettamente ancorato a quello in cui crede nonostante le evidenze indichino chiaramente che la realtà è diversa. Forse è talmente affezionato alle sue credenze che preferisce chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie di fronte a qualunque cosa possa farle vacillare."
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Messaggio da Vieri »

Mario70 ha scritto: 12/10/2023, 14:24 Io non capisco il vero problema di Vieri... La fede la puoi tenere stretta anche pensando che solo a partire dalla fine del I secolo si fa di Gesù un Dio subordinato a YHWH
Basta metterci lo Spirito santo in mezzo:

1) lo Spirito Santo ha fatto in modo che in quattro secoli si è arrivati alla verità della trinità, attraverso i concili che questo Spirito ha guidato

2) tra i tanti cristianesimi ha fatto prevalere i proto ortodossi i quali sempre attraverso i concili hanno decretato quali libri erano ispirati e quali no ed hanno creato la grande chiesa cattolica (per i primi 1000 anni per "Chiesa cattolica" si intendeva la chiesa latina romana e greco ortodossa)

Insomma io da agnostico ci vedo una semplice costruzione umana dove i seguaci di un grande Rabbi carismatico hanno fatto diventare con gli anni un uomo alla pari di Dio, costruzione simile avvenuta con altri uomini nella storia mitizzati, e vedo la vittoria dei proto ortodossi avvenuta grazie a gerarchie sociali ben strutturate e inciuci politici ad hoc (non per forza cercati ma sicuramente trovati) ma tu puoi risolvere il problema mettendoci in mezzo la fede nello Spirito Santo, anzi hai più prove tu appoggiandoti alla storia che i protestanti o i diversi gruppi che si sono formati negli ultimi due secoli, almeno la CC ha una storia che si può far risalire quanto meno ai discepoli degli apostoli.
Insomma stai tranquillo che nessuno vuole toglierti o sminuire la tua fede e non è l'accettare una conoscenza progressiva a toglierti la fede in Dio.
Ciao Mario, risposta equilibrata e ti spiego il perchè di questa mia insistente ricerca.

In pratica come avevo già segnalato a Valentino è che non mi spiego il fatto che:

1)- Gli apostoli e S. Paolo, si dice che non credessero nella divinità di Gesù

2)- Mi trovo poi delle lettere di Paolo o di suoi stretti collaboratori presumibilmente del 50 e quindi molto antiche dove nei Filippesi 2 mi rimane particolarmente evidente la considerazione di Gesù non come solo uomo.
6 il quale, pur essendo in forma divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio
3)- Mi trovo poi dal 70 al 100 dei Vangeli che se non scritti direttamente dagli apostoli sono stati sicuramente il frutto dei loro insegnamenti e da dove traspare chiaramente il fatto che anche qui Gesù non viene considerato un semplice profeta umano ma con un rapporto "molto speciale" per citare le parole precedenti, per non dire "vero e unigenito Figlio di Dio" ( con un vero rapporto filale).

4) Mi trovo poi che dopo anni e direi solo nel secondo e terzo secolo, che fra le tante chiese cristiane formatesi in quegli anni solo i proto-ortodossi interpretassero i Vangeli , che se permettete: "correttamente", fino a diventare religione predominante a parte un periodo non lungo di "arianesimo".
Sarà anche pur vero che un riconoscimento politico da parte di Costantino ne decretò una ufficializzazione favorendone la diffusione ma tale interpretazione che divenne alla fine un dogma al concilio di Nicea del 325 nonostante i numerosi concili successivi, non fu messa mai in discussione resistendo integralmente anche oggi.

In conclusione allora la domanda finale è sempre stata questa:


Come sia stato possibile che degli apostoli nemmeno dopo la resurrezione credessero nella deicità di Gesù e che poi dettarono o tramandarono a loro stretti collaboratori dei Vangeli tali da essere interpretati dopo più di un secolo, solo da una comunità cristiana (proto- ortodossi) ( presumibilmente basata sugli insegnamenti di Pietro e di Paolo) in maniera diversa dai loro intendimenti ?

Non per niente poi questa chiesa si chiamò successivamente "apostolica romana".
Valentino potrà dirmi allora che molte comunità cristiane del tempo, vantavano anche loro l'idea di seguire le parole degli apostoli ma furono considerate successivamente "eretiche" ebbero alla fine vita breve...

Tra l'altro se analizziamo la parola proto-ortodossi leggiamo:
Cosa vuol dire il prefisso Proto?
πρῶτος «primo», in composizione πρωτο-]. – Primo elemento di molte parole composte, derivate dal greco o formate modernamente, che significa: 1. Primo in ordine di tempo o di spazio (protocanonico, protomartire, protocollo, ecc.); primo in ordine d'importanza
ortodosso
Contrassegnato dall'accettazione integrale di una dottrina non necessariamente religiosa, ma a carattere dogmatico, o dalla conformità con essa: cattolici o.; teologi, pensatori o.; opinioni o.
Ne deduco pertanto che la definizione di questa comunità di cristiani possa definirsi come:
Primi in ordine di tempo e di importanza contrassegnati dalla accettazione integrale dei vangeli.

Che alla fine persone come gli apostoli, credessero inizialmente solo ed esclusivamente ad un messia umano generando però degli scritti ( Vangeli) che interpretati integralmente, dettero adito con "accettazione integrale" alla considerazione di un messia "vero Dio e vero Uomo", non lo ritengo possibile dando ragione al "contestato" Hurtado.
https://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=72023183
Sono secoli che si cerca di capire quando e in che modo Gesù Cristo cominciò ad essere ritenuto Dio.
Secondo i minuziosi studi di Hurtado e Bauckham in realtà già i primissimi cristiani avevano un’idea abbastanza chiara della divinità di Cristo. Hurtado parla di un binitarismo già attestato nei primissimi scritti cristiani (le lettere di Paolo).

In realtà, quindi, l’idea di Ario, come tutte le eresie, fu una novità e, in quanto tale, fu respinta dalla grande Chiesa. Questo perché il monoteismo ebraico, in quanto monoteismo, non ammetteva l’esistenza di altre divinità oltre a Dio.

Nel suo ultimo volume Ehrman ha asserito che Paolo credeva sì che Gesù fosse dio (minuscolo), ma come dicono i testimoni di Geova, sarebbe stato un dio minore, non il Dio creatore. Solo con la Risurrezione questo sarebbe stato esaltato alla destra del Primo.
Hurtado (citato a sproposito dallo stesso Ehrman), a mio avviso, ha ampiamente dimostrato, invece, come il monoteismo ebraico del I secolo fosse, appunto, un monoteismo e che pertanto riservasse il titolo di “dio”, appunto, solo a Dio.

Nelle lettere di Paolo di trovano chiare attestazioni della divinità di Cristo basti pensare alla lettera ai Romani (dove Paolo definisce Gesù "Dio benedetto nei secoli", e anche se nel testo originale non vi era punteggiatura la stragrande maggioranza dei primi Padri della Chiesa ha detto che con quel passo si riferiva al Figlio, e non al Padre) o all'inno di Filippesi, addirittura prepaolino che parla con la massima chiarezza dell'uguaglianza di Gesù col Padre, ed è un dato che, una volta appurato il monoteismo delle prime comunità cristiane (che quindi non pensavano a Gesù come un angelo o "dio minore") può a mio avviso farci dire con tranquillità che nelle prime comunità è esistita, fin da subito dopo le esperienze dei discepoli che videro il Cristo Risorto; quantomeno un binitarismo.
Ed ancora:
Il grande merito di Hurtado, al di là di alcune specificità delle proprie tesi, è aver contestato con forza la tesi che regnava dai tempi di Bousset secondo cui: a) la "divinizzazione" di Gesù avvenne dopo parecchi decenni e che b) l'ingrediente principale di tale divinizzazione siano state influenze pagane tramite i gentili convertiti

I punti chiave di Hurtado che moltissima recente critica condivide son: 1) la "divinizzazione" di Cristo va posta entro il (variegato) mondo ebraico di allora, 2) tale "divinizzazione" sia accaduta ben prima di quanto prima creduto.

Queste conclusioni sono ormai condivise da moltissimi storici degli ultimi 15 anni. Cosa è accaduto? Le scoperte di Qumran, nonché la rivalutazione degli intra-testamentari -tra cui 2E citato sopra-, sono state digerite dagli storici solo da pochi anni (circa 15 o 20) e hanno fatto crollare la divisione netta e semplice presupposta (ma non dimostrata) dal Bousset tra monoteismo ebraico e politeismo pagano.

Ci si interroga quindi ora su cosa voleva dire "monoteismo" nel variegato mondo ebraico di allora, e cosa volesse dire "divinizzazione", cercando di non utilizzare le nostre moderne categorie ontologiche (estranee al mondo semitico di allora)

Ovviamente non tutti accettano come criterio per la verifica della "divinizzazione" i ragionamenti sul culto portati avanti da Hurtado (considerati secondari dai più), ma diversi studiosi in questo campo propongono altri approcci, sempre però rimanendo entro l'intuizione di Hurtado: la "divinizzazione" di Cristo avvenne in campo ebraico, e alcuni giudaismi di allora avevano in sé già tutti i semi per rendere possibile tale "divinizzazione"
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Valentino »

Mario70 ha scritto: 12/10/2023, 14:24almeno la CC ha una storia che si può far risalire quanto meno ai discepoli degli apostoli.
Caro Mario,
diciamo che la chiesa cattolica ha una storia che si può far risalire ai proto-ortodossi ed agli ortodossi.
Tanto per dire anche i vescovi ariani supponevano di "discendere dagli apostoli".
Prima che Teodosio imponesse la fede nicena come "religione di stato" dell'impero romano facendone l'unico cristianesimo "professabile", tutti gli altri gruppi che costellavano il multiforme e variegato etno-cristianesimo antico pure si davano una ascendenza apostolica.
Si tratta in sostanza delle "diverse ricezioni" che di Gesù si ebbero nel mondo pagano.
Tutti si "vantavano" di derivare le loro peculiari dottrine direttamente dagli apostoli, a da discepoli degli apostoli.
Basilide, un maestro gnostico morto nel 138 si vantava di aver appreso la sua dottrina nientemeno che da un interprete dell'apostolo Pietro chimato Glaucia.
Un altro gnostico, Valentino, studiò presso un certo Teudas, "che si proclamava diretto discepolo di Paolo di Tarso" (cit. Wikipedia).
Questi fatti ci fanno comprendere come ciascun gruppo del multiforme e variegato etno-cristianesimo antico cercava di darsi un' "ascendenza apostolica".
Ogni gruppo del multiforme e variegato etno-cristianesimo antico affermava di professare la "corretta fede" e riteneva "eretici" gli altri gruppi.
illustri autori quali E.P. Sanders, Geza Vermes, Dale Allison, Paula Fredriksen e tanti altri [...] su un punto concordano tutti:
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Mario70 »

Valentino ha scritto: 12/10/2023, 19:40
Mario70 ha scritto: 12/10/2023, 14:24almeno la CC ha una storia che si può far risalire quanto meno ai discepoli degli apostoli.
Caro Mario,
diciamo che la chiesa cattolica ha una storia che si può far risalire ai proto-ortodossi ed agli ortodossi.
Tanto per dire anche i vescovi ariani supponevano di "discendere dagli apostoli".
Prima che Teodosio imponesse la fede nicena come "religione di stato" dell'impero romano facendone l'unico cristianesimo "professabile", tutti gli altri gruppi che costellavano il multiforme e variegato etno-cristianesimo antico pure si davano una ascendenza apostolica.
Si tratta in sostanza delle "diverse ricezioni" che di Gesù si ebbero nel mondo pagano.
Tutti si "vantavano" di derivare le loro peculiari dottrine direttamente dagli apostoli, a da discepoli degli apostoli.
Basilide, un maestro gnostico morto nel 138 si vantava di aver appreso la sua dottrina nientemeno che da un interprete dell'apostolo Pietro chimato Glaucia.
Un altro gnostico, Valentino, studiò presso un certo Teudas, "che si proclamava diretto discepolo di Paolo di Tarso" (cit. Wikipedia).
Questi fatti ci fanno comprendere come ciascun gruppo del multiforme e variegato etno-cristianesimo antico cercava di darsi un' "ascendenza apostolica".
Ogni gruppo del multiforme e variegato etno-cristianesimo antico affermava di professare la "corretta fede" e riteneva "eretici" gli altri gruppi.
Sono d'accordo riguardo i cristianesimi dell'antichità, ma oggi quale religione cristiana può vantare una continuità tra i discepoli degli apostoli e la classe clericale odierna?
Solo i cattolici e gli ortodossi (e tra gli ortodossi includo copti siriani ecc...) lo possono fare.
Se fossi cristiano una domanda me la farei soprattutto leggendo quello che è stato messo in bocca al Cristo riguardo l'essere "con voi tutti i giorni fino alla fine dei tempi"
Nessun protestante può affermare una cosa del genere senza compiere arrampicate sugli specchi evidentissime.
"La cosa più triste è che molto spesso chi viene ingannato, o illuso, tende a rimanere strettamente ancorato a quello in cui crede nonostante le evidenze indichino chiaramente che la realtà è diversa. Forse è talmente affezionato alle sue credenze che preferisce chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie di fronte a qualunque cosa possa farle vacillare."
(Torre di Guardia 1/9/2010 p 10)
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Valentino »

Mario70 ha scritto: 12/10/2023, 21:13Sono d'accordo riguardo i cristianesimi dell'antichità, ma oggi quale religione cristiana può vantare una continuità tra i discepoli degli apostoli e la classe clericale odierna?
Solo i cattolici e gli ortodossi (e tra gli ortodossi includo copti siriani ecc...) lo possono fare.
L'unica continuità che cattolici ed ortodossi possono vantare storicamente è la continuità dai proto-ortodossi del secondo secolo.
Non comprendo cosa intendi di preciso quando parli di "continuità tra i discepoli degli apostoli" con la classe clericale odierna alla luce del fatto che "darsi un pedigree apostolico" era un fenomeno trasversale che riguardava tutti i gruppi dell'antichità e non solo i proto-ortodossi.
Comprendi quello che voglio dire?!?!
Mario70 ha scritto: 12/10/2023, 21:13Se fossi cristiano una domanda me la farei soprattutto leggendo quello che è stato messo in bocca al Cristo riguardo l'essere "con voi tutti i giorni fino alla fine dei tempi"
Nessun protestante può affermare una cosa del genere senza compiere arrampicate sugli specchi evidentissime.
Diciamo che le questioni "apologetiche" e le "polemiche" (?), ove mai ci siano, tra cattolici e protestanti mi appassionano poco.
Credo che quello di cui parli sia applicabile, sul piano della "logica formale", maggiormente agli aderenti della "Sola Scriptura" ed ai fondamentalisti.
Molto dipende dalla visione teologica che ogni chiesa ha dell'ecclesiologia.
illustri autori quali E.P. Sanders, Geza Vermes, Dale Allison, Paula Fredriksen e tanti altri [...] su un punto concordano tutti:
Gesù non trascorse il suo ministero a proclamarsi divino.
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Valentino »

Vieri ha scritto: 12/10/2023, 19:07Ciao Mario, risposta equilibrata e ti spiego il perchè di questa mia insistente ricerca.

In pratica come avevo già segnalato a Valentino è che non mi spiego il fatto che:

1)- Gli apostoli e S. Paolo, si dice che non credessero nella divinità di Gesù
Non te lo spieghi perché parti dal presupposto che l'apparato dottrinale concepito nell'ortodossia debba necessariamente "coincidere" con quello che credevano gli apostoli.
Storicamente non è così, perché appunto i diretti discepoli di Gesù e Paolo di Tarso non credevano nella presunta deicità di Gesù.
Ma, come ti ha spiegato Mario, è possibile ricorrere ad un approccio di tipo "fideistico" per risolvere quello che per te (ma non per altri cattolici) appare "problematico".
Vieri ha scritto: 12/10/2023, 19:072)- Mi trovo poi delle lettere di Paolo o di suoi stretti collaboratori presumibilmente del 50 e quindi molto antiche dove nei Filippesi 2 mi rimane particolarmente evidente la considerazione di Gesù non come solo uomo.
Come detto e ripetuto, la lettera ai Filippesi è ritenuta "autentica", ovvero è ritenuta essere stata scritta effettivamente da Paolo di Tarso, ma in essa non c'è alcun riferimento alla preesistenza di Gesù, all'incarnazione o alla sua presunta deicità, come puoi leggere anche nell'articolo che tu stesso hai riportato.
Per quanto riguarda invece la lettera ai Colossesi la stragrande maggioranza dei filologi non ritiene che sia stata scritta da Paolo di Tarso: è datata e databile verso la fine del primo secolo e non si sa chi l'abbia scritta.
Non so quindi come tu possa parlare di "stretti collaboratori".
Vieri ha scritto: 12/10/2023, 19:073)- Mi trovo poi dal 70 al 100 dei Vangeli che se non scritti direttamente dagli apostoli sono stati sicuramente il frutto dei loro insegnamenti e da dove traspare chiaramente il fatto che anche qui Gesù non viene considerato un semplice profeta umano ma con un rapporto "molto speciale" per citare le parole precedenti, per non dire "vero e unigenito Figlio di Dio" ( con un vero rapporto filale).
Non so come tu faccia a dire che "ti trovi" quanto scrivi, perché già solo per quanto riguarda i sinottici anche Mario ti ha spiegato che non è così ovvero non c'è alcun riferimento ad una presunta deicità di Gesù.
Ricordi cosa ti ha scritto Mario nell'altra discussione?!!?
Mario70 ha scritto: 04/10/2023, 21:17vedi Vieri tu senza accorgertene tendi a fare un minestrone con la bibbia un po' come fanno i tdg quando vogliono piegare la scrittura in base alle loro dottrine.
Ti è stato spiegato che gli autori dei sinottici e Paolo non credevano che Gesù fosse Dio, ma questa è una ovvietà che chiunque può tranquillamente provarti, anche seri biblisti cattolici, non è niente di nuovo
Insomma non è un mistero per nessuno: lo so io, lo sa Mario, lo sanno i biblisti, etc.
Vieri ha scritto: 12/10/2023, 19:074) Mi trovo poi che dopo anni e direi solo nel secondo e terzo secolo, che fra le tante chiese cristiane formatesi in quegli anni solo i proto-ortodossi interpretassero i Vangeli , che se permettete: "correttamente", fino a diventare religione predominante a parte un periodo non lungo di "arianesimo".
Sarà anche pur vero che un riconoscimento politico da parte di Costantino ne decretò una ufficializzazione favorendone la diffusione ma tale interpretazione che divenne alla fine un dogma al concilio di Nicea del 325 nonostante i numerosi concili successivi, non fu messa mai in discussione resistendo integralmente anche oggi.
Non è che i proto-ortodossi "li interpretarono correttamente" (questa è ovviamente una posizione "confessionale"): in realtà stiamo parlando di una tra le varie "ricezioni" dei vangeli che si ebbero nel multiforme e variegato etno-cristianesimo antico! I proto-ortodossi, insieme agli gnostici, furono effettivamente quegli etno-cristiani che "deificarono" Gesù. Altri gruppi del multiforme e variegato etno-cristianesimo credevano cose diverse riguardo a Gesù. Sappiamo poi in quali circostanze storiche i proto-ortodossi divennero "maggioranza"!
Quindi?
Questo cosa proverebbe?!?!
Sono cose che conosco e di cui ho già parlato:
1) Furono i proto-ortodossi a deificare Gesù.
2) I proto-ortodossi erano solo uno dei vari gruppi che costellavano i multiforme e variegato etno-cristianesimo antico.
3) Anche dopo Nicea continuarono a non essere l'unico gruppo esistente e spesso invece di "prevalere" i proto-ortodossi "prevalevano" gli ariani: questo dipendeva da quale fede professava l'imperatore di turno.
4) Fu solo con Teodosio che la fede nicena fu proclamata "religione di stato" dell'impero.
Vieri ha scritto: 12/10/2023, 19:07In conclusione allora la domanda finale è sempre stata questa:

Come sia stato possibile che degli apostoli nemmeno dopo la resurrezione credessero nella deicità di Gesù e che poi dettarono o tramandarono a loro stretti collaboratori dei Vangeli
Vieri i vangeli non sono stati scritti e nemmno sono stati "dettati" dagli apostoli: in realtà i vangeli sono opere anonime e non sappiamo chi li scrisse.
Vieri ha scritto: 12/10/2023, 19:07tali da essere interpretati dopo più di un secolo, solo da una comunità cristiana (proto- ortodossi)
Perché mai scrivi che i vangeli furono interpretati "solo da una comunità cristiana"?!?!?!
In realtà gli stessi vangeli non furono interpretati "solo" dai proto-ortodossi, ma da molteplici gruppi.
Pensa che il primo "commentario" del vangelo di Giovanni fu scritto da uno gnostico!
Vieri ha scritto: 12/10/2023, 19:07( presumibilmente basata sugli insegnamenti di Pietro e di Paolo) in maniera diversa dai loro intendimenti ?

Non per niente poi questa chiesa si chiamò successivamente "apostolica romana".
Valentino potrà dirmi allora che molte comunità cristiane del tempo, vantavano anche loro l'idea di seguire le parole degli apostoli
Si in effetti, come ti è stato già spiegato, tutti i gruppi (non solo i proto-ortodossi) che costellavano il multiforme e variegato etno-cristianesimo antico cercavano di darsi un' "ascendenza apostolica".
Vieri ha scritto: 12/10/2023, 19:07ma furono considerate successivamente "eretiche" ebbero alla fine vita breve...
Ciò avvenne per opera di Teodosio.
Vieri ha scritto: 12/10/2023, 19:07Tra l'altro se analizziamo la parola proto-ortodossi
Vieri è inutile che "analizzi" la parola "proto-ortodossi", perché questa è una designazione usata dagli storici retrospettivamente.
Non è che i proto-ortodossi chiamavano "se stessi" proto-ortodossi!
In sostanza li chiamiamo "proto-ortodossi" in quanto antesignani di quelli che saranno gli "ortodossi" dopo Calcedonia.
Vieri ha scritto: 12/10/2023, 19:07Ne deduco pertanto che la definizione di questa comunità di cristiani possa definirsi come:
Primi in ordine di tempo e di importanza contrassegnati dalla accettazione integrale dei vangeli.
No Vieri, questa "definizione" è una tua invenzione in quanto non sai che il termine è usato per fini storiografici ed è un termine di adozione piuttosto recente.
Vieri ha scritto: 12/10/2023, 19:07Che alla fine persone come gli apostoli, credessero inizialmente solo ed esclusivamente ad un messia umano generando però degli scritti ( Vangeli) che interpretati integralmente, dettero adito con "accettazione integrale" alla considerazione di un messia "vero Dio e vero Uomo", non lo ritengo possibile
Perdonami Vieri ma quello che tu ritieni o non ritieni "possibile" è irrilevante.
Conta l'evidenza storica disponibile, non quello che tu "decidi" sia possibile o meno.

Ad ogni modo Vieri, quello che Mario ti ha spiegato in questa discussione te lo aveva già spiegato con parole diverse in altra discussione: "Valentino asserisce un dato di fatto riconosciuto da tutti, ovvero che non esisteva un solo cristianesimo ovvero quello di cui parlavo sopra, ma anche altri tra cui gli gnostici, i giudeo-cristiani, i marcioniti, i modalisti, gli adozionisti e in seguito gli ariani.
Di tutti questi sappiamo chi ebbe più fortuna, in parte grazie a Costantino, sicuramente ha influito la struttura ecclesiastica ben organizzata, ma non solo, ovviamente poi subentra la fede, i cattolici e gli ortodossi ci vedono lo Spirito Santo in questo
".
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Vieri »

Valentino ed i suoi caratteri URLANTI...
Vieri i vangeli non sono stati scritti e nemmeno sono stati "dettati" dagli apostoli: in realtà i vangeli sono opere anonime e non sappiamo chi li scrisse.
Domanda :
Dato allora che ritieni che i vangeli fossero delle opere anonime senza sapere chi li scrisse, alla fine perchè li studi tanto se non li ritieni attendibili ?
Perchè allora credi nel V.T. se anche questo è una opera anonima e non sappiamo chi la scrisse? :boh:

Valentino, è inutile che continui sempre con questa storia "della "sroria" come se l'interpretazione di alcuni studiosi possa rappresentare la verità assoluta.
Tu hai una opinione? Bene la rispetto, ma piantala per favore di imporre con caratteri cubitali le tue "certezze" e rispetta anche le opinioni altrui ripetendo sempre le stesse cose che ormai conosco da anni e che da anni sai che non condivido.
Del resto io avevo solo spiegato, secondo logica, le ragioni a Mario dei miei dubbi e che tra l'altro erano confermati anche da altri studiosi, sempre da te ovviamente contestati.
Tutto li.
Grazie
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Valentino »

Vieri ha scritto: 13/10/2023, 11:43Domanda :
Dato allora che ritieni che i vangeli fossero delle opere anonime senza sapere chi li scrisse, alla fine perchè li studi tanto se non li ritieni attendibili ? Perchè allora credi nel V.T. se anche questo è una opera anonima e non sappiamo chi la scrisse?
Vieri innanzitutto dovrei prima capire cosa intendi dire con "attendibili": ovvero se ti riferisci al "grado di attendibilità storica", o a qualche altro "tipo" di attendibilità.
Il fatto che i vangeli siano opere anonime è semplicemente un dato di fatto ma questo, nell'economia del nostro discorso, è addirittura irrilevante.
I vangeli non sono ovviamente dei "libri di storia" ma, come qualunque documento che ci proviene dall'antichità, è una "fonte storica" che può essere vagliata attraverso il metodo storico-critico e può fornirci delle informazioni storiche.
Poiché mi è sempre interessato conoscere quale religione professava Gesù, cosa insegnava Gesù riguardo a Dio, quale era la sua visione escatologica, cosa Gesù insegnava riguardo alla Torah, cosa insegnava Gesù riguardo all'halachà, in che modo Gesù considerava ebrei e non ebrei, quale ruolo Gesù si attribuiva, quale era il messaggio etico di Gesù, cosa insegnava Gesù riguardo alla "salvezza", etc., studio tanto i vangeli perché la comprensione di queste cose e la comprensione del Gesù storico passa anche e soprattutto attraverso il vaglio critico delle fonti evangeliche. In sostanza li studio tanto perché studiandoli ci aiutano nella ricerca e nella comprensione del Gesù storico.
Inoltre dai vangeli possiamo anche comprendere cosa credevano e cosa insegnavano riguardo a Gesù coloro che li redassero e cosa credevano e cosa insegnavano riguardo a Gesù quelli che c'erano dietro le fonti (tipo il Vangelo dei Segni, la fonte Q, la fonte L, etc) utilizzate per la redazione dei vangeli.
Aggiungo che il V.T. non so cosa sia!
Dalla mia prospettiva non esiste nessun V.T.
Nemmeno per Gesù esisteva un "V.T.", ma esistevano le Sacre Scritture, intendendo con Sacre Scritture la "Legge ed i Profeti", ovvero il testo sacro che Gesù leggeva e su cui basava i suoi insegnamenti.
Gesù infatti citava la Torah, i Profeti ed i Salmi.
Vieri ha scritto: 13/10/2023, 11:43Valentino, è inutile che continui sempre con questa storia "della "sroria" come se l'interpretazione di alcuni studiosi possa rappresentare la verità assoluta
La storia non è "l'interpretazione di alcuni studiosi".
La storia è storia.
Poi uno può anche disinteressarsi della realtà storica.
Affar suo, non mio!
Vieri ha scritto: 13/10/2023, 11:43Tu hai una opinione? 
La mia opinione?!?!
Ora sta a vedere che la storia è addirittura una mia opinione!!!
Vieri spesso ho semplicemente riportato quello che chiunque può apprendere da normalissimi manuali universitari.
Vieri ha scritto: 13/10/2023, 11:43Del resto io avevo solo spiegato, secondo logica
Non mi sembra che quello che hai scritto a Mario fosse "secondo logica": semplicemente hai spiegato a Mario cosa a te sembra "impossibile".
Il punto è che se una cosa sembra impossibile a te non è detto che lo sia davvero.
Vieri ha scritto: 13/10/2023, 11:43dei miei dubbi e che tra l'altro erano confermati anche da altri studiosi
Studiosi?
Al plurale?
Cioè?!?!
Vieri ha scritto: 13/10/2023, 11:43sempre da te ovviamente contestati.
Guarda che le ipotesi di Hurtado sono state smentite dai suoi colleghi, non da me.
Io non c'entro!
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Vieri »

Ritornando al testo di commento dei filippesi che ho segnalato devo fare queste considerazioni:

Concordo che l'autore in questo testo non desiderava evidenziare la deicità di Gesù come argomento principale che considerava già una cosa già assodata:
egli, pur essendo nella condizione di Dio,
ma mettere un risalto l'umiltà di Gesù:
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
7ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
come esempio per:
.....In esso Paolo, dopo aver esortato i filippesi ad avere gli stessi sentimenti di Gesù (vv. 1-4), presenta loro come esempio la sua vicenda umana mediante una composizione poetica chiamata «Inno cristologico»
.....Per quanto riguarda l’inno, è comune l’opinione secondo cui esso sarebbe una composizione preesistente, di carattere liturgico, che Paolo avrebbe inserito in questo contesto per scopi esortativi. Esso ha come sfondo il tema dell’abbassamento-esaltazione così come appare nei testi riguardanti il giusto (cfr. Pr 3,34; Sap 2,23-24), il Figlio dell’uomo (cfr. Dn 7,13-14), Adamo (cfr. Gn 1,26-27) e soprattutto il Servo di YHWH (cfr. Is 52,13-53,12). L’inno si divide in due parti: umiliazione (vv. 6-8) ed esaltazione (vv. 9-11)
Concordo sul fatto che:
Nel corso dei secoli l’inno cristologico è stato interpretato in due modi sostanzialmente
diversi. Per combattere l’arianesimo Ambrogio, l’Abrosiaster (sec. IV) e i Padri Latini
posteriori hanno visto come protagonista dell’inno il Verbo preesistente nel sua esistenza
presso il Padre e nel processo che lo ha portato a scendere in questo mondo e a prendere la
natura umana. Perciò in Fil 2,7 si è letta la dottrina dell’incarnazione del Verbo, in base alla
quale si è costruito un sistema dottrinale che, in linea con l’insegnamento dei Concili di Nicea
e di Calcedonia, pone l’accento sul Verbo preesistente, sull’incarnazione e sulle due nature di
Cristo. Questa lettura del brano è diventata tradizionale, in quanto domina tutta l’esegesi
cattolica fino ai tempi moderni.
NON Concordo sul fatto che, come affermi:
4) Il fatto che nell'inno di Filippesi non c'è alcun riferimento ad una presunta natura divina di Gesù, nessun riferimento ad una sua preesistenza e nessun riferimento ad una dottrina dell'incarnazione è, come specifica l'autore dell'articolo che riporti, l'"interpretazione da preferirsi".
Se alla fine, come affermi non ci fosse stato nella lettera, nessun riferimento alla divinità di Gesù, mi spieghi allora come il vescovo Ambrogio potesse tirare fuori dal cappello questa "idea".....?
Come avevo poi scritto prima dando assodato nel testo la divinità di Gesù:
egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio
,
ovviamente poi non era specificato :
nessun riferimento ad una sua preesistenza e nessun riferimento ad una dottrina dell'incarnazione
dato che probabilmente non avesse ancora le idee non chiare sulla sua accertata divinità ma presenti poi nel prologo giovanneo.
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Valentino »

Vieri ha scritto: 13/10/2023, 16:09Concordo che l'autore in questo testo non desiderava evidenziare la deicità di Gesù come argomento principale che considerava già una cosa già assodata
Chi è che la considerava già una cosa assodata?
Assodata per chi?
Certamente non per Paolo di Tarso.
Infatti se parli di Paolo di Tarso: in quale delle sue lettere autentiche farebbe riferimento ad una presunta deicità di Gesù?!
In Filippesi non ne parla: come ti spiega anche l'articolista che hai citato tu, l'inno di Filippesi è un esempio di cristologia adamitica.
Quindi in quale altra epistola ne parlerebbe?!?
Vieri ha scritto: 13/10/2023, 16:09Se alla fine, come affermi
Non è che è quello che affermo io ma quello che si evince dal testo.
Vieri ha scritto: 13/10/2023, 16:09non ci fosse stato nella lettera, nessun riferimento alla divinità di Gesù, mi spieghi allora come il vescovo Ambrogio potesse tirare fuori dal cappello questa "idea".....?
Te lo spiega lo stesso articolo che hai citato.
La "nuova interpretazione" è sorta nel quarto secolo per combattere l"arianesimo. In sostanza Ambrogio ha proiettato nel testo i suoi preconcetti teologici dando un senso al testo che non aveva nel contesto vitale in cui fu scritto.
Infatti anche l'articolista che tu stesso hai citato ti spiega quale delle due sia da preferirsi e perché!!!
Vieri ha scritto: 13/10/2023, 16:09 LCome avevo poi scritto prima dando assodato nel testo la divinità di Gesù:
Ma nel testo non c'è scritto da nessuna parte che Gesù sia Dio e/o di natura divina.
Come ti spiega lo stesso articolista che hai citato tu, si parla dell'uomo Gesù che, essendo ad immagine di Dio come Adamo, non commise lo stesso peccato di Adamo.
Allusioni ad una preesistenza di Gesù, all'incarnazione o alla presunta deicità di Gesù nel testo non ve ne sono.
Vieri ha scritto: 13/10/2023, 16:09dato che probabilmente non avesse ancora le idee non chiare sulla sua accertata divinità
Non è che Paolo non "avesse le idee chiare": molto semplicemente Paolo di Tarso non credeva che Gesù fosse Dio e non credeva che fosse di natura divina.
Infatti in nessuna delle sue lettere autentiche attribuisce a Gesù una natura divina.
Vieri ha scritto: 13/10/2023, 16:09ma presenti poi nel prologo giovanneo
A parte il fatto che ci sarebbe da discutere anche riguardo al prologo giovanneo, cosa c'entra il prologo giovanneo con quello che credeva Paolo?!
Paolo non c'entra nulla con la cristologia del prologo.
Mario te lo ha spiegato:
Mario70 ha scritto: 28/09/2023, 15:14Paolo con questa teologia non c'entra nulla.
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Achille »

A proposito di deità, che dire di Colossesi 2:9?

" perché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità".

Anche ammettendo che l'autore della lettera non sia Paolo, mi pare che qui si attribuisca a Cristo la deità...
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Vieri »

Valentino ma allora insisti ...
Ma nel testo non c'è scritto da nessuna parte che Gesù sia Dio e/o di natura divina.
Va bene va bene contento tu....
Il vescovo Ambrogio si era allora inventato tutto.....
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:
6egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l'essere come Dio,

7ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall'aspetto riconosciuto come uomo,
8umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
9Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
10perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
11e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!,
Dai Valentino per favore va bene tutto ma non puoi sempre prendere per buono tutto quello che piace a te.....decidendo che certi scritti siano originali ed altri no e da non considerare....:ironico:
non ritenne un privilegio
l'essere come Dio,
Anche Achille scrive:
Colossesi 2:9?
" perché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità".
La Lettera ai Colossesi è uno dei testi del Nuovo Testamento; secondo la tradizione cristiana fu scritta da Paolo di Tarso a Roma durante la sua prima prigionia, probabilmente nell'estate dell'anno 62. L'attribuzione è oggi dibattuta, con la maggioranza degli studiosi che ritiene l'opera composta da un autore diverso da Paolo,[1] ma comunque molto antica, composta tra il 50 e l'80.[2]
ed anche se non fosse stata scritta direttamente fa Polo era sempre sicuramente di suoi stretti collaboratori che attestano che già allora la deità di Gesù e sicuramente non nel secondo secolo
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Valentino »

Vieri ha scritto: 13/10/2023, 17:40Il vescovo Ambrogio si era allora inventato tutto
È quello che documenta l'articolista che ti sei scelto tu!
Non prendertela con me.
Prima di lui nessuno aveva compreso l'inno di Filippesi diversamente.
Ciò avviene proprio nel contesto delle controversie del quarto secolo!
Chissà perché! :ironico:
Vieri ha scritto: 13/10/2023, 17:40pur essendo nella condizione di Dio,
Questo è un riferimento alla condizione adamitica di Gesù come ti ho spiegato più di una volta, e come è confermato dallo stesso autore che hai citato tu!!!
Non si afferma che Gesù è Dio o di natura divina.
Vieri ha scritto: 13/10/2023, 17:40Dai Valentino per favore va bene tutto ma non puoi sempre prendere per buono tutto quello che piace a te.....decidendo che certi scritti siano originali ed altri no e da non considerare
Vieri non è che lo "decido io", ma è quello che si evince dal punto di vista stilistico.
Colossesi è datata e databile verso la fine del primo secolo, ed ignoriamo chi sia l'autore.
Vieri ha scritto: 13/10/2023, 17:40ed anche se non fosse stata scritta direttamente fa Polo era sempre sicuramente di suoi stretti collaboratori che attestano che già allora la deità di Gesù e sicuramente non nel secondo secolo
Vieri ma quale collaboratore?!?!
Secondo gli studiosi è stat scritta circa 40/50 anni dopo la morte di Paolo e non sappiamo nulla sull'identità del suo autore.
Come fai a dire che l'ha scritta un suo collaboratore?!?!

Qualunque sia la cristologia di Colossesi, non si tratta di cristologia paolina.

Magari ne parliamo in una discussione a parte.
illustri autori quali E.P. Sanders, Geza Vermes, Dale Allison, Paula Fredriksen e tanti altri [...] su un punto concordano tutti:
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Mario70 »

Achille ha scritto: 13/10/2023, 17:21 A proposito di deità, che dire di Colossesi 2:9?

" perché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità".

Anche ammettendo che l'autore della lettera non sia Paolo, mi pare che qui si attribuisca a Cristo la deità...
Personalmente concordo, anche considerando il primo capitolo, bisognerebbe capire cosa avesse bene in mente l'anonimo autore, sicuramente è immagine di Dio, come in Filippesi, diciamo che se si interpreta "primogenito di ogni creatura o creazione" come primo della creazione alla maniera dei tdg (e qualche studioso che sostiene questa tesi si trova) sarebbe la prima creatura celeste, ma questo cozza con il resto del capitolo dove si evince che TUTTA la creazione esiste per suo tramite, anzi tutto esiste per mezzo di lui, per lui e "in" lui.
Credo che l'autore pensasse ad una sorta di Demiurgo platonico:

"Il termine è usato da Platone nel Timeo con il significato di artefice dell’universo, principio dell’ordine cosmico. Il suo operato consiste nel conferire ordine e misura a una materia preesistente, prendendo a modello le idee o forme eterne, anch’esse indipendenti dal demiurgo. Il d. dà così origine all’anima del mondo, alla parte immortale dell’anima umana e alle altre divinità, affidando a queste ultime il compito di creare i corpi."
https://www.treccani.it/enciclopedia/demiurgo/

Demiurgo divino quindi ma distinto da Dio padre, da lui dipendente o se vogliamo usare un termine del II secolo a lui subordinato, del resto ai primi versi si nota questa distinzione come al verso 19 e al 3:1 del resto.
La metrica e il linguaggio è diverso dal resto della lettera ed infatti anche questo del capitolo 1 è un inno a sé stante messo nella lettera dall'autore.
Secondo alcuni i esegeti "corporalmente" vuol dire pienamente, totalmente, quindi se traduciamo in questo modo egli è pienamente Dio e non possiamo fare altro che pensare alla sua natura proprio perché non possiamo pensare visto il contesto, che fosse pienamente Dio Padre, ma che la deità di Dio Padre è esattamente la sua.
"La cosa più triste è che molto spesso chi viene ingannato, o illuso, tende a rimanere strettamente ancorato a quello in cui crede nonostante le evidenze indichino chiaramente che la realtà è diversa. Forse è talmente affezionato alle sue credenze che preferisce chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie di fronte a qualunque cosa possa farle vacillare."
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Vieri »

Mario scrive a proposito della lettera ai colossesi:
Secondo alcuni i esegeti "corporalmente" vuol dire pienamente, totalmente, quindi se traduciamo in questo modo egli è pienamente Dio e non possiamo fare altro che pensare alla sua natura proprio perché non possiamo pensare visto il contesto, che fosse pienamente Dio Padre, ma che la deità di Dio Padre è esattamente la sua.
Valentino come al solito, negare, negare sempre,....
Vieri ha scritto: ↑ieri, 17:40
ed anche se non fosse stata scritta direttamente fa Polo era sempre sicuramente di suoi stretti collaboratori che attestano che già allora la deità di Gesù e sicuramente non nel secondo secolo
Vieri ma quale collaboratore?!?!
Secondo gli studiosi è stat scritta circa 40/50 anni dopo la morte di Paolo e non sappiamo nulla sull'identità del suo autore.
Come fai a dire che l'ha scritta un suo collaboratore?!?!

Qualunque sia la cristologia di Colossesi, non si tratta di cristologia paolina.
Come noti altri non sono d'accordo.

Se la lettera è stata attribuita a Paolo ci sarà pure qualche ragione o l'hanno detto alla "cavolo"?
Come è avvenuto per altre lettere e per i Vangeli scritti dopo la morte di Paolo e degli apostoli che furono i diretti seguaci e di coloro che trascrissero i loro insegnamenti e testimonianze.
È certo, comunque, che gli scritti dei quattro evangelisti sono stati preceduti da una tradizione orale così come è accaduto per l'Antico Testamento: Matteo, Marco, Luca e Giovanni, insieme alle loro comunità, hanno operato una sorta di trascrizione letterale di detti e fatti che erano diventati patrimonio comune delle comunità cristiane della Palestina e di tutta quell'area geografica conosciuta oggi come il Medioriente, compresa buona parte dell'Africa settentrionale.

Quasi tutti gli studiosi concordano nell'attribuire la paternità dei primi tre vangeli a Marco, discepolo di Pietro e Paolo, a Matteo l'apostolo e a Luca, discepolo di Paolo, mentre per il quarto vangelo si è indecisi nell'identificarne l'autore come l'apostolo fratello di Giacomo o un altro personaggio molto rispettato nelle comunità dell'Asia Minore. La tesi che non attribuisce il quarto vangelo all'apostolo Giovanni, comunque, è sostenuta da una parte minoritaria degli studiosi.
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Mario70 »

Se la lettera è stata attribuita a Paolo ci sarà pure qualche ragione o l'hanno detto alla "cavolo"?
Come è avvenuto per altre lettere e per i Vangeli scritti dopo la morte di Paolo e degli apostoli che furono i diretti seguaci e di coloro che trascrissero i loro insegnamenti e testimonianze.

Vieri hai letto tu stesso che la maggior parte degli studiosi odierni nega l'attribuzione a Paolo, quindi cerca di andare oltre questo aspetto, Paolo nelle sue lettere autentiche non pensa a Cristo come a Dio e non fa cenno alla sua natura divina.

L'autore del l'inno messo in Filippesi secondo le recenti interpretazioni pensava al contrasto tra primo e ultimo Adamo e non alla preesistenza di Cristo, anche se non possiamo essere dogmatici nell'accettare solo questa spiegazione, prendiamo atto che è la più probabile e andiamo avanti con l'autore anonimo di Colossesi che a quanto pare va oltre.

Per far capire le varianti interpretative di questo passo voglio citare il commentario Expositor's Greek Testament, è scritto da un presbitero laureato in teologia di inizio 900 e va preso considerando tutte le limitazioni dell'epoca e la mancanza che aveva di tutte le recenti scoperte, ma presenta già diverse varianti interpretative interessanti:

"Colossesi 2:9. Il termine ὅτι è collegato da Bleek e Meyer con οὐ κατὰ χ., ma è molto più probabile che sia collegato all'intero avvertimento introdotto da βλέπετε. I falsi maestri rappresentavano la pienezza della Divinità come distribuita tra gli angeli, e così conducevano le loro vittime prigioniere. L'ammonimento di Paolo contro la falsa dottrina si basa quindi sul fatto che è in Cristo che abita tutta la pienezza.-ἐν αὐτῷ è categorico, in Lui e solo in Lui.-κατοικεῖ: "dimora permanentemente". Il riferimento è allo Stato esaltato, non solo per il caso in questione, ma per il contesto e per la cristologia di Paolo in generale.-πᾶν τὸ πλήρωμα τῆς θεότητος: "πᾶν è accentuata, l'intera pienezza risiede in Cristo, quindi è vano cercarla in tutto o in parte al di fuori di Lui. πλ. τ. θ. non va preso (come da Ol.) per indicare la perfezione della Divinità, cioè la santità ideale. Non può nemmeno significare la Chiesa, per la quale Efesini 1,23 non fornisce alcun supporto, né l'universo, che sarebbe stato espresso in modo molto diverso. L'aggiunta di θεότητος definisce πλ. come la pienezza della Deità. Il termine va differenziato da θειότης: come la Deità, l'essere Dio [θεότης] , dalla Divinità, l'essere divino o simile a Dio [θειότης]. Il passo afferma quindi la vera e propria Deità di Cristo.
-σωματικῶς. Questa parola è interpretata in modo molto vario. Di solito si fa riferimento al corpo glorificato di Cristo, oppure (come fa Lightf.) all'Incarnazione, e la parola viene tradotta "in modo corporeo". A parte la questione se la parola esprima naturalmente questo, c'è la difficoltà causata dal contrasto implicito nella sua posizione di enfasi. A volte si pensa che questo contrasto si riferisca allo stato pre-incarnato, ma ciò non ha alcuna rilevanza in questo caso. Si potrebbe pensare a un contrasto con gli angeli, ma questi erano strettamente legati ai corpi e quindi il contrasto in questo senso non esiste.
Ma nemmeno l'opinione di Soden secondo cui, mentre gli angeli hanno un corpo, ciò che è espresso in essi è solo θειότης (Romani 1:20) e non πλ. τ. θεότητος è una spiegazione accettabile, dal momento che questo è solo letto all'interno delle parole, non estrapolato da esse; né una tale distinzione poteva venire in mente ai lettori.
Questa interpretazione di σωμ., quindi, come espressione della dimora della pienezza in un corpo, sebbene secondo Abbott sia "l'unica plausibile", è gravata da gravi difficoltà ed è stata respinta da diversi commentatori. Molti hanno ritenuto che significhi "realmente" (recentemente Bleek, Kl[12], Everling, Cremer). Questo è supportato dal contrasto di σῶμα con σκιά in Colossesi 2:17, la presenza è reale e non ombra o figura. Ma σωματικῶς difficilmente potrebbe esprimere questa sfumatura di significato se non esprimendo l'antitesi. Oltramare traduce "personalmente, nella Sua persona". Ma non cita alcun caso dell'avverbio, ma solo di σῶμα. Ed è giusta la critica di Haupt, secondo cui questo senso potrebbe suggerire che in Dio stesso dimorasse impersonalmente. Dopo un'elaborata disamina delle varie opinioni, Haupt avanza la spiegazione che σωματ. si riferisce a τ. πλ. τ. θ. e va tradotto "nella forma di un corpo". Il significato è che la pienezza esiste in Cristo come un corpo, cioè come un insieme completo e organico. Questo si adatta al contesto e all'argomento generale meglio del richiami al corpo di Cristo stesso. In contrasto con la distribuzione della pienezza sugli angeli, o con l'idea che essa risieda solo parzialmente in Lui, Paolo insiste sul fatto che tutta la pienezza risiede in Lui, e non in modo frammentario, ma come un insieme organico. Questa visione, come quella di Oltramare, è supportata solo da richiami all'uso di σῶμα. Non si tratta di un'objectiön fatale, e la sua armonia con il contesto la rende l'interpretazione più probabile. "
[testo tradotto con l'aiuto di deepl, quadre e grassetto miei]
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

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Buon giorno Mario:
Vieri hai letto tu stesso che la maggior parte degli studiosi odierni nega l'attribuzione a Paolo, quindi cerca di andare oltre questo aspetto, Paolo nelle sue lettere autentiche non pensa a Cristo come a Dio e non fa cenno alla sua natura divina.
Il fatto delle varie interpretazioni delle lettere di Paolo consiste alla fine fra chi considera "autentiche" certe lettere e degne pertanto di particolare attenzione ed altre no.
In effetti mi piacerebbe conoscer quali possano essere stati i criteri storici per definire autentiche certe lettere.
Indipendentemente da questo, ritengo però che la maggioranza degli scritti, partendo dalla bibbia (V.T.) fino ai Vangeli ed alle varie lettere, in genere sappiamo benissimo che non furono dettate direttamente dagli "autori" accreditati, ma la raccolta scritta a posteriori dei loro insegnamenti o dalla "tradizione orale".
In breve per me che siano stati scritti originali ("certificati", poi da chi...) o dalla messa per scritto dei loro insegnamenti per me alla fine conta poco se non le date accertate di quando furono scritte.
Se alcune di queste erano molto antiche come rilevato, noto soltanto che la deità di Gesù alla fine non fosse una invenzione dei proto-ortodossi alcuni secoli dopo ma una opinione già molto diffusa nel primo secolo.

Scrivi ancora:
L'autore del l'inno messo in Filippesi secondo le recenti interpretazioni pensava al contrasto tra primo e ultimo Adamo e non alla preesistenza di Cristo, anche se non possiamo essere dogmatici nell'accettare solo questa spiegazione,
In effetti come avevo già fatto presente a Valentino la mia opinione è che tale lettera non volesse basarsi nel voler definire o spiegare la deicità di Gesù come argomento principale ma era per lui già accertata la sua divinità
6 il quale, pur essendo di natura divina, ( o altre traduzioni giù viste)
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
di dare una lezione di umiltà ai suoi pensando al contrasto tra primo e ultimo Adamo.
La lezione e l'esempio migliore era che da "grande" si fece di "natura umana" umiliandosi fino al sacrificio sulla croce.
7 ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
8 umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
In base a questo Dio poi lo esaltò come una "persona" parte di Dio e gloria di Dio Padre:
9 Per questo Dio l'ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
10 perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
11 e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
Questo è alla fine il mio pensiero.
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

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Vieri ha scritto: 14/10/2023, 16:16 Buon giorno Mario:
Vieri hai letto tu stesso che la maggior parte degli studiosi odierni nega l'attribuzione a Paolo, quindi cerca di andare oltre questo aspetto, Paolo nelle sue lettere autentiche non pensa a Cristo come a Dio e non fa cenno alla sua natura divina.
Il fatto delle varie interpretazioni delle lettere di Paolo consiste alla fine fra chi considera "autentiche" certe lettere e degne pertanto di particolare attenzione ed altre no.
In effetti mi piacerebbe conoscer quali possano essere stati i criteri storici per definire autentiche certe lettere.
Indipendentemente da questo, ritengo però che la maggioranza degli scritti, partendo dalla bibbia (V.T.) fino ai Vangeli ed alle varie lettere, in genere sappiamo benissimo che non furono dettate direttamente dagli "autori" accreditati, ma la raccolta scritta a posteriori dei loro insegnamenti o dalla "tradizione orale".
In breve per me che siano stati scritti originali ("certificati", poi da chi...) o dalla messa per scritto dei loro insegnamenti per me alla fine conta poco se non le date accertate di quando furono scritte.
Se alcune di queste erano molto antiche come rilevato, noto soltanto che la deità di Gesù alla fine non fosse una invenzione dei proto-ortodossi alcuni secoli dopo ma una opinione già molto diffusa nel primo secolo.

Scrivi ancora:
L'autore del l'inno messo in Filippesi secondo le recenti interpretazioni pensava al contrasto tra primo e ultimo Adamo e non alla preesistenza di Cristo, anche se non possiamo essere dogmatici nell'accettare solo questa spiegazione,
In effetti come avevo già fatto presente a Valentino la mia opinione è che tale lettera non volesse basarsi nel voler definire o spiegare la deicità di Gesù come argomento principale ma era per lui già accertata la sua divinità
6 il quale, pur essendo di natura divina, ( o altre traduzioni giù viste)
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
di dare una lezione di umiltà ai suoi pensando al contrasto tra primo e ultimo Adamo.
La lezione e l'esempio migliore era che da "grande" si fece di "natura umana" umiliandosi fino al sacrificio sulla croce.
7 ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
8 umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
In base a questo Dio poi lo esaltò come una "persona" parte di Dio e gloria di Dio Padre:
9 Per questo Dio l'ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
10 perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
11 e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
Questo è alla fine il mio pensiero.
Se parli di Paolo è ovvio che Valentino o chiunque altro abbia qualcosa da obiettare, perché non fu lui a scrivere Colossesi e questo è abbastanza certo e non fu lui a creare l'inno di Filippesi ma ce lo fece entrare, ma come ti è stato fatto notare l'interpretazione più accreditata non prende in considerazione la preesistenza del Cristo e quindi non possiamo usare Filippesi per dire che per Paolo Cristo fosse Dio o divino.
Ora vedo che hai cambiato soggetto, non parli più di Paolo ma degli autori anonimi del NT in generale.
Le lettere che parlano del Gesù preumano e della sua divinità sono quattro:
Colossesi, Ebrei, Giovanni e 1 Giovanni.
Colossesi è stata scritta entro l'80, Ebrei dopo l'81, Giovanni e 1 Giovanni intorno al 100dC
Queste date fanno comprendere come solo verso la fine del 1 secolo si cominciava a divulgare la preesistenza e Deità di Cristo sempre più chiaramente.
"La cosa più triste è che molto spesso chi viene ingannato, o illuso, tende a rimanere strettamente ancorato a quello in cui crede nonostante le evidenze indichino chiaramente che la realtà è diversa. Forse è talmente affezionato alle sue credenze che preferisce chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie di fronte a qualunque cosa possa farle vacillare."
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Vieri »

Buon giorno Mario:
Colossesi è stata scritta entro l'80, Ebrei dopo l'81, Giovanni e 1 Giovanni intorno al 100dC
Queste date fanno comprendere come solo verso la fine del 1 secolo si cominciava a divulgare la preesistenza e Deità di Cristo sempre più chiaramente.
Concordo e devo aggiungere due cose:

La prima e che come hai detto giustamente: "verso la fine del 1 secolo si cominciava a divulgare la preesistenza e Deità di Cristo sempre più chiaramente" il che per me significa che solo con le lettere e i Vangeli scritti fu possibile conoscere effettivamente la preesistenza e la Deicità di Gesù ma ritengo che chi mise alla fine "nero su bianco", si basò sulla tradizione orale e sugli insegnamenti di Paolo e degli apostoli.

Per secondo.Per me l'idea della preesistenza e Deità di Cristo iniziò decisamente ancora prima e quasi sicuramente dalle stesse convinzioni degli apostoli dopo l'esperienza traumatica della resurrezione di Gesù.
In effetti quello che ancora non mi torna è che mi trovo scritto:
"La stragrande maggioranza degli studiosi della Bibbia sostiene che Gesù non abbia mai usato per sé, in senso pieno, con l'iniziale maiuscola, l'espressione "figlio di Dio". Neanche i suoi discepoli l'hanno mai fatto, almeno prima di Pasqua". Tuttavia: "...anche la comunità post-pasquale palestinese non..." considerava "...Gesù figlio <<naturale>> di Dio, bensì..." usava "...il termine <<figlio>> in quel senso metaforico che era corrente e ben noto nell'ebraismo" (Helmut Fischer - I cristiani hanno un solo Dio o tre? - Claudiana - pagine 15, 16)
Quello che infatti trovo MOLTO STRANO è che neanche i suoi discepoli l'hanno mai fatto, almeno prima di Pasqua e solo dopo la resurrezione si ritrovano le parole "figlio di Dio" senza dare un significato diverso in senso metaforico che era corrente e ben noto nell'ebraismo.

Ma che senso avrebbe allora accentuare queste parole che direi di secondaria importanza come semplice titolo onorifico se invece gli apostoli non avessero voluto dare a queste parole un significato ben diverso da quello comunemente usato ma di vero e unigenito figlio di DIo ?

Alla fine si spiegherebbe tutto poiché se appena dopo la morte degli apostoli si fece strada la convinzione della deità di Gesù questa ragionevolmente doveva essere nata dalle convinzioni degli stessi apostoli e tramandate oralmente successivamente..

Sicuramente come al solito Valentino non sarà d'accordo ma contrariamente a quello che aveva sempre scritto che l'idea della "preesistenza e Deità di Cristo" fosse nata dai proto-ortodossi secoli dopo, non avrebbe fondamento.
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Re: Ancora sull'inno ai filippesi 2

Messaggio da Valentino »

Caro Mario!
Mario70 ha scritto: 14/10/2023, 12:34Vieri hai letto tu stesso che la maggior parte degli studiosi odierni nega l'attribuzione a Paolo, quindi cerca di andare oltre questo aspetto, Paolo nelle sue lettere autentiche non pensa a Cristo come a Dio e non fa cenno alla sua natura divina.
L'autore del l'inno messo in Filippesi secondo le recenti interpretazioni pensava al contrasto tra primo e ultimo Adamo e non alla preesistenza di Cristo
:bacio:

Tornando seri:
Achille ha scritto: 13/10/2023, 17:21A proposito di deità, che dire di Colossesi 2:9?

" perché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità".

Anche ammettendo che l'autore della lettera non sia Paolo, mi pare che qui si attribuisca a Cristo la deità...
Caro Achille,
diciamo che l'ignoto autore di Colossesi usa dei termini che hanno comportato (e comportano) non poche discussioni tra studiosi riguardo alla corretta comprensione del testo in oggetto.
In particolare uno specifico termine apre tutta una serie di problematiche.
Senza, per ora, entrare in troppi dettagli leggiamo cosa c'è scritto in Colossesi 2:9:
ὅτι ἐν αὐτῷ κατοικεῖ πᾶν τὸ πλήρωμα τῆς Θεότητος σωματικῶς
Alla lettera: perché in lui abita (o risiede) tutto il pleroma della deità, corporalmente.
https://it.wikipedia.org/wiki/Pleroma
Ora uno dei problemi è comprendere esattamente cosa si intende con "pleroma della deità" che, secondo il redattore di Colossesi, abita/risiede "in" Cristo.
Premettendo che sono alquanto scettico riguardo alle ipotesi che farebbero della lettera ai Colossesi addirittura un testo gnostico (ma sei hai letto l'articolo di wikipedia c'è chi lo sostiene!) c'è da dire che pure in un'altra lettera pseudoepigrafa (attribuita a Paolo ma appunto non sua) e dipendente letterariamente proprio da Colossesi (ovvero Efesini) ricorre il termine pleroma.
Intanto Colossesi 2:9 andrebbe letto alla luce di Colossesi 1:19 laddove leggiamo che: "al Padre piacque di far abitare in lui tutto il pleroma".
Qualunque cosa sia il "pleroma" per il redattore di Colossesi il "pleroma" è qualcosa che a Dio "piacque di fare abitare" "in" Gesù.
Ma, come detto, pleroma ricorre anche in un'altra pseudoepigrafa, ovvero in Efesini: in Efesini 3:19 ricorre un'espressione analoga a quella che ritroviamo in Colossesi 2:9, ovvero "πᾶν τὸ πλήρωμα τοῦ Θεοῦ" alla lettera "tutto il pleroma di Dio", ma il soggetto, in questo caso, non è Gesù ma "i credenti" dei quali si auspica siano "ripieni" o "ricolmi" (il verbo usato è pléroó) del "pleroma di Dio".
Leggiamo Efesini 3: "19 e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutto il pleroma di Dio".


Ma torniamo al termine “pleroma” (pienezza) ed al suo significato nel contesto di Colossesi.
Se trascuriamo l' “ipotesi gnostica”, possiamo chiederci citando Christopher A. Beetham:


Da dove viene il linguaggio della "pienezza"? Sebbene alcuni abbiano indicato un'origine prevalentemente ellenistica, un retroterra "veterotestamentario" è a portata di mano e chiarisce anche il linguaggio della "pienezza" del v. 19”.

Qui di seguito riporto quelli che considero i "punti salienti" dell'argomentazione di Beetham:

il termine πλήρωμα[...]appartiene a una famiglia di parole - i verbi πληρόω, πίμπλημι e ἐμπίμπλημι ("riempire") e l'aggettivo πλήρης ("pieno") - che sono utilizzati nella LXX in riferimento alla presenza divina, alla sua localizzazione o alla sua attività. Le parole trasmettono l'idea che la presenza di Dio sia venuta a dimorare o stia dimorando in luoghi specifici, tra cui il tabernacolo o il tempio, l'intera terra o persino degli individui per mezzo dello Spirito".

Alla luce di queste evidenze, "pienezza" sembra essere una circonlocuzione per la presenza divina”.

Questa interpretazione è ulteriormente confermata quando si rileva l'eco di Sal 67,17 nella LXX, dove ὁ θεός è il soggetto esplicito e che in Col 1,19 è stato parafrasato come πᾶν τὸ πλήρωμα, forse per un'accentuazione poetica. Come abbiamo osservato, il riferimento è alla presenza divina che si era compiaciuta di prendere dimora sul monte Sion nel tempio (e che era stata sul monte Sinai) per abitare in mezzo al popolo d'Israele. Con questo linguaggio in Col 1,19, l'implicazione sembra essere che la presenza templare di Dio ha preso dimora in Gesù Cristo.
Il testo non ci aiuta molto a capire quando è avvenuta questa inabitazione. Cristo è qui raffigurato come un "tempio": è il luogo della presenza divina tra il popolo di Dio nella creazione rinnovata. Cristo occupa l'ineguagliabile posizione di preminenza che occupa perché la pienezza della presenza divina si è compiaciuta di abitare in lui.
L'eco del Sal 67,17 della lxx in Col 1,19 illumina anche l'interpretazione di Col 2,9-10a.
Questo perché Paolo riprende esplicitamente il linguaggio dell'inno di 1,19 anche in 2,9 e ne fa un punto di riferimento in 2,10a nei confronti dei Colossesi. Paolo aggiunge qui che i Colossesi "sono ripieni in lui", una frase che è una costruzione participiale perifrastica che sottolinea l'azione compiuta. La Chiesa colossese, il Corpo, attraverso la sua unione organica con il suo Capo, Cristo, è anche piena della presenza divina (1:18, 24, 2:19). L'implicazione è che essi, in modo derivato, sono diventati un luogo della presenza di Dio, un tempio
”.
(FONTE: Christopher A Beetham, Echoes of Scripture in the Letter of Paul to the Colossians, Society of Biblical Literature (2010)

Insomma in Colossesi 2:9 non sembra che a Gesù "si attribuisca la deità", ma si parla del Cristo "raffigurato come un tempio", ovvero "il luogo della presenza divina tra il popolo di Dio nella creazione rinnovata".

Per ora mi sono soffermato solo sul versetto indicato da Achille ma non sull'inno di Colossesi: anche per quanto riguarda l'inno di Colossesi infatti esiste tutta una problematica relativa al suo "setting": in sostanza si dovrebbe capire se i riferimenti siano protologici o escatologici.
illustri autori quali E.P. Sanders, Geza Vermes, Dale Allison, Paula Fredriksen e tanti altri [...] su un punto concordano tutti:
Gesù non trascorse il suo ministero a proclamarsi divino.
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Tornando seri:
Mario70 ha scritto: ↑oggi, 12:34
Vieri hai letto tu stesso che la maggior parte degli studiosi odierni nega l'attribuzione a Paolo, quindi cerca di andare oltre questo aspetto, Paolo nelle sue lettere autentiche non pensa a Cristo come a Dio e non fa cenno alla sua natura divina.
L'autore del l'inno messo in Filippesi secondo le recenti interpretazioni pensava al contrasto tra primo e ultimo Adamo e non alla preesistenza di Cristo
Ma hai letto la mia risposta a Mario ?
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Vieri ha scritto: 14/10/2023, 20:08 Tornando seri:
Mario70 ha scritto: ↑oggi, 12:34
Vieri hai letto tu stesso che la maggior parte degli studiosi odierni nega l'attribuzione a Paolo, quindi cerca di andare oltre questo aspetto, Paolo nelle sue lettere autentiche non pensa a Cristo come a Dio e non fa cenno alla sua natura divina.
L'autore del l'inno messo in Filippesi secondo le recenti interpretazioni pensava al contrasto tra primo e ultimo Adamo e non alla preesistenza di Cristo
Ma hai letto la mia risposta a Mario ?
Vieri non cambia granché perché hai semplicemente ripetuto la convinzione di Mario che fissa la deificazione di Gesù all'epoca della redazione finale del vangelo di Giovanni.
Come sempre detto e ripetuto io e Mario dissentiamo su questo, ma si tratta di un'inezia dell'ordine di 40/50 anni.
Ammesso e non concesso che il redattore finale del vangelo di Giovanni ha deificato Gesù intorno al 110 e.v. non significa che Gesù abbia deificato se stesso nè che lo abbiano fatto gli apostoli, Giacomo il Giusto o Paolo di Tarso e questo Mario lo sa bene.
illustri autori quali E.P. Sanders, Geza Vermes, Dale Allison, Paula Fredriksen e tanti altri [...] su un punto concordano tutti:
Gesù non trascorse il suo ministero a proclamarsi divino.
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