Cristologia e TdG

Tutto ciò che riguarda la dottrina dei Testimoni di Geova.

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Horse
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Cristologia e TdG

Messaggio da Horse »

(Fil 2,6-11)

Cristo, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso,assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini.
Apparso in forma umana,
umiliò se stesso facendosi obbediente
fino alla morte e alla morte di croce.
Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.

Come traducono i Testimoni di Geova questo Inno Cristologico per far apparire Gesù quale semplice Arcangeloe non Vero Dio?
"Se ci siamo incontrati e mi hai dimenticato non hai perso nulla; ma se incontri Gesù Cristo e lo dimentichi, hai perso tutto" (San Francesco di Paola)
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Dnick
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Messaggio da Dnick »

Horse ha scritto:Come traducono i Testimoni di Geova questo Inno Cristologico per far apparire Gesù quale semplice Arcangeloe non Vero Dio?
Con tanto spirito di-vino. :risatina:

:ciao:
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banco
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Messaggio da banco »

(Filippesi 2:6-11) il quale, benché esistesse nella forma di Dio, non prese in considerazione una rapina, cioè che dovesse essere uguale a Dio. 7 No, ma vuotò se stesso e prese la forma di uno schiavo, divenendo simile agli uomini. 8 Per di più, quando si trovò in figura d’uomo, umiliò se stesso e divenne ubbidiente fino alla morte, sì, la morte su un palo di tortura. 9 E per questa stessa ragione Dio lo ha esaltato a una posizione superiore e gli ha benignamente dato il nome che è al di sopra di ogni [altro] nome, 10 affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio di quelli che sono in cielo e di quelli che sono sulla terra e di quelli che sono sotto il suolo, 11 e ogni lingua confessi apertamente che Gesù Cristo è Signore alla gloria di Dio Padre.
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Dnick
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Messaggio da Dnick »

Ecco che per negare la divinità di Cristo adattano la traduzione al loro credo e
sono costretti a tradurre a vanvera
banco ha scritto:il quale, benché esistesse nella forma di Dio, non prese in considerazione una rapina, cioè che dovesse essere uguale a Dio. 7 No, ma vuotò se stesso e prese la forma di uno schiavo, divenendo simile agli uomini. 8 Per di più, quando si trovò in figura d’uomo, umiliò se stesso e divenne ubbidiente fino alla morte, sì, la morte su un palo di tortura.
:boh: :boh:
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Philo
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Messaggio da Philo »

Cercano di addomesticare il senso delle parole giocando sull'espressione greca "non considerò una rapina" che in realtà può avere una duplice valenza "cosa da prendere" o "cosa da ritenere" ma un'analisi approfondita fa comprendere che il senso dell'espressione è che ciò che era in suo possesso ontologicamente non lo ritenne tale per cui non potesse compiere un gesto di umiltà abbassandosi nella kenosi per obbedienza al Padre.
"Alcuni amici, liberi pensatori, mi dicono che sono chiuso nella gabbia del cattolicesimo. E io rispondo che è vero: il cattolico è prigioniero della sua Chiesa, come il volatile è prigioniero del cielo." (JULIEN GREEN)
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polymetis
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Messaggio da polymetis »

Se il testo della TNM è proprio quello che riporti....
quale, benché esistesse nella forma di Dio, non prese in considerazione una rapina, cioè che dovesse essere uguale a Dio. 7 No, ma vuotò se stesso e prese la forma di uno schiavo, divenendo simile agli uomini. 8 Per di più, quando si trovò in figura d’uomo, umiliò se stesso e divenne ubbidiente fino alla morte, sì, la morte su un palo di tortura.
Per rendersi conto che la traduzione dei TdG di questo passo è penosa non occorre conoscere il greco, basta sapere l'italiano!
Che cesso... ma secondo loro si può scrivere in italiano "non prese in considerazione una rapina"? Evidentemente volevano scrivere "non considerò una rapina". Usare italiani madrelingua per tradurre doveva essere troppo complicato!
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Alla base delle scelte fondamentali del Nolano - a Londra come a Roma -, c'era il convincimento di appartenere alla "casa" dei filosofi, e che ad essa bisogna essere sempre fedeli, anche nei rapporti con i potenti della Chiesa e dello Stato, perché la casa della filosofia è la casa della verità: in un modo intelligente e anche astuto, certo, ma sempre fedeli. (Michele Ciliberto)
Citocromo
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Messaggio da Citocromo »

Sono d'accordo con Polymetis nel ritenere che la traduzione italiana è semplicemente penosa. Forse reclutare madrelingua costava troppo, nel senso che avrebbero dovuto pagarli profumatamente per costringerli ad alterare il senso di diversi passi della TNM.
Ritornando al testo di Filippesi, faccio notare ai foristi digiuni di greco che il verbo eghèomai (eghesato è l'aoristo) regge il doppio accusativo che è presente nella proposizione del versetto 6b, ossia l'accusativo dell'oggetto e l'accusativo che esprime il complemento predicativo dell'oggetto. La traduzione letterale corretta è : "non considerò l'essere uguale a Dio come un privilegio" (traduzione vecchia della CEI: "non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio"; traduzione nuova: "non ritenne un privilegio l'essere come Dio"). La TNM non presenta in questo caso una frase di senso compiuto. In italiano è orrenda. Inoltre, il versetto è stato tradotto come se l'infinito sostantivato (tò eìnai isa theò) avesse valore epesegetico o dichiarativo, per far credere al lettore che Cristo non ha mai pensato di essere come Dio. E' questo il senso che vogliono rendere in "italiano moderno".
“La Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture è una traduzione della bibbia che potete capire facilmente. Perché? Perché il linguaggio difficile a capirsi e antiquato è stato sostituito con l’italiano moderno in tutte le sue pagine”. (È la Bibbia realmente la Parola di Dio?, 1969, p. 192).
:grazie: :ciao:
Le verità della fede sono una collana di perle preziose, tenute insieme da un filo che è la divinità di Cristo. Tagliato il filo perdete tutta la collana. (padre A. Gasparino)
Presentazione: viewtopic.php?f=7&t=78" onclick="window.open(this.href);return false;
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Mario70
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Messaggio da Mario70 »

Citocromo ha scritto:Sono d'accordo con Polymetis nel ritenere che la traduzione italiana è semplicemente penosa. Forse reclutare madrelingua costava troppo, nel senso che avrebbero dovuto pagarli profumatamente per costringerli ad alterare il senso di diversi passi della TNM.
Ritornando al testo di Filippesi, faccio notare ai foristi digiuni di greco che il verbo eghèomai (eghesato è l'aoristo) regge il doppio accusativo che è presente nella proposizione del versetto 6b, ossia l'accusativo dell'oggetto e l'accusativo che esprime il complemento predicativo dell'oggetto. La traduzione letterale corretta è : "non considerò l'essere uguale a Dio come un privilegio" (traduzione vecchia della CEI: "non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio"; traduzione nuova: "non ritenne un privilegio l'essere come Dio"). La TNM non presenta in questo caso una frase di senso compiuto. In italiano è orrenda. Inoltre, il versetto è stato tradotto come se l'infinito sostantivato (tò eìnai isa theò) avesse valore epesegetico o dichiarativo, per far credere al lettore che Cristo non ha mai pensato di essere come Dio. E' questo il senso che vogliono rendere in "italiano moderno".
“La Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture è una traduzione della bibbia che potete capire facilmente. Perché? Perché il linguaggio difficile a capirsi e antiquato è stato sostituito con l’italiano moderno in tutte le sue pagine”. (È la Bibbia realmente la Parola di Dio?, 1969, p. 192).
:grazie: :ciao:
Non sono d'accordo, tradurre con “il quale, pur essendo in forma di Dio, non ritenne come cosa da far propria avidamente l’essere uguale a Dio” come ha fatto la concordata è lecito, harpagmos può essere interpretato nelle seguenti maniere:

1) Senso attivo, «non reputò un furto, una usurpazione, una rapina» il suo essere come Dio,
appunto perché ne era in legittimo possesso; così i padri latini;

2) Senso passivo in diverse sfumature:

a) cosa rubata – quindi da custodire gelosamente, da non cedere;

b) cosa da rubarsi – con idea di violenza e di usurpazione, come avvenne da parte di Adamo; "non ritenne di rapinare l'essere uguale a Dio".

c) cosa da conservarsi (senza nessuna idea di ingiusto possesso), nel senso lato di “prendere per se, usufruire, usare a proprio vantaggio”.

Per approfondimenti vi rimando al mio trattato su filippesi:


"Forma di Dio" e uguaglianza con Dio:

Filippesi 2:6 in greco suona più o meno così:

"Che in forma di Dio esistente non rapina reputò l’ essere uguale a Dio"

Una delle parole chiavi è harpagmos che può assumere due significati:

Alcuni interpretano ἁρπαγμός come res retinenda, cioè come tesoro da trattenere gelosamente, mentre altri traducono ἁρπαγμός come res rapienda, cioè come bottino o preda da afferrare con violenza.

Esaminiamo cinque versioni che fanno da base a centinaia di traduzioni parallele che si appoggiano ad esse:

1) (La Bibbia di Gerusalemme, testo CEI del ‘74) "Il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;"

(La Bibbia di Gerusalemme, testo CEI 2008) "Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio"

nota degli editori:

2,6-8 Gesù Cristo, in forza della sua originaria uguaglianza con Dio, avrebbe potuto rivendicare un’esistenza umana gloriosa. Ha scelto, invece, di condividere la condizione umana restando, nella umiliazione della morte, fedele a Dio.

I traduttori della Bibbia di Gerusalemme hanno interpretato "essere nella morphê di Dio" come l'avere la natura\essere nella condizione di Dio, a tal proposito ci sono diverse teorie che invito a leggere, basta fare una seria ricerca sulla parola morphê e sui suoi significati in epoca neotestamentaria, alcuni esempi:

[Friberg lexicon] morfè,, h/j, h` (1) form, external appearance; generally, as can be discerned through the natural senses (MK 16.12); (2) of the nature of something, used of Christ's contrasting modes of being in his preexistent and human states form, nature (PH 2.6, 7)

[UBS] morfè,, h/j f nature, form

Comunque in base a tale versione, Cristo per natura Dio, non ritenne come un tesoro geloso questa sua uguaglianza col Padre.

Personalmente accetto meglio la traduzione "di natura divina" rispetto alla letterale "essere nella forma di Dio" perché sembrerebbe che mentre Gesù si faceva Uomo, sia rimasto un qualche suo abito/forma dismesso dalle parti di Dio Padre...

Gesù assunse la forma di uomo, ma lasciò la forma di Dio?
NO, e infatti non c’è scritto, ecco perché lo scrittore usa “manifestare”. Dio è là dov’ è (cioè “è” e basta, perché non ha un luogo o uno spazio) e invece nello spazio/tempo Dio “si manifesta”, cioè diventa agli occhi dell'uomo visibile, o meglio, percepibile.
A proposito di morphê un mio dotto amico scrisse:
"Io non capisco proprio come si possa anche solo pensare che morphê in quel contesto sia la forma esteriore, anche perché c'è subito dopo una contrapposizione tra l'essere "in forma di Dio" e l'assumere la condizione di servo. E poi, che forma esteriore potrebbe mai avere Dio? Come gli si può attribuire una forma che lo circoscriva o un aspetto? Non ha confini, non ha un esterno che lo delimiti e che gli dia una “forma” nel senso moderno del termine.
Morphê in greco ellenistico e nelle discussioni di natura filosofico-teologica è sinonimo di eidos, cioè indica la struttura interna di qualcosa. Il riferimento ovvio è ad Aristotele. Chiunque abbia dei ricordi anche solo liceali di storia del pensiero ellenistico sa benissimo che cosa si intenda con questo termine dopo Aristotele. Ovviamente qui non si tratta di cadere nella trappola “filosofia e anti-filosofia”, come se volessimo affermare che Paolo sia stato aristotelico, ma di dire che nel lessico usato per le questioni di teologia, a causa dell’influsso della scuola aristotelica, in greco ellenistico la morphê di qualcosa è l’eidos di qualcosa, la struttura organizzatrice interna che si riflette ANCHE all’esterno."
A proposito di questo commento, il grande biblista R. Bultmann scrive:

Immagine

Di parere simile è il Anche il Gillièron (LTB, 92) il quale dice:
«Nell’inno di Fil 2,6-11, uno dei più antichi testi cristiani conosciuti, Cristo viene presentato come
spogliatosi della forma di Dio che era la sua, per assumere la forma di servo (Fil 2,6s); il significato
della parola forma dipende dall’interpretazione che si dà dell’inno; se si vede il destino del Cristo
preesistente poi incarnato, la parola indica l’essere, l’essenza, la natura di Cristo = il Cristo era di
natura divina, ed ha assunto la natura umana; se si vede, più probabilmente, la rinuncia fatta da
Gesù, nel corso del suo ministero, ad ogni trionfalismo messianico, la parola allora indica il suo
modo di esistenza, la sua condizione = pur potendo pretendere di essere uguale a Dio, Cristo ha
deciso di comportarsi come un servo che ha ubbidito fino alla morte»
Questa impostazione contribuisce notevolmente anche alla comprensione, o meglio al tentativo di comprensione, della Trinità: Dio è uno, nella sua natura in quanto è fuori dello spazio-tempo, ma le tre ipostasi che lo compongono sono evidenti nelle loro manifestazioni nello spazio/tempo nelle quali vengono rivelate le personalità di ognuna delle singole persone divine (in questo contesto quella del figlio).

La Sacra Bibbia di mons. Garofalo in 3 volumi aggiunge al riguardo:
«Il senso, in sostanza, è che Cristo non tenne o non aspirò alle prerogative divine (uguaglianza con Dio) alle quali aveva pure diritto in forza della sua natura. Naturalmente si tratta di rinuncia a manifestarle all’esterno»

Don Giancarlo Apostoli approfondisce il senso esposto da Garofalo in questo modo:
"Si può parafrasare così il senso del testo greco:
«Benché (una volta incarnato) egli continuasse ad essere Dio come il Padre, non volle affatto far valere (durante la sua vita in terra) questa sua pari deità col Padre a proprio vantaggio, quantunque si trattasse di cosa legittimamente sua, ma vi rinunzio spontaneamente. Anzi, ciò che egli era, lo lasciò nascosto, scegliendo di essere servo»

2)(LND) filippesi 2:6 "il quale, essendo in forma di Dio, non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente l'essere uguale a Dio"

Gesù possedeva di suo l'uguaglianza con Dio, ma questo non gli impedì di lasciare questa posizione per farsi uomo, non rimase legato al suo diritto naturale di essere Dio, ma rinunciò a questa unica prerogativa divenendo anche uomo.

3)(Di) “Il quale, essendo in forma di Dio, non reputò rapina l’essere uguale a Dio”.

l'essere uguale a Dio, non era per Gesù una rapina (quindi era una cosa normale per lui).

4)(Con) “il quale, pur essendo in forma di Dio, non ritenne come cosa da far propria avidamente l’essere uguale a Dio”.

In questo caso "essere uguale a Dio" ricopre il ruolo proprio del padre, da non raggiungere avidamente, ma comunque da poter raggiungere umilmente, come mostrato in seguito divenendo egli "il Signore di tutti".

5)(Tnm) "il quale, benché esistesse nella forma di Dio, non prese in considerazione una rapina, cioè che dovesse essere uguale a Dio".

A parte le numerosi ed evidenti aggiunte di parole rispetto al testo greco (in rosso) atte ad avvicinare il più possibile questa scrittura alla teologia dei tdg, anche in questa versione (unica in quanto non ne ho trovate di uguali) Cristo avrebbe potuto rapinare il diventare uguale a Dio, ovvero rapinare il ruolo proprio del padre, l'ingenito e la causa prima del figlio e dello Spirito santo, quindi la possibilità di poter eguagliare il padre esisteva, ed una creatura, anche la più eccelsa e prima, non avrebbe potuto ambire a tanto se non fosse stata la sua natura uguale a quella del padre, gli sarebbe stato impossibile per la sua costituzione, per una creatura questo sarebbe stato irraggiungibile e inimmaginabile, come se un animale potesse "rapinare" l'uguaglianza con l'uomo o l'uomo rapinare l'uguaglianza con un angelo, sarebbe impossibile, mentre sarebbe possibile per un figlio di un re, usurpare il trono del re suo padre, perchè parliamo di due esseri identici in natura (due esseri umani).

Giancarlo apostoli commenta questo pensiero con le seguenti parole:
“Di fatto, il punto di vista anti-trinitario tipico dei TdG loda Cristo perché rimase solo entro i limiti di un essere creato. A ben guardare però non sembra esserci molto da lodare in una creatura (umana o angelica) che rinunci ad un colpo di mano per spodestare Dio e per prenderne il posto. Se Cristo si fosse limitato a non tentar di divenire uguale a Dio, non saremmo di fronte ad un caso di umiltà ma ad un semplice esempio di onestà intellettuale, di equilibrio mentale e di senso della misura. Vero esempio di umiltà (giustamente lodato da Paolo) è dato dal fatto che realmente Cristo, pur essendo Dio, si sia spogliato delle proprie prerogative divine per assumere forma di servo e natura umana, il tutto ....al solo fine di salvarci.”

A proposito di questa interpretazione è utile leggere quanto scritto dal professor Dennis Ray Burk, Jr:

http://www.bible.org/page.asp?page_id=1792

"Propongo che se l'autore avesse inteso mettere sullo stesso piano le due frasi avrebbe potuto semplicemente dichiarare "benche' egli esistesse nella forma di Dio, egli non riguardo' essere nella forma di Dio come una cosa da essere afferrata". Tuttavia, il solo fatto che l'autore scelga di usare una fraseologia differente indica che egli desidera denotare realta' differenti, non quelle sinonime (o equivalenti). La questione si presenta allora in quanto a come questa frase possa essere teologicamente intellegibile; come puo' questa interpretazione avere senso dato che (morfè theou) si riferisce alla essenza preesistente di Cristo come divinita'? Non dovrebbe l'uguaglianza di Cristo con Dio (ton einai isa theon) essere considerata solo un'altro modo di riferirsi alla sua essenza preesistente come divinita'? La risposta all'ultima questione e' "NO" se noi consideriamo la possibilita' che "forma di Dio" si riferisce all'essenza, mentre "essere uguale a Dio" si riferisce alla funzione. Se questo e' il significato del testo, allora le due frasi non sono sinonime: benche' il Cristo fosse una vera divinita', egli non usurpo' il ruolo del Padre. Se HARPAGMOS sia capito stando all'analisi di cui sopra, allora Cristo si dice non aver rapito(rubato) o afferrato l'uguaglianza con Dio.
Benche' egli stesso fosse una vera divinita' eistente nella forma di Dio, non tento' di afferrare quest'altro aspetto che lui stesso non possedeva - cioe' l'uguaglianza con Dio (il padre).
Al contrario, Cristo svuoto' se' stesso. Questo svuotamento consistette nel prendere la forma di un umile servo e nel farsi a somiglianza di uomo. Percio' il contrasto tra i versi 6 e 7 si fa molto chiaro. Cristo, la seconda persona della trinita', non tento' di rapire/rubare il ruolo proprio della prima persona della Trinita', al contrario, Cristo abbraccio' quei doveri che erano stabiliti per la seconda persona, prendere la forma di un servo e rendersi a somiglianza di uomo...
Credo che questa interpretazione apra per noi la strada per vedere una ortodossa subordinazione del figlio nei confronti di DIO Padre. Benché il Padre e il Figlio siano uno nella loro essenza (che e' esistere entrambi nella forma di Dio), essi sono distinti nelle loro persone. In accordo al piano predeterminato del Padre, egli invia il Figlio nel mondo come un uomo e come un servo. Il Figlio non prova ad abdicare il suo ruolo afferrando uguaglianza funzionale con il Padre. Al contrario, il Figlio ubbidisce al Padre ed entra nella storia umana. In questa sequenza di eventi,vediamo che il Figlio non solo obbedisce al Padre nella sua incarnazione ma anche che egli obbedisce al Padre da tutta l'eternità'. Per questo motivo, se il Figlio non fosse obbediente al Padre e se non fosse distinto dal Padre nella sua persona (e perciò nel suo ruolo e funzione), allora la redenzione sarebbe stata impossibile, il Figlio mai avrebbe obbedito al Padre e non ci sarebbe mai stata una incarnazione...
Proprio come il Padre e il Figlio sono uno in essenza (ossia, sono entrambi divinità) ma distinti nelle loro Persone, così c'e' una realtà corrispondente nelle relazioni terrene fra uomini e donne. Per esempio, sebbene si ordini alle mogli di mantenere un ruolo di obbedienza ai loro mariti (1 Pietro 3:1), mariti e mogli redenti sono uno nella loro posizione davanti a Dio; sono eredi simili della grazia di vita (1 Pietro 3:7). Non c'e' qui ineguaglianza essenziale, ma solo una funzionale. In questa comprensione'uomo non e' superiore in valore o significato su sua moglie, più che il Padre lo sia su Cristo. Al contrario, il mantenimento dei ruoli stabiliti da Dio e'in fin dei conti una cosa molto gloriosa (Filippesi 2:11)"


Quindi tenendo bene in mente il concetto dei ruoli delle persone trinitarie, fermo restando che non è certo messa in dubbio la deità del figlio chiarita poco prima: "in forma di Dio esisteva":

"essendo per natura Dio" IBE, NVP, NIV
benché fosse chiaramente Dio BLM
benché lui era Dio GL, LB
sussistendo in natura di Dio RI
era come Dio TILC
essendo di natura divina CEI, GCC, BG
di condizione divina TOB

l'uguaglianza che egli non ambì a rapinare era il ruolo proprio del padre, unica fonte del figlio e dello Spirito Santo.

Ricapitolando harpagmos può essere interpretato nelle seguenti maniere:

1) Senso attivo, «non reputò un furto, una usurpazione, una rapina» il suo essere come Dio,
appunto perché ne era in legittimo possesso; così i padri latini;

2) Senso passivo in diverse sfumature:

a) cosa rubata – quindi da custodire gelosamente, da non cedere;

b) cosa da rubarsi – con idea di violenza e di usurpazione, come avvenne da parte di Adamo;

c) cosa da conservarsi (senza nessuna idea di ingiusto possesso), nel senso lato di “prendere per se, usufruire, usare a proprio vantaggio”.

I testimoni obiettano che avendolo il Padre "sovranamente innalzato" cosa poteva dargli più di quello che aveva prima di incarnarsi, se egli era già Dio come lui?
A questa domanda lascio rispondere Robertson nel suo commentario:
«Qui soltanto nel N.T. a causa dell'umiliazione volontaria del Cristo, Dio lo ha innalzato al di sopra o oltre la condizione di gloria che ha goduto prima dell'incarnazione. Che gloria Cristo ha dopo l'Ascensione che non ha avuto prima in cielo? Cosa ha ripreso in cielo che lui non abbia portato? Chiaramente la sua umanità. È "ritornato al cielo" il Figlio dell'Uomo come pure il Figlio di Dio» - Robertson's Word Pictures of the New T. (link:http://www.biblestudytools.com/Commenta ... 0&prev=008)

Un'altra obiezione che fanno i TdG riguarda l'esempio di umiltà menzionato da Paolo prima dell'inno e ci chiedono che umiltà manifestò Cristo se egli era già uguale a Dio?
La risposta è già stata data, egli avrebbe potuto rimanere nella sua condizione di vero Dio, ma scelse di svuotarsi di questa unica posizione per farsi anche uomo e in questo stato decise di non avvalersi del suo essere anche Dio per proprio tornaconto personale, non è questa umiltà?
Se egli fosse stato invece una creatura, cosa ci sarebbe stato di così eccezionale nel “non voler rapinare il farsi uguale a Dio”?
Avrebbe potuto mai una creatura diventare "uguale a Dio"? Uguale al suo creatore?
"La cosa più triste è che molto spesso chi viene ingannato, o illuso, tende a rimanere strettamente ancorato a quello in cui crede nonostante le evidenze indichino chiaramente che la realtà è diversa. Forse è talmente affezionato alle sue credenze che preferisce chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie di fronte a qualunque cosa possa farle vacillare."
(Torre di Guardia 1/9/2010 p 10)
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Philo
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Mario70 ha scritto:Un'altra obiezione che fanno i TdG riguarda l'esempio di umiltà menzionato da Paolo prima dell'inno e ci chiedono che umiltà manifestò Cristo se egli era già uguale a Dio?
La risposta è già stata data, egli avrebbe potuto rimanere nella sua condizione di vero Dio, ma scelse di svuotarsi di questa unica posizione per farsi anche uomo e in questo stato decise di non avvalersi del suo essere anche Dio per proprio tornaconto personale, non è questa umiltà?
Se egli fosse stato invece una creatura, cosa ci sarebbe stato di così eccezionale nel “non voler rapinare il farsi uguale a Dio”?
Avrebbe potuto mai una creatura diventare "uguale a Dio"? Uguale al suo creatore?
A questo mi permetto di aggiungere quanto ho scritto aprendo un nuovo argomento sui versetti dall'1 al 5 del secondo capitolo della lettera ai Filippesi:

"1Se dunque c'è qualche consolazione in Cristo, se c'è qualche conforto, frutto della carità, se c'è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione,
2rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi.
3Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso.
4Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri.
5Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:

Riflettevo sulla parte introduttiva al rinomato testo della lettera ai Filippesi.

Mi sono detto questo. Si è cercato più volte di comprendere il senso delle parole dal vs 6 all'11 per confermare la deità di Gesù precedente alla sua kenosi e posseduta dall'eternità.

Soffermandomi però sui primi versetti mi è venuto in mente questo. Nel testo greco non c'è punteggiatura. Allora se il vs 5 lo agganciamo, per così dire, al discorso fatto fino al vs 4, credo che tutti i dubbi e le controversie sulle seguenti affermazioni potrebbero acquisire nuova luce e, non dico svanire, ma essere confermati nella giusta interpretazione.

Paolo chiede di "non fare nulla per rivalità o vanagloria" e, con tutta umiltà, di "considerare gli altri superiori a se stessi".
Inoltre, chiede di "non cercare il proprio interesse" ma "anche quello degli altri".
A questo punto arriva il vs 5 che è come il fulcro del discorso diviso in due parti. La prima si riferisce agli uomini che devono "avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù" la seconda è la esplicitazione di questi sentimenti posseduti da Gesù prima di farsi uomo.

Per avere "gli stessi sentimenti" devono esserci le stesse condizioni, ancorché i livelli di esplicitazione degli stessi siano diversi, in modo da ottenere lo stesso esito.

Se Gesù è stato l'esempio concreto dei sentimenti richiesti nei versetti 3 e 4, ha potuto farlo in quanto si trovava in una condizione che non li prevedeva in sé ma li richiedeva come scelta e, nel caso in questione, come scelta di umiltà.

Infatti se posso rivaleggiare con il fratello è perché ritengo di poterlo fare, se posso considerare gli altri superiori a me stesso è perché non sono inferiore a questi ma uguale. Se mi ritenessi superiore cadrei nella vanagloria.

Questi sentimenti furono di Cristo e sono richiesti ai cristiani verso i fratelli in quanto loro pari.
Cristo, dunque, per poterli aver esercitati doveva essere pari a coloro verso i quali li doveva esercitare. Per Cristo però il termine di "paragone" è Dio nei confronti del quale ha esercitato l'umiltà e l'obbedienza pur non essendo tenuto a farlo in quanto ontologicamente uguale a Dio. Se Paolo dice ritenete gli altri superiori a voi non sta affermando che si è inferiori agli altri ontologicamente ma che bisogna essere umili pur partendo dalla stessa condizione e, sostanzialmente, non essendo tenuti ad esserlo.

A questo punto perché non provare a leggere Fil 2,1-11 al contrario?

Egli (Cristo, naturalmente), pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l'essere come Dio,
7ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall'aspetto riconosciuto come uomo,
8umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
9Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
10perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
11e ogni lingua proclami:
"Gesù Cristo è Signore!",
a gloria di Dio Padre.
5Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:
4Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri.
3Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso.
1 Se dunque c'è qualche consolazione in Cristo, se c'è qualche conforto, frutto della carità, se c'è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, 2rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi.

Ricordando le parole di Gesù in Lc 14,11, le quali, dette in "tempi non sospetti", possono essere considerate profetiche tanto per lui quanto per gli uomini in riferimento all'inno della lettera ai Filippesi:
"Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato."
"Alcuni amici, liberi pensatori, mi dicono che sono chiuso nella gabbia del cattolicesimo. E io rispondo che è vero: il cattolico è prigioniero della sua Chiesa, come il volatile è prigioniero del cielo." (JULIEN GREEN)
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Messaggio da Mario70 »

Philo ha scritto:
Per avere "gli stessi sentimenti" devono esserci le stesse condizioni, ancorché i livelli di esplicitazione degli stessi siano diversi, in modo da ottenere lo stesso esito.

Se Gesù è stato l'esempio concreto dei sentimenti richiesti nei versetti 3 e 4, ha potuto farlo in quanto si trovava in una condizione che non li prevedeva in sé ma li richiedeva come scelta e, nel caso in questione, come scelta di umiltà.

Infatti se posso rivaleggiare con il fratello è perché ritengo di poterlo fare, se posso considerare gli altri superiori a me stesso è perché non sono inferiore a questi ma uguale. Se mi ritenessi superiore cadrei nella vanagloria.

Questi sentimenti furono di Cristo e sono richiesti ai cristiani verso i fratelli in quanto loro pari."
:ok:

Siamo d'accordo, la logica insita nel tuo ragionamento è schiacciante.
Ciao bello
"La cosa più triste è che molto spesso chi viene ingannato, o illuso, tende a rimanere strettamente ancorato a quello in cui crede nonostante le evidenze indichino chiaramente che la realtà è diversa. Forse è talmente affezionato alle sue credenze che preferisce chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie di fronte a qualunque cosa possa farle vacillare."
(Torre di Guardia 1/9/2010 p 10)
Citocromo
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Per Mario

Messaggio da Citocromo »

Sono d'accordo con te. Il mio intervento non aveva lo scopo di spiegare come tradurre il termine harpagmòn, ma di far capire in che modo è costruita la frase (tutta la frase) in greco e, poi, il modo di tradurre, facendo vedere che la TNM non solo traduce male ma è scritta anche in pessimo italiano. La preferenza della traduzione CEI è un esempio di corretta traduzione.
:grazie: :ciao:
Le verità della fede sono una collana di perle preziose, tenute insieme da un filo che è la divinità di Cristo. Tagliato il filo perdete tutta la collana. (padre A. Gasparino)
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Mario70
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Messaggio da Mario70 »

Citocromo ha scritto:Sono d'accordo con te. Il mio intervento non aveva lo scopo di spiegare come tradurre il termine harpagmòn, ma di far capire in che modo è costruita la frase (tutta la frase) in greco e, poi, il modo di tradurre, facendo vedere che la TNM non solo traduce male ma è scritta anche in pessimo italiano. La preferenza della traduzione CEI è un esempio di corretta traduzione.
:grazie: :ciao:
OK, colgo l'occasione per ringraziarti dei tuoi colti interventi i quali mi hanno aiutato moltissimo nel mio percorso, GRAZIE!
Ciao
"La cosa più triste è che molto spesso chi viene ingannato, o illuso, tende a rimanere strettamente ancorato a quello in cui crede nonostante le evidenze indichino chiaramente che la realtà è diversa. Forse è talmente affezionato alle sue credenze che preferisce chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie di fronte a qualunque cosa possa farle vacillare."
(Torre di Guardia 1/9/2010 p 10)
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